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L’esperienza delle aziende pioniere.

Nel documento Il lavoro agile (pagine 125-131)

Applicazione pratica del lavoro agile.

5.1 L’esperienza delle aziende pioniere.

Le grandi realtà aziendali italiane hanno già da tempo iniziato ad utilizzare forme di lavoro flessibile attraverso la stipula di accordi aziendali. Le fasi per adottare tale forma di lavoro sono molteplici, soprattutto nelle realtà più strutturate. 1. In primo luogo l’azienda deve procedere con un’analisi dei bisogni aziendali e personali dei lavoratori. In particolare può procedere con un’analisi condotta mediante questionari e interviste. 2. Successivamente l’azienda elabora una strategia di attuazione, definendo in particolare quelli che sono gli obbiettivi a breve, medio e lungo termine. 3. Lo step successivo deve prevedere il coinvolgimento del management aziendale e la sensibilizzazione dei lavoratori. L’altra questione fondamentale riguarda il rapporto con le rappresentanze sindacali. Fino ad oggi, in assenza di una normativa di riferimento, il passaggio con i sindacati risultava fondamentale150. A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 81/2017 l’accordo sindacale non si ritiene più necessario. Tuttavia, considerando che lo smart working può implementare i sistemi di welfare aziendale, e

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M. Capobianco, Lo Smart Working tra proposte di legge e accordi “di fatto”. Lo stato di attuazione in

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considerando che solo l’accordo tra le parti potrebbe risultare insufficiente per disciplinare aspetti delicati del rapporto di lavoro, la stipula di accordi aziendali può comunque essere opportuna. Ciò soprattutto nelle realtà più strutturate dove esiste già una rete di rapporti sindacali. L’attuazione dello smart working perciò può passare per il confronto coni sindacati. La dirigenza aziendale dovrà quindi coinvolgere i rappresentati sindacali in un raffronto sulle esigenze dei lavoratori. Se si tengono a mente le finalità dello smart working, il confronto su tale tematica può rivelarsi un ottimo punto di incontro tra i due centri di interesse. L’adozione di un piano di smart working tocca punti delicati dell’equilibrio aziendale. Dal punto di vista della struttura economica dell’azienda, è necessario effettuare una pianificazione strategica e un’analisi dei costi e dell’incisione sulla produttività. In fase successiva l’azienda dovrà monitorare l’andamento del piano di smart working e procedere con eventuali correttivi. Anche sotto il profilo organizzativo vi sono numerosi step da affrontare. L’attuazione del piano di smart working può comportare in prima attuazione notevoli costi per la dotazione tecnologica da assegnare ai lavoratori. L’altro aspetto da valutare è quello strettamente tecnico e normativo. Il piano di smart working dovrà ovviamente essere in linea con la normativa vigente e con la contrattazione collettiva. Di seguito verranno analizzati alcuni accordi sindacali stipulati in Italia in tema di smart working prima dell’entrata in vigore della l. n. 81/2017 dalle più grandi realtà aziendali. La prima osservazione che si può muovere è che tutti gli accordi tendono a dettare una disciplina limitata rispetto a quanto è stato successivamente stabilito dal legislatore. Ciò potrebbe essere stato suggerito da un atteggiamento prudenziale, proprio alla luce dell’assenza di una disciplina normativa. Tuttavia non è da escludersi l’ipotesi che, nell’attuazione dello smart working, le aziende continueranno a limitarne l’applicazione. Ciò soprattutto alla luce dei numerosi dubbi interpretativi che sorgono dalla lettura della l. n. 81/2017. Il gruppo bancario Intesa Sanpaolo,

