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Verità veloci ed etica nella narrazione dell'informatica

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN INFORMATICA UMANISTICA

Verità veloci ed etica nella

narrazione dell’informatica

Relatore: prof. Giovanni A. Cignoni Correlatore: prof. Simona Turbanti Controrelatore: prof. Laura Galoppini

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Indice generale

Introduzione...1

1. Informazione e etica...3

1.1. Verità come attendibilità dell’informazione...4

1.1.1. Definizioni: dal fatto alla verità...4

1.1.2. L’informazione di cronaca...5

1.1.3. L’informazione storica e scientifica...6

1.2. Gli effetti della rivoluzione “digitale”...7

1.2.1. Un mutamento repentino...7

1.2.2. La storia e l’iperstoria...8

1.2.3. L’ambiente e l’infosfera...9

1.2.4. Una esperienza informazionale...10

1.3. Il sistema di informazione...11

1.3.1. I processi di produzione e di distribuzione dell’informazione...11

1.3.2. I modelli di consumo...13

1.4. La disinformazione e la verità veloce...15

1.4.1. Fake news come termine generico...15

1.4.2. Le distorsioni dell’informazione online...17

1.4.3. La verità veloce...19

1.4.4. La disinformazione, un problema etico da risolvere...20

2. Comunicazione della storia dell’informatica...22

2.1. La comunicazione della storia...22

2.1.1. La public history...23

2.1.2. La storia nella rivoluzione digitale...23

2.1.3. La storia e la verità veloce...24

2.2. La comunicazione della scienza e di storia della scienza...25

2.2.1. Public Understanding of Science...25

2.2.2. Public Engagement with Science and Technology...26

2.2.3. La storia della scienza...27

2.3. La comunicazione dell’informatica e della sua storia...28

2.3.1. Come settore disciplinare...28

2.3.2. Associazioni di appassionati e progetti di ricerca...29

2.3.3. Verità veloci nella storia dell’informatica...30

2.3.4. La disinformazione come problema etico nella storia dell’informatica...31

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3.1. Pianificazione...33

3.1.1. I profili Facebook...34

3.1.2. Il marchio e il nome...34

3.1.3. Il blog Retrologico...36

3.1.4. La pagina Facebook di Retrologico...36

3.1.5. La community/pubblico...36

3.1.6. Il piano editoriale...37

3.2. Realizzazione...39

3.2.1. Reperimento contenuti...39

3.2.2. Azioni sui gruppi...39

3.2.3. Problemi con i profili...40

3.2.4. Il profilo scoperto...40

3.3. Chiusura dell’esperimento...41

3.3.1. La rivelazione al pubblico...42

3.3.2. La pagina Retrologico su HMR...42

4. Analisi dei risultati...43

4.1. Analisi dell’impatto...43

4.2. Analisi dei contenuti...45

4.3. Analisi reazioni...46

4.4. Analisi della comunità...47

4.5. Confronto con HMR...54

Conclusioni...56

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Introduzione

Quasi 20 anni fa il mio primo manuale di Internet (Stilton 2000) si presentava come un’introduzione giocosa a una “nuova” tecnologia, il futuro era l’ADSL – che oggi è il passa-to – e Google non era nemmeno menzionapassa-to.

La rapidità con cui internet è entrato nella nostra vita è paragonabile ad altre tecnologie: fra il 1955 e il 1960 il tasso di penetrazione della televisione passò dall’1,5% al 16,7% («Se-rie storiche» 2015), molto simile alla penetrazione della banda larga tra il 2002 e il 2007 dall’1,2% al 17,2% (Ciapanna e Sabbatini 2008, p. 10). Tuttavia si percepisce internet come un cambiamento più grande e repentino ed è comune parlare di rivoluzione digitale.

Forse perché le attese sono state disilluse. Infatti, abbiamo assistito alla nascita di una cit-tà multiculturale e globale, il Web, che avrebbe dovuto condurci a una apertura mentale e un potenziamento degli scambi culturali, ma che, paradossalmente, ha portato alla risco-perta delle comunità di appartenenza, della piazza, dei gruppi.

Fra le prime crepe di uno strumento che sarebbe dovuto essere «un vettore di sviluppo e di crescita dell’intelligenza collettiva» (Lévy 1996), c’è la sensazione di essere, più di prima, vittime di disinformazione. Sono diventati quotidiani termini come fake news, bufala,

click-bait, sfumature diverse del concetto di verità veloce coniato da Baricco (2018, p. 283).

L’informatica, disciplina abilitante delle tecnologie che hanno reso possibile questo cambia-mento, è protagonista della rivoluzione, talvolta additata come colpevole.

Il rapporto tra la storia di una disciplina, l’informatica nel nostro caso, e la disciplina stes-sa è fondamentale per la sua comprensione. Tuttavia, l’informatica e la sua storia sono vi-ziate dagli stessi problemi di disinformazione. Lo stesso Baricco nella sua analisi della rivo-luzione digitale è vittima delle verità veloci quando provando a spiegare alcuni concetti di base di informatica riporta luoghi comuni sbagliati (Cignoni 2019).

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Una corretta comunicazione dell’informatica e della sua storia diventa un imperativo etico nei confronti dei cittadini che devono essere consapevoli dei cambiamenti che stanno viven-do. Proprio per il suo ruolo nell’accentuare la sensazione di disinformazione, l’informatica non deve essere compresa e conosciuta attraverso verità veloci. Senza contare che, a volte, la diffusione di verità veloci nasconde interessi economici legati al successo di un’opera o alla promozione di un marchio.

Il lavoro di tesi consiste principalmente in un esperimento in cui abbiamo provato a dare evidenza di quanto sia facile costruire e diffondere verità veloci sulla storia dell’informatica, in contrapposizione alla difficoltà di una narrazione storicamente e tecnologicamente corret-ta, faticosa da costruire e lenta a raggiungere il pubblico.

La tesi parte dalle definizioni di verità e attendibilità per affrontare i temi di informazione e etica (capitolo 1) e le problematiche della comunicazione al grande pubblico della storia, della scienza, della storia tecnologica e in particolare quella dell’informatica (capitolo 2). I capitoli 3 e 4 sono rispettivamente dedicati alla presentazione dettagliata dell’esperimen-to. Nel capitolo 3 come sono stati pianificati, realizzati e gestiti il blog e la pagina Face-book dove per 90 giorni abbiamo diffuso verità veloci sulla storia dell’informatica. Nel capi-tolo 4 discutiamo i risultati dell’esperimento basati sull’osservazione dei dati delle pagine web e Facebook e sullo studio della comunità di utenti tramite strumenti di network

analy-sis.

La tesi fa parte delle attività di ricerca sulla comunicazione della storia dell’informatica del progetto Hackerando la Macchina Ridotta; tutti i dati (resi anonimi), i risultati e gli stru-menti usati sono disponibili su una pagina web dedicata sul sito del progetto («HMR – Re-trologico»).

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1. Informazione e etica

La tesi riguarda un esperimento sulla diffusione delle informazioni. In questo primo capito-lo discutiamo l’argomento “informazione” cercando di dare un senso alla parola verità che spesso non è assoluta ma ha diversi modi e gradi di comunicarla e ha implicazioni etiche. Partendo dalle definizioni di informazione, notizia e fatto si arriva a fissare una definizione di verità, che sia valida per tutto il lavoro e tenga conto delle differenze tra la notizia di cronaca, significato nell’uso comune, e la notizia storica e scientifica.

Fissate le definizioni, discutiamo gli effetti della rivoluzione digitale. Il termine rivoluzione indica un cambiamento repentino, lo usano Floridi (2017) e Baricco (2018) nei loro lavori e da questi partiremo nella nostra analisi soffermandosi sui concetti di iperstoria e infosfera e sui processi di produzione e consumo delle informazioni. L’essere oggi sempre in collega-mento con gli altri a un costo quasi nullo, incapaci di distinguere chiaramente quello che sta online e offline, ha cambiato il contesto e introdotto nuovi modelli.

Il capitolo si chiude con la discussione di diversi gradi di disinformazione arrivando al con-cetto di verità veloce (Baricco 2018, p. 283) e come esso si inserisce nel contesto dei distur-bi dell’informazione. Il senso dell’esperimento condotto nella tesi, è saggiare quanto sia faci-le e rapido produrre verità veloci.

Il nostro esperimento riguarda in particolare la storia dell’informatica, con un interessante corto circuito tra l’epoca che stiamo vivendo e la conoscenza della disciplina che ha origina-to la rivoluzione. Un sistema di informazione affetorigina-to da disturbi porta alla creazione di cre-denze sbagliate e, nel caso dell’informatica, a una comprensione minore della società e dell’ambiente. I problemi etici legati alla produzione e al consumo di informazione sono in una certa misura aggravati.

