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L'immigrazione tra solidarietà, rispetto dei diritti e sicurezza.

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Academic year: 2021

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INDICE

PREMESSA………...p. 5

CAPITOLO 1

DEFINIZIONE DI STRANIERO E CITTADINO

1.1 LA CITTADINANZA ITALIANA……….………...p. 8 1.2 LA NOZIONE DI STRANIERO……...…………...p. 9 1.3 LA DIFFERENZA TRA CITTADINO E STRANIERO NELLA

GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE …….…...…...p. 11

CAPITOLO 2

EVOLUZIONE DELLA POLITICA COMUNITARIA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

2.1 LA COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA: DA SCHENGEN A

MAASTRICHT………..….p. 15 2.2 L’INTEGRAZIONE DELL’ACQUIS DI SCHENGEN NELL’AMBITO

DELL’UNIONE EUROPEA………...p. 17 2.3 SLSG: IL PRESUPPOSTO PRECIPUO PER FAVORIRE LA POLITICA

COMUNITARIA………...p. 19 2.4 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI UE E DEI LORO

FAMILIARI……….p. 20 2.5 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DI STATI

TERZI………..p. 22

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2.5.2 INGRESSO E SOGGIORNO PER BREVI PERIODI………...p. 23 2.5.3 INGRESSO E SOGGIORNO PER PERIODI SUPERIORI AI TRE

MESI………..………...p. 24

CAPITOLO 3

IL PERMESSO DI SOGGIORNO

3.1 IL PERMESSO DI SOGGIORNO IN GENERALE………...p. 30 3.2 L’INFLUENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO………..…….p. 37 3.3 PRESCRIZIONI IMPOSTE DAL REGOLAMENTO (CE) n. 1030 DEL

13 GIUGNO 2002………...p. 38 3.4 D.M. DEL 3 AGOSTO 2004………...p. 41 3.5 CIRCOLARE DEL MINISTERO DELL’INTERNO n. 400 DEL 7 DICEMBRE

2006 ………....p. 42 3.6 IL REGOLAMENTO (CE) n. 380 DEL 18 APRILE 2008………..p. 44 3.7 PERMESSO DI SOGGIORNO ELETTRONICO E PRIVACY………..p. 47

CAPITOLO 4

I DIRITTI SOCIALI E POLITICI DELLO STRANIERO

4.1 I DIRITTI FONDAMENTALI DELLO STRANIERO………..………..……...p. 51 4.2 I DIRITTI SOCIALI DELLO STRANIERO………...…..p. 56

4.2.1 GENERALITA’………...…..…….…..p. 56 4.2.2 IL DIRITTO ALLA SALUTE………...……….…...p. 57 4.2.3 IL DIRITTO ALL’ASSISTENZA SOCIALE…….………..………...p. 59 4.2.4 IL DIRITTO ALL’ABITAZIONE……….………..…………...p. 61

(3)

4.3 I DIRITTI POLITICI………..…….p. 69

CAPITOLO 5

LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE

5.1 L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA ITALIANA IN MATERI DI ASILO………...p. 72

5.2 L’EVOLUZIONE NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI

ASILO……….p. 79 5.3 IL NUOVO REGOLAMENTO “DUBLINO III”

604/2013/UE………...p. 85

CAPITOLO 6

RESPINGIMENTI, RINVII FORZATI E POLITICHE DI NON ARRIVO 6.1 RESPINGIMENTI………...p. 90 6.2 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLO STRANIERO

A FRONTE DEI PROVVEDIMENTI DI RESPINGIMENTO………...p. 94 6.3 RINVII FORZATI E POLITICHE DI NON ARRIVO………...p. 97

CAPITOLO 7

LA DISCIPLINA DELL’ESPULSIONE

7.1 TIPOLOGIE DI ESPULSIONE……….….p. 105 7.1.1 L’ESPULSIONE COME PROVVEDIMENTO DI CARATTERE

AMMINISTRATIVO……….p. 105 7.1.1. A) L’ESPULSIONE DEL MINISTRO DELL’INTERNO……...p. 105 7.1.1. B) L’ESPULSIONE PREFETTIZIA………...p. 106 7.1.2 L’ESPULSIONE DISPOSTA DALL’AUTORITA’

GIUDIZIARIA……….……….….p. 107

7.2 MODALITA’ DI ESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI

ESPULSIONE………..……...p. 107 7.3 EFFETTI DEL PROVVEDIMENTO DI ESPULSIONE………...p. 111 7.4 DIVIETI DI ESPULSIONE EX ART. 19 T.U.I……….……p. 113 7.5 LA TUTELA GIURISDIZIONALE………...p. 115

(4)

7.5.1 EVOLUZIONE STORICA……….….p. 115 7.5.2 PROFILI DI CRITICITA’……….………...…...p. 118

CAPITOLO 8

I REATI IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE DOPO IL PACCHETTO SICUREZZA

8.1 L’INGRESSO IN VIOLAZIONE DELLE DISPOSIZIONI DEL

T.U.I……… ...……….p. 122 8.2 IL REATO DI REINGRESSO SENZA AUTORIZZAZIONE DELLO

STRANIERO NEL TERRITORIO NAZIONALE……….……..p. 125 8.3 IL REATO DI INOTTEMPERANZA ALL’ORDINE DI ALLONTANAMENTO

DAL TERRITORIO DELLO STATO………...p. 128

9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE……….………

p. 133

(5)

PREMESSA

Il tema dell’immigrazione è un poliedrico contenitore con infinite sfaccettature quali la sicurezza sociale, l’occupazione e il mercato del lavoro, il dialogo interreligioso, il multiculturalismo e l’integrazione.

Tutte queste componenti del “puzzle” immigrazione sono centralissime e meritevoli di attenzione e di politiche ad hoc, così come molteplici sono i connessi risvolti costituzionali che esamineremo nel corso della trattazione.

L’approccio al fenomeno migratorio trova quasi tutti d’accordo nella considerazione che esso può trasformarsi in un arricchimento della compagine sociale e nazionale, ormai avviata ad invecchiare sempre di più, e del settore economico, che potrebbe trovare linfa vitale dall’immissione di manodopera produttiva.

Contestualmente non bisogna trascurare l’aspetto della sicurezza, affinchè i flussi migratori avvengano sulla scorta di reali esigenze ed abbiano il crisma della legalità con interventi severi e puntuali contro ogni forma di clandestinità e di attività che possono rappresentare una minaccia per l’ordine e la sicurezza nazionale.

Com’è noto, negli anni e ancor più recentemente, tali flussi sono aumentati e dismisura, determinando, per il governo e per il Paese reale, numerose preoccupazioni, legate per lo più alle rischiose ripercussioni che tale fenomeno può sul presentare sotto vari versanti:

- sul piano sociale, in quanto va ad occupare spazi destinati ai più umili, togliendo quindi potenzialità occupazionali per i cittadini;

- sul piano del terrorismo di natura religiosa, atteso che il flusso migratorio proveniente dai paesi nordafricani rappresenta un potenziale veicolo di nuove istanze religiose, alimentando la già consistente comunità musulmana residente nei paesi dell’UE;

- sul piano della criminalità organizzata, in quanto la prostituzione e il traffico di droga offrono fonte di facile guadagno.

