IL PERCORSO
DIAGNOSTICO NELLE
SINDROMI
MIELODISPLASTICHE
Relatore
Prof. Aldo Paolicchi
Correlatore
Prof.ssa Valeria Santini
Tesista
INDICE
1. INTRODUZIONE
1.1 Emopoiesi normale
1.1.1 Fattori positivi di regolazione della proliferazione delle cellule emopoietiche
1.1.2 Regolatori negativi dell’emopoiesi
1.1.3 Le cellule staminali mesenchimali
1.2 Emopoiesi mielodisplastica
2. EZIOLOGIA ED EPIDEMIOLOGIA
2.1 Agenti eziologici
2.1.1 Predisposizione genetica
2.1.2 Anemia aplastica ed emoglobinuria parossistica notturna
2.1.3 Radiazioni ionizzanti
2.1.4 Forme secondarie ai chemioterapici
pag. 7 8 10 12 14 14 22 25 25 25 26 27
2.1.5 Benzene e altri carcinogeni occupazionali e ambientali
2.2 Epidemiologia
3. IL PERCORSO DIAGNOSTICO
3.1 La diagnostica morfologica
3.1.1 Presenza dei blasti
3.1.2 Tipo e grado di displasia cellulare
3.1.2.1 Serie eritroide 3.1.2.2 Serie mieloide 3.1.2.3 Serie megacariocitaria 3.2 L’esame citometrico 3.2.1 Analisi granulocitaria 3.2.2 Analisi monocitaria 3.2.3 Analisi eritroblasti 3.3 La citogenetica 28 29 32 32 35 36 37 38 39 41 43 44 45 48
3.3.1 Cariotipo normale
3.3.2 Monosomia-delezione del cromosoma 5
3.3.3 Monosomia-delezione del cromosoma 7
3.3.4 Trisomia 8 3.3.5 Delezione 20q 3.3.6 Delezione del 17p 3.3.7 Traslocazioni 11q23 3.3.8 Traslocazione 3q 3.3.9 -Y 3.3.10 Cariotipo complesso 3.4 La biopsia osteomidollare
3.4.1 Sindrome mielodisplastica ipocellulare
3.4.2 Sindrome mielodisplastica con mielofribrosi (MDS-f)
3.4.3 Sindrome mielodisplastica correlata a terapia (TR-MDS) 51 51 52 53 53 54 54 55 55 56 56 63 63 65
3.5 La biologia molecolare
3.5.1 L’architettura clonale nelle MDS descrive le traiettorie preferenziali dell’evoluzione della malattia
3.5.2 La sopravvivenza si correla con il numero di mutazioni
3.5.3 Mutazione su SF3B1
3.5.4 Mutazione di TET2
3.5.5 Mutazioni di IDH1 e IDH2
3.5.6 Mutazioni TP53
3.5.7 Mutazioni ASXL1
3.5.8 Mutazioni DNMT
4. LA PROGNOSI
4.1 Internariona Prognostic Score System (IPSS)
4.2 WPSS (WHO Prognostic Score System)
4.3 IPSS-R (International Prognostic Score System-Revised)
66 69 71 73 73 74 75 77 78 83 84 88 92
4.4 Impatto dello studio molecolare sulla diagnosi, prognosi e terapia
4.4.1 Rilevanza delle mutazioni geniche nell’approccio diagnostico delle mielodisplasie
4.4.2 Significato predittivo e prognostico delle mutazioni somatiche. Sviluppo di modelli molecolari e decisionali per la clinica
5. LA TERAPIA
5.1 La strategia di attesa
5.2 Terapia di supporto
5.2.1 Trasfusioni di sangue e chelazione del ferro
5.3 Agenti stimolanti l’ematopoiesi (ESAs)
5.4 Terapia immunosoppressiva
5.5 Terapia immunomodulatoria
5.6 Agenti ipometilanti
5.7 Chemioterapia a basse dosi
5.8 Trapianto di midollo 101 101 103 105 106 107 108 112 114 115 117 120 121
5.8.1 Trapinto di cellule staminale per pazineti ad alto rischio MDS
5.8.2 Ruolo della chemioterapia d’induzione prima del trapianto
5.9 Algoritmi terapeutici BIBLIOGRAFIA 121 122 124 126
1. INTRODUZIONE
Le sindromi mielodisplastiche (MDS=Myelodysplastic syndromes) sono un gruppo di neoplasie clonali del midollo osseo caratterizzate da ematopoiesi inefficace, che si manifesta con displasia morfologica delle cellule ematopoietiche e con citopenia/e periferiche[1].
Il concetto di mielodisplasia è subordinato alla comprensione profonda del processo emopoietico, infatti le MDS progrediscono soppiantando l’emopoiesi normale con quella displastica. Lo sviluppo displastico ha una prima fase di emopoiesi inefficace a cui segue un blocco maturativo, con possibile sviluppo leucemico[2].
Figura 1
1.1 Emopoiesi normale
Gli elementi proliferanti del sistema emopoietico sono localizzati prevalentemente nel midollo osseo, sede elettiva dell’emopoiesi post-natale. Il midollo osseo si trova all’interno delle ossa a struttura spugnosa come vertebre, scapole, coste, sterno, bacino, cranio ed epifisi delle ossa lunghe (es. femore). La massa cellulare emopoietica occupa il midollo osseo rosso. Il midollo è costituito anche da cellule adipose e da un complesso sistema cellulare.
All’interno del midollo coesistono una componente emopoietica e una componente stromale. Quest’ultima è costituita prevalentemente da osteoblasti, osteoclasti, cellule adipose, cellule endoteliali e fibre nervose. Le funzioni di tutte queste tipologia di cellule convergono nella definizione del così detto “micro-ambiente” midollare detto anche “nicchia” emopoietica. L’importanza del “micro-ambiente” midollare è dimostrata dalla anemia di Steel nella quale c’è un difetto genetico dello stroma. Le cellule emopoietiche si annidano intorno alle sinusoidi nell cui prossimità si trovano i megacariociti. Esistono tre tipi di nicchie:
1. le nicchie emopoietiche 2. le nicchie endosteali 3. le nicchie vascolari.
Le nicchie emopoietiche provvedono al mantenimento delle cellule staminali quiescenti e all’induzione della loro proliferazione e differenziamento.
Le nicchie endosteali sono prevalentemente costituite da osteoblasti, osteoclasti e cellule mesenchimali ed è localizzata al livello dell’endostio. La sua funzione è quella di assicurare la quiescenza cinetica e l’auto-mantenimento delle cellule staminali.
meccanismi di maturazione e mobilizzazione in circolo delle cellule staminali ematopoietiche.
L’architettura del “micro-ambiente”, dunque, è una complessa rete di interazioni molecolari che assistono la funzione emopoietica in due modi. Da una parte il supporta meccanicamente le cellule emopoietiche, grazie anche ad un sistema di molecole di adesione, dall’altro il midollo è sede della produzione di fattori umorali che modulano la proliferazione differenziazione dei progenitori emopoietici.
I vari processi che regolano la produzione delle cellule ematiche sono: • la proliferazione: la divisione di una cellula in due cellule figlie.
• il commissionamento: l’istanza in cui due cellule derivate da uno stesso precursore prendono diversa strada differenziativa.
• la differenziazione: processo sequenziale attraverso il quale le cellule di un organismo arrivano ad esprimere caratteristiche specifiche con progressiva restrizione di altre potenzialità genomiche.
• la maturazione: l’insieme di fenomeni che comincia al momento della commissione e finisce quando la cellula ha tutte le sue caratteristiche.
• l’amplificazione: il numero di cellule definitivamente mature che derivano da una singola cellula commissionata.
Il costante processo di rinnovamento si fonda sulla presenza di una piccola popolazione di cellule staminali adulte, dette cellule staminali emopoietiche (CSE)
Le CSE insieme ai progenitori emopoietici dal terzo trimestre di vita intra-uterina, sono riconoscibili nel midollo osseo nelle “nicchie”. La matrice che fa da supporto alle CSE è costituita da collagene, proteine di adesione e proteoglicani. Tra le molecole di adesione, le principali sono VLA-4 VLA-5. Le funzione di CSE sono:
• capacità di ricostruzione linfoemopoietica a lungo termine • stato di quiescenza per il 90% circa della vita
• resistenza ai farmaci
• capacità di formare colonie in vitro e in vivo e differenziare verso tutte le filiere emopoietiche.
Le cellule staminali ematopoietiche esprimono un marcatore di membrana, una glicoproteina di membrana CD34.