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1.1. Verità come attendibilità dell’informazione

Definire la verità è una questione sulla quale i filosofi studiano da sempre. Si parte dalla dalla definizione di informazione, di notizia e di fatto per arrivare a una definizione di veri-tà accettabile, che tenda all’attendibiliveri-tà attraverso un metodo verificabile.

Serve fare chiarezza sulla semantica di notizia: di cronaca e storico e tecnologica. I due li-velli molto spesso sono sovrapposti per il pubblico, ma è importante tenerli ben distinti, poiché si tratta di due tipi di narrazioni diverse, con due metodi diversi, anche se hanno molti punti di contatto.

1.1.1. Definizioni: dal fatto alla verità

Per arrivare a definire che cosa sarà per noi la verità, partiamo da una definizione di infor-mazione. Nel vocabolario online Treccani troviamo le seguenti definizioni:

1. ant. e raro. L’azione dell’informare, di dare forma cioè a qualche cosa […]

2. Atto dell’informare o dell’informarsi, nel senso di dare o ricevere notizia [...] («informazióne»)

Il primo significato, poiché antico e raro, è poco interessante per i nostri scopi. Perciò, ci concentriamo su quello che è il significato comune oggi e che lega l’informazione alla notizia che troviamo definita come:

1. a. letter. Conoscenza, come acquisizione o possesso di una cognizio-ne, relativamente a cose, fatti o persone […]

b. Conoscenza (come sapere acquisito), relativa a fatti vicini o lontani nel tempo, in quanto se ne conservi traccia, o ne sia trasmessa o rece-pita la memoria […] («notìzia» )

Concentriamoci sul secondo significato che introduce due concetti importanti: che la con-servazione di una traccia o memoria della notizia e che il suo elemento unitario è il fatto, cioè un:

Avvenimento, azione, fenomeno, ciò che si compie o si è compiuto

(«fatto2»).

La realtà della notizia dovrebbe essere data dalla compiutezza del fatto. Però, come abbia-mo visto dalla definizione di notizia, essa dipende dalla traccia o dalla meabbia-moria che lascia.

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Possiamo quindi affermare che un fatto di cui non se ne conserva e non se ne trasmette traccia è come se non fosse mai accaduto.

Inoltre, la memoria è parziale, ci ricordiamo dei fatti e lo facciamo dal nostro punto di vi-sta. Anche se ne manteniamo una traccia, sarà impossibile ricostruire il fatto nella sua inte-rezza. Altre persone diverse da noi si ricordano lo stesso fatto e lo fanno dal loro punto di vista. Mettendo insieme i ricordi e altre fonti si può tentare di ricostruire un fatto, ma lo si può fare solo parzialmente (Dondarini 1999), per quanto dettagliata sia la descrizione. Ad esempio la nascita di una persona. Il diretto interessato non ne ha memoria, ma ne ha certamente sentito parlare da genitori, nonni e conoscenti. Può ricostruire quasi tutto il racconto, ma ci sono cose che nessuno ricorda, anche perché spesso non importanti: il colo-re delle pacolo-reti della sala parto, il numero di luci. Altcolo-re cose sono attestate da documenti: gli orari di inizio del travaglio e del parto, il nome del medico. Le cose non importanti non alterano il racconto, ma non si può dire di averlo ricostruito nella sua interezza.

Le fonti non sono sempre corrette per definizione. Le testimonianze dei partenti o anche il diario della madre possono essere viziate dalle emozioni, per esempio dalla volontà di ricor-dare solamente i momenti belli o viceversa, in altri casi, dal peso degli eventi dolorosi. Ser-ve un lavoro sulle fonti per una ricostruzione che tende all’attendibilità.

Siamo arrivati alla nozione di attendibilità del fatto. Non esiste una verità con pretesa di universalità, poiché una ricostruzione è per definizione parziale, soggettiva e provvisoria (Dondarini 1999). Tuttavia possiamo dare per catturato il concetto di attendibilità della notizia, dipendente dalla quantità e dall’affidabilità delle fonti che contribuiscono alla sua costruzione.

La nozione di verità della notizia che assumiamo in questo lavoro è una versione verificabile – tramite fonti – dei fatti. L’obiettivo della completezza potrebbe non essere raggiungibile, ma la verificabilità del metodo non accetta compromessi.

1.1.2. L’informazione di cronaca

La semantica di notizia si è spostata, nell’uso comune, verso la notizia di cronaca, con rife-rimento a fatti di pubblico interesse, per lo più recenti, comunicati dalla stampa o da altri mezzi di diffusione. Questo tipo di notizia è soggetta a opinione ed ha effetti sulla formazio-ne dell’opinioformazio-ne pubblica.

Il giornalismo è stato definito la «storiografia dell’istante» (Eco, Livolsi, e Panozzo 1979), ma fatica ancora a mettere a disposizione lo strumento più tradizionale del metodi

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storio-grafico e scientifico: le fonti. Il motivo principale è perché spesso non è possibile mettere a disposizione del lettore la fonte.

La discussione sull’obiettività dell’informazione è un tema centrale nel giornalismo, per evi-tare il rischio di nascondersi dietro al muro della soggettività, per certi versi inevitabile. La tendenza del giornalismo ad avvicinarsi all’obiettività della scienza deve essere vista positi-vamente, con una consapevolezza nel lettore e nel giornalista sulla differenza tra la scienza e cronaca. Entrambe devono porre le loro radici in una base di obiettività, ma con la diffe-renza che per la scienza la discussione è portata in un contesto di esperimenti e misurazio-ni, mentre per la seconda si può aprire un dibattito pubblico, anche se sempre con argo-mentazioni e metodo.

Il giornalismo si muove su un piano politico. Due posizioni contrastanti, negli anni ’70, sono state quelle di Umberto Eco e di Piero Ottone (all’epoca direttore del Corriere della Sera). Per Eco il giornale è uno strumento di formazione del pubblico, mentre Ottone di-fende un giornalismo che segua regole valide per tutti: citazione rigorosa delle fonti, separa-zione tra notizia e commento, descrisepara-zione dei vari punti di vista sullo stesso argomento (Fe-stuccia 2010, p. 17).

Per la scienza questo dibattito non ha ragione di esistere, impostarlo significa portare la scienza dentro a un piano politico dentro al quale non può stare.

1.1.3. L’informazione storica e scientifica

La narrazione scientifica ha obiettivi diversi dalla cronaca. Con scientifica si parla delle scienze nella loro totalità. Dagli scritti di Luciene Febvre, Carr e Popper emerge, per esem-pio, che anche alla storia è applicabile il metodo “nomologico-deduttivo” tipico delle scienze fisiche (Festuccia 2010 p. 27).

Parleremo quindi di notizie scientifiche intese sempre come un insieme di fatti, ma dove l’attendibilità è basata su di un metodo verificabile La discussione che deriva dalla parziali-tà, soggettività e provvisorieparziali-tà, deve rispettare delle regole precise. Il concetto espresso esclude in molti casi una discussione dialettica. In questo senso va letto lo slogan di Burio-ni «la scienza non è democratica» («Roberto BurioBurio-ni, Medico - Post» 2017).

Per capire meglio questo concetto possiamo usare come esempio l’emergenza climatica, un tema di attualità. Da una parte movimenti e personaggi come Greta Thunberg hanno gran-de successo nel portare l’argomento all’attenzione gran-della collettività, usano però meccanismi tipici della discussione e dell’empatia. Dall’altra ci sono 64k pubblicazioni che parlano di anomalia («Mario Tozzi ospite in studio» 2019) che hanno superato il vaglio della

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valida-zione scientifica. C’è discussione in entrambi i contesti: ci sono anche 44 pubblicazioni che non parlano di anomalia, ma non conta il numero o la simpatia, ma la validità degli esperi-menti e delle misurazioni, presi per il loro contributo oggettivo e non come esponenti a so-stegno di una tesi o di un’altra.

Fare informazione diventa una questione etica. La chiave di lettura da dare è che la verità, verificabile tramite fatti, acquista attendibilità quando è sostenuta da un metodo. Il meto-do garantisce l’obiettività dell’informazione. Il piano politico arriva meto-dopo, nel racconto della scienza che deve essere pubblica e formare il pubblico.

1.2. Gli effetti della rivoluzione “digitale”

Una volta che è stata introdotta la nozione di verità è necessario vederla immersa nella so-cietà, che sta subendo una trasformazione. Floridi (2017) identifica questa trasformazione con una rivoluzione digitale, la Quarta Rivoluzione: per lui è cambiato il rapporto tra l’essere umano e le tecnologie di informazione e comunicazione (ICT). Un anno dopo, Ba-ricco (2018), parla di una rivoluzione digitale che sta modificando l’esperienza umana. Per entrambi, la rivoluzione è prima tecnologica e poi mentale.