Quanto alle principali cause che alimentano il fenomeno de quo, si può affermare che esse sono essenzialmente riconducibili ai seguenti aspetti: la

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povertà, in continuo aumentare in molti dei paesi del sud del Mediterraneo; i conflitti etnici e religiosi; il progressivo deterioramento delle condizioni ambientali (quali calamità naturali, erosioni dei suoli, desertificazioni); l’imponente crescita demografica che ha generato ulteriori squilibri in quanto non accompagnata da una correlata capacità di crescita del sistema economico e sociale dei paesi africani; l’avvento di nuove tecnologie che ha contribuito ad accrescere la disoccupazione in quei paesi caratterizzati dall’impiego massiccio di lavoratori a basso costo non specializzati.

In questo contesto, il nostro Paese viene a trovarsi in una situazione molto esposta , anche dal punto di vista geografico. Comunque, al di là della posizione strategica dell’Italia, le ragioni di questi movimenti verso il nostro Paese sono da ricercare negli aspetti attrattivi avvenuti soprattutto nei settori produttivi ed economici che hanno comportato una considerevole richiesta di manovalanza straniera tendente a rompere gli spazi occupazionali rifiutati e non copribili dalla popolazione nazionale, sia per il calo demografico sia per il suo invecchiamento che per il rifiuto dei giovani a svolgere lavori umili e comunque non graditi.

Un’altra causa che ha contribuito all’aumento dell’immigrazione in Italia è costituita dalle norme restrittive adottate dagli altri Paesi dell’UE per arginare il dilagare del lavoro nero straniero, anche a causa della recessione economica seguita dal boom dei passati decenni.

L’afflusso di immigrati, ormai imponente, non è stato controbilanciato nel nostro Paese da una corrispondente richiesta di manodopera, talchè molti soggetti si sono adattati a dover vivere di espedienti e a svolgere attività marginali o improvvisate ed igienicamente carenti. Ed è proprio questo bacino di clandestini e di emarginati che è diventato il serbatoio di reclutamento sia per lo sfruttamento lavorativo, sia per la microcriminalità che per la criminalità organizzata.

Come può notarsi, il fenomeno migratorio ha molteplici valenze e non può ricondursi tout court a una mera attività di repressione dello Stato, ma richiede, proprio per i numerosi riflessi sociali, di solidarietà e politici, un’efficace bilanciamento tra attività di sostegno e di supporto per le fasce più deboli

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coniugate ad una ferma ed energica attività di contrasto per tutti coloro che volessero sfruttare tale circostanza per operare nella clandestinità e nella illegalità.

Ed è proprio questo l’obiettivo che si cercherà di centrare con questa analisi, nel rispetto dei principi costituzionali che tutelano i suindicati valori.

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CAPITOLO 1

DEFINIZIONE DI STRANIERO E CITTADINO

1.1 LA CITTADINANZA ITALIANA.

La cittadinanza nel suo significato più ampio e generico, può essere definito come la condizione giuridica di chi fa parte dello Stato; in senso più stretto, invece, con questa accezione si indica “ La condizione giuridica di un gruppo delle persone appartenenti allo Stato, e precisamente di quelle che in esso sono titolari di particolari obblighi.1”

In Italia la cittadinanza si può acquisire: a) automaticamente:

- per nascita.Se si è figli di almeno un cittadino italiano; se si nasce in territorio italiano da genitori ignoti, o apolidi, o stranieri appartenenti a Stati la cui legislazione non preveda la trasmissione della cittadinanza dei genitori al figlio nato all’estero;

- riconoscimento o dichiarazione giudiziale di filiazione. Per riconoscimento di paternità o maternità o a seguito di dichiarazione giudiziaria di filiazione durante la minore età del soggetto;

- per adozione. Diviene cittadino italiano il minore straniero adottato da un cittadino italiano;

b) a domanda:  

- per acquisto volontario. Se discendenti da cittadino italiano per nascita, fino al secondo grado, che abbia perso la cittadinanza, in presenza di determinati requisiti (svolgendo servizio militare nelle forze armate e dichiarando preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana; oppure assumendo pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiarando di voler acquistare la cittadinanza italiana; oppure risiedendo legalmente in Italia due anni al raggiungimento della maggiore

                                                                                                               

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età e dichiarando, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana);  

- per matrimonio. Dopo due anni di convivenza e residenza legale in Italia successivi al matrimonio (tre per i residenti all’estero e ridotti alla metà in presenza di figli);  

- per naturalizzazione (residenza). Se si risiede legalmente in Italia da 10 anni;  

- se   nato   in   territorio   italiano   da   genitori   stranieri.     Risiedendo   legalmente  ed  ininterrottamente  dalla  nascita  fino  al  raggiungimento   della   maggiore   età.   La   dichiarazione   di   volontà   è   resa   all’ufficiale   di   stato  civile.  

La cittadinanza può essere concessa con Decreto del Presidente della Repubblica anche nel caso in cui lo straniero abbia reso eminenti servizi all’Italia, o nel caso in cui intercorra un eccezionale interesse dello Stato.

1.2 LA NOZIONE DI STRANIERO.

La normativa riguardante la situazione giuridica dello straniero è particolarmente articolata, perché può essere studiata sotto svariati profili, quali ad esempio il diritto internazionale, il diritto comunitario e il diritto costituzionale.

Invero, negli ultimi anni, la quantità di fonti normative che definiscono i diversi elementi dello status di cittadino straniero, è aumentata considerevolmente.

In realtà è difficile ricercare elementi comuni quando con il termine straniero vengono considerate varie fattispecie: da colui che non ha alcuna cittadinanza a colui che è cittadino di un Paese di nuova adesione europea, da chi si trova per turismo in Italia a chi ha fatto richiesta di asilo politico.

Inoltre la stessa definizione è soggetta a mutamenti storici che, di volta in volta, ampliano o restringono i gruppi di persone che vengono definite “stranieri”.

Nel Nuovo Digesto italiano del 1940 al paragrafo 10, lo straniero veniva definito colui che:

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- non gode della cittadinanza italiana; - non è un suddito coloniale;

- non è cittadino della Libia;

- non è un cittadino delle Isole Egee; - non è apolide.

La nozione di straniero nella Carta costituzionale del 1948 è presente all’art. 102 che, nel regolarne la condizione giuridica, vi fa menzione, pur senza alcuna indicazione in merito al dato definitorio.

Allo stesso modo, la legge di riforma del diritto internazionale privato3, pur richiamando i concetti di apolide e rifugiato, non definisce cosa si

debba intendere per straniero.

Le norme richiamate danno per presupposto la nozione di straniero, rifuggendo così dal definirla. Ad ogni modo, e nel tentativo di fare chiarezza, pare opportuno sottolineare, che essa non è univoca, dipendendo dal sistema di riferimento rispetto al quale la si intende definire.

In poche parole, per individuare la nozione di straniero si deve, in prima battuta, specificare a quale ordinamento (italiano o comunitario) ci si riferisce, e, in seconda battuta, nell’ambito di quale materia ci si muove. Da quanto detto discende ciò che in dottrina è stato definito come il “processo di

frammentazione della definizione di straniero”.

Pare evidente che il costituente, nel fare riferimento allo straniero, intendesse tutti coloro i quali non fossero italiani, con una definizione per esclusione. Tale nozione è stata superata dalla Convenzione di Schengen del 14                                                                                                                

2  “L'ordinamento   giuridico   italiano   si   conforma   alle   norme   del   diritto   internazionale  

generalmente  riconosciute.  