L’espressione dell’antigene CD34 si associa sia a quella di altri marcatori immunologici non associati a filiere emospecifiche (Thy1, CD38, HLA-DR, CD45RA, CD71, CD133, CD271), sia a marcatori associati a linee emospecifiche.
La linea T-linfocitaria è rappresentata da i marcatori immunologici TdT, CD10, CD7, CD5, CD2. La linea B-linfocitaria esprime CD10, TdT, CD19, quella mieloide CD33, CD13, CD117, quella monocitaria CD15, CD14 e quella megacariocitaria CD61, CD41, CD42b.
Le cellule che esprimono CD34 possiedono anche recettori per fattori di crescita come interleuchina 3 (IL-3), il fattore stimolante granulocitario e monocitario (GM-CSF Granular-monocyte-cell Stimolate Factor), recettori tirosinchinasici quali il recettori per il fattore stimolante cellulare SCF (CD117).
1.1.1 Fattori positivi di regolazione della proliferazione delle cellule emopoietiche
Il termine citochine comprende i fattori di crescita propriamente detti e le interleuchine.
Le citochine possono essere classificate secondo il loro livello differenziativo dalle loro cellule bersaglio ed il potenziale di proliferazione in tre categorie:
A. fattori specifici per una linea maturativa, capaci di stimolare cellule già commissionate. La maggioranza di questi fattori inducono la proliferazione dei progenitori già orientati in senso maturativo e stimola le proprietà funzionali delle cellule differenziate. Rientrano in questo gruppo di citochine:
• l’eritropoietina (EPO), M-CSF (Monocitc-cell Stimolate Factor) e IL-5, specifici per la linea monocito/macrofagica ed eosinofila.
• la trombopoietina (TPO) specifica per la megacariocitopoiesi
B. fattori linea-non-specifica che agiscono su progenitori emopoietici di livello intermedio. Tra questi c’è G-CSF (Granular Colony Stimulating
Factor), IL-3, IL-4 e GM-CSF.
C. fattori che inducono il reclutamento nel ciclo cellulare dei progenitori più primitivi, cineticamente e funzionalmente inerti. Rientrano in quest’ultimo gruppo IL-6, IL-11, IL-12, FLT-3L, LIF (Leukemia Inhibitory Factor) e l’SCF (Stem Cell Factor) e TPO. Queste citochine hanno limitato effetto proliferativo quando vengono utilizzate singolarmente, ma sono capaci di aumentare in maniera sinergica o additiva la risposta di cellule CD34. Oltre alla possibilità di interagire con fattori linea-specifici o non linea specifici, lo SCF aumenta la capacità di formare colonie mieloidi e bilineari (linfoidi e mieloidi) da parte di altre citochine sinergiche, come IL-11, IL-6 ed IL-12.
I fattori di regolazione dell’emopoiesi sono prodotti principalmente dalle cellule accessorie mieloidi e dalla componente stromale del midollo osseo. I fattori di crescita (GF) emopoietici sono una famiglia di glicoproteine essenziali per la regolazione dell’attivazione, proliferazione, differenziazione e sopravvivenza. I segnali che regolano la produzione dei GF sembrano essere in relazione a tre tipi di situazioni:
2. necessità di attivazione funzionale di cellule mature nei tessuti periferici. 3. regolazione dell’apoptosi.
I GF possono agire anche in differenti stadi maturativi: il G-CSF (fattore stimolante colonia granulocitario) oltre a stimolare la proliferazione e maturazione dei progenitori dei neutrofili ed ad attivare le funzioni delle cellule mature, innesca la proliferazione e l’entrata in ciclo delle CS quiescenti. Il fattore stimolate colonie macrofagico (M-CSF= Macrophagic Colony
Stimulating Factor) è anche un regolatore fisiologico della proliferazione degli
osteclasti e dell’eritropoietina (EPO). Quest’ultima ha un effetto magacariocitopoietico e di stimolo sulle cellule del sistema nervoso centrale; la trombopoietina (TPO) ha la capacità di stimolare il compartimento delle cellule staminali.
1.1.2 Regolatori negativi dell’emopoiesi
A fare da contrappeso ai fattori di crescita ci sono molte molecole con funzione inibitoria, come fattore di trasformazione neoplastica-beta e alfa (TGF-𝛃, TGF-𝛂), la proteina infiammatoria macrofagica-1alfa (MIP𝛂) il fattore di necrosi tumorale-alfa (TNF-𝛂= Tumor Necrosis Factor), gli interferoni (IFNs), le prostaglandine.
La famiglia dei TGF-𝛃 comprende almeno 5 isoforme proteiche codificate da geni differenti e prodotte dalle cellule stromali dalle piastrine e dagli osteoclasti. Il TGF-𝛃3 si è dimostrato il più potente inibitore dell’emopoiesi umana, senza alcuna attività di stimolo dei precursori midollari.
Il TNF-𝛂ha mostrato un’attività sia favorente che inibente la proliferazione dei prgenitori emopoietici. Il TNF-𝛂 potenzia la crescita in vitro di cellule CD34 stimolate da GN-CSF o da IL-3, mentre inibisce l’attività proliferativa del G-CSF.
Il MIP-1𝛂 è un peptide prodotto da macrofagi attivati, cellule linfoidi T e fibroblasti. Appartiene alla famiglia di citochine comprendenti MIP-1𝛃, MIP-2 e IL-8. Le MIP1-alfa stimola la crescita di CFU-GM indotta da GCSF e M-CSF ed inibisce l’attività formante colonie di cellule CD34 stimolate con eritropoietina, IL-3 e GM-CSF.
L’insieme di questi risultati indica che la proliferazione o l’inibizione delle cellule emopoietiche attive è il risultato della complessa interazione tra i fattori di regolazione positiva e negativa. In generale questi ultimi agiscono in maniera reversibile, senza specificità di linea differenziativa e la loro azione sembra diretta verso cellule in stadi precoci di maturazione
Un ruolo importante hanno le proteine Notch, un gruppo di glicoproteine trans-membrana altamente conservate che svolgono un ruolo importante nei processi di auto-rinnovamento. Le proteine WNT interagiscono con HOX-B4 e Notch-1 nel regolare il rinnovamento; mentre l’asse costituito da angiopontina-1 e Tie-2 sembrano essenziali per trasdurre segnali della nicchia vascolare.
La chemichina CXCL12, il più potente fattore chemoattrattivo per le cellule staminali, lega la proteina CXCR4 espresso dalle cellule staminali; infatti CXCL12 è espresso sulle cellule stromali midollari
AML1,C/EBP-𝛂 e TEL (ETV6) sono fattori di trascrizione essenziali per lo sviluppo e la differenziazione emopoietica.
Il fattore trascrizionale GATA1 è importante per la normale maturazione eritroide. GATA1 si lega a sequenze consenso presenti nelle regioni promoter o enhancer di geni specifici eritroidi. Nei primi stadi dell’emopoiesi GATA1 transattiva il recettore per l’EPO e geni correlati alla sintesi dell’emoglobina nelle cellule eritroidi mature. Il legame di EPO al recettore determina un aumentata espressione di GATA1.
Altri fattori di trascrizione eritroidi comprendno NF-E2 e il gene EVI-1, che normalmente non viene espresso nelle cellule emopoietiche. Quando ciò accade si ha una inibizione della risposta ad EPO e della maturazione terminale con repressione dei geni GATA1-dipendenti.
1.1.3 Le cellule staminali mesenchimali
Il midollo osseo nella componente stromale contiene cellule staminali non emopoietiche chiamate cellule mesenchimali (BMSC= Bone Marrow-derived
Stromal Cells). BMSC possono differenziarsi, dietro opportuna stimolazione
di citochine, in osteoblasti, adipociti, condrociti, fibroblasti, cellule endoteliali e mioblasti. Le BMSC si distinguono nel midollo osseo per l’espressione di alcuni caratteri fenotipici (CD105, CD29, STRO-1, CD38, CD34) e per la capacità funzionale di generare colonie di cellule fibroblastoidi.
Le BMSC costituiscono un punto chiave della fisiologia del midollo osseo, grazie alla capacità di modulare il micro-ambiente midollare sia in termini di composizione cellulare umorale che strutturale[2,3].
1.2 Emopoiesi mielodisplastica
A differenza di ciò che è ben conosciuto per le leucemie acute, soprattutto mieloidi, in cui si può fondamentalmente parlare di emopoiesi leucemica, poco è noto sulle alterazioni molecolari e funzionali del processo emopoietico che portano alla generazione di progenie di cellule mielodisplastiche. La trasformazione di una cellula staminale normale in una cellula displastica “preleucemica” è un processo che richiede il susseguirsi di lesioni cellulari, genetiche ed epigenetiche[4,5].Allo stesso tempo, appare sempre più evidente che nella patogenesi delle MDS svolgono un ruolo determinante fattori estrinseci, primo fra tutti il micro-ambiente midollare.