1.2.1. Un mutamento repentino

È necessario precisare il concetto di rivoluzione. Appoggiandoci ancora al vocabolario Trec-cani, escludendo la prima semantica che è esclusivamente di uso astronomico:

2. Mutamento radicale di un ordine statuale e sociale, nei suoi aspetti economici e politici: a. In senso stretto, il processo rapido, e per lo più violento, attraverso il quale ceti, classi o gruppi sociali, ovvero intere popolazioni, sentendosi non sufficientemente rappresentate dalle vigen-ti isvigen-tituzioni, limitate nei diritvigen-ti o nella distribuzione della ricchezza che hanno concorso a produrre, sovvertono tali istituzioni al fine di modificarle profondamente e di stabilire un nuovo ordinamento […]

(«informazióne»)

Il mutamento che sta attraversando la società, secondo Floridi e Baricco ha le caratteristi-che di una rivoluzione. Appare subito chiara la dimensione tecnologica di questa rivoluzio-ne: l’informatica, entrambi prendono come linea di confine simbolica il lavoro di Turing (vedremo quanto simbolica nel capitolo 2).

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Il percorso tracciato da Floridi (2017) è segnato da quattro rivoluzioni, tutte concettuali, che hanno portato a togliere l’uomo dall’essere al centro di qualcosa. Sono rivoluzioni che hanno coinvolto l’intero genere umano, inteso come pensiero e non come classe o gruppo sociale, con evidenti ripercussioni pratiche sulla società.

La I Rivoluzione è quella copernicana, che ha tolto l’uomo dal centro dell’universo portan-dolo a riconsiderare la sua posizione e il suo ruolo. La II è quella di Darwin che ci ha tolto dal centro del regno biologico. Con la III Rivoluzione, quella freudiana, siamo stati «spo-destati dal centro del reame della coscienza pura e trasparente, e riconosciamo di essere opachi a noi stessi» (Floridi 2017, p. 102).

Anche la IV Rivoluzione è legata a una disciplina: dopo fisica, biologia e psicologia, è la volta dell’informatica. Adesso ci muoviamo in una realtà ibrida, naturale e artificiale. Cam-bia il modo in cui ci relazioniamo con il mondo e come concepiamo noi stessi. Ancora una volta si assiste a uno spostamento della centralità umana, poiché capiamo la nostra non unicità:

siamo organismi informazionali (inforg), reciprocamente connessi e parte di un ambiente informazionale (l’infosfera), che condividiamo con altri agenti informazionali, naturali e artificiali, che processano informazioni in modo logico e autonomo (Floridi 2017, p. 106).

La trasformazione non è stata improvvisa. Sono passati molti anni affinché si potessero avere delle condizioni favorevoli, i processi di creazione fossero più agevoli e le conoscenze circolassero in modo più rapido ed efficace.

Nel 1800 le calcolatrici meccaniche e agli inizi del 1900 le tabulatrici permettevano di fare molti calcoli e trattare molti dati. Lo sviluppo delle reti telegrafiche dalla seconda metà del 1800 già può essere considerata una rivoluzione, non solo tecnologica ma anche politica so-ciale, linguistica e culturale, molto prima di internet (Coglitore 2013).

1.2.2. La storia e l’iperstoria

L’epoca dell’informazione non nasce con l’invenzione del computer. Tradizionalmente è con l’invenzione della scrittura che si segna il passaggio tra preistoria e storia. È un passo im-portante, perché la scrittura diventa (per la maggior parte delle società) il modo principale di immagazzinare e trasmettere l’informazione senza (troppe) ambiguità. La storia è l’età dell’informazione.

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mente importanti, nella società iperstorica diventano le fondamenta della società: le ICT e la loro capacità di processare i dati sono condizioni necessarie per l’economia e per la pro-mozione del benessere sociale.

Sono occorsi molti anni perché le ICT si evolvessero a tal punto da processare i dati, ma poi in relativamente poco tempo, grossomodo quello che divide Gutenberg (ca. 1440-1468) da Alan Turing (1912-1954) siamo diventati una società pronta per una nuova esperienza. Per esempio, a differenza di civiltà come quella sumera, dove l’economia era fondata su te-conologie come l’agricoltura, adesso le ICT ci permettono di costruire nunovi strati di ICT uno sull’altro. Floridi (2017, p. 4) conclude che l’ipestoria, la storia e la preistoria, tuttora presenti nelle diverse società sparse nel mondo, descrivono principalmente «come le persone vivono, non quando o dove vivono». La certezza è che non possiamo più fare a meno delle ICT nella nostra economia: i dati, ma soprattutto la loro gestione sono diventati un ele-mento centrale.

La quantità di dati da trattare crescerà sempre di più e forse la capacità di immagazzina-mento e la velocità delle comunicazioni non riusciranno a tenere il passo. L’iperstoria è una nuova era, che si sta muovendo in un ambiente nuovo che stiamo costruendo per il futuro.

1.2.3. L’ambiente e l’infosfera

È cambiato, contestualmente, anche il rapporto che abbiamo con l’ambiente: nell’iperstoria siamo parte di un’infosfera, proprio perché le ICT sono entrate a far parte della “natura”. Floridi (2017) con il termine infosfera indica un neologismo coniato negli anni settanta ba-sato sul termine “biosfera”, cioè la porzione della Terra caratterizzata dalla vita. L’infosfera è l’intero ambiente informazionale che comprende lo spazio virtuale degli utenti connessi fra di loro tramite una rete telematica (cyberspazio) e gli spazi di informazione offline e analogici. L’infosfera è anche sinonimo di realtà, poiché per Floridi (2017 p. 45) «ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale».

Ci muoviamo in un ambiente ibrido, dove non si può separare l’esperienza offline da quella online. La scarsa comprensione degli strumenti ci rende impreparati. Poiché l’infosfera è pervasiva, anche le generazioni “carta e penna” si trovano in uno spazio informazionale ibri-do, come la casalinga di Voghera iscritta a Facebook e saltata agli onori della cronaca per aver offeso l’allora presidente della Camera (Quattrociocchi e Vicini 2018).

Una conoscenza critica, non necessariamente tecnica, dell’informatica è fondamentale per non ridurre l’esperienza a singoli strumenti e a comprendere come tramite essi è cambiato l’ambiente informazionale in cui cui viviamo la nostra esperienza di umani.

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1.2.4. Una esperienza informazionale

Floridi (2017) sostiene che siamo cambiati anche come esseri umani, intoducendo il nuovo termine inforg. L’uomo non è più un’entità isolata, bensì un’entità informazionale che inte-ragisce con soggetti sia biologici che artefatti e ingegnerizzati nell’infosfera.

La “rivoluzione” che stiamo vivendo è il passaggio da un’epoca a un’altra nel quale dobbia-mo riconsiderare lo spazio e il tempo in funzione delle ICT. In pratica, stiadobbia-mo vivendo una nuova esperienza onlife, come sintesi di online e offline allo stesso tempo. L’interazione digi-tale con gli altri ci occupa sempre più tempo, contribuendo anche a dare forma alla nostra identità. Naturalmente, lo facciamo in un ambiente né interamente virtuale né interamente fisico. Un esempio sono gli smartphone che hanno modificato il rapporto con la nostra per-sona a tal punto da essere diventati «una parte così pervasiva e fondamentale della nostra vita quotidiana che il famoso visitatore dallo spazio potrebbe concludere che si tratti di una parte dell’anatomia umana» («RILEY v. CALIFORNIA»).

In 1.2.1 abbiamo visto che già dalla seconda metà dell’Ottocento si stavano iniziando a creare le condizioni per una gestione di grandi quantità di dati e un collegamento mondiale. Nel 1900 si sono create le condizioni per una crescita tecnologica, ipotizzata dalla legge di Moore (Riccò 2008), che insieme al volgere del millennio ha modificato il rapporto con la nostra identità. La connessione tra gli individui è diventata istantanea a costo quasi nullo e la conoscenza può essere diffusa senza sforzo. L’accesso all’informazione diventa facile da fare e risulta disponibile immediatamente. La potenza di calcolo diventa un facile ausilio alla creazione cognitiva (Pilati 2008).

Il concetto di definizione di identità è importante, poiché è proprio dalla definizione di noi stessi che capiamo come possiamo interagire con gli altri. Nella società disegnata da Floridi (2017) l’interazione con altri inforg è parte della definizione stessa di società, ma soprattut-to di ambiente informazionale.

Siamo completamente immersi nell’informazionalità, tanto da non poter più fare a meno di scambiarci informazioni in continuazione. In questo modo contribuiamo alla formazione di una conoscenza individuale e collettiva, in maniera più potente.