La  condizione  giuridica  dello  straniero  è  regolata  dalla  legge  in  conformità  delle  norme  e  dei   trattati  internazionali.  

Lo  straniero,  al  quale  sia  impedito  nel  suo  paese  l  ’effettivo  esercizio  delle  libertà  democratiche   garantite  dalla  Costituzione  italiana.   ha  diritto  d'asilo  nel  territorio  della  Repubblica  secondo   le  condizioni  stabilite  dalla  legge.  

Non  è  ammessa  l’estradizione  dello  straniero  per  reali  politici».  

3  L’art.   19,   L.   n.   218/1995,   così   recita:   “Nei   casi   in   cui   le   disposizioni   della   presente   legge  

richiamano  la  legge  nazionale  di  una  persona,  se  questa  è  apolide  o  rifugiata  si  applica  la  legge   dello  Stato  del  domicilio  o,  in  mancanza,  la  legge  dello  Stato  di  residenza.  

Se  la  persona  ha  più  cittadinanze,  si  applica  la  legge  di  quello  tra  gli  Stati  di  appartenenza  con   il   quale   essa   ha   il   collegamento   più   stretto.   Se   tra   le   cittadinanze   vi   è   quella   italiana,   questa   prevale”.  

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giugno 1990, relativa alla eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, che all’art. 1 ha definito lo straniero come colui che “non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità Europee”.

La distinzione tra cittadini comunitari ed extracomunitari è stata poi recepita nel T.U.I.4, il quale qualifica espressamente come stranieri i cittadini extracomunitari e gli apolidi.

In relazione ai cittadini comunitari pare opportuno sottolineare che essi, per un verso, non sono da considerarsi cittadini italiani a tutti gli effetti, in quanto la cittadinanza dell’Unione Europea costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non la sostituisce5, e , per altro verso, ad essi non si

applicano le norme del T.U.I. salvo le eccezioni espressamente previste6.

Si deve, dunque, distinguere due categorie di soggetti stranieri: da una parte i cittadini dell’Unione Europea, che godono di una tutela particolarmente qualificata e tendenzialmente assimilabile a quella riconosciuta agli italiani; dall’altra parte i cittadini extracomunitari, che sono soggetti a maggiori restrizioni relativamente al diritto di ingresso, soggiorno e permanenza sul territorio nazionale.

Riepilogando quanto descritto, possiamo concludere che nel nostro ordinamento, ai fini dell’applicazione dell’istituto dell’espulsione del T.U.I., lo straniero è il cittadino extracomunitario.

1.3 LA DIFFERENZA TRA CITTADINO E STRANIERO

NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE

COSTITUZIONALE.

Come già anticipato, l’art. 10 della Costituzione si limita a stabilire che la condizione giuridica dello straniero “è regolata dalla legge in conformità                                                                                                                

4  L   art.   i,   co.   I,   D.Lgs.   n.   286/1998   cosi   recita:   «Il   presente   testo   unico,   in   attuazione  

dell'articolo   10,   secondo   comma,   della   Costituzione,   si   applica,   salvo   che   sia   diversamente   disposto,   ai   cittadini   di   Stati   non   appartenenti   all'Unione   europea   e   agli   apolidi,   di   seguito   indicati  come  stranieri».  

5  L’art.  17,  co.  1,  Trattato  CE  afferma  che  «È  istituita  una  cittadinanza  dell’Unione.  E’  cittadino  

dell’Unione  chiunque  abbia  la  cittadinanza  di  uno  Stato  membro.  La  cittadinanza  dell'Unione   costituisce  un  complemento  della  cittadinanza  nazionale  e  non  sostituisce  quest’ultima».  

6  L'art.   1,   co.   1,   D.Lgs.   n.   286/1998   cosi   recita:   «Il   presente   testo   unico   non   si   applica   ai  

cittadini   degli   Stati   membri   dell'Unione   europea,   salvo   quanto   previsto   dalle   norme   di   attuazione  dell’ordinamento  comunitario».  

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delle norme e dei trattati internazionali”; previsione cui fa seguito il duplice riconoscimento del diritto di asilo – allorchè nel Paese di origine gli sia impedito “l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”- e del divieto di estradizione per reati politici.

E’ stato, invece, necessario attendere la modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione per vedere comparire un riferimento esplicito all’immigrazione, inclusa tra le materie oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera b.

Nondimeno, già in passato la Corte Costituzionale era stata chiamata ad intervenire, più volte, sulla legislazione che disciplinava la presenza, sul territorio italiano, di cittadini di altre nazioni o di apolidi.

Nella giurisprudenza al riguardo formatasi, l’angolo visuale consueto consisteva nel considerare la disciplina dell’immigrazione come orientata essenzialmente alla salvaguardia di esigenze di ordine pubblico, sul presupposto che lo Stato non potesse “abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le

proprie frontiere” (sentenza n. 353/1997).

In particolare, valorizzando la “differenza basilare, esistente in linea

di fatto tra il cittadino e lo straniero”, differenza ravvisata “nella circostanza che mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e temporaneo” (cosi già la sentenza n.

104 del 1969), la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la “diversa

posizione dello straniero” può comportare il suo assoggettamento, in via di

principio, a discipline legislative e amministrative ad hoc (sentenza n. 62 del 1994). Discipline, entrambe, ritenute espressione di quell’ampia discrezionalità che spetta in tale materia alla pubblica autorità e la cui ragion d'essere è stata ravvisata nel fatto che “la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello

straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici”, tra i quali la Corte ha ritenuto di menzionare principalmente “la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione” (sentenza n. 62

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A questa prospettiva tradizionale (che resta tuttavia un punto di riferimento fondamentale), si è venuto affiancando - in coincidenza con l’intensificazione dei flussi migratori che hanno interessato non solo il nostro Paese, ma l’intero continente europeo e, di riflesso, con l’emergere dei problemi posti dall’evoluzione in senso multietnico anche della società italiana – un nuovo modo di intendere pure da parte della giurisprudenza costituzionale, i fenomeni connessi all’immigrazione.

Emblematica, al riguardo, è la pronuncia (n. 300 del 2005) con cui la Corte ha affermato che in materia di immigrazione l’intervento pubblico non può limitarsi “al doveroso controllo dell'ingresso e soggiorno degli stranieri sul

territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall'assistenza all'istruzione, dalla salute all'abitazione”, con conseguente necessità, pertanto, di

un concorso del legislatore statale e di quelli regionali.

Alla luce di tali rinnovate premesse non può ritenersi, dunque, casuale che la giurisprudenza costituzionale abbia posto l'accento sulla necessità di evitare irrazionali distinzioni fra le posizioni del cittadino e dello straniero anche in altri ambiti, oltre quello - il godimento dei diritti inviolabili dell'uomo - nel quale, da sempre, era stata esclusa la legittimità di ogni discriminazione.

Da un lato, infatti, si è sottolineato che “le ragioni della solidarietà

umana non sono di per sé in contrasto con le regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un'adeguata accoglienza ed integrazione degli stranieri (ordinanza n. 444 del 2006). Per altro verso, si è

affermato che, dettate dal legislatore "norme, non palesemente irragionevoli, che

regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia'', resta inteso che,

“una volta che il diritto a soggiornare non sia in discussione, non si possono

discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona" (sentenza n. 306 del

2008).