Dal punto di vista genetico, le mielodisplasie sono caratterizzate da perdite di materiale genetico che coinvolgono geni critici per il controllo dell’emopoiesi o più raramente da traslocazione cromosomiche. Più del 50% delle anomalie cromosomiche in corso di sindrome mielodispastica coinvolge delezioni in ordine di frequenza a carico di cromosomi 5, 7, 11, 12, 13 e 20. Viene naturale dedurre che, la patogenesi delle mielodisplasie traggono origine dalla perdita di funzione dei geni critici modificati[6].
Chiaramente nelle regioni delete di tali cromosomi potrebbero essere localizzati geni oncosoppressori, magari ancora da identificare, o geni comunque responsabili dell'equilibrio tra proliferazione e maturazione dei precursori midollari, la cui assenza determina dunque l'emopoiesi displastica. Alterazioni epigenetiche intervengono poi nel determinare soprattutto la progressione di malattia. Tra queste, le alterazioni più frequenti e meglio caratterizzate sono le ipermetilazioni delle isole CpG, situate in zone del DNA dove si trovano i promoter di geni critici. Le ipermetilazioni possono provocare il silenziamento di questi geni critici e di conseguenza la mancata produzione della corrispondente proteina.
Dal punto di vista della patogenesi ab extrinseco, invece, sembrerebbe che le cellule dello stroma midollare siano direttamente coinvolte nell'insorgenza delle MDS, dato che in alcuni casi, fattori di crescita solubili, sono prodotti in minore quantità[7]. Anche questo dato, tuttavia, è tutt'altro che sicuro e omogeneo. Il difetto di produzione di citochine non è costante, visto che esistono lavori che indicano una normale presenza di citochine nel siero dei pazienti affetti da vai sottotipi di MDS; fenomeno peraltro ben noto per ciò che riguarda i livelli di produzione endogena di EPO in corso di mielodisplasia[8]. Gli aspetti fisiopatologici, genetico, epigenetico e “ambientale” portano alle modificazioni della cellula staminale così divenuta displastica, modificazioni
responsabili delle alterazioni funzionali del processo emopoietico di seguito descritte.
Ogni testo, libro o articolo scientifico che sia, che tratti di mielodisplasia, inizia con una frase standard: “le sindromi mielodispastiche sono un gruppo di patologie clonali dell'emopoiesi caratterizzate da emopoiesi inefficace e pancitopenia periferica”. Ma quanto siamo sicuri di questa formula? In particolare, quanto siamo certi della clonalità delle sindromi mielodispastiche? La clonalità delle mielodisplasie, infatti, le identifica senza dubbio come neoplasie. Le frequente anomalie cromosomiche, non casuali, sottolineano la caratteristica clonale delle cellule di origine mielodispalatica, che sono verosimilmente cellule staminali pluripotenti[9,10]. Questa origine sembrerebbe evidente dal rilievo che in alcuni pazienti con MDS si sono poi sviluppate leucemie acute bifenotipiche o addirittura linfoblastiche[11]. Benché a questo proposito esistano lavori con risultati contrastanti, sembrerebbe tuttavia che la cellula staminale mielodispastica possa dare origine a progenitore eritroidi, megacariocitari, mielomonocitari, ma non linfoidi, come dimostrato con studi di polimorfismo[12]. Ciò nondimeno, esistono anche dati ottenuti con tecnica FISH (Fluorescence In Situ Hybridation) che invece indicano un coinvolgimento clonale prevalentemente di linfociti B[13], ma non T. Questi ultimi linfociti potrebbero essere fondamentali per la stabilizzazione delle emopoiesi mielodisplastica. Indubbiamente si è messo in evidenza un alterato e ridotto funzionamento delle cellule NK in corso di mielodisplasia[14,15].
Il livello di staminalità, ovvero il numero di linee emopoietiche coinvolte nella displasia, potrebbe essere variabile da caso a caso di mielodisplasia, come riflesso anche della eterogeneità clinica, caratteristica di queste patologie. Tutte le alterazioni molecolari possono, infatti, intervenire in diversi stadi
maturativi del progenitore emopoietico e dunque, dar luogo a diverse forme cliniche e biologiche di sindromi mielodisplastiche[16].
Il classico approccio allo studio delle emopoiesi in corso di MDS è con il metodo della cultura in vitro, mentre il terreno semi-solido è molto efficace nell’indicare un'alterata formazione di colonie[17,18].
Questa difettiva crescita clonogenica è caratterizzata anche dalla scarsa maturazione dei progenitori ivi contenuti. Nelle mielodisplasie ad alto rischio, la trasformazione in franca leucemia acuta e accompagnata dall'acquisizione progressiva di queste alterazioni clonogeniche, con diminuzione del numero di progenitori normali (CFU-GM, CFU-GEMM, CFU-E)[19].
Nonostante tutto, non si è identificato una crescita clonogenica tipica delle MDS, tanto meno una caratteristica che si correli a determinati sottogruppi di rischio FAB (French American,British) o IPSS (International Prognostic Score
System). Fa eccezione in questo senso la leucemia mielomonocitica cronica
(LMMC) che ha caratteristiche proliferative piuttosto marcate, con l’incremento della formazione di colonie miste spontanee, caratteristica in realtà tipica delle forme mieloproliferative[20].
I progenitori purificati CD34 positivi delle MDS danno comunque origine a un numero normale di “blast cell colonies”, ovvero di colonie di cellule immature. Esiste tuttavia una differenza qualitativa tra CFU-blast normali e mielodisplastiche, messa in evidenza dall’efficienza di “ri-piastratura”: nelle colture secondarie da MDS avviene una significativa riduzione di colonie eritroidi e di colonie miste, a indicare che è proprio la cellula CFU-blast all'origine della displasia, con incapacità di rispondere appropriatamente agli stimoli dei fattori di crescita[21].
La crescita difettiva in vitro dei progenitori mielodisplastici può essere comunque in parte normalizzata dall'aggiunta al terreno di coltura di fattori di crescita ad alta concentrazione: EPO e SCF per le colonie eritroidi[22],
GM-CSF e G-GM-CSF per le colonie mieloidi[23,24]. Non sembra che i progenitori emopoietici in corso di MDS abbiano un numero di recettori per i fattori di crescita inferiore a quello dei progenitori normali, né che siano particolarmente frequenti alterazioni strutturali di questi recettori[25]. Sono stati documentati rari casi di mutazione delle recettore del G-CSF (G-CSF-R), analogo a quello osservato nelle neutropenie congenite, con un risultante difetto maturativo, ma non proliferativo[26-28]. Analogamente, è stata dimostrata la presenza del recettore di EPO troncato[29]. Si tratta tuttavia di un'incidenza talmente limitata da non poter estrapolare un meccanismo generale di emopoiesi inefficace.
Se stimolate con IL-3, GM-CSF e G-CSF, le colonie ottenute da cellule MDS dimostrano maturazione difettiva e il numero di GM, BFU-E e CFU-GEMM risulta ridotto rispetto a quello riscontrato nei midolli normali[23,24,30]. In questo modo, dal punto di vista proliferativo funzionale, la mielodisplasia tende ad avvicinarsi alla “refrattarietà” di risposta ai fattori di crescita, caratteristica delle leucemie mieloidi acute. Vi sono dati che sembrerebbero indicare una quasi normalizzazione nella capacità di formare colonie dopo stimolazione con quantità sovra-saturanti di fattori di crescita, ma a questi si affiancano le evidenze ottenute su progenitori emopoietici di MDS purificati isolati in coltura. In queste condizioni, anche concentrazioni molto elevati di fattori di crescita non riescono a indurre un normale numero di colonie. Si tratta dunque verosimilmente di un effetto dovuto a cellule accessorie[23,31]. Fibroblasti e macrofagi di pazienti con MDS possono avere un’aumentata produzione di TNF-𝛂 e IL-6, diminuita produzione di GM-CSF e andare incontro molto frequentemente ad apoptosi. Ciò indica che la displasia si presenta anche a carico dello stesso microambiente midollare[32,33].
Si è anche dimostrato che i macrofagi contenenti lipidi derivanti da monociti (MDLM) possono sopprimere la granulocitopoiesi in pazienti con MDS[34].