Lo scambio di conoscenza senza sforzo e in maniera immediata porta intrinsecamente il problema sulla validità dei contenuti che si possono scambiare. La verità, definita in 1.1.1, è una condizione necessaria per sfruttare la potenza della rivoluzione digitale.

L’implicazione etica della verità è rafforzata nel caso dell’informatica. La corretta diffusione dei concetti porta a una maggiore comprensione dell’ambiente informazionale. Si crea un

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corto circuito perché non siamo di fronte a una disciplina qualsiasi, ma alla disciplina che è protagonista della IV rivoluzione.

L’interrogativo da porsi è il seguente: può la conoscenza di una disciplina, o anche solo quella della sua storia, aiutare a comprendere meglio la disciplina stessa?

La risposta deve essere affermativa. A questo punto la storia dell’informatica può cambiare il modo di approcciarsi alla nuova epoca (iperstoria) e al nuovo spazio (infosfera), ma è im-portante che rimanga fisso il concetto di verità.

1.3. Il sistema di informazione

Una volta introdotto l’ambiente e l’epoca nel quale si muove la nostra società, analizziamo il sistema dell’informazione. Lo scopo è quello di capire meglio i processi di produzione e distribuzione e i modelli di consumo al fine di capire dove hanno dei problemi.

1.3.1. I processi di produzione e di distribuzione dell’informazione

Nel sistema di informazione sono cambiati i modelli di produzione dell’informazione. In particolare la tempistica con la quale viene creato il prodotto informativo e la natura stessa dell’informazione tra notizia e intrattenimento. Il ciclo di produzione, nel contesto digitale, si è ridotto dalle 24 ore del giornale cartaceo a notizie pubblicate e aggiornate numerose volte nel corso della giornata (Cage, Herve, e Viaud 2019). Questo ha portato a una con-trazione del tempo dedicato alla verifica dei fatti, all’attendibilità delle fonti e al controllo della qualità dei contenuti diffusi («Rapporto tecnico - Le strategie di disinformazione onli-ne e la filiera dei contenuti fake» 2018).

Per l’industria dell’informazione i costi fissi di produzione, sostanzialmente la redazione, sono rimasti invariati, ma i costi marginali, di digitalizzazione e di distribuzione si sono molto ridotti, fino quasi ad annullarsi. Il nuovo ecosistema ha trasformato «la notizia in un bene che può essere facilmente digitalizzato e riprodotto, distribuito e consumato anche in gruppo, spesso in modo gratuito, svincolato, pertanto, dal supporto fisico e dall’esigenza di stamparlo e recapitarlo materialmente al consumatore finale»(«Rapporto tecnico - Le stra-tegie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake» 2018, p. 1).

È mutato il business model, con ripercussioni sulla qualità del prodotto, poiché la pubblici-tà ha assunto un ruolo centrale. Si sono cercati, però, anche business model completamente alternativi, come quello di Valigia Blu basato sul crowdfunding, quindi con fonti alternative alla pubblicità, per sopportare i costi di redazione («Basata sui fatti. Aperta a tutti.

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Soste-nuta dai lettori. Crowdfunding 2019 di Valigia Blu.»). In ogni caso, il modello di outsour-cing nella fase produttiva – perseguiti da alcuni editori presenti anche o esclusivamente on-line – ha permesso il contenimento dei costi delle redazioni.

L’industria dell’informazione ha dovuto di conseguenza adeguare i propri contenuti alle ca-ratteristiche richieste dalle piattaforme orizzontali (search, social network, portali, ecc.) per evitare di rimanere tagliati fuori da importanti flussi di traffico che sono i grado di veicola-re. Il 54,5% degli italiani si informa attraverso strumenti governati da algoritmi (social

net-work, motori di ricerca, aggregatori, in generale le piattaforme digitali), mentre il 39,4%

della popolazione si informa utilizzando siti web e applicazioni degli editori (stampa quoti-diana e periodica, radio e televisione, e testate native digitali) («Rapporto sul consumo di informazione» 2018, p. 51).

È un processo che richiede agli editori un continuo aggiornamento tecnologico che risulta essere un ulteriore costo, con ricadute sul modello di business. Il fenomeno ha portato all’entrata, sul mercato dell’informazione di nuovi soggetti editoriali: portali, editori esclusi-vamente online e singoli soggetti (genericamente influencer). Quest’ultimi «pur non rien-trando nell’ambito di una testata registrata e, quindi, esulando spesso dai canoni della pro-fessione giornalistica, costituiscono altre fonti primarie di informazione online per i cittadi-ni» («Rapporto tecnico - Le strategie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake» 2018).

Un altro importante fenomeno deriva dal coinvolgimento degli utenti nel processo di produ-zione e riproduprodu-zione dei contenuti informatici. Si assiste a una moltiplicaprodu-zione dei contenu-ti, sotto forma di elaborazione e rielaborazione, facendo diventare il web un ambiente anco-ra più ricco di stimoli e di input. È rielaboanco-rata la fruizione dell’informazione e incide anche sui modelli di consumo delle notizie.

A differenza del modello verticale, tipico dell’editoria online, dove l’editore esercita un trollo, indiretto o diretto, sulla catena di produzione, abbiamo di fronte un aumento di con-correnza per catturare l’attenzione dell’utente, che allo stesso tempo è consapevole di avere acquisito una certa libertà. Il ruolo dell’intermediario finisce per passare dall’editore alle piattaforme stesse, governate da algoritmi:

si configura un processo di disaggregazione, autoproduzione e disinter-mediazione dell’offerta informativa tradizionale e di successiva riaggre-gazione e re-intermediazione da parte di fonti algoritmiche.(«Rapporto

tecnico - Le strategie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake» 2018 p. 2)

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In pratica, l’editore perde il controllo della distribuzione, pur rimanendo responsabile dei contenuti prodotti e perde il contatto diretto con il pubblico, quindi la propria riconoscibi-lità a favore di colui che ha reso possibile la fruizione dell’informazione.

Emergono due fattori principali nei motivi che hanno fatto sfuggire di mano all’«élite che aveva forgiato quella narrazione» (Baricco 2018, p. 278) il proprio ruolo.

Il primo fattore è la comparsa di nuovi personaggi, chiamati influencer: una nuova élite che produce informazione. Il controllo dell’attendibilità diventa una loro responsabilità, di fatto sfuggendo al controllo della vecchia élite, che si sente svuotata del potere. Una buona parte di loro fa anche comunicazione scientifica (o divulgazione) e ottiene ottimi risultati.

Citiamo due esempi: Dario Bressanini, chimico e ricercatore all’Università dell’Insubria, su Instagram ha 191.000 follower e su YouTube 344.000 iscritti; Adrian Fartade, storico e di-vulgatore della scienza, su Instagram 53.000 follower e su YouTube 239.000 iscritti. En-trambi sono presenti nel programma di SEn-trambinaria, un evento dedicato alla comunicazio-ne della scienza, hanno partecipato molti divulgatori influencer («Folle di scienza – 4-6 ot-tobre 2019»).

Il secondo fattore è la re-intermediazione delle fonti algoritmiche, che privilegiano dinami-che economidinami-che a dinamidinami-che etidinami-che. Il controllo dell’accuratezza dell’informazione passa in mano ai produttori e ai consumatori di notizie, poiché gli algoritmi sono creati dai posses-sori delle piattaforme per generare profitto. Si configura anche in questo caso un problema etico, aggravato dal fatto che gli algoritmi filtrano anche il consumo, presentando all’utente ciò che più gli piace.

1.3.2. I modelli di consumo

Il consumo dell’informazione è un fenomeno abbastanza complesso. Analizziamo i problemi principali nel contesto italiano e il concetto di autodeterminazione informativa.

Gli effetti della rivoluzione digitale hanno cambiato i processi di produzione dell’informa-zione. Il pubblico, quando si rivolge ai media per informarsi, lo fa principalmente con lo scopo di ricevere notizie che lo possano aiutare a costruire la propria opinione e intrapren-dere scelte, anche politiche («Rapporto sul consumo di informazione» 2018).

L’informazione viene cercata per accrescere la propria cultura ed è molto importante che venga mantenuto un livello di attendibilità e obiettività il più alto possibile. Fino a quando i media principali erano i giornali, la radio e la televisione il processo informativo era in mano a esperti che mettevano insieme, organizzavano e diffondevano le informazioni, chia-ramente con il proprio filtro.