Si collocano, pertanto, in questa prospettiva quelle decisioni -richiamandone solo alcune - che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle norme che, rispettivamente, stabilivano una preclusione assoluta all'accesso alle misure alternative alla detenzione per lo straniero extracomunitario, entrato

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illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno (sentenza n. 78 del 2007), ovvero configuravano alla stregua di una circostanza aggravante comune l'essere stata qualsiasi fattispecie criminosa commessa da soggetto trovantesi illegalmente nel territorio dello Stato (sentenza n. 249 del 2010), o, ancora, che imponevano allo straniero, che intendesse contrarre matrimonio nella Repubblica, di presentare all'ufficiale dello stato civile un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano (sentenza n. 245 del 2011), o, infine, per venire ad una recente decisione, che impedivano la cosiddetta “emersione dal nero” dei lavoratori domestici che fossero stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per uno dei reati previsti dall'art. 381 del codice di procedura penale (sentenza n. 172 del 2012).

Quale potrà essere, invece, l’approdo ulteriore di questo percorso che ha portato, sin qui, ad un arricchimento del complessivo status dello straniero, nessuno oggi è in grado, ovviamente, di prevedere.

Tuttavia, approfondimenti dottrinari ed un’efficace andamento giurisprudenziale possono costituire un’utile occasione per sviluppare una riflessione in grado di orientare gli operatori del diritto - ed auspicabilmente gli stessi interventi del legislatore - nella individuazione degli strumenti più idonei ad assicurare una sempre maggiore integrazione degli stranieri nel tessuto civile, prima ancora che ordinamentale, della società italiana.

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CAPITOLO 2

EVOLUZIONE DELLA POLITICA COMUNITARIA IN

MATERIA DI IMMIGRAZIONE

2.1 LA COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA: DA

SCHENGEN A MAASTRICHT.

Per un lungo periodo l’immigrazione non è stata considerata una materia propria della realtà comunitaria, preoccupata per la realizzazione di una serie di obiettivi economici fissati nei trattati istitutivi.

L’evoluzione normativa comunitaria in materia d’immigrazione è stata inizialmente promossa in un contesto limitato ed esterno ai trattati comunitari, in considerazione anche del fatto che la popolazione straniera è soggetta ad un processo di trasformazione continuo e costante. Solo le norme sulla libera circolazione dei lavoratori e la rimozione delle restrizioni al trasferimento hanno avuto una influenza riflessa soprattutto dal punto di vista familiare, dal momento che, come vedremo, pur essendo i cittadini dell’U.E. i beneficiari di tale legislazione, il suo ambito di applicazione soggettivo si estende con la stessa

intensità ai familiari dei comunitari, anche se questi non hanno la loro nazionalità. Il precedente di questa politica comune europea è costituito dalla decisione della

Commissione Europea datata 8 luglio 19857 che, benché fallita, rappresenta in ogni caso il primo serio tentativo di comunitarizzazione della politica d’immigrazione sulla base di tre obiettivi fondamentali:

1) il coordinamento in materia d’informazione reciproca sui problemi dell’immigrazione degli Stati membri;

2) l’assicurazione che i progetti in materia di immigrazione rispettino le norme comunitarie;

3) l’esame degli atti comunitari o statali volti ad armonizzare le legislazioni nazionali in materia di stranieri.

                                                                                                               

7  Su  questo  punto  vedasi  MANCINI,    Politica  comunitaria  e  nazionale  delle  migrazioni  nella  

(16)

La decisione tentava di avviare (attraverso il precedente art. 118) una procedura preliminare di conciliazione, con l’intento di evitare che i progetti degli Stati membri in materia di politica migratoria risultassero in chiaro contrasto. La sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 luglio 1987 decretò la fine di qualsiasi aspirazione dell’U.E. di avere una politica comune europea, circoscrivendo la decisione della Commissione solo alle materie propriamente comunitarie come l’occupazione e le condizioni di lavoro in quanto l’U.E. non disponeva ancora di competenze in materia d’immigrazione8.

Fallito il tentativo, la politica d’immigrazione europea dei Paesi comunitari è passata attraverso il quadro della cooperazione politica e intergovernativa nell’ambito degli Accordi di Schengen, firmati il 14 giugno 1985 da Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. L'accordo iniziale è stato completato dalla Convenzione di applicazione del 19 giugno 1990. Tuttavia, l’effettiva attuazione dei due accordi e, quindi, il c.d. “Sistema Schengen”, è stata ritardata fino al 26 marzo 1995, periodo nel quale sono andati gradualmente aggiungendosi la maggior parte degli Stati membri, fino a quando, a seguito della riforma operata con il Trattato di Amsterdam nel 1997, questi strumenti giuridici internazionali sono stati incorporati nella struttura dell’Unione.

E' interessante notare come i vincoli alla capacità dell’U.E. di sviluppare un quadro giuridico comune in relazione alla gestione dei flussi migratori derivano, da un lato, dal particolare interesse che in generale presenta questa materia per gli Stati membri e, dall’altro, dalle diverse situazioni in cui essi si trovano con riferimento al fenomeno migratorio.

Il primo di tali fattori ha prodotto un notevole ritardo nell’attribuzione di competenze all’U.E. da parte dei singoli Stati; un trasferimento competenziale, tuttavia, molto circoscritto e accompagnato da garanzie che consentano di mantenere un livello di controllo sul loro esercizio.

                                                                                                               

8  Su  questa  sentenza  si  veda  TRAVERSA,  Il  coordinamento  delle  politiche  migratorie  nazionali  

nei  confronti  degli  stranieri  extracomunitari  ,  in  Rivista  di  Diritto  Europeo,  1988,  p.  17.  

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Solo dopo la fine degli anni novanta, con l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, la Comunità vantava per la prima volta competenze ad adottare misure e a sviluppare azioni concrete in materia d’immigrazione9.

2.2 L’INTEGRAZIONE DELL’ACQUIS DI SCHENGEN

NELL’AMBITO DELL’UNIONE EUROPEA.

Uno degli aspetti più importanti del Trattato di Amsterdam è stato il trasferimento al pilastro comunitario delle questioni relative all’immigrazione, attraverso l’inclusione di un nuovo Titolo IV, rubricato: “Visti, asilo,

immigrazione e altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone ",

al fine di promuovere la progressiva istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Questa svolta ha rappresentato un salto qualitativo importante, dal momento che materie finora oggetto di cooperazione per la loro appartenenza al terzo pilastro vengono incorporate, per la prima volta, al pilastro comunitario, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

Dal punto di vista giuridico e tenendo conto della precedente situazione, la comunitarizzazione di queste aree deve essere considerata positivamente. Ora è possibile adottare norme di diritto derivato in tale materia (regolamenti, direttive e decisioni) in grado di assicurare una maggiore armonizzazione tra le legislazioni degli Stati membri, trattandosi di strumenti giuridici vincolanti, direttamente applicabili negli Stati stessi, dato il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale. Inoltre, nel momento in cui le norme sull’immigrazione vengono rimesse a procedure comunitarie, l'elaborazione e l’adozione di decisioni acquista maggiore trasparenza: ciò ne favorisce il controllo                                                                                                                

9  In   precedenza   il   trattato   di   Maastricht   si   era   limitato   a   stabilire   nell’alveo   del   “Terzo  

pilastro”   dell’Unione   un   sistema   di   cooperazione   intergovernativa   che,   insieme   ad   altre  

diverse  questioni,  riguardava  anche  tale  materia,  ma  che  si  mostrò,  tuttavia,  assolutamente   inefficace   nella   pratica.   Infatti,   i   progressi   realizzati   in   tale   contesto   si   devono   all’applicazione  del  “Sistema  Schengen”  e  non  del  Trattato  dell’Unione  europea.  D’altra  parte   questa   attribuzione   di   competenza   non   era   stata   concepita   con   l’intenzione   di   consentire   all’U.E.  di  affrontare  tout  court  il  fenomeno  dell’immigrazione,  responsabilità  che  continua  a   ricadere   sui   governi   nazionali,   ma   con   l’obiettivo   più   modesto   che   potesse   dar   risposta   ad   alcuni   problemi   concreti,   legati,   fondamentalmente,   alla   rimozione   dei   controlli   fisici   alla   circolazione  delle  persone  all’interno  della  Comunità.  

