C) Associazione tra anormalità molecolari e citogetiche per sottotipo di MDS Con il colore blu e verde sono rappresentati i geni e patologia associati insieme che hanno una frequenza maggiore di quanto
5.5 Terapia immunomodulatoria
Il razionale per l’utilizzo di questi farmici è l’evidenza che la loro applicazione porta ad effetti anti-citochinici, anti-angiogenetici e la promozione della ematopoiesi che diviene più efficiente.
Il trattamento con talidomide come singolo agente era capace di ridurre o abolire la trasfusione dipendenza in una parte dei pazienti, ma il trattamento a lungo termine aveva significativi effetti di neuro-tossicità.
La lenalidomide, una analogo della talidomide, è sprovvista di questi effetti collaterali come mostrato in studi di fase 2 e fase 3 randomizzati[281-284].
List et al. ha trattato 43 pazienti con trasfusione dipendenza o anemia sintomatica (88% con IPSS “Low” o “Intermediate-1”) con lenalidomide a 25 o 10 mg al giorno per 21 giorni con un ciclo ogni 28 giorni. Ventiquattro pazienti hanno risposto e 20 hanno ottenuto un’indipendenza sostanziale dalle trasfusioni. Il grado di risposta è più alta tra i pazienti con la delezione interstiziale clonale del cromosoma 5q31 e nei pazienti con rischio più basso di IPSS. Uno studio di fase 3 a doppio ceco multicentrico randomizzato compara l’efficacia e la sicurezza della lenalidomide rispetto al placebo e alle trasfusioni di sangue in pazienti con categoria di rischio “Low” e “Intemediate-1” e delezione 5q. Il grado di risposta citogenetica è del 50% con dose a 10 mg, mentre del 25% con 5 mg. I principali effetti collaterali
sono la neutropenia la trombocitopenia e la trombosi venosa profonda. G- CSF e GM-CSF sono usati per prevenire o ridurre la neutropenia.
Grazie all’uso della next generation sequencing, in una porzione di pazienti con MDS a basso rischio e delezione isolata del 5q, si è in grado di identificare la mutazione sul gene TP53. Quest’ultima trasloca i pazienti ad una categoria di rischio più alta. Se ci sono cellule clonali con la mutazione TP53 questa incrementa la progressione della malattia. In più il subclone mutato TP53 può essere insensibile alla lenalidomide, quindi può gradualmente progredire a scapito degli altri cloni con solo del5q, i quali invece sono suscettibili alla lenalidomide. Tutto ciò porta ad una temporanea e parziale remissione citogenetica con un vantaggio selettivo per il subclone TP53 mutato[153].
Un trial multicentrico di fase 2 ha valutato la lenalidomide in pazienti con MDS di basso rischio, trasfusione dipendenza e senza del5q. Il trial ha arruolato 214 pazienti, dei quali il 43% hanno risposto al trattamento in accordo con i criteri codificati della IWG2000 (International Working Group). Un 26% di pazienti ha raggiunto l’indipendenza trasfusionale e un 19% una risposta citogenetica. Gli effetti collaterali più comuni sono la neutropenia e la trombocitopenia.
Bassi livelli basali di EPO sierica predicono la risposta alla lenalidomide[285] e la risposta al farmaco si associa con un miglioramento della HRQoL[286]. Inoltre l’efficacia della lenalidomide può essere potenziata nella sua posologia con l’utilizzo degli ESAs[287-290]. In un trial di fase 3 si è valutato la lenalidomide con o senza rhEPO (Eritropoietina ricombinante umana) in 131 pazienti con trasfusione dipendenza, basso rischio IPSS, senza del5q e con refrattarietà agli ESAs. La terapia combinata ha prodotto una risposta eritroide nel 40% dei pazienti, contro il 23% con la sola lenalidomide. La
durata mediana della risposta eritroide è di 18,1 mesi con lenalidomide e 15,1 mesi con la combinazione lenalidomide più rhEPO.
Lenalidomide e azacitidina sono utilizzati come singoli agenti nei pazienti con più basso rischio e senza del5q dopo fallimento di trattamento con ESAsA[291].
In un analisi retrospettiva di questo tipo di pazienti il grado di miglioramento ematologico eritroide è significativamente più alto in pazienti che hanno ricevuto lenalidomide come terapia di prima linea rispetto a coloro che ricevono lenalidomide come seconda linea in seguito al trattamento con azacitidina. Sebbene questi dati richiedano ulteriori studi, quest’ultimi suggeriscono che lenalidomide dovrebbe essere considerata prima dell’azacitidina e dopo un fallimento con trattamento con ESA in pazienti MDS con più basso rischio IPSS e senza del5q[244].