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Uno delle conseguenze della rivoluzione digitale è la nascita di un nuovo medium: il web. È necessario fare una precisazione sulla differenza tra internet e il web, due concetti che ci sembrano sinonimi, ma che in realtà non lo sono. Internet nasce in seno al concetto di “computer collegati a distanza” già alla fine degli anni ’60 nella forma di ARPANET (Ad-vanced Research Projects Agency NETwork). Da questa prima forma, nella prima metà de-gli anni ’80 nascerà, appunto, internet. Il Web, per dirlo in italiano la Rete, ha come pre-supposto internet, ma si sviluppa intorno a un’idea diversa, cioè quella di poter mettere a disposizione un proprio spazio agli altri, non solamente mettersi in contatto con gli altri. Questa idea fu sviluppata al CERN di Ginevra e resa famosa da Tim Berners Lee, che con il suo concetto di ipertesto ha posto le basi per la costruzione della Rete. È vero, non esi-sterebbe il Web senza internet, ma non era sufficiente da solo, serviva uno strato concet-tuale superiore.

Con la diffusione degli smartphone, la rete deve essere intesa soprattutto come un ambiente mediale, nel quale ci muoviamo come inforg e soprattutto in continuo collegamento con al-tre persone.

Siamo di fronte a una nuova esperienza che permette di fruire dell’informazione in nuovi modi e che coinvolge direttamente l’utente nella produzione e riproduzione di contenuti: una sorta di bidirezionalità di informazione, intesa come scambio. È un processo che è stato alimentato dalla mediazione delle reti sociali, dove non servivano competenze per reinter-pretare e diffondere un contenuto.

L’esperienza onlife ha portato sempre di più gli utenti a sentirsi capaci di poter fare da soli. Un esempio è il rapporto con la fruizione del turismo. Organizzare un viaggio è sempre sta-ta un’attività impegnativa, non alla porsta-tasta-ta di tutti, specialmente in un paese dove non si conosce la lingua. Bisogna decidere quali posti vale la pena di vedere, in quale hotel allog-giare, nessuno vorrebbe certo ritrovarsi in un posto sgradevole. L’agenzia di viaggi è l’inter-mediario che, per tradizione, raccoglie gli esperti del settore, il luogo dove fino a pochissimi anni fa era necessario recarsi per organizzare un viaggio.

Oggi ognuno si sente in grado di poter organizzare un buon viaggio da solo. Si può fruire delle informazioni che gli altri ci mettono a disposizione, spesso gratis. La rete potrebbe es-sere utilizzata per recarci virtualmente in agenzie di viaggio virtuali, ma non è così. Esisto-no blog che raccolgoEsisto-no esperienze di viaggio, portali per il confronto dei migliori prezzi di hotel, aerei e automobili a noleggio, portali per i migliori ristoranti, e così via. Tutto gra-tuito. In pratica l’agenzia dei viaggi è diventata un’alternativa, tra le tante, ma a pagamen-to.

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Il diritto all’autodeterminazione è un vantaggio (e un risparmio) se sappiamo come sfrut-tarlo e controllarlo. Diventa un problema quando non si riesce a distinguere l’esperto, cioè colui che diffonde verità attendibili, da chi crede di esserlo. Purtroppo, per l’effetto Dun-ning-Kruger, individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abili-tà autovalutandosi, a torto, esperti in quel campo (Dunning et al. 2003). In pratica, ci affi-diamo a bravi comunicatori e non a esperti viaggiatori.

Nel caso del viaggio le conseguenze possono essere una cattiva esperienza e soldi buttati, ma pensando a temi più importanti, il problema emerge in maniera prepotente.

La disintermediazione coinvolge tutti i campi, anche la scienza. Tutti si ritengono in grado di poter intervenire, senza argomentazioni, su temi molto importanti come i vaccini o il cli-ma, affidandosi nelle mani di diffusori di verità alternative, senza attendibilità. La fruizione di informazioni, per la costruzione di un’opinione, per l’accrescimento culturale personale e per la formazione della propria identità diventa un problema di natura etica.

1.4. La disinformazione e la verità veloce

Viene introdotto l’argomento disinformazione partendo dal termine più usato (e abusato),

fake news. Esso comprende dentro si se vari disturbi dell’informazione che sono definite e

categorizzate a seconda delle componenti oggettiva e soggettiva, della diffusione e dell’impatto sul pluralismo. A queste si aggiunge la verità veloce introdotta da Baricco, che sarà discussa e rapportata al problema etico.

1.4.1. Fake news come termine generico

L’analisi di quelle che vengono categorizzate come fake news non si può ridurre a una sem-plice categorizzazione di notizia falsa. Non può esistere una verità con pretesa di universali-tà, poiché la ricostruzione è parziale, soggettiva e provvisoria (Dondarini 1999).

Nel rapporto tecnico, che ha studiato le strategie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake, troviamo una definizione di fake news che è utile come punto di partenza per un’analisi più dettagliata:

Termine spesso utilizzato in maniera ampia e generica per indicare in-distintamente una vasta gamma di disturbi dell’informazione. Può es-sere utilizzato per indicare notizie completamente inventate, create ar-tificiosamente, anche aventi carattere sensazionalistico e di puro

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click-baiting. («Rapporto tecnico - Le strategie di disinformazione online e

la filiera dei contenuti fake» 2018, p. 8)

La disinformazione non è un problema nuovo, i disturbi dell’informazione sono sempre esi-stiti. Il tema apparso davanti agli occhi di tutti come un problema abbastanza all’improvvi-so, nel 2016: un anno da segnare negli almanacchi per lo sconcerto che ha portato nel mon-do. Il referendum per l’uscita dall’Europa del Regno Unito, l’elezione del presidente degli Stati Uniti d’America e, più in piccolo, il referendum costituzionale in Italia hanno eviden-ziato un problema nella discussione politica a livello mondiale e da quel momento molti studi sono stati effettuati.

Baricco (2018) sostiene che l’élite che governava divenne improvvisamente sensibile al pro-blema poiché incontrò delle difficotà a riportare l’attenzione della gente su quelli che loro ritenevano i fatti. Già le contestazioni operaie e studentesche di fine anni ’60 consideravano la stampa ufficiale serva del potere e chiedevano una propria controinformazione (Festuccia 2010).

Il problema di una narrazione diversa da quella dell’élite si è amplificato nel nuovo ambien-te informazionele, soprattutto grazie ai social media, svelando alcune crepe nel sisambien-tema di informazione mondiale.

Per sua natura, l’uomo non può essere libero da condizionamenti nel suo approccio alla realtà. Le contronarrazioni sono sempre esistite perché ogni persona ha delle inclinazioni personali, dei bias direbbero gli psicologi cognitivi che filtrano la loro visione del mondo. In un articolo di Buisiness insider (S. L. Lee Samantha 2015) si può trovare un’immagine che riassume 20 bias che ci condizionano nelle nostre scelte. Di seguito, sono presentati sola-mente tre bias che spiegano come ci autoinganniamo quando giudichiamo situazioni o per-sone, oppure facciamo delle scelte.

Bias dell’ancoraggio. Le persone sono troppo dipendenti dal primo pezzo di informazione

che sentono. In una trattativa, chi fa la prima offerta stabilisce una serie di possibilità ra-gionevoli nella mente di ogni persona coinvolta.

Bias di disponibilità. Le persone sopravvalutano l’importanza delle informazioni a loro

di-sposizione. Una persona potrebbe obiettare che il fumo non è nocivo perché conosce qual-cuno che ha vissuto fino a 100 anni e ha fumato tre pacchetti al giorno.

Bias di conferma. Tendiamo ad ascoltare solo le informazioni che confermano i nostri

pre-concetti, una delle tante ragioni per cui è così difficile avere una conversazione intelligente sul cambiamento climatico.

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Sono stati messi in evidenza solamente questi 3 concetti poiché collegati direttamente all’argomento trattato, ma sono interessanti e rilevanti anche altri bias, come il bias del carro vincitore, il bias dell’autoesaltazione, l’illusione della frequenza, l’illusione dello sche-ma l’effetto struzzo e il bias della scelta solidale.

Sicuramente nel 2016 l’élite che dominava la narrazione ha capito quanto poteva poteva es-sere svuotata dai propri poteri. Per Baricco (2018, p. 279), è cambiato design alla la verità: «non l’ha dispersa, non ne ha cambiato la funzione, non l’ha spostata dal posto in cui era, cioè al centro del mondo: quel che ha fatto è darle un diverso design».

La diffusione dei contenuti informativi, quindi non solo della verità, si è adattata alla rivo-luzione digitale. Così come, per continuare il paragone di Baricco (2018), si sono adattati i formati musicali. Siamo passati da una fruizione analogica, attraverso il vinile a una frui-zione musicale (quasi) completamente in digitale, con il formato mp3. Per Baricco è un cambiamento di design: la musica è rimasta la stessa, ma sono cambiati i formati, che si sono adeguati all’ambiente.