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e il monitoraggio da parte della società civile. Gli Stati membri, quindi, cessano di essere i protagonisti nella definizione delle misure da adottare, sostituiti dalle istituzioni comunitarie la cui partecipazione legittima l’attività della Comunità in materia d’immigrazione. In un ambito così sensibile per i diritti umani e le libertà fondamentali, è necessario sottolineare il ruolo attribuito alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, che esercita un controllo giurisdizionale nell’attuazione e nell'interpretazione uniforme delle norme vigenti. Trattandosi di un ambito competenziale condiviso da ciascun Stato e dalla Comunità, spetta al principio di sussidiarietà individuare le situazioni in cui la Comunità può intervenire.

Negli altri ambiti previsti dal Trattato (artt. 62 e 63 TCE), l’intervento comunitario tende essenzialmente a coordinare e sostenere le capacità nazionali, o a stabilire un insieme di contenuti minimi che devono essere rispettati dalle leggi degli Stati membri in un determinato ambito10.

Per quanto riguarda il controllo delle frontiere esterne, la responsabilità di base rimane degli Stati membri, che liberamente affidano la realizzazione di tali funzioni alle autorità di loro scelta. Il coordinamento tra di esse è determinato da una serie di obblighi derivanti dall’applicazione dell’Accordo di Schengen, precisate nel “Codice frontiere Schengen”. Quest’ultimo trova applicazione operativa nel “Manuale pratico per le guardie di

frontiera”, documento comune ad uso delle Autorità competenti degli Stati

membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone11.                                                                                                                

10    In  tal  senso  è  orientata,  ad  esempio,  la  c.d.  “Politica  europea  di  asilo”,  con  la  quale,  in  realtà,  

si  è  voluto  affrontare  il  fenomeno  dei  “rifugiati  in  orbita”  che  presentano  diverse  domande  di   asilo  in  diversi  Stati  dell’U.E.,  fenomeno  noto  anche  come  “asylum  shopping”.  A  tal  fine,  è  stata   adottata   nel   1990,   la   Convenzione   di   Dublino   sulla   determinazione   dello   Stato   competente   all’esame   di   una   domanda   di   asilo   presentata   in   uno   degli   Stati   membri   delle   Comunità   europee,  sostituita  nel  2003  da  un  regolamento  comunitario  relativo  alla  stessa  questione.  

11  Raccomandazione   della   Commissione   del   6   novembre   2006   che   istituisce   un   “Manuale  

pratico   per   le   guardie   di   frontiera''   (Manuale   Schengen)   comune,   ad   uso   delle   autorità  

competenti  degli  Stati  membri  per  lo  svolgimento  del  controllo  di  frontiera  sulle  persone.  In   particolare   ci   si   riferisce   alla   parte   2   sez.   1   par.   3.1   che   fissa   le   norme   particolari   per   le   verifiche   da   effettuare   su   alcune   categorie   di   persone   e,   in   particolare,   dei   beneficiari   del   diritto  comunitario  alla  libera  circolazione;  si  veda  poi  la  parte  2  sez.  1  par.  6.3    relativo  alle   motivazioni   legittimanti   il   respingimento   delle   persone   che   beneficiano   del   diritto   comunitario   alla   libera   circolazione;   e   ancora   la   parte   2   sez.   1   par.   6.8     che   stabilisce   gli   adempimenti   che   la   guardia   di   frontiera   deve   porre   in   essere   in   caso   di   respingimento   dei   beneficiari  del  diritto  comunitario  alla  libera  circolazione.  

Inoltre   al   punto   6   della   parte   2   sez.   1   si   elencano   i   presupposti   di   carattere   operativo   correlati   all’adozione   di   un   provvedimento   di   respingimento   alla   frontiera   esterna   di   un   cittadino  di  un  Paese  terzo  da  parte  delle  guardie  di  frontiera.  

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2.3 SLSG: IL PRESUPPOSTO PRECIPUO PER FAVORIRE

LA POLITICA COMUNITARIA.

A seguito dello sviluppo del terzo Pilastro introdotto dal Trattato sull’Unione Europea del 1992 (Trattato di Maastricht, Giustizia e Affari Interni), istituzionalizzato sin dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (1997) e dal Consiglio europeo di Tampère, svoltosi nell’ottobre 1999, lo sviluppo di uno Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia (SLSG) è stato l’obiettivo chiave dell’Unione Europea.

Si può dire che non vi siano altri aspetti dell’integrazione europea che rivelano un’ambizione politica e costituzionale maggiore. Lo SLSG considera, in modo contestuale, i cittadini europei sia come il nucleo e la fonte di legittimazione dell’azione sviluppata da tale spazio, sia come soggetti della integrazione europea; lo stesso prevede una cornice di diritti che implementa ed arricchisce coloro i quali già godono del possesso di una cittadinanza di uno Stato membro. Da ciò si evince il chiaro messaggio secondo cui, se il mercato interno, se la moneta unica erano indispensabili per costruire un’Europa politica, tutto questo sarebbe stato conseguito attraverso i diritti, le libertà e la cittadinanza.

Emerge inoltre l’intento di assicurare ai cittadini la presenza di uno spazio geografico e giuridico in cui la libertà, la sicurezza e la giustizia siano garantite con un’azione comune, in un mondo in cui le minacce sono in corso e nuove sfide stanno assumendo connotati sempre più mutevoli e meno prevedibili.

Nel disegno dell’U.E., le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo politico e all’immigrazione rientrano nella nozione generale dello “Spazio” che si può definire come l’ambito e il luogo dove l’U.E. intende assicurare i valori della libertà, della sicurezza e della giustizia ai cittadini comunitari per lottare più efficacemente contro le forme gravi di criminalità. Questi valori che sembrano essere collocati su piani distinti si intersecano nelle situazioni concrete, non escludendosi a vicenda e senza dar luogo a evidenti contraddizioni.

Il concetto di libertà ha un significato che va oltre la libera circolazione delle persone attraverso le frontiere interne e comprende la libertà di

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vivere in un contesto di legalità, dove le autorità pubbliche utilizzano tutti i mezzi in loro potere, a livello nazionale o a livello dell’Unione, per combattere e limitare l’azione di chi cerca di negare tale libertà o di abusarne.

2.4 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI

CITTADINI UE E DEI LORO FAMILIARI.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, è da premettere che la Corte di Giustizia e le istituzioni politiche dell’UE hanno sempre definito la libertà di circolazione delle persone come una “libertà fondamentale” nel contesto dell’ordinamento giuridico sovranazionale.