Sulla base degli studi riportati si raccomanda che i pazienti con delezione 5q senza anomalie cromosomiche aggiuntive o eccesso di blasti, con rischio IPSS “Low” e “Intermediate-1”, anemia trasfusione dipendente e che abbiano fallito la terapia con fattori di crescita ematopoietici, dovrebbero essere trattati con lenalidomide. I pazienti con del5q e anomalie citogenetiche aggiuntive o con eccesso di blasti possono essere trattati con lenalidomide all’interno di trial clinici, mentre ai pazienti che hanno la mutazione di TP53 può essere offerto il trattamento con lenalidomide[215].
5.6
Agenti ipometilanti
Due analoghi della pirimidina, la 5-azacitidina e decitabina (5-aza-2’- deoxycitadina), si sono profondamente studiati negli ultimi anni in studi clinici di pazienti con MDS. La letteratura sull’uso di questi agenti includono: trial prospettici randomizzati, trial prospettici non randomizzati e studi retrospettivi non randomizzati[292-299].
La Cancer and Leukemia Group B ha incluso nel suo trial 191 pazienti con MDS classificati tramite FAB. A questi pazienti si è assegnata casualmente o una terapia di supporto oppure azacitidina sottocutane con 75mg/m2 al giorno per sette giorni ogni 28. Un grado di remissione significativamente più alto di remissioni si è osservato nel gruppo trattato con azacitidina rispetto ai pazienti sotto terapia di supporto. La mediana di tempo di risposta alla terapia è di 15 mesi, mentre il grado di trasformazione leucemica è di 2.8 volte più frequente nei pazienti con terapia di supporto, deducendo quindi che l’azacitidina può allontanare il momento di trasformazione leucemica. Insieme al Cancer and Leukemia Group B anche IWG ha asserito, utilizzando la classificazione WHO, che azacitidina ha un effetto benefico tra i pazienti ad alto rischio prognostico215,300].
Dunque i pazienti dovrebbero essere trattati per un minimo di sei cicli e si raccomanda la dose di 75mg/m2, la quale è iniettata sottocute per sette giorni consecutivi seguiti da un periodo di non trattamento di 21 giorni. La principale evidenza dell’efficacia dell’azacitidina si riscontra oltre che nei lavori sopra descritti anche nello studio AZA001 di Fenaux[301]. Questo studio mostra che il trattamento con azacitidina migliora significativamente la sopravvivenza generale (OS= overall survival) rispetto alle cure convenzionali (terapia di supporto e chemioterapia a basse dosi). azacitidina determina anche una risposta clinica ematologica, infatti il 45% dei pazienti diventa trasfusione indipendente a confronto del 11% dei pazienti sotto terapia convenzionale. Pazienti sopra i 75 anni, in un buono status performance e con un alto rischio pronostico possono essere dei candidati per la terapia con azacitidina, poiché la sopravvivenza di questo tipo di pazienti trattati con azacitidina aumenta di 2 anni in un 55% dei casi[302].
Azacitidina mostra di essere efficace in tutti i sottogruppi citogenentici a confronto con la terapia convenzionale, per i pazienti con isolata del7q/-7 la
OS è di 13,1 mesi contro i 6 mesi delle cure convenzionali. Alla stessa maniera per coloro che portano la monosomia del 5 o del 7 sia da sola che in un cariotipo complesso. Questo tipo di pazienti se trattati con azacitidina sembrano avere un vantaggio di sopravvivenza rispetto ai quelli trattati con chemioterapia convenzionale AML-like[303].
La durata ottimale del trattamento non è certa, ma continuare la terapia quanto più al lungo possibile è raccomandato. I pazienti che rispondono hanno un significativo miglioramento della qualità della vita, principalmente quelli che arrivano a completare il quarto ciclo[304]. Continuare la terapia deve comunque essere a discrezione del paziente.
E’ raccomandato che pazienti siano sottoposti alla valutazione del midollo osseo sia prima di iniziare il trattamento che dopo sei cicli per valutare se vi sia progressione della malattia. In pazienti più giovani e selezionati coloro che raggiungono una completa remissione con azacitidina, hanno un buon status performance e un miglioramento delle co-morbilità, l’opzione del trapianto allogenico di midollo può essere ripresa in considerazione[305].
La somministrazione orale di azacitidina può permettere di estendere il protocollo del dosaggio. La fase 1 dello studio con azacitidina orale (CC-486) mostra l’attività biologica e la tollerabilità nei pazienti con MDS e AML. Nella recente fase 1/2 del trial, nelle quali i pazienti con basso rischio MDS hanno ricevuto azacitidina orale (300mg al giorno),la sopravvivenza generale raggiunta va dal 36% al 41% rispettivamente per coloro che hanno assunto il farmaco per 14 giorni e per 21 giorni[306]. L’estensione del protocollo con azacitidina orale è ad oggi sotto studio come prima linea in pazienti con più basso rischio di MDS e trombocitopenia[244].