Il terreno condizionato da MDLM mielodisplastici, inoltre, inibisce la formazione di CFU-GM sia nei midolli normali che in quelli mielodisplastici. L'emopoiesi inefficace, tipica della mielodisplasia, origina dall'incapacità dei progenitori clonali di rispondere alle normali concentrazioni di fattori di crescita, ma anche da un difetto di produzione di questi fattori di crescita da parte delle cellule del micro-ambiente o addirittura dalla loro abilità nel produrre sostanze inibenti.
In corso di MDS, a livello della cellula staminale pluripotente o già commissionata, hanno luogo alterazioni molecolari dei recettori per fattori di crescita, ma soprattutto dei regolatori del ciclo cellulare, fattori di trascrizione e di messaggeri trasduzionali, come le molecole della segnalazione RAS, che sono alla base dell'emopoiesi inefficace multilineare. Una dimostrazione di ciò è la stimolazione con EPO dei progenitori mielodispastici che non è efficace nell'attivare STAT5 (trasduttore), ma nelle stesse cellule quest’ultimo viene fosforilato dal legame tra IL-3 e il suo recettore specifico. È da sottolineare il fatto che la insufficiente risposta di EPO in termini di formazione di colonie eritroidi viene normalizzata dall'aggiunta di SCF nelle culture di progenitori emopoietici provenienti da pazienti con MDS a basso rischio, ma non da pazienti con MDS ad alto rischio, in cui evidentemente si aggiungono ulteriori alterazioni. Inoltre sono presenti evidenze di un'attivazione anomala delle p38 MAPchinasi[35].
Un concetto molto importante delle MDS, presenti anche in altre neoplasie, ma qui più evidenti del punto di vista biologico, è che alla primitiva alterazione della cellula staminale che conferisce risposta alterata alle citochine, si sovrappongono eventi che alterano la biologia di progenitori emopoietici a diversi livelli di maturazione emopoietica. Dunque, la malattia da diseritropoiesi può in realtà essere profondamente dissimile dalle RAEB
(Refractory Anemia with Excess of Blast) in termini di quantità e qualità delle alterazioni molecolari.
Un'ipotesi per spiegare l'insorgenza dell'emopoiesi inefficace è che i progenitori mielodispastici con difetti di trasduzione del segnale costituiscono cellule riconosciute come difettose, refrattarie alla maturazione appropriata e pertanto eliminate per apoptosi[36]. È un dato di fatto che esista l'attivazione di Fas e Fas-L, Caspasi 9 e rilascio di citocromo C dal mitocondrio in molti progenitori mielodisplastici[37,38].
Nell'iniziale trasformazione della cellula staminale mielodisplastica sembra che abbiano un ruolo fondamentale alterazione carico di vari fattori di trascrizione e proteine nucleari come: AML1, C/EBPalfa, TEL(ETV6), MLL ed EVI-1. Dal momento che la funzione di queste molecole è quella di regolare l'espressione di geni linea-specifici essenziali per la differenziazione delle cellule emopoietiche, è facilmente intuibile come una loro alterazione induca blocco uno sbilanciamento della maturazione emopoietica che si estrinseca in emopoiesi inefficace mielodisplastica[38,39].
Le alterazioni di MLL portano a una mancata regolazione dei geni HOX e in particolare HOXA7, HOXA9, HOXA10 i quali sembrano avere un ruolo fondamentale, benché ancora da definire molecolarmente nella patogenesi delle MDS.
Si possono, inoltre, verificare modificazioni a carico di recettori tirosin-chinasici come FLT3, FMS e KIT e delle loro molecole a valle, come RAS e NF1[40].
Il complesso meccanismo di regolazione del ciclo cellulare è frequentemente alterato nelle MDS ad alto rischio e comunque nelle fasi di progressione della mielodisplasia.
In particolare, frequentemente le chinasi p15INk4B non è espressa a causa dell'ipermetilazione del promoter del suo gene, mentre p53 sembrerebbe meno coinvolta nella patogenesi delle MDS[2].
2. EZIOLOGIA ED EPIDEMIOLOGIA
La definizione di sindromi mielodisplastiche, pur contenendo elementi ben caratterizzanti, sottolinea le tante incertezze esistenti in termini di conoscenze biologiche e di classificazione delle MDS.Il termine sindrome più il concetto di “gruppo eterogeneo” evidenziano che non si tratta di una malattia unica. Con l'eccezione della sindrome 5q- è difficile individuare all'interno di questa galassia un’entità ben definita che caratterizzi per ognuna le eziopatogenesi, le alterazioni molecolari e il comportamento clinico. E’ comunque ragionevole mantenere accorpata una serie di situazioni che, pur con presentazione ed evoluzioni dissimili, hanno molti elementi in comune. Il comune denominatore è costituito dall'elevato livello di apoptosi intra-midollare, dalla conseguente emopoiesi inefficace, dalla displasia cellulare e strutturale midollare, dalla caratteristica clonale e infine dalla tendenza alla trasformazione leucemica.
È difficile discutere di eziologia ed epidemiologia di entità differenti sotto il profilo biologico è clinico, ma l'analisi dei fattori di rischio e dei dati epidemiologici, incluso il legame tra, incremento di incidenza ed età avanzata, sono ulteriori elementi che giustificano l'aggregazione di queste emopatie in un unico gruppo.
L’interpretazione dell'oncogenesi come un processo multi-step in cui alcune lesioni genetiche critiche si accumulino fino a produrre la neoplasia conclamata si adatta perfettamente alle mielodisplasie.
In passato si è parlato di pre-leucemie. L'emopoiesi mielodispastica nasce da un danno genetico iniziale, spontaneo o indotto da cause iatrogene o ambientali, che induce modifiche dell'attività proliferativa, aumento dell'apoptosi e rende il clone mielodispastico suscettibile a successive mutazioni. L'evento di nuove mutazioni genetiche spiega poi la progressione
a fasi più avanzate della malattia fino alla sua eventuale trasformazione in leucemia acuta[41,42].
Non esistono purtroppo mutazioni cariotipiche o molecolari che caratterizzino i vari sottotipi di mielodisplasia e/o individuino le varie fasi evolutive. Anche se sono descritte numerose alterazioni cromosomiche, quali ad esempio la perdita di materiale genetico a carico dei cromosomi 5, 7, 8, 13, 20, solo la delezione interstiziale del cromosoma 5 posizionata tra la banda 5q13 e la banda 5q33 caratterizzano una situazione associata a un quadro biologico e clinico ben preciso (sindrome del 5q-). Inoltre, in circa la metà dei casi non è possibile evidenziare all'esordio alterazioni cariotipiche o molecolari. Recenti studi con microarray dimostrano, però, profili di espressione genica differenti nei confronti sia dei midolli normali sia delle leucemie acute, oltre che all'interno delle stesse mielodisplasie tra le varie forme e/o fasi di progressione. Sono inoltre evidenti diversi profili mutazionali tra le leucemie a c u t e d e n o v o e l e t r a s f o r m a z i o n i l e u c e m i c h e d a s i n d r o m e mielodispastiche[43].
La classificazione WHO (World Health Organization) ha introdotto il concetto di leucemie e mielodisplasie secondarie[44]. Il termine si riferisce ha una precedente esposizione a terapia radiante o citostatica per precedenti neoplasie, ma è anche applicato alle leucemie acute successive a un precedente disordine mieloproliferativo in modo indipendente dalla terapia effettuata. La validità di una distinzione basata su criteri solo anamnestici è discutibile. Anche se le forme secondarie a terapie antitumorali presentano in genere una prognosi peggiore, non vi sono motivi biologici per cui debbano essere considerate differenti dalle forme favorite da altre cause ambientali assai simili ai citostatici nel meccanismo di azione e nel tipo di mutazioni indotte. È presumibile che tutte le mielodisplasie siano da considerare in qualche modo secondarie anche se non a farmaci. Ciò che maggiormente
condiziona la loro evoluzione probabilmente, non è tanto la storia di una pregressa esposizione a farmaci o tossici ambientali, quanto i tipi di alterazioni molecolari che da questa esposizione sono derivati e hanno innescato il processo di emopoiesi mielodispastica[42].
Il modello eziopatogenetico più comune considera l'esistenza sia di un'alterazione tra esposizione a fattori di rischio farmacologici o ambientali sia predisposizione genetica. Vi sono infatti evidenze sul ruolo svolto non solo da cancerogeni esterni, ma anche da predisposizione genetica basata sul polimorfismo dei geni che controllano il DNA repair e la stabilità cromosomica. Gli individui possono inoltre differire sia nella struttura, che nell'attività di proteine enzimatiche coinvolte nel processo di de-tossificazione. Queste differenze genetiche indotte possono spiegare una differente sensibilità individuale agli agenti mutageni[45,46]. E’ ormai evidente che vi sia un'interazione tra fattori di rischio noti come il benzene e le variazioni fenotipiche del metabolismo e del DNA repair[47].