In particolare l’art. 21 del TFUE prevede che i cittadini degli Stati membri hanno il diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri, subordinatamente alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

La Corte di Giustizia, come sua giurisprudenza costante, ha affermato che le eccezioni alla libertà di circolazione devono essere interpretate restrittivamente, specialmente dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, atteso che l’art. 21 TFUE deve essere considerato idoneo ad attribuire un diritto soggettivo ai singoli12.

Continuando nell’analisi di tale normativa, viene in rilievo l’art. 45 TFUE par. 1 dove si afferma che “la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione è assicurata”. Va de plano che tale configurazione comporta una forte limitazione per la sovranità degli Stati in quanto i singoli cittadini appartenenti ad uno degli Stati membri possono vantare un vero e proprio diritto di ingresso e di soggiorno, ancorchè con alcune deroghe previste dallo stesso art. 45.

Tale linea normativa sembra essere adattabile anche ai lavoratori indipendenti (artigiani, liberi professionisti, imprenditori) in forza della direttiva

                                                                                                               

12  CGCE,   17.9.2002.   causa   C-­‐413/99,   Baumbast   e   R.   c.   Secretar   of   State   for   the   Home  

Department.  §§  81-­‐86;  29.4.2004,  cause  riunite  C-­‐482/01  e  C-­‐493/01.  Orfanopoutos  e  Olivieri   c.  Land  Baden-­‐  Wiirttemberg,  §  65;  23.3.2006,  causa  C-­‐408/03,  Commissione  c.  Belgio,  §§  34-­‐

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73/14813 , che ha soppresso le restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi.

Di particolare interesse è poi la direttiva 2004/3814 che costituisce un vero e proprio testo unico della materia della circolazione e del soggiorno dei cittadini dell’UE e dei loro familiari.

Tale direttiva è particolarmente rivolta ai familiari dei cittadini UE ai fini di un loro ricongiungimento, prescindendo dalla loro cittadinanza, che potrà quindi essere anche di Stati non membri dell’UE.

L’art. 2.2 della direttiva individua la definizione di familiare comprendendovi il coniuge, il partner che abbia contratto con il cittadino un’unione registrata equiparata al matrimonio, i figli di età inferiore a 21 anni o a carico del cittadino o del coniuge o del partner, gli ascendenti a carico e quelli del coniuge o del partner.

L’ammissione su un territorio di un altro Stato costituisce un vero e proprio diritto soggettivo di soggiornare fino a 3 mesi (c.d. soggiorno breve). Il cittadino deve essere comunque in possesso di una carta di identità o di un passaporto valido15.

Naturalmente il diritto UE riconosce anche il diritto di soggiorno per periodi superiori a 3 mesi, semprechè il soggetto rientri in una delle quattro situazioni previste dall’art. 6 par. 1:

A) la prima ipotesi riguarda i cittadini che siano lavoratori, subordinati o indipendenti, per i quali è sufficiente la titolarità di un contratto di lavoro o la dimostrazione dell’avvio di un’attività indipendente per godere del diritto di soggiorno;

                                                                                                               

13  Direttiva  n.  73/148  del  Consiglio,  del  21.5.1973,  relativa  alla  soppressione  delle  restrizioni  

al  trasferimento  e  al  soggiorno  dei  cittadini  degli  Stati  membri  all’interno  della  Comunità  in   materia  di  stabilimento  e  di  prestazione  di  servizi.  

14  Direttiva  n.  2004/38  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  del  29  aprile  2004,  relativa  al  

diritto  dei  cittadini  dell’Unione  e  dei  loro  familiari  di  circolare  e  di  soggiornare  liberamente   nel   territorio   degli   Stati   membri   e   che   modifica   il   regolamento   1612/1968   ed   abroga   le   direttive   64/221,   68/360,   72/194.73/148.   75/34,   75/35,   90/364,   90/365,   93/96   (la   versione  italiana  rettificata  è  in  GUUE  L  229  del  19.6.2004).  

15  L’unico   elemento   che   può   incidere   negativamente   sulla   costanza   del   diritto   di   soggiorno  

breve   è   rappresentato   dall’eventualità   in   cui   il   soggetto   diventi   un   onere   eccessivo   per   il   sistema   di   assistenza   sociale   dello   Stato   ospite,   che   potrà   in   tal   caso   adottare   un   provvedimento  di  allontanamento.  

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B) la seconda categoria riguarda i cittadini che, pur non lavorando dispongano di risorse economiche sufficienti per non essere un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato e, inoltre, siano in possesso di una assicurazione per malattia;

C) la terza categoria riguarda chi si è iscritto presso un istituto per lo svolgimento di un corso di studi o di formazione professionale e disponga, per sé e per i familiari, di risorse economiche sufficienti per non essere un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato;

D) la quarta categoria riguarda i familiari del cittadino UE, e in tal caso gli unici requisiti richiesti riguardano il possesso di risorse economiche adeguate da parte del familiare principale e la copertura sanitaria.

Il diritto di soggiorno per il cittadino può avere anche carattere permanente: lo si ottiene dopo aver soggiornato legalmente ed in modo continuativo per almeno 5 anni nello Stato membro ospitante. Analoga previsione riguarda i familiari che non siano cittadini, con l’unica differenza che, in tal caso, il documento assume il nome di “carta di soggiorno permanente”, ed è rinnovabile di diritto ogni 10 anni.

2.5 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI

CITTADINI DI STATI TERZI.

2.5.1 PREMESSA.

Alla luce delle innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona, con la procedura legislativa ordinaria le istituzioni UE possono adottare misure concernenti: una politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata; l’abolizione dei controlli alle frontiere interne, i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne e la definizione di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; le condizioni alle quali i cittadini di Paesi terzi possono circolare liberamente nell’UE per un breve periodo; le condizioni di ingresso e soggiorno, le procedure di rilascio di visti e titoli di soggiorno di lunga durata (compresi quelli per ricongiungimento familiare); la definizione dei diritti di cittadini di Stati terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la

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libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri; incentivi e sostegno agli Stati membri al fine di favorire l’integrazione di detti cittadini (ad esclusione dell’armonizzazione delle normative statali).

Volendo tradurre in termini più immediatamente comprensibili quanto ora elencato, “l’UE ha in teoria la competenza concorrente a definire i requisiti per l’ingresso e il soggiorno di qualsiasi cittadino di Stato terzo, a cominciare dai visti, passando per le procedure in frontiera, per arrivare al soggiorno breve e a quello di lunga durata, fino a includere persino i profili di circolazione e soggiorno (anche di lunga durata) nell’UE. Praticamente, le uniche questioni che non sono oggetto di un’astratta competenza UE appaiono essere quelle relative all’attribuzione della cittadinanza, al riconoscimento dei diritti elettorali e alla determinazione dei volumi di ingresso per ricerca di lavoro16.

2.5.2 INGRESSO E SOGGIORNO PER BREVI PERIODI.

Per quanto concerne il soggiorno breve, l’art. 5 par. 1 codice frontiere stabilisce che il cittadino di Stato terzo che intenda soggiornare per un periodo non superiore a 3 mesi, deve attenersi alle seguenti condizioni di ingresso: 1) essere in possesso di uno o più documenti di viaggio validi che consentano di attraversare la frontiera (es., un passaporto in corso di validità o altri documenti di viaggio internazionalmente riconosciuti); 2) essere in possesso di un visto valido, se richiesto a norma della relativa normativa; 3) giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel Paese di origine o per il transito verso un Paese terzo nel quale l'ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi; 4) non essere segnalato nel Sistema Informativo Schengen (c.d. SIS) ai fini della non ammissione; 5) non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi.