I contenuti informativi hanno subito un processo simile, su vari media. Ma a differenza del dell’mp3, l’informazione che si è persa non è trascurabile.

1.4.2. Le distorsioni dell’informazione online

Proprio per la definizione di attendibilità, non si può far altro che spostare verso i produt-tori l’attenzione verso l’utilizzo di un metodo corretto che porti alla produzione di verità attendibili. Infatti, gli elementi che categorizzano i vari disturbi dell’informazione vengono ricondotti per la maggior parte alla fase di produzione dell’informazione.

Si può dividere la produzione in una componente oggettiva (falsità dei contenuti e conta-giosità) e una componente soggettiva (intento doloso e motivazione politico, ideologica o economica). C’è da considerare poi la diffusione massiva dei contenuti e il loro impatto sul-la formazione dell’opinione pubblica e dell’agenda politica.

Come fissato in 1.1.3 dobbiamo fare una precisazione sull’impatto sulla formazione dell’opi-nione pubblica. Infatti, notizie scientifiche non sono sottoposte a democraticità. Una loro distorsione aggrava l’impatto sul pluralismo, poiché crea contronarrazioni difficili da abbat-tere (Zollo et al. 2017).

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Possiamo dividere i disturbi in 3 categorie, definite a partire dalla componente oggettiva e soggettiva, la diffusione e l’impatto sul pluralismo (figura 1).

Mis-informazione online

Categoria di contenuti informativi divulgati su Internet non veritieri o riportati in modo inaccurato, suscettibili di essere recepiti come reali, ma non creati con un intento doloso.

Mala-informazione online

Categoria di contenuti informativi fondati su fatti reali (anche a carat-tere privato) divulgati su Internet e contestualizzati in modo da poter essere anche virali e veicolare un messaggio con il preciso intento di danneggiare una persona, un’organizzazione o un Paese, o affermare/ screditare una tesi.

Disinformazione online

Categoria di contenuti informativi, anche sponsorizzati, artatamente creati in modo da risultare verosimili, contraddistinti non solo dalla Figura 1: Le distorsioni dell’informazione online («Rapporto tecnico - Le strategie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake» 2018)

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falsità dei fatti, ma anche dalla loro contagiosità, nonché dall’intento doloso di pubblicazione e diffusione. Il contenuto viene costruito attor-no a un messaggio con la precisa intenzione di danneggiare una perso-na, un’organizzazione o un Paese, o affermare/screditare una tesi, in-gannando il pubblico. La diffusione dolosa di questi contenuti informa-tivi può avvenire per finalità politico/ideologiche o per moinforma-tivi economi-ci (attrazione del maggior numero possibile di click e monetizzazione attraverso la raccolta pubblicitaria). Tali contenuti vengono diffusi in modo massivo attraverso le piattaforme online. Gli stessi possono es-sere di vario formato (testo, audio, video, ecc.) e riguardare diversi tipi di argomenti e tematiche, inclusi quelli di specifico interesse istitu-zionale per l’Autorità, ossia rientranti nell’ambito delle cd. hard news (a titolo esemplificativo: politica, cronaca, attualità, economia, scienza, sanità, ambiente e territorio, governo e pubblica amministrazione, ecc.) («Rapporto tecnico - Le strategie di disinformazione online e la

filiera dei contenuti fake» 2018, p. 8).

1.4.3. La verità veloce

Una distorsione dell’informazione introdotta da Baricco (2018), molto vicina alla mal-infor-mazione, è la verità veloce.

È una verità che per salire alla superficie del mondo – cioè per diven-tare comprensibile ai più e per essere rilevata dall’attenzione della gente – si ridisegna in modo aerodinamico perdendo per strada esattez-za e precisione e guadagnando però in sintesi e velocità. Diciamo che continua a perdere in esattezza e precisione fino a quando non giudica di aver ottenuto la sintesi e la velocità sufficienti per raggiungere la superficie del mondo: quando le ha ottenute, si ferma: non butterebbe mai via un solo grammo di esattezza più del necessario. In un certo senso va immaginata come un animale che gareggia con molti altri per la sopravvivenza: ogni mattino si svegliano molte verità e tutte hanno il solo obiettivo di sopravvivere, cioè di essere conosciute, di raggiun-gere la superficie del mondo: a sopravvivere non sarà la verità più esatta e precisa, ma quella che viaggia più veloce, che raggiunge per prima la superficie del mondo. (Baricco 2018, p. 283)

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La verità si trasforma per farsi spazio tra le altre informazioni e si adegua all’ambiente. Questa sembra essere la conclusione di Baricco che ne analizza gli aspetti positivi.

Adesso non è più decisivo chiedersi quanta verità ci sia dentro la notizia, pur di sapere che ne porta almeno un po’. Questa sua “viralità” di veicolo la porta a farsi spazio tra le tante notizie e stimola degli interrogativi nelle persone che con un’indagine personale possono in-terpretare la verità della notizia e accrescere la loro conoscenza.

Se ragioniamo inversamente, in maniera un po’ pessimistica, abbiamo una falsità lenta: più lenta della falsità totale e più veloce della verità, che viaggia insieme alla verità. Si confida sul ricettore del messaggio che si trova a interpretarlo, scaricano un po’ di responsabilità quella filiera di produzione che dovrebbe garantire, con il proprio metodo, l’attendibilità.

1.4.4. La disinformazione, un problema etico da risolvere

La verità veloce non si limita a essere un’imprecisione veniale, in molti casi si alimenta il formarsi di opinioni nel pubblico, che saranno poi difficili da spazzare via.

Si potrebbe pensare di combattere le verità veloci con i metodi dei debunker; volenterosi che provano a istruire gli utenti sulla verità e falsità dei contenuti online, spesso con specia-lizzazioni molto verticali (11 settembre, sbarco sulla Luna). Sono azioni che hanno una con-notazione educativa, che differenzia il debunking dal fact checking.

Purtroppo questo tipo di azioni sono inefficaci. Una serie di esperimenti condotti da Bren-dan Nyhan e Jason Reifler hanno dimostrato che di fronte a informazioni correttive si ha un effetto di rinforzo, backfire effect, del proprio punto di vista precedente (Nyhan e Reifler 2010).

Lo studio Debunking in a World of Tribes ha dimostrato come l’attività di debunking non attiri le persone a cui è rivolta la narrativa, cioè coloro che hanno creduto o credono alle notizie false, ma solamente coloro che sono già in linea con la narrativa di debunking. In sostanza si ha una divisione degli utenti ai due poli complottisti e debunker. (Zollo et al. 2017).

Di fronte all’inefficacia del debunking e alla sostanziale incapacità di lottare contro i nostri bias cognitivi, in particolar modo contro il pregiudizio di conferma (Mercier e Sperber 2019), occorre a monte a monte. Il fact checking deve diventare parte del metodo di co-struire l’informazione sia di cronaca che scientifica.

Contrastare la disinformazione a monte, cioè durante la produzione dell’informazione impo-stando un metodo che tende alla verità, non risolve i problemi per quei disturbi costruiti

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per leggerezza che per malafede. Anche senza dolo c’è un dovere etico, dove l’etica intesa in senso pratico, come comportamento dell’uomo di fronte al giusto e allo sbagliato, in difesa di determinati valori («etica»).

La difesa dei valori deve essere ancora più forte quando emerge anche un interesse economi-co dietro alla diffusione di verità veloci. Non è sempre presente, anzi a volte è proprio inesi-stente. Un esempio sono le iniziative di appassionati che diffondono verità veloci fondamen-talmente perché le hanno sentite e non hanno metodo né per verificarle né per approfondire gli argomenti. Al più l’interesse è di soddisfazione personale e visibilità.

A volte c’è un interesse economico di primo livello. Persone che ricavano denaro dal proprio blog o dalla vendita di un libro. La verità veloce è un mezzo per lavorare meno e ottenere migliori risultati di diffusione. Alcuni esempi sono Baricco, i film, i blog con pubblicità. Altre volte c’è un interesse economico di secondo livello. C’è l’intento di coltivare un mito finalizzato alla promozione di un marchio. Il caso più eclatante è quello dei marchi che traggono vantaggio anche indirettamente dalle agiografie dei fondatori, viventi o meno. Al-cuni esempi, sono Amazon e Bezos, Facebook e Zuckerberg, Apple e Jobs, Musk e Tesla, con minor successo Gates e Microsoft.