Nel processo multi-step, che conduce alla successiva evoluzione leucemica delle mielodisplasie, sono inoltre da considerare i meccanismi che, indotti a loro volta da predisposizioni genetiche o da interazioni con altri fattori esogeni, favoriscono la proliferazione del clone mielodisplastico. Tra questi vi sono le mielo-depressioni immunomediate, la secrezione di citochine proapoptotiche e i fenomeni di neoangiogenesi. Tutte queste considerazioni mostrano la complessità della ricerca di agenti eziologici definiti.
2.1 Agenti eziologici
2.1.1 Predisposizione genetica
I casi familiari di sindrome mielodispastica sono un'esigua minoranza. Nell'anemia di Fanconi e nella sindrome di Bloom sono interessati geni del DNA repair, mentre nella neurofibromatosi è implicata l'attivazione di Ras mediata dalla delezione del gene oncosoppressore NF-1. Meno noto è il meccanismo che facilita l'insorgenza di mielodisplasie e leucemie acute nella sindrome di Down. Gli studi con microarray suggeriscono però, anche per le forme di mielodisplasia non ereditaria, l’esistenza di fattori genetici predisponenti, legati a polimorfismi difettivi del DNA repair o della enzimi di detossificazione con conseguente esaltata sensibilità hai fattori di rischio esogeni[45-47].
2.1.2 Anemia aplastica ed emoglobinuria parossistica notturna
Anemia aplastica ed l’emoglobinuria parossistica notturna possono entrambi evolvere in sindrome mielodisplastica. Questa evoluzione è nota da tempo[48], con percentuali vicine al 5% per l’aplasia e al 30% quello dell'emoglobinuria parossistica notturna.
L'evoluzione mielodispastica dell'aplasia potrebbe essere facilitata dalla terapia immunosoppressiva con siero antilinfocitario e ciclosporina. Esistono comunque elementi patogenetici e clinici comuni tra aplasie e forme ipoplastiche di mielodisplasia, tra cui la risposta di entrambe le patologie alla terapia immunosoppressiva. È difficile dire quanto nell'evoluzione clonale delle aplasie giochi l’immunosoppressione e quanto un’instabilità genomica e/ o un'alterazione genetica preesistenti[49].
Nel caso della emoglobinuria l'alterazione clonale è presente fin dall'esordio e i suoi rapporti sia con l’aplasia si con le mielodisplasie sottolineano numerosi punti di sovrapposizione delle due patologie.
Alcuni autori hanno anche ipotizzato che l’uso di fattori di crescita granulocitari (G-CSF) abbia un ruolo di stimolo e selezione di cloni alterati preesistenti[50].
Il problema delle relazioni esistenti tra patologie aplastiche e mielodispalstiche è tuttora aperto, ma una migliore conoscenza dei meccanismi di evoluzione clonale delle aplasie potrà aiutare a chiarire i meccanismi di insorgenza e sviluppo dei cloni mielodisplastici.
2.1.3 Radiazioni ionizzanti
La conoscenza del ruolo leucemogeno delle radiazioni ionizzanti si basa sugli studi dei sopravvissuti alle esplosioni nucleari[51] e sull'aumento di leucemie nei pazienti irradiati per spondilite anchilosante[52]. La relazione tra esposizione alle radiazioni insorgenza di mielodisplasia è confermata anche da lavori più recenti[53-55].
Rispetto al passato, grazie alle più moderne norme protezionistiche, il rischio attribuito a professioni come radiologi e tecnici di radiologia è oggi ridotto al minimo[56]. Le esposizioni a dosi basse e ripetute sono più rischiose rispetto a dosi elevate e concentrate nel tempo, come quelle usate nella radioterapia anti-neoplastica[57,58]. Le mielodisplasie radio-indotte sono in genere forme con eccesso di blasti, ad alto rischio di trasformazione leucemica e sono molto simili per aspetti clinici e citogenetici a quelle indotte da agenti alchilanti. Queste similitudini suggeriscono aspetti comuni tra i due fattori di rischio eziologici nel meccanismo di induzione del danno sul DNA delle cellule staminali, associato probabilmente in entrambi i casi a una suscettibilità genetica legata a difetti del DNA repair.
2.1.4 Forme secondarie ai chemioterapici
L'aumento dei lungo sopravviventi a neoplasie trattate con chemioterapia ha fatto emergere il problema delle complicanze tardive dovute a quest’ultime, tra cui i tumori secondari[59]. Le prime e più importanti segnalazioni di mielodisplasia e leucemie secondarie a chemioterapia, riguardano i pazienti trattati per linfoma di Hodgkin. La differente incidenza di leucemie secondarie tra pazienti trattati con MOPP e quelli trattati con ABVD sottolinea il ruolo leucemogeno delle terapie con alchilanti[60]. Le leucemie secondarie sono abitualmente precedute da una fase mielodisplastica con eccesso di blasti, mentre le forme secondarie ad alchilanti sono sovente caratterizzate da:
• ipocellularità,
• aumentata fibrosi midollare,
• lunga latenza (5-7 anni) tra esposizione ai citostatici e insorgenza della leucemia,
• alterazioni dei cromosomi 5 e 7 • prognosi sfavorevole[61,62].
Quelle secondarie ad inibitori della topoisomerasi 2 in genere insorgono senza la fase della displasia iniziale, hanno latenza breve (1-3 anni), coinvolgono il gene MLL sul locus q23 del cromosoma 11 e possono rispondere meglio alla terapia. Esistono dubbi sul ruolo leucemogeno delle antracicline, almeno alle dosi utilizzate nel carcinoma della mammella[63] e nei linfomi[64], mentre è assodato l'effetto leucemogeno dell'etoposide alle dosi usate nei linfomi testicolari. Recenti lavori sottolineano il rischio delle terapie ad alte dosi seguite da trapianto di cellule staminali autologhe[65,66], pur essendo difficile in questi casi distinguere il ruolo svolto dalle alte dosi di citostatici, dalla total body irradiation e soprattutto dalle terapie effettuate prima del trapianto[67].
In base alle conoscenze sugli effetti leucemogeni di alcuni citostatici è utile una particolare cautela nella scelta degli schemi terapeutici da utilizzare nei pazienti affetti da neoplasie potenzialmente curabili.
2.1.5 Benzene e altri carcinogeni occupazionali e ambientali
Il ruolo eziopatogenetico di benzene derivati nell'insorgenza delle mielodisplasie è noto da decenni ed è confermata da recenti lavori epidemiologici anche per esposizione di entità lieve e prolungate[68-70].
Le leucemie secondarie a benzene sono abitualmente precedute da una fase mielodisplastica analoga a quelle secondarie date da alchilanti[68].
Anche nel caso del benzene, oltre alla durata dell'esposizione, sembra svolgere un ruolo importante la predisposizione genetica legata a polimorfismi del DNA repair o degli enzimi di detossificazione[47] Molti studi hanno suggerito l'associazione tra insorgenza di mielodisplasia e alcune esposizioni lavorative o ambientali[53,71-78] Tuttavia, in nessun caso la relazione è così netta come per il benzene, radiazioni ionizzanti o le terapie con alchilanti e non sempre vi è accordo nell'individuazione dei differenti fattori di rischio. I modesti livelli di significatività e le contraddizioni tra gli autori sono riconducibili al fatto che le dimensioni degli studi caso-controllo in questione sono ridotte, vi possono essere bias nella selezione dei controlli ed è difficile inserire dati anamnestici lavorativi al tipo e all'entità di esposizione. Alcuni lavori poi separano i dati delle mielodisplasie da quelli delle leucemie acute all'esordio. Interessanti sono sicuramente le osservazioni di relazioni esistenti tra esposizioni a certi agenti, come solventi e pesticidi, e alcune alterazioni cariotipiche che accomunano queste forme alle leucemie secondarie ad alchilanti[76].
2.2 Epidemiologia
Le conoscenze epidemiologiche sulle sindromi mielodisplastiche a cominciare dall'incidenza sono imprecise. Incertezze contraddizioni tra caratteristiche pubblicate sono riconducibili alla difficoltà di estrarre dati di incidenza sicuri dagli strumenti epidemiologici quali le schede di dimissione ospedaliera e i referti istologici. Questa difficoltà è riconducibile alle seguenti motivazioni:
• Le classificazioni ICD-9 delle schede di dimissione non è chiara nella definizione delle mielodisplasie molti casi possono essere catalogati sotto altre voci
• In molti pazienti anziani l’anemia è di grado moderato e alla diagnosi non si sospettata MDS; oppure il sospetto diagnostico non è approfondito dunque molte mielodispalsie rimangono sotto-diagnosticate
• Per i pazienti diagnosticati in ambulatorio non vi è traccia di schede di dimissione ospedaliera da cui ricavare dati epidemiologici
• In molti casi può mancare la biopsia osteomidollare e non esiste traccia di referti istologici
• Negli anziani il problema mielodisplasia è sovente meno rilevante di altre comorbilità che sono quindi le uniche a comparire nelle schede di dimissione ospedaliera.