                                                                                                               

16  CALAMIA,  DI  FILIPPO,  GESTRI,  Immigrazione,  Diritto  e  Diritti:  profili  internazionalistici  ed  

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Una volta soddisfatti detti requisiti, allo Stato membro di ingresso non rimane altro margine di discrezionalità per rifiutare l’ingresso.

Come può notarsi, qualche perplessità interpretativa riguarda il quarto e il quinto requisito, entrambi riconducibili a una visione piuttosto ampia del concetto di pericolosità sociale del soggetto. Infatti “gli aspetti critici della disciplina consistono nell’ampia formulazione dei motivi che giustificano l’immissione di una segnalazione ai fini della non ammissione, nell’assenza di disposizioni comuni circa lo svolgimento del procedimento che porta un’autorità statale a disporre la segnalazione (in particolare, informazioni all’interessato prima o dopo l’adozione del provvedimento, possibilità di essere ascoltato), nella pressoché esclusiva competenza dello Stato che immette la segnalazione e nella correlata limitata possibilità degli altri Stati di disconoscere effetti ad essa, nell’impostazione stessa della CAAS che privilegia i rimedi a posteriori, quando ormai il pregiudizio per il singolo potrebbe già essersi verificato”17.

2.5.3 INGRESSO E SOGGIORNO PER PERIODI SUPERIORI AI TRE MESI.

La normativa UE sinora esaminata riguarda i visti di corta durata (fino a 3 mesi). I visti di lunga durata sono rimasti di competenza nazionale fino all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, che ha previsto una competenza per le istituzioni europee con riguardo alle sole procedure per il rilascio di detti visti (ma non sui requisiti per la loro concessione). Successivamente, il Trattato di Lisbona ha previsto più in generale che l’UE possa adottare norme sul rilascio di visti di lunga durata: la materia potrebbe pertanto conoscere significativi sviluppi nei prossimi anni.

Invero, l’art. 79 TFUE stabilisce al par. 1 che l’UE “sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori...”, e al par. 2 che possono essere adottate misure relative alle “condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare".

                                                                                                               

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Come è dato notare, il TFUE non contempla il riconoscimento di un diritto di ingresso e soggiorno negli Stati membri: “piuttosto, contiene disposizioni programmatiche, che richiedono l’adozione di specifici atti, non necessariamente ispirati al riconoscimento di diritti individuali “forti” in tema di ingresso e soggiorno. Solo i soggetti interessati da questi atti potranno allora invocare il diritto UE per vantare un diritto di soggiorno o altri diritti e garanzie, laddove ricavabili dagli atti medesimi. La differenza con le norme primarie dedicate alla libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini UE è lampante"18.

Si deve poi osservare che l’UE ha disciplinato talune tipologie di soggiorno di lungo periodo, senza però sviluppare una normativa organica in proposito. In particolare, sono stati trattati i seguenti temi: il ricongiungimento familiare; il soggiorno per motivi di studio; il soggiorno di ricercatori; il soggiorno di lavoratori altamente qualificati nell’ambito di una relazione lavorativa subordinata già avviata.

In ordine al ricongiungimento familiare, la direttiva 2003/86 individua i beneficiari nel coniuge e nei figli minorenni19 , con un evidente trattamento in peius rispetto alla mobilità del nucleo familiare del cittadino UE . Tale direttiva è molto chiara nel delineare un diritto soggettivo al ricongiungimento, talchè, quando le condizioni previste dalla direttiva e disciplinate più puntualmente dalla normativa statale di attuazione sono soddisfatte, lo Stato membro non detiene ulteriore margine di discrezionalità per negare il ricongiungimento, né può modificare la propria normativa per ridurre il livello di tutela minimo riconosciuto dalla direttiva stessa20.

Per quanto concerne il soggiorno per motivi di studio, la direttiva 2004/114 riguarda proprio l’ingresso e il soggiorno per motivi di studio (livello universitario o post universitario, incluso il dottorato), lo scambio di alunni                                                                                                                

18  CALAMIA,  DI  FILIPPO,  GESTRI,  op.  cit.,  p.  211.  

19    I  figli  minorenni  non  devono  essere  sposati;  inoltre,  gli  Stati  membri  possono  subordinare  

il   ricongiungimento   dei   figli   di   età   superiore   ai   12   anni   al   soddisfacimento   di   requisiti   di   integrazione.  Per  i  genitori,  i  partner  non  sposati  e  i  figli  maggiorenni,  la  direttiva  si  limita  a   stabilire   che   gli   Stati   possono   prevedere   la   possibilità   di   ricongiungimento,   senza   pertanto   imporre  un  chiaro  obbligo  in  tal  senso.  

20  In   tal   senso,   cfr.   per   esempio   CGCE,   27   giugno   2006,   causa   C-­‐540/03,   Parlamento   c.  

Consiglio,   §   60;   CGUE,   4.3.2010,   causa   C-­‐578/08,   Chakroun,   §§   41-­‐44   e   59-­‐66   (ove   si  

sottolinea  come  il  requisito  della  dimostrazione  di  possedere  risorse  stabili  e  regolari  deve   essere  interpretato  restrittivamente).  

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(istruzione secondaria) il volontariato e il tirocinio non retribuito. Gli studenti devono essere in possesso di svariati requisiti contemplati negli artt. 6-7. Pur se gli Stati membri possono conformare tali requisiti con un certo margine di discrezionalità, non si può fare a meno di notare che l’impianto generale della direttiva sembra far propendere per l'idea secondo cui, una volta soddisfatte dette condizioni, l’interessato maturi il diritto all’ingresso e al soggiorno.

Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi della direttiva ha validità di almeno un anno, ed è rinnovabile se le condizioni sono soddisfatte anche per il periodo successivo e sempre che il soggetto prosegua con il profitto minimo richiesto dalla legislazione statale.

Infine, in linea con la strategia di Lisbona, sono state adottate due direttive finalizzate ad attrarre risorse umane di elevata qualificazione nell’UE. Nel 2005 è stata adottata una direttiva destinata a una tipologia specifica di migranti (la direttiva 2005/71 sui ricercatori), mentre nel 2009 ha visto la luce la direttiva 2009/50, destinata all’intera categoria dei lavoratori altamente qualificati21. Entrambe sono caratterizzate dall’introduzione di un percorso facilitato per attirare risorse umane qualificate, dalla previsione espressa di norme sul ricongiungimento familiare, dal riconoscimento agevolato di una libertà di spostamento e soggiorno in altri Stati membri.

Per quanto riguarda la direttiva 2005/71, ai sensi dell’art. 2, con ricercatore si intende un cittadino di Paese terzo in possesso di un titolo di studi superiori idoneo a consentire l’accesso a programmi di dottorato, il quale è selezionato da un istituto di ricerca per svolgere un progetto di ricerca che richiede il suddetto titolo. Un ruolo chiave è svolto dall’istituto di ricerca ospite, che deve ottenere un accreditamento da parte delle autorità nazionali (art.5 direttiva) e successivamente stipulare con il ricercatore straniero una convenzione di accoglienza (art. 6 direttiva).