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primissimo tra i gruppi bancari dell’Eurozona, è stato uno delle prime realtà aziendali a ricorrere a modalità di lavoro agile. L’accordo in esame costituisce una prima sperimentazione di smart working all’interno della Società. Tale esperienza ha avuto inizio a marzo 2015 ed è stata confermata a regime con accordo del 17 dicembre 2015, dopo l’inserimento della flessibilità tra le misure di welfare. La misura introdotta viene definita “ Lavoro Flessibile” e prevede la possibilità di eseguire la prestazione lavorativa da altra sede aziendale, da casa e dalla sede del cliente. Tale regolamentazione configura un istituto più limitato dello smart working disciplinato dal legislatore. Fornisce, infatti, un elenco puntuale dei luoghi in cui può essere svolta l’attività lavorativa e limita quindi l’autonomia del dipendente. L’Accordo specifica che l’orario di lavoro e la collocazione temporale dello stesso non subiscono variazioni. Tale punto rappresenta una fondamentale differenza con l’attuale disciplina dello smart working finalizzata a riconoscere la più ampia autonomia al lavoratore. Risulta invece in linea con la normativa il riferimento ai poteri datoriali. L’accordo prevede una prima applicazione limitata, indicativamente, a due giorni complessivi al mese e comunque entro un massimo di otto giorni al mese. I dipendenti a cui si applica tale flessibilità sono esclusivamente quelli a tempo indeterminato con un’anzianità di almeno tre anni e con mansioni compatibili a tale modalità lavorativa. L’attivazione viene rimandata all’iniziativa del lavoratore e deve essere autorizzata dal reparto di amministrazione del personale di competenza. Entrambe le parti hanno diritto di recedere e il preavviso dovuto risulta inferiore a quello previsto attualmente dalla normativa. La gestione del lavoro flessibile viene inoltre affidata alla sede di riferimento del lavoratore, pertanto il suo trasferimento fa venire meno anche la flessibilità, salvo nuova autorizzazione. È interessante rilevare che il rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro, essenziale nello smart working, viene esplicitamente richiamato nell’accordo. L’accordo non esclude il riconoscimento della trasferta nei

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giorni di lavoro flessibile a particolari condizioni riferite alla distanza della sede. Un’altra esperienza è rappresentata da Barilla, azienda italiana leader mondiale nella produzione di pasta, sughi e prodotti da forno151. In data 2 marzo 2015 ha siglato l’accordo di conferma della sperimentazione di smart working. Il lavoro flessibile riguarda i dipendenti in forza presso la sede centrale dell’azienda. Non sono invece previsti particolari requisiti in merito alla tipologia contrattuale o all’anzianità di servizio. L’accordo al fine di garantire il rispetto della normativa in materia di sicurezza e tutela della privacy, prevede delle forti limitazioni alla libertà di scelta del luogo di lavoro. La flessibilità viene limitata a 32 ore settimanali, utilizzabili sull’intera o su metà giornata lavorativa e pianificabili dal lavoratore. La quantità di ore viene però raddoppiata per lavoratori che presentano particolari necessità legate a genitorialità, disabilità o motivi di salute propri o del figlio. La scelta dei giorni in cui la prestazione lavorativa viene svolta all’esterno è rimandata alla volontà esclusiva del lavoratore, essendo previsto il solo obbligo di condividere la pianificazione col proprio responsabile. Il lavoratore, durante l’orario di lavoro, è inoltre obbligato a rendersi disponibile attraverso gli strumenti tecnologici messi a disposizione dall’azienda. Di seguito l’accordo siglato nel 2016 dalla Banca Cariparma che dal 2007 fa parte del Gruppo Crédit Agricole. Come negli esempi analizzati in precedenza, anche in questo caso le parti hanno limitato l’autonomia di scelta del luogo di lavoro ad altra sede aziendale, o comunque di altra Società del Gruppo, o alla residenza o domicilio del lavoratore. Particolarmente limitata è anche la platea dei lavoratori che possono accedere al piano. Il riferimento nell’accordo alla qualità e quantità delle prestazioni e dei risultati è di particolare interesse. Lo smart working, almeno sotto il profilo teorico, è volto ad un aumento della produttività attraverso un maggiore benessere dei lavoratori. È ovvio però che una maggiore autonomia del lavoratore subordinato può non sempre portare a