Quantificare i danni è difficile, inversamente proporzionale alla facilità con la quale si pos-sono costruire verità veloci lasciandosi andare a trascuratezza e pigrizia. La verità, sempre intesa come versione verificabile dei fatti, deve essere una missione etica che parte dai pro-duttori di informazione. Sebbene sia una sfida trovare modelli economici sostenibili che non si pieghino alla distorsione delle informazioni, rimane particolarmente esecrabile approfit-tarsi di comunità vulnerabili, sensibili a narrazioni emozionali: costruisce convinzioni sba-gliate che poi sono sempre più difficili da correggere.

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2. Comunicazione della storia dell’informatica

Per comprendere i problemi dell’informatica e della sua storia comunicata al grande pubbli-co ocpubbli-corre mettere la faccenda in un pubbli-contesto più ampio che pubbli-comprende la public history e la diffusione della cultura scientifica. Per dirla con Bucchi cercheremo di fare «un quadro [...] in cui il problema della comprensione e percezione pubblica è divenuto più difficile da definire, ma al tempo stesso sempre più centrale per comprendere la stessa scienza» (Buc-chi 2003).

Partiremo dalla comunicazione pubblica della storia, intesa anche come public history, una disciplina che si sta sempre più definendo e ritagliando uno spazio, e del suo rapporto con la rivoluzione digitale.

L’altro fattore da considerare è la comunicazione della scienza e della sua storia, per deli-neare l’argomento di competenza dell’esperimento. Analizzare perché siamo arrivati alla de-finizione di attività teoriche e pratiche nel rapporto con il pubblico (Public Understanding

of Science) e perché siamo arrivati al loro superamento (la Public Engagement with Scien-ce and Technology).

Infine entriamo nell’informatica e nella sua storia presentando le origini internazioni della disciplina e le azioni intraprese nel contesto italiano. Il capitolo si conclude evidenziando il corto circuito della rivoluzione digitale: si cerca di capire quanto è importante la storia dell’informatica in una società dove l’informatica è pervasiva.

2.1. La comunicazione della storia

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(«Sto-importante ripetere il concetto che è basata su fonti, «ogni testo, oggetto o manufatto da cui si può ricavare una conoscenza del passato» (Kirn 1963, p. 29), poiché in questo modo la disciplina acquisisce un metodo (storico) che la dota di validità e verità.

Analizziamo prima la public history, dalla sua definizione ai rapporti che ha con la rivolu-zione digitale. Infine vediamo qualche esempio di verità veloci.

2.1.1. La public history

La public history deve essere intesa come una più vasta concezione della storia, concepita per essere diffusa verso un pubblico il più ampio possibile sfruttando tutti i mezzi di comu-nicazione, ma senza rinunciare a far comprendere la complessità del ragionamento storico. «Public History è discesa della storia nell’arena pubblica, confronto con pubblici diversi, ed uso sistematico, per farlo, dei media di comunicazione di massa: la radio, la televisione, la rete per fare storia» (Noiret 2009). Questa disciplina, nata alla fine degli anni ’70 all’Uni-versity of Southern Californa di Santa Barbara, apre gli orizzonti della storia verso una in-terdisciplinarità e una multimedialità nuove. La novità più importante è la sua apertura verso il grande pubblico, mantenendo come principio inderogabile le metodologie affermate della storiografia tradizionale. La sfida per gli storici consiste principalmente nell’adottare linguaggi più vicini alle esigenze del pubblico.

La definizione di Pubblic History, e di conseguenza del Public Historian, rimane comunque difficile da formulare. Il National Council on Public History ci ha provato riprendendo una definizione della pornografia data della Corte Suprema Americana nel1 1964: «I know it when I see it» («About the Field | National Council on Public History»).

Questa apertura della storia verso un pubblico di non esperti si sposa con la riscoperta del-la comunicazione scientifica di «una sorta di ‘umanesimo’ di fondo, che mette al centro del Public understanding of science l’individuo - quale soggetto conoscitivo, nel caso dell’approccio tradizionale, o come individuo socializzato, nel caso dell’approccio critico -, trascurando il fatto che l’incontro con la conoscenza esperta avviene sempre più all’interno di reti eterogenee di attori umani e non umani quali oggetti tecnologici e media anche a un mondo di persone che non sono esperte» (Bucchi 2003).

2.1.2. La storia nella rivoluzione digitale

La rivoluzione digitale ha ampliato la differenza che esisteva tra la ricerca accademica e le pratiche pubbliche, offrendo a tutti l’accesso a molta informazione storica e l’opportunità di rielaborarla e pubblicarla. Di conseguenza con il web 2.0, la storia e la memoria non

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sono più peculiarità della comunità scientifica accademica: in rete tutti possono improvvi-sarsi storici.

«Tuttavia un passato che diventa pubblico crea certamente, per chi fa storia come profes-sione, il pericolo di vedere gli specialisti, depositari del metodo storico critico e delle forme della conoscenza storica, non più dominare le mutazioni digitali a sufficienza e, d’altro can-to, di vedere scemare la complessità della ricerca euristica di fronte a una selezione di docu-menti già noti o comunque privi di valore innovativo per la ricerca ‘alta’» (Noiret 2015, p. 12). La figura dello storico pubblico digitale deve quindi presentarsi come una figura inter-mediaria che ha la possibilità di filtrare i discorsi pubblici in rete. Il rischio che si corre è che, essendo la storia aperta a tutti, non sia più lo storico a scegliere le memorie che fun-zionano nel presente, ma che sia la collettività a selezionare gli eventi e i luoghi della me-moria.

C’è da precisare che il cittadino può partecipare al racconto della storia anche nel mondo fisico, per esempio quando vengono inaugurate targhe, strade, monumenti a personaggi sto-rici da parte delle amministrazioni locali o da gruppi di cittadini. Però «la rivoluzione digi-tale ha – rispetto agli esempi proposti – dilatato in maniera non quantificabile e moltiplica-to in maniera inaspettata le possibilità di partecipazione del pubblico alla conoscenza, scrittura, lettura, interpretazione del passato. Nel farlo ha ovviamente aperto nuovi scenari di lavoro e di studio e costretto a ragionare su nuove metodologie di lavoro» (Salvatori 2015, p. 120).

A questo punto possiamo dare una definizione di storico pubblico digitale, cioè un «inter-mediario professionale necessario per inquadrare scientificamente il lavoro di raccolta di do-cumenti e per gestire criticamente nuovi archivi ‘inventati’ – che non esistevano cioè fisica-mente– portati in rete grazie ai contributi di ogni partecipante» (Noiret 2015, p. 12).

2.1.3. La storia e la verità veloce

La verità veloce si scontra con la metodologia affermata nella storiografia tradizionale, poi-ché apre alle mezze verità. La narrazione rinuncia alla ricerca della verità, intesa sempre come versione verificabile dei fatti. Esempi di verità veloce sono il film storici come

Brave-heart, Troy, The imitation game (per citarne solo alcuni).

Con lo scopo di rendere la narrazione più accattivante ed entusiasmante, aerodinamica e veloce direbbe Baricco, si rinuncia all’accuratezza e alla precisione. Sono godibili opere ci-nematografiche, apprezzabili nel loro genere. Non sono però lavori di public history ed è im-portante che il pubblico sia in grado di comprendere questa differenza.

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Se lo spettatore al cinema dovrebbe essere abbastanza consapevole di non avere di fronte un lavoro storico, più ingannevoli sono invece i documentari che usano gli stessi meccanismi di verità veloce per catturare l’attenzione ed emozionare lo spettatore.

Nella storia aperta a tutti diventa facile apprendere tecniche di verità veloce. Si affacciano nel pubblico molti nuovi creatori di contenuti che pubblicano senza un metodo storico. Con Retrologico si è cercato di riprodurre e simulare questi contesti.

2.2. La comunicazione della scienza e di storia della scienza

La scienza, quasi un decennio dopo la public history, si è posta gli stessi problemi di aper-tura verso il pubblico della storia. È nato un insieme di attività teoriche e pratiche che va sotto il nome di Public Understainding of Science.

Negli anni 2000 è stato ripensato il rapporto in una chiave più paritetica tra scienza e pub-blico: la Public Engagement with Science and Technology.

2.2.1. Public Understanding of Science

L’atto di nascita del nuovo interesse per i rapporti tra pubblico e scienza è considerato il

Public Understanding of Science (PUS), quando nel 1985 viene pubblicato il rapporto

Bod-mer (BodBod-mer 1985). Per la cultura anglosassone, il PUS rappresentava l’insieme delle atti-vità teoriche e pratiche da intraprendere per sanare la differenza tra una società sempre più condizionata dall’introduzione di nuovi saperi scientifici e tecnologici e il mondo della ricer-ca, sempre più isolato nel suo tentativo di spiegare il proprio ruolo e i propri obiettivi. È una reazione ai meccanismi di comunicazione precedenti che erano stati la risposta alla richiesta di scienza da parte del pubblico nel secondo dopoguerra e in tutti gli anni ’60. Essi avevano originato meccanismi di diffusione della cultura scientifica paternalistici e semplificati, in cui il termine divulgazione assumeva quindi il suo significato di comunicare al “volgo”.