E’ facile che la differente incidenza tra regione e regione, con oscillazioni tra circa 3 e 12 casi per 100000 abitanti/anno, rifletta non tanto differenze di rischio tra le varie aree geografiche, quanto differenze di sensibilità diagnostica di raccolta dati da parte del gruppo che pubblica lo studio, oltre al discrepanze di età media delle popolazioni di riferimento. Tutti gli studi sono però concordi nell'evidenziare un incremento di incidenza correlato all'aumento età. Ne deriva che il problema mielodisplasia è di interesse tipicamente geriatrico[79-84].
Questo dato è confermato dal primo vero studio di popolazione condotto dal
Surveillance Epidemiology and End Results (SEER) americano basato sui
reperti istologici[85].
Accanto alle differenze di incidenza spiccano anche le divergenze di distribuzione sia delle categorie diagnostiche sia di quelle prognostiche. Queste discrepanze possono essere dovute a bias selettivi, ma non si può escludere una ragione geografica legata all’esposizione a particolari fattori di rischio ambientale e/o predisposizione genetica, come suggerito dalle differenze di età, presentazione e prognosi delle forme presenti nei Paesi asiatici rispetto a quelli dei Paesi occidentali[86-89].
Un interessante rigoroso lavoro su casi a basso rischio e senza blastosi dimostra che casi giapponesi hanno una prognosi decisamente migliore rispetto quelli tedeschi. Anche due lavori relativi a casistiche cinesi riportano, rispetto alle casistiche occidentali, un età inferiore, un’elevata associazione con il virus dell'epatite B, una scarsa presenza di forme con sideroblasti ad anello, un'elevata percentuale di displasia multilineare e differenti distribuzioni di anomalie cariotipiche.
È difficile capire se l'apparente incremento dell'incidenza suggerito da alcuni autori sia reale. In tal caso la variazione epidemiologica sarebbe legata: a condizioni ambientali, all’invecchiamento della popolazione, alla maggiore conoscenza del problema e sopratutto all'affinamento delle capacità diagnostiche.
La storia naturale delle mielodisplasie, oltre a dipendere dal tipo di mielodisplasia diagnosticato e dai fattori prognostici che la caratterizzano, è condizionata dall'età avanzata di questi pazienti e dall'eventuale comorbilità. Gli studi epidemiologici dimostrano una certa dissociazione tra mortalità e trasformazione leucemica ed è evidente che alcuni pazienti muoiono per altre cause. Sono tuttavia carenti studi sulle cause di morte ed è difficile valutare
quanti decessi “non leucemici” avvengono per ragioni legate alla sola età avanzata e alle comorbilità e quanti siano comunque almeno parzialmente correlati alla mielodisplasia[2].
3. IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Il percorso diagnostico si basa su sette tipologie di analisi di laboratorio.• L’esame obbiettivo • La diagnostica morfologica • L'esame citometrico • La citogenetica • La biopsia osteomidollare • La biologia molcolare
(L’esame obbiettivo non verrà trattato perché esula dallo scopo di questa tesi).
3.1 La diagnostica morfologica
L’analisi citologica deve primariamente prevedere un esame microscopico condotto su striscio di sangue periferico e aspirati midollari colorati con metodica May Grunwald Giemsa. Il fine è di rilevare la presenza di anomalie morfologiche che possano indurre a considerare una diagnosi di sindrome mielodisplastica. Bisogna sottolineare che non esiste un'assoluta descrizione degli aspetti displastici tale da consentire una perfetta riproducibilità nella valutazione di displasie midollari. In aggiunta allo striscio di sangue periferico del midollo osseo è opportuno che, la diagnostica morfologica si avvalga di una biopsia osteomidollare la quale valuti anche la cellularità e la topografia degli elementi emopoietici oltre che l'eventuale ispessimento della trama reticolare del midollo osseo (colorazione Gomori). In genere, il midollo osseo nelle sindromi mielodisplastiche è ipercellulare. Tuttavia, esistono mielodisplasie a midollo osseo ipoplastico rilevabile attraverso la biopsia
osteomidollare. Da ultimo, oltre alle colorazioni panottiche, la valutazione citologica del midollo osseo deve prevedere anche la colorazione di Perls per evidenziare le cellule con depositi di ferro (sideroblasti).
La classificazione delle sindromi mielodisplastiche attualmente in uso è quella dell'organizzazione mondiale della sanità (WHO World Heath Organization). (tabella 1) Nome Linee displastiche Citopenie Sideroblasti ad anello come % degli elementi eritroidi del midollo Blasti BM e PB Citogenetica tramite analisi convenzionale cariotipica MDS con displasia lineare singola (MDS-SLD) 1 1 o 2 <15%/<5%✝ BM<5%, PB<1% no corpi da Auer Qualsiasi, almeno che non soddisfi tutti i criteri delle MDS con isolata del(5q) MDS con displasia multilineare (MDS-MLD) 2 o 3 1-3 <15%/<5%✝ BM<5%, PB<1% no corpi da Auer Qualsiasi almeno che non soddisfi tutti i criteri delle MDS con isolata del(5q) MDS con sideroblasti ad anello (MDS-RS) MDS-RS con singola linea displastica (MDS-RS-SLD) 1 1 o 2 >=15%/>=5%✝ BM<5%, PB<1% no corpi da Auer Qualsiasi almeno che non soddisfi tutti i criteri delle MDS con isolata del(5q) MDS-RS con displasia multilineare (MDS-RS-MLD) 2 o 3 1-3 >=15%/>=5%✝ BM<5%, PB<1% no corpi da Auer Qualsiasi almeno che non soddisfi tutti i criteri delle MDS con isolata del(5q) MDS con isolata del(5q) 1-3 1-2 Nessuno o qualsiasi BM<5%, PB<1% no corpi da Auer Del(5q) da solo o con una anomalia aggiuntiva ad eccezione della -7 o del(7q)
Fino a qualche tempo fa classificazione utilizzata era quella della FAB (French American British) la quale si basava esclusivamente sulla valutazione citologica. Nel 2008 la WHO ha formulato una nuova classificazione che ha il merito di avere scorporato alcune entità come la leucemia mielomonocitica cronica e ha definito meglio le anemie refrattarie con eccesso di blasti. Ciò ha
MDS con eccesso di blasti (MDS-EB) MDS-EB-1 0-3 1-3 Nessuno o qualsiasi BM 5%-9% o PB 2%-4%, no corpi di Aurer Qualsiasi, MDS-EB-2 0-3 1-3 Nessuno o qualsiasi BM10%-19% o PB 5%-19% o corpi di Auer Qualsiasi MDS inclassificabili (MDS-U)
con 1% di blasti 1-3 1-3 Nessuno o
qualsiasi BM<5%, PB=1%,ℨ no corpi di Auer Qualsiasi con singola linea displastica e pancitopenia 1 3 Nessuno o qualsiasi BM<5%, PB<1% no corpi da Auer Qualsiasi basate sulla definizione di aberrazioni citogenetiche 0 1-3 <15%§ BM<5%, PB<1% no corpi da Auer Aberazioni definenti le MDS Citopenia refrattaria giovanile 1-3 1-3 Nessuno BM>5%, PB<2% Qualsiasi Nome Linee displastiche Citopenie Sideroblasti ad anello come % degli elementi eritroidi del midollo Blasti BM e PB Citogenetica tramite analisi convenzionale cariotipica
Tabella 1. Rappresenta la classificazione aggiornata al 2016 delle MDS pubblicata dalla WHO[1].
Citopenia: Hb<10g/dl; PLT<100x109/L; Conta neutrofili<1.8x109/L.
Raramente le MDS presentano anemia lieve o trombocitopenia sopra tali livelli. Monociti del periferico devono essere<1x109/L
✝ Se SF3B1è una mutazione presente
portato alla classificazione di nuove entità diagnostiche come quelle delle sindromi mieloproliferative/mielodisplastiche e alla diversa valutazione del numero dei blasti per la formulazione di leucemia acuta mieloide.