Una volta accertati i requisiti descritti, lo Stato deve ammettere sul suo territorio il ricercatore o rinnovargli il permesso di soggiorno.

                                                                                                               

21  Direttiva  n.  2009/50  del  Consiglio,  del  25  maggio  2009,  sulle  condizioni  di  ingresso  e  

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La direttiva 2009/50 sui lavoratori altamente qualificati è incentrata sul rilascio a detti soggetti della c.d. Carta blu UE . Dopo diciotto mesi di residenza, il cittadino di Stato terzo ha diritto di accedere al mercato del lavoro di altri Stati membri e di risiedervi, seguito eventualmente dai familiari.

La Carta blu non attribuisce diritti di immediata applicazione e non autorizza gli ingressi alla ricerca di lavoro, esigendo che l’interessato produca un contratto di lavoro o un’offerta vincolante al momento della richiesta della Carta stessa. Inoltre, gli Stati membri non solo procedono a una verifica della sussistenza di alcuni requisiti oggettivi e soggettivi, ma possono subordinare la decisione positiva alla verifica che i posti vacanti non possano essere coperti da forza di lavoro nazionale o comunitaria, o da altri cittadini di Stati terzi già presenti sul territorio nazionale (in quanto titolari di un permesso di soggiorno) o comunitario (in qualità di soggiornanti di lungo periodo). Gli Stati membri possono altresì determinare quote di ammissione di cittadini di Stati terzi per determinati impieghi altamente qualificati e, infine, possono rifiutare una domanda per considerazioni etiche collegate alla prevenzione del brain drain dai Paesi terzi di origine o perché il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni in virtù della legge nazionale, a causa di lavoro non dichiarato e/o occupazione illegale.

Dall’ampia discrezionalità valutativa rimessa allo Stato ospite, si può notare come la presenza di una disoccupazione significativa possa incidere negativamente sull’aspettativa del cittadino di Stato terzo che voglia fare ingresso nel mercato del lavoro dell’UE e del datore che lo voglia assumere alle proprie dipendenze.

E’ infine da analizzare la direttiva 2003/109 sui c.d. residenti di lungo periodo, che si occupa della condizione giuridica di un soggetto residente (in maniera continuativa e regolare) da almeno cinque anni in uno Stato membro, definendo una tutela giuridica articolata in due parti: 1) uno status (auspicabilmente) più certo nei confronti dello Stato ospite; 2) la libertà di soggiorno in altri Stati membri per periodi superiori a tre mesi, a condizioni agevolate rispetto ad altri cittadini di Stati terzi. Dunque, la direttiva si disinteressa dei meccanismi di ingresso e primo soggiorno di uno straniero,

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focalizzando la sua attenzione su una migliore integrazione dell’individuo (e dei suoi familiari) nello Stato ospite e in altri Stati membri22.

Per quanto concerne i requisiti per accedere allo status di soggiornante di lungo periodo, l’art. 5 della direttiva indica che l’interessato deve dimostrare di aver maturato il quinquennio utile; di disporre, per sé e per i familiari a carico di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento loro e dei loro familiari, senza fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato; di avere un’assicurazione malattia contro tutti i rischi solitamente coperti per i propri cittadini nello Stato membro interessato.

L’art. 8 stabilisce che lo status è permanente e comporta il rilascio di un apposito permesso di soggiorno, valido almeno per cinque anni e automaticamente rinnovabile dietro semplice richiesta. L’art. 9 prevede tuttavia che lo status possa decadere automaticamente o essere revocato a iniziativa delle autorità statali in determinati casi: acquisizione fraudolenta dello stesso; emissione di un provvedimento di espulsione (regolato dall’art. 12 direttiva); assenza dal territorio UE per almeno dodici mesi consecutivi; assenza dallo Stato membro che lo ha rilasciato per almeno sei anni; acquisizione dello stesso status in altro Stato membro. La revoca può infine essere disposta se il soggiornante rappresenta una minaccia per l’ordine pubblico in considerazione della gravità dei reati dallo stesso perpetrati. L’eventuale scadenza del permesso non produce alcuna conseguenza sulla permanenza dello status.

Pur se la direttiva riconosce alcuni elementi di discrezionalità allo Stato membro ospite, “non si può fare a meno di notare come il decorso del tempo renda la posizione giuridica dello straniero più stabile e la sottragga alla piena discrezionalità valutativa degli Stati membri, siano essi lo Stato di prima residenza o quello di successiva residenza. In particolare, come ha ben evidenziato la Corte di Giustizia, alla luce dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/109 e del sistema da questa istituito, i cittadini di Paesi terzi, qualora soddisfino le condizioni e rispettino le procedure previste da tale direttiva, hanno                                                                                                                

22  Per  una  valutazione  critica  del  carattere  “minimale”  della  direttiva  e  dei  successivi  risultati  

applicativi,  v.  da  ultimo  DI  STASI,  Cittadinanza   e   altri  status  personali   nello   spazio   europeo  

dei  diritti  fondamentali:  a  proposito  dell'implementazione  della  direttiva  2003/109  relativa   ai   cittadini   di   Paesi   terzi   che   siano   soggiornanti   di   lungo   periodo,  in  BARUFFI-­‐QUADRANTI,  

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il diritto di conseguire lo status di soggiornante di lungo periodo nonché gli altri diritti derivanti dalla concessione di detto status”23.

                                                                                                               

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CAPITOLO 3

IL PERMESSO DI SOGGIORNO

3.1 IL PERMESSO DI SOGGIORNO IN GENERALE.

L’evoluzione della normativa concernente il permesso di soggiorno è stata, in particolare nel corso degli ultimi anni, davvero impressionante; in effetti, si è passati dall’emissione di permessi di soggiorno in formato cartaceo e con procedure decentrate che andavano solo ad ingolfare il lavoro delle Questure, al rilascio, a partire dal 2006, di permessi di soggiorno in formato elettronico, con procedure di emissione centralizzate ed, al contempo, più snelle, stante la compartecipazione al procedimento di emissione di vari enti. La procedura di emissione, attualmente, è senz’altro più veloce rispetto al recente passato e prevede la partecipazione di vari attori, oltre alla Questura, quali l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che si occupa della materiale emissione dei permessi di soggiorno, le Poste italiane, presso i cui uffici è ora possibile presentare formalmente una domanda di rilascio dei permessi di soggiorno (andando, così, a snellire il lavoro delle Questure), e vari patronati a livello locale, che, invece, hanno un ruolo fondamentale nell’assistere lo straniero nella redazione della domanda di rilascio dei permessi in questione, al fine di evitare quei classici errori di compilazione che un individuo straniero potrebbe commettere e derivanti da una superficiale conoscenza della nostra lingua.

Inoltre, i permessi di soggiorno conformi alla suddetta normativa sono indiscutibilmente più sicuri rispetto ai precedenti documenti rilasciati in formato cartaceo; infatti, il nuovo permesso di soggiorno elettronico è rilasciato su un supporto plastico che, oltre a rispettare determinate caratteristiche di sicurezza, ha al suo interno un chip contenente i dati biometrici del titolare del documento stesso.

È evidente, pertanto, come, nel corso di pochissimi anni, la procedura di emissione dei documenti in questione sia diventata molto più rapida ed incredibilmente più sicura. Tutto ciò è dipeso, prima ancora che dalla volontà di

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