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tale risultato positivo. Tuttavia la verifica del rendimento è un tema particolarmente delicato in ogni rapporto di lavoro e a maggior ragione nello smart working. È pertanto fondamentale che il rapporto di fiducia tra le parti sia ben saldo. Ulteriore accordo è quello concluso nel 2016 gal Gruppo AXA, uno dei maggiori gruppi assicurativi a livello mondiale. L’accordo individua due distinte fattispecie all’interno dello smart working: il lavoro flessibile e il lavoro a distanza. Il primo fa riferimento alla libertà dell’orario di lavoro: fermo restando l’orario di lavoro giornaliero, il dipendente non ha limitazioni in entrata o in uscita, il lavoro a distanza si riferisce invece alla possibilità di lavorare da remoto. L’accordo riconosce l’assenza di una normativa di riferimento in merito agli infortuni (colmata come visto dalla legge n. 81/2017). L’azienda ha in questo caso deciso di tutelarsi con una specifica copertura assicurativa. Altra azienda pioniera è stata l’Enel, leader mondiale nella produzione di energia, a seguito di una prima fase di sperimentazione dello smart working iniziata a giugno 2016, ha stipulato in data 4 aprile 2017 un accordo che prevede l’utilizzo di tale forma di lavoro per 7000 dipendenti. La scelta aziendale è quella di riconoscere piena libertà ai lavoratori in merito alla scelta del luogo da cui svolgere l’attività lavorativa, mentre viene mantenuto l’obbligo del rispetto degli orari di lavoro aziendali. Inoltre, lo smart working viene autorizzato per non più di un giorno a settimana. Tuttavia a differenza dei casi analizzati in precedenza, non sono imposti limiti alla scelta del dipendente in riferimento alla sede dalla quale prestare l’attività. Quindi sebbene l’accordo sia stato stipulato quando il disegno di legge era ormai alle ultime fasi del procedimento legislativo, le parti hanno comunque dettato una disciplina restrittiva del lavoro agile152. Passiamo ora all’esperienza di Mars Italia. Cristiana Milanesi, direttore risorse umane di Mars Italia, saluta con favore la nuova legge sullo smart working, ma sottolinea con orgoglio che la filiale italiana del colosso americano del pet

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food e degli snak (in portafoglio ci sono, tra gli altri Whiskys, Sheba, Royal Canin e, appunto, Mars e Snickers) era già “compliant” e che ha avuto numerosi contatti con Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro alla Bocconi, tra i padri della legge, che aveva individuato in Mars Italia un caso di successo da prendere ad esempio. L’impegno dell’azienda viene da lontano: è dagli anni 90, seguendo l’esempio di Mars Usa, che sperimenta varie forme di smart working e l’approccio è diverso fin dalla scelta delle parole: i lavoratori sono chiamati associati, non dipendenti. Tutti possono lavorare a casa o da qualsiasi altro luogo (parco, bar, biblioteca), organizzandosi con una certa autonomia e coordinandosi con il proprio responsabile e i colleghi. Per dare a tutti, non solo a quadri e dirigenti, la stessa possibilità di flessibilità e lavoro da casa, è prevista la progressiva dotazione di pc portatili e software per favorire la comunicazione a distanza (instant messaging, webconference, strumenti per la condivisione di documenti). “Per noi smart working vuol dire

molto di più che telelavoro ─ sottolinea Cristiana Milanesi ─. È previsto ad esempio l’orario di ingresso flessibile, gli uffici sono pet friendly, perché portare gli animali al lavoro semplifica la loro gestione e dà serenità. Offriamo poi la possibilità di dedicare alcune ore lavorative al volontariato. Questo per noi è lavorare in modo intelligente”. L’altra esperienza è

rappresentata dal caso Beyond (Qui Group). È Beyond, la start up di Qui Group che, a Napoli, sperimenta lo smart working coinvolgendo già da oltre un anno l’intero organico di 15 persone. La sperimentazione parte nella software house napoletana per rispondere all’esigenza dei dipendenti di ridurre il tempo di viaggio casa-lavoro. Il 90% della forza lavoro, assunta dopo un progetto di ricerca con l’Università di Salerno, abita proprio a Salerno ed è costretta ad almeno tre ore di viaggio al giorno. Così si passa allo smart working: i dipendenti lavorano per 2 giorni alla settimana da remoto: in qualsiasi luogo dotato di connessione internet, purché siano rispettate le norme sulla sicurezza. Il progetto viene monitorato con cadenza bimestrale

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dall’azienda, mentre lo stato di avanzamento delle singole attività viene valutato settimanalmente rispetto alla programmazione iniziale. In questo modo, è possibile valutare i risultati ottenuti rispetto agli obbiettivi prefissati, ma anche le problematiche riscontrate. Per evitare poi che i dipendenti rimangano connessi anche oltre l’orario di lavoro, si stabilisce che durante i giorni di smart working, vada rispettato lo stesso orario. I dipendenti timbrano il cartellino “virtualmente”. Per quanto concerne i risultati, si ritiene che ogni dipendente abbia risparmiato, solo nei primi sei mesi, in media 150 ore di viaggio. L’azienda, poi, è riuscita a trattenere i migliori talenti e stima un aumento di produttività dal 15 al 20 per cento. L’esperimento si ritiene sia riuscito, tanto che ora viene replicato a Roma in altre aziende del gruppo con altre 15 persone153.

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