Un esempio classico è White Wilderness, documentario della serie True Life Adventures della Disney. Vincitore del premio Oscar del 1958, esso racconta la fauna selvatica del nord del continente nordamericano. Nel documentario viene mostrata la morte tramite suicidio dei lemmings, annegati dopo essere saltati giù dalle scogliere. Le scene del suicidio, mostra-te nel documentario, sono stamostra-te costruimostra-te dai cineasti al fine di replicare il presunto com-portamento nella vita reale dei lemmings. La Disney ha contribuito a creare la leggenda, perpetuata per generazione, dei periodici e inspiegabili suicidi di massa dei lemmings morti

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lanciandosi dalle scogliere («Did Disney Fake Lemming Deaths for the Nature Documenta-ry “White Wilderness”?»).

La conseguenza ottenuta è che «il pubblico si diverte, ma ben poco gli viene spiegato,fini-sce per sentirsi più distante, piccolo di fronte a misteri troppo grandi, sempre più “volgo” al quale, per paternalistica compassione e interesse di cassa, si divulgano storie annacquate» (Cignoni et al. 2019).

Questa consapevolezza ha aperto la strada a iniziative e programmi finalizzati a promuove-re una maggiopromuove-re attenzione e una migliopromuove-re comppromuove-rensione della scienza da parte del pubblico non specialistico: dalle giornate a porte aperte organizzate ormai da gran parte dei labora-tori e degli istituti di ricerca ai ‘Festival della Scienza’ fino ai corsi di giornalismo scientifi-co. Per l’Italia si possono ricordare l’istituzione nel 1988, da parte del Ministero dell’univer-sità e della ricerca scientifica e tecnologica, del Comitato nazionale per le iniziative di pro-mozione, tutela e valorizzazione della cultura scientifica e la legge n. 113 del 1991 ‘Iniziati-ve per la diffusione della cultura scientifica’ (Legge 28 marzo 1991, n. 113) - successivamen-te aggiornata con la legge n. 6 del 2000 (Legge Regionale della Regione Sicilia 24 febbraio 2000, n. 6). Anche le università oltre alle due missioni fondamentali di formazione e di ri-cerca perseguono una terza missione per la valorizzazione e l'impiego della conoscenza per contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico della società. Tra le molteplici atti-vità che mettono in relazione università e società c’è proprio la comunicazione.

A livello europeo, oltre alle Settimane europee della scienza istituite nel 1993, va ricordata una linea specifica del Quinto programma quadro (1998-2002) dedicata a “stimolare la con-sapevolezza del pubblico nei confronti della scienza” (Raising public awareness of science). Nel Sesto programma quadro la promozione di un miglior dialogo tra scienza e società è in-dicata addirittura tra gli obiettivi prioritari della Commissione europea in materia di ricer-ca. Varie iniziative, a livello nazionale e internazionale, sono state predisposte anche per in-coraggiare gli scienziati alla comunicazione con il pubblico e a fornire loro le competenze necessarie; documenti quali il rapporto del Wolfendale Committee per l’Office of science and technology britannico (1995) hanno addirittura introdotto la raccomandazione che ogni ricercatore finanziato da fondi pubblici dedichi una parte del proprio tempo a illustra-re al pubblico i risultati ottenuti.

Dal punto di vista della ricerca è significativa la nascita, nel 1992, della rivista specialistica

Public understanding of science, la prima interamente dedicata ai vari aspetti

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2.2.2. Public Engagement with Science and Technology

Il PUS si è dimostrato non abbastanza efficae visto che nell’ottobre del 2002 un gruppo di scienziati britannici dichiararono la crisi pubblicando nella rivista Science un articolo dal titolo From PUS to PEST (Dalla Percezione Pubblica della Scienza al Pubblico Impegno in

Scienza e Tecnologia). Questo articolo avrebbe rappresentato una tappa importante nel

di-battito sulla comunicazione pubblica della scienza.

Si denunciava la debolezza del PUS, intesa come quella politica che avrebbe dovuto incenti-vare nel Regno Unito una migliore comunicazione e percezione pubblica della scienza. Da diversi anni si era avvertita l’esigenza di costruire un legame sociale differente e più solido tra mondo scientifico e collettività.

La Public Engagement with Science and Technology si propone come quella politica in gra-do di promuovere un dialogo più paritetico tra i diversi attori che compongono i nuovi gruppi sociali, mettendo in gioco nuove modalità di formalizzazione del sapere scientifico più alla portata del cosiddetto “uomo della strada”. Al di là delle formule e delle scelte ter-minologiche, la sfida dell’“alfabetizzazione scientifica e tecnologica” rappresenta una delle frontiere più significative per definire il nostro rapporto con la cosiddetta “società della co-noscenza.

2.2.3. La storia della scienza

Il cambiamento di dimensione del rapporto con il pubblico non coinvolge solamente la co-municazione della disciplina, ma anche la storia della disciplina. La storia di una scienza è importante perché permette di poter conoscere e affrontare meglio la scienza stessa. Uno scienziato diventa più consapevole della propria conoscenza, più capace di raccontarla in un rapporto più paritetico con il pubblico.

Se per discipline come la storia la letteratura di diffusione fa parte della disciplina stessa, per la scienza per molto tempo si è pensato che fosse esterna ai processi di produzione del sapere e appartenente ai generi di intrattenimento (Govoni 2002, p. 18).

È un problema che si trascina nel sistema di informazione italiano; poiché la domanda di articoli scientifici è ben superiore alla offerta («News vs. Fake nel sistema dell’informazione - Interim report indagine conoscitiva delibera n. 309/16/CONS» 2018), si occupano sempre più spesso della comunicazione scientifica persone poco esperte (o anche influencer) che fi-niscono per rendere il tema una pubblicizzazione di prodotti, come le rubriche di scienza e tecnologia. Per esempio, si trovano articoli sulla familiarizzazione con i motori elettrici che sono in realtà la pubblicità per uno specifico modello, dove viene addirittura rivelato il

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prezzo del prodotto. Allo stesso tempo raccontare bene senza cadere nella troppa semplifi-cazione è difficile.

In pratica abbiamo da una parte l’attendibilità del racconto scientifico, con metodo e preci-sione, che però necessitando di competenze specifiche, fatica a permeare nel pubblico. Dall’altra l’eccessiva semplificazione di giornalisti, non scientifici, che interpolano il loro punto di vista in articoli che molto spesso finiscono per diventare rassegna di “invenzioni”, meglio se “prime”. Nel mezzo ci sono i musei, con la loro missione didattica e scientifica, che però sono divisi fra la necessaria conquista di un pubblico e la corretta narrazione. Per la scienza si avverte lo stesso fenomeno che si avverte nell’arte, cioè le sempre più fre-quenti le mostre temporanee, fatte per il pubblico. Carrozzoni itineranti, da città a città, spesso prive di uno studio scientifico di fondo, costruita su artisti noti con lo scopo di fare numeri. Non interessa la diffusione scientifica, quanto il pubblico pagante. Una critica a queste mostre è uscita su il venerdì di repubblica del 14 settembre 2018. Si tratta di una critica proprio in un periodico dove le mostre “di consumo” hanno ampi spazi di pubblicità.

2.3. La comunicazione dell’informatica e della sua storia

In questo capitolo viene passata in rassegna la nascita della storia dell’informatica come settore disciplinare, sia nel contesto internazionale che in quello italiano. Si passa poi alle associazioni di amatori del retrocomputing, anche loro partecipano al racconto della storia dell’informatica. Infine si fa un collegamento con la

2.3.1. Come settore disciplinare

Un primo passo verso lo studio dell’informatica in una prospettiva storica fu nel 1973, con la Los Alamos Conference sulla storia del calcolo nel Ventesimo secolo, History of Compu-ting in the Twentieth Century organizzata da Nick Metropolis. Il motivo del raduno lo spiega bene Richard Hamming nella sua presentazione con lo slogan «to know what they thought when they did it» (Metropolis, Howlett, e Rota 1980). Gli atti furono disponibili solo sette anni dopo la conferenza e sono ancora oggi una pietra miliare per la storia dell’informatica (Metropolis, Howlett, e Rota 1980). Però, già nel 1971 il libro di Gordon Bell Computer Structures Reading and Examples aveva un’impostazione storica (Bell e Newell 1971).

Un altro fra i momenti considerati fondanti, almeno per il contesto nord americano, fu la conferenza sulla storia dei linguaggi di programmazione, History of Programming

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