Nel 2016 è stata redatta una nuova classificazione da parte della WHO, la quale ha eliminato la dicitura di anemie refrattarie semplificando la classificazione. rendendola più snella e intuitiva.
Alla base delle classificazioni 2008 e 2016 ci sono comunque due principali parametri:
A) Presenza dei blasti
B) Tipo e grado di displasia[90]
3.1.1 Presenza dei blasti
Per la valutazione della percentuale dei blasti nel midollo osseo in genere è opportuno contare almeno 500 cellule e in presenza di una cospicua componente eritroide, almeno 100 elementi non eritroidi.
I principali criteri morfologici per la definizione delle cellule blastiche nelle sindromi mielodisplasiche si basano sull'evidente basofilia citoplasmatica, sulla posizione del nucleo e sulla struttura della cromatina nucleare. I blasti, infatti, hanno quasi sempre il nucleo centrale e la cromatina fine con uno o
due nucleoli; mentre il promielocito ha nucleo periferico con cromatina più grossolana e solo un nucleolo per lo più periferico.
Soprattutto, è opportuno distinguere i blasti in agranulari e granulari. Il blasto granulare va distinto dal promielocito non solo per la numerosità dei granuli citoplasmatici di quest'ultimo, ma particolarmente per la presenza della zona di Golgi quasi sempre visibile nel promielocito e assente nei blasti. Anche se la suddivisione del tipo di blasti è in continua ridefinizione, la presenza dei granuli sarebbe correlata a una più spiccata maturazione del blasto. Quest’ultimo dato è un reperto con possibili implicazioni di ordine pronostico, ad esempio le anemie refrattarie con eccesso di blasti agranulati sarebbero correlate ad una cattiva prognosi.
3.1.2 Tipo e grado di displasia cellulare
Si ritiene che una percentuale minima del 10% di cellule displastiche, osservabili negli strisce di sangue periferico e/o nel midollo osseo in uno o più linee emopoietiche, sia necessaria per la diagnosi di MDS. Tale limite percentuale potrebbe essere giustificato dal fatto che, negli strisci di aspirati midollari di soggetti il cui midollo osseo è considerato normale, saltuariamente è possibile riconoscere una bassissima percentuale di alterazioni a carico del nucleo in particolare nella serie eritroide (es. binuclearità, lobulazioni nucleari) o del citoplasma (es. ponti citoplasmatici, punteggiatura basofila, vacuoli)[91].
3.1.2.1 Serie eritroide
A B
Tra le principali alterazioni cellulari dovute alla mielodisplasia vi sono le alterazioni megaloblastiche, ovvero gli eritroblasti sono più grandi di 1,5 volte dei corrispettivi normali e si presentano grossolane condensazioni della cromatina nucleare con un incremento del rapporto nucleo/citoplasma[92].
Talvolta, prevalentemente negli eritroblasti ortocromatici, si apprezza una riduzione nel rapporto nucleo/citoplasma, con dimensioni delle cellule almeno doppie rispetto a quelle della controparte normale. Si riscontrano frequentemente eritroblasti con nuclei multilobulati, oppure con forme bizzarre, così come la multinuclearità può presentarsi nella stessa cellula con nuclei di stessa dimensione o differente. Di estrema rilevanza sono: i ponti inter-nucleari e i frammenti nucleari di dimensioni variabili e sparsi nel citoplasma. Nel citoplasma sono presenti anche punteggiature basofile (incompleta emoglobinizzazione citoplasmatica), le quali sono il segno di una displasia eritroide. Molto importante è la valutazione dei sideroblasti, ovvero eritroblasti con precipitati di molecole di ferro nel citoplasma i quali sono identificabili tramite reazione di Perls. I sideroblasti vengono definiti in base al
Figura 3A. Displasia eritroide. Asincronia citoplasmatica -nucleare MDS-RS[326]
numero dei granuli siderotici e alla loro locazione, si distinguono sideroblasti di tipo 1 quando possiedono meno di 5 granuli siderotici, di tipo 2 quando sono in numero uguale o superiore a 5, mentre sono definiti sideroblasti ad anello quando sono maggiori di 5 e perinucleari. Trovare alcuni sideroblasti nel midollo osseo è del tutto normale, ma se si riscontra una percentuale di sideroblasti maggiori del 15% si identifica la forma mielodisplastica con sideroblati ad anello (ultima classificazione WHO 2016)
3.1.2.2 Serie mieloide
Disgranulopoiesi: frequenti anomalie dei granulociti neutrofili
Pseudo-anomalia di Pelger-Huet
Citoplasma ipogranulare
Corpi di Dhole
“Sticks" nucleari
Anomalie della positività perossidasica
“Clumping” cromatinico
Vacuoli citoplasmatici
Ipersegmentazione nucleare
Tabella 2. Principali anomalie nella disgranulopoiesi[2]
Le anomalie della serie granulocitopoietica, colpiscono prevalentemente i nuclei, i quali sono caratterizzati da alterazioni della lobulazione, dalla segmentazione e talvolta dalla struttura stessa del nucleo (clumping cromatinico).
Un marcatore di displasia granulocitaria è rappresentato dalla completa assenza di granuli neutrofili e azzurrofili nel citoplasma di granulociti maturi (ialinosi citoplasmatica granulocitaria). L’ipogranularità e/o agranularità è rilevabile dalla colorazione “pallida” che assume il citoplasma dei granulociti neutrofili alle colorazioni panottiche e in particolare dalla ridotta positività per la reazione perossidasica. Un reperto di indiscussa displasia granulocitaria è costituito dal rilievo di granulociti maturi con pseudo anomalie di Pelger. Si tratta di granulociti con nucleo rotondo o ovoidale di tipo monolobato, posto centralmente alla cellula, oppure di granulociti bilobati con due nuclei perlopiù rotondi connessi da un sottile ponte cromatinico. Vanno inoltre segnalate le asincronie nucleo-citoplasmatiche, frequentemente rappresentate da residui di citoplasma basofilo nei metamielociti e nei granulociti neutrofili[92].
Nella tabella 2 sono elencate le principali anomalie nella disgranulopoiesi.
3.1.2.3 Serie megacariocitaria
Figura 5 Megacariocito displastico bilobato. Tipica caratteristica morfologica di un inefficace piastrinopoiesi. (MDS-SLD)[329]
Nel sangue periferico, il reperto più frequente è quello di piastrine con diametro superiore alla norma e spesso agranulari. Nel midollo osseo assume particolare rilievo la presenza di micromegacariociti. Si tratta di un megacariocito mononucleato di piccole dimensioni, compatibile con quella di un promielocito. Peraltro, non è definito un range di diametri per definire un micromegacariocito. Tuttavia, la struttura del micromegacariocito e la sua individuazione sono abbastanza agevoli.
Altro elemento di displasia megacariocitaria è rappresentato da piccoli megacariociti binucleati. Le dimensioni sono quelle del micromegacariocito e i nuclei devono essere separati e ben apprezzabili. Il nucleo unico non lobato in un megacaricito, anche di normali dimensioni, costituisce una caratteristica morfologica prevalente nella sindrome del 5q- (un tipo di sindrome mielodisplastica). Da ultimo, sempre nella serie megacariocitaria, un importante elemento di displasia è rappresentato da megacariociti di dimensioni perlopiù normali o talvolta ridotte con multinuclearità. La caratteristica di tali megacariociti è di mostrare più nuclei rotondi chiaramente separati in un citoplasma maturo granulare.
Purtroppo la mancanza di una esatta definizione di displasia rende problematica la riproducibilità di tale dato. Il limite del 10% di cellule displastiche attualmente in uso per definire displastica una linea emopoietica è sicuramente arbitrario[92].
Si è riportato in letteratura un grading della displasia, così espresso in base alla percentuale di cellule displastiche
• Assenza di displasia: 0-2% di cellule anomale • Displasia lieve: 3-9% di cellule abnormi
• Displasia moderata: 10-29% di cellule abnormi
Una diversa valutazione delle cellule displastiche per ogni linea emopoietica potrebbe meglio contribuire a definire il grado di displasia di una stessa condizione mielodisplastica. Tuttavia, alcuni chiari reperti morfologici, indipendentemente dal numero di cellule percentualmente rappresentate, rivestono un peso determinante per la formulazione di una sindrome mielodisplastica[2,93].
Uno studio dello Spanish MDS Cooperative Group ha riportato un confronto del grado di verosimiglianza diagnostica tra quattro morfologi esperti su cinquanta pazienti con sindrome mielodisplastica. C’è stato un alto grado di concordanza nel riconoscere e quantificare i blasti del midollo osseo e il numero si sideroblasi ad anello. Una minor concordanza si è invece riscontrata nel riconoscimento dei blasti periferici. Di grande interesse è stato l’eccellente riconoscimento sulle linee granulocitarie e megacariocitarie, ma non sulla linea eritroide. Dunque l’obbiettivo da perseguire è una più stretta standardizzazione delle caratteristiche morfologiche dei granulociti displastici, come l’ipogrnulità, estroflessioni nucleari e il grado di cromatina condensata. Per il presente e il prossimo futuro la morfologia comunque rimarrà il gold standard della diagnosi delle MDS[94].
3.2 L’esame citometrico
L’importanza della citometria a flusso multiparametrica (MFC= Multiparameter
Flow Cytometry), come strumento aggiuntivo nel percorso diagnostco delle
sindromi mielodisplasiche, è aumentata considerevolmente. La citometria ha mostrato di essere capace di rilevare l’espressione di antigeni aberranti correlati alle MDS.
Numerosi studi pubblicati e molti laboratori specialistici si sono uniti per ricercare una standardizzazione al metodo citometrico, ma ancora non si è arrivati ad un punto fermo. Questo è l’unico difetto della citometria ad oggi.
Studi di confronto con l’esame “gold standard” per le sindromi mielodisplasiche, ovvero la morfologia su aspirato midollare, mostrano un altro grado di concordanza tra MFC e citomorfologia.
La diagnosi differenziale può essere difficoltosa se in presenza di disordini non clonali che presentino citopenia, dunque poche cellule atipiche da valutare, è un esame citogenetico normale; in questi casi la citometria aiuta il clinico ad orientarsi.
La citometria a flusso multiparamentica può essere utilizzata ampiamente per analizzare i precursori ematopoietici nei midolli ossei normali come in quelli di svariati disordini; dunque la MFC è una tecnica rapida e ad alta riproducibilità per: analizzare le linee cellulari, le anormali coespressioni di antigeni e le asincronie della maturazione. Fenotipi anormali di blasti come CD7/CD56/ CD117, coespressione di CD34/CD10 e CD34/CD11b sono descritte specialmente nelle MDS con eccesso di blasti (MDS-EB)[95-97].
Tramite la citometria si sono potute notare anche le espressioni asincrone di svariati antigeni durante la maturazione dei precursori granulocitari, monocitari ed eritroblastici.
Grande enfasi si è messa sull’analisi qualitativa della sequenza maturativa degli antigeni nella granulocitopioesi, specialmente nelle combinazioni CD16/ CD13 e CD16/CD11b. La progressione delle MDS è associata: ad un aumento dell’espressione di CD34 aberranti, a fenotipi blastoidi e all’aumento di aberrazioni fenotipiche[98,99].
Lo studio immunofenotipico oggi ha raggiunto grande sensibilità (10-4) tramite l’utilizzo di tre laser con tre lunghezze d’onda differenti (rosso, verde, blu) e all’utilizzo sempre più massiccio di fluorocromi differenti (circa 8). Tramite l’utilizzo di varie combinazioni di anticorpi monoclonali e la tecnica “lyse and
wash" si è in grado di identificare le diverse popolazioni sia nel sangue
granulociti maturi, i monociti maturi, gli eritroblasti e i linfociti. Tutte queste popolazioni cellulari si analizzano con il gating CD45/SSC[100].
Per lo studio delle MDS grande importanza va data all’analisi dei granulociti, monociti ed eritroblasti, che viene effettuata tramite i pannelli CD16/CD11b/ CD45 e CD16/CD13/CD45. Queste combinazioni di anticorpi monoclonali permette di distinguere le cinque fasi di differenziazione della popolazione granulocitaria: mieloblasti, promielociti, mielociti metamielociti/neutrofili immaturi (a banda) e neutrofili maturi. I monociti e granulociti possono anche essere analizzati tramite CD10/CD64/CD45.
3.2.1 Analisi granulocitaria
Figura 7[330]
Midollo mielodispalstico. Granulociti Il gate A identifica i granulociti nel CD45-SSC plot
Figura 6[330]
Midollo normale. Granulociti.
Nei pazienti con MDS è spesso presente un abbassamento del SSC che identifica un ipogranularità nei granulociti neutrofili. Si può riscontrare un anormale pattern del CD13 nella maturazione granulocitopoietica come una perdita al livello dei mieloblasti, oppure un iperespressione agli stadi di promielociti e mielociti.
L’espressione del CD11b si può riscontrare con un andamento decrescente durante la maturazione granulocitaria, principalmente nella fase dei mielociti.
3.2.2 Analisi Monocitaria
Figura 9[330]
Midollo displastico. Monociti.
Il gate A identifica i monociti nel plot CD45-SSC.
Il gate B mostra la ridotta espressione degli antigeni CD11b e CD13 Figura 8[330]
Midollo normale. Monociti Il gate A identifica il plot Cd45-SSC
Nelle MDS normalmente il numero di monociti è aumentato, ma questo lo si può riscontrare anche in disordini non clonali. L’immunofenotipo monocitario è simile a quello dei midolli ossei normali, eccetto che per la diminuzione di espressione del CD45.
Inoltre nelle MDS si riscontra decrescita di espressione del CD11b, del CD13; assai più rara è la diminuzione del CD64. Nonostante ciò non si può ancora discriminare un MDS solo da questi tre parametri.
3.2.3 Analisi eritroblasti
Di particolare interesse è l’espressione degli antigeni specifici per gli eritroblasti, CD71 e GlyA (Glicoforina A detta anche CD235a). La doppia positività di questi due antigeni si riscontra nei midolli ossei normali e in tutti i casi di disordini non clonali. In alcuni casi di MDS, invece, vi è una parziale perdita di CD71 o una deficienza di entrambi gli antigeni[101].
Negli ultimi quindici anni svariati studi hanno esaminato le caratteristiche fenotipiche dei precursori emopoietici nelle sindromi mielodispalstiche. Molti di questi sono retrospettivi e con i più diversi approcci che esaminano differenti caratteristiche e utilizzano combinazioni differenti di monoclonali. In tutti questi studi però, si mostra sempre l’incremento delle cellule CD34+ e l’asincronia o l’aberrante espressione antigenica dei vari precursori delle linee emopoietiche nel midollo osseo[96,99,100,102-104].
L’utilizzo sopra descritto dei monoclonali permette un soddisfacente approccio per la rilevazione dei fenotipi anormali nella serie eritroide e milelomonocitica, riscontrando almeno un anomalia in ogni caso di sindrome mielodisplastica. Vari studi hanno quantificato una percentuale di anormalità fenotipiche tra il 62 e il 78%[95,98,102,105,106]. Aberrazioni della linea mileomonocitica si riscontrano nel 77% dei casi, come le asincronie
maturative, la parziale o totale perdita di un antigene (molto comune l’aberrazione del CD13).
Aberrazione della linea eritroide si riscontrano nel 64% dei casi nei pazienti affetti da sindrome mielodisplastica. La combinazione CD71/GlyA è la più efficace nel riscontrare anomalie di questa linea; anche se non molto specifica, poiché modificazioni fenotipiche di questo tipo si riscontrano anche in patologie non clonali.
Tra i più importanti parametri di carattere generale non linea specifici nel distinguere una MDS da una patologia non clonale sono: un basso SSC dei blasti (cellule CD34+) e dei promielocitici. Questi dati possono essere un’ evidenza di un asincronia maturativa in molti precursori grunulocitari o un fallimento della granulazione da parte di queste stesse cellule.
L’ipogranulità nei granulociti è una caratteristica morfologica ben conosciuta nelle MDS, ma nella citometria a flusso la prima caratteristica che spicca è la diminuzione del SSC blastico e dei promielociti. La variazione nel fenotipo dei blasti, ma non nella granulazione, viene decritta con l’analisi della co-espressione del CD38, CD33 e HLA-DR[98,102].
Come descritto prima alcune caratteristiche trovate nei monociti possono aiutare a discriminare le sindromi mielodisplastiche con le patologie non clonali. Se in entrambi le tipologie patologiche si riscontra un aumento dei monociti in rapporto a midolli di pazienti normali, d’altra parte i monociti e i granulociti condividono un precursore comune e quindi si comportano entrambi come cloni neoplastici. In effetti sono stati riscontrate aberrazioni fenotipiche descritte nei monociti delle MDS e nella leucemia mieloide cronica, ovvero la parziale o totale perdita di CD13,CD14 e CD15. In oltre sempre per la linea monocitaria si rileva un incremento dell’espressione dei CD64 e CD45. Altri studi mostrano l’espressione del CD16 aumentato. I monociti CD16+ sembrano infatti incrementare nei campioni midollari dei