INDICE
PREMESSA………...p. 5
CAPITOLO 1
DEFINIZIONE DI STRANIERO E CITTADINO
1.1 LA CITTADINANZA ITALIANA……….………...p. 8 1.2 LA NOZIONE DI STRANIERO……...…………...p. 9 1.3 LA DIFFERENZA TRA CITTADINO E STRANIERO NELLA
GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE …….…...…...p. 11
CAPITOLO 2
EVOLUZIONE DELLA POLITICA COMUNITARIA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE
2.1 LA COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA: DA SCHENGEN A
MAASTRICHT………..….p. 15 2.2 L’INTEGRAZIONE DELL’ACQUIS DI SCHENGEN NELL’AMBITO
DELL’UNIONE EUROPEA………...p. 17 2.3 SLSG: IL PRESUPPOSTO PRECIPUO PER FAVORIRE LA POLITICA
COMUNITARIA………...p. 19 2.4 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI UE E DEI LORO
FAMILIARI……….p. 20 2.5 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DI STATI
TERZI………..p. 22
2.5.2 INGRESSO E SOGGIORNO PER BREVI PERIODI………...p. 23 2.5.3 INGRESSO E SOGGIORNO PER PERIODI SUPERIORI AI TRE
MESI………..………...p. 24
CAPITOLO 3
IL PERMESSO DI SOGGIORNO
3.1 IL PERMESSO DI SOGGIORNO IN GENERALE………...p. 30 3.2 L’INFLUENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO………..…….p. 37 3.3 PRESCRIZIONI IMPOSTE DAL REGOLAMENTO (CE) n. 1030 DEL
13 GIUGNO 2002………...p. 38 3.4 D.M. DEL 3 AGOSTO 2004………...p. 41 3.5 CIRCOLARE DEL MINISTERO DELL’INTERNO n. 400 DEL 7 DICEMBRE
2006 ………....p. 42 3.6 IL REGOLAMENTO (CE) n. 380 DEL 18 APRILE 2008………..p. 44 3.7 PERMESSO DI SOGGIORNO ELETTRONICO E PRIVACY………..p. 47
CAPITOLO 4
I DIRITTI SOCIALI E POLITICI DELLO STRANIERO
4.1 I DIRITTI FONDAMENTALI DELLO STRANIERO………..………..……...p. 51 4.2 I DIRITTI SOCIALI DELLO STRANIERO………...…..p. 56
4.2.1 GENERALITA’………...…..…….…..p. 56 4.2.2 IL DIRITTO ALLA SALUTE………...……….…...p. 57 4.2.3 IL DIRITTO ALL’ASSISTENZA SOCIALE…….………..………...p. 59 4.2.4 IL DIRITTO ALL’ABITAZIONE……….………..…………...p. 61
4.3 I DIRITTI POLITICI………..…….p. 69
CAPITOLO 5
LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE
5.1 L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA ITALIANA IN MATERI DI ASILO………...p. 72
5.2 L’EVOLUZIONE NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI
ASILO……….p. 79 5.3 IL NUOVO REGOLAMENTO “DUBLINO III”
604/2013/UE………...p. 85
CAPITOLO 6
RESPINGIMENTI, RINVII FORZATI E POLITICHE DI NON ARRIVO 6.1 RESPINGIMENTI………...p. 90 6.2 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLO STRANIERO
A FRONTE DEI PROVVEDIMENTI DI RESPINGIMENTO………...p. 94 6.3 RINVII FORZATI E POLITICHE DI NON ARRIVO………...p. 97
CAPITOLO 7
LA DISCIPLINA DELL’ESPULSIONE
7.1 TIPOLOGIE DI ESPULSIONE……….….p. 105 7.1.1 L’ESPULSIONE COME PROVVEDIMENTO DI CARATTERE
AMMINISTRATIVO……….p. 105 7.1.1. A) L’ESPULSIONE DEL MINISTRO DELL’INTERNO……...p. 105 7.1.1. B) L’ESPULSIONE PREFETTIZIA………...p. 106 7.1.2 L’ESPULSIONE DISPOSTA DALL’AUTORITA’
GIUDIZIARIA……….……….….p. 107
7.2 MODALITA’ DI ESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI
ESPULSIONE………..……...p. 107 7.3 EFFETTI DEL PROVVEDIMENTO DI ESPULSIONE………...p. 111 7.4 DIVIETI DI ESPULSIONE EX ART. 19 T.U.I……….……p. 113 7.5 LA TUTELA GIURISDIZIONALE………...p. 115
7.5.1 EVOLUZIONE STORICA……….….p. 115 7.5.2 PROFILI DI CRITICITA’……….………...…...p. 118
CAPITOLO 8
I REATI IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE DOPO IL PACCHETTO SICUREZZA
8.1 L’INGRESSO IN VIOLAZIONE DELLE DISPOSIZIONI DEL
T.U.I……… ...……….p. 122 8.2 IL REATO DI REINGRESSO SENZA AUTORIZZAZIONE DELLO
STRANIERO NEL TERRITORIO NAZIONALE……….……..p. 125 8.3 IL REATO DI INOTTEMPERANZA ALL’ORDINE DI ALLONTANAMENTO
DAL TERRITORIO DELLO STATO………...p. 128
9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE……….………
p. 133
PREMESSA
Il tema dell’immigrazione è un poliedrico contenitore con infinite sfaccettature quali la sicurezza sociale, l’occupazione e il mercato del lavoro, il dialogo interreligioso, il multiculturalismo e l’integrazione.
Tutte queste componenti del “puzzle” immigrazione sono centralissime e meritevoli di attenzione e di politiche ad hoc, così come molteplici sono i connessi risvolti costituzionali che esamineremo nel corso della trattazione.
L’approccio al fenomeno migratorio trova quasi tutti d’accordo nella considerazione che esso può trasformarsi in un arricchimento della compagine sociale e nazionale, ormai avviata ad invecchiare sempre di più, e del settore economico, che potrebbe trovare linfa vitale dall’immissione di manodopera produttiva.
Contestualmente non bisogna trascurare l’aspetto della sicurezza, affinchè i flussi migratori avvengano sulla scorta di reali esigenze ed abbiano il crisma della legalità con interventi severi e puntuali contro ogni forma di clandestinità e di attività che possono rappresentare una minaccia per l’ordine e la sicurezza nazionale.
Com’è noto, negli anni e ancor più recentemente, tali flussi sono aumentati e dismisura, determinando, per il governo e per il Paese reale, numerose preoccupazioni, legate per lo più alle rischiose ripercussioni che tale fenomeno può sul presentare sotto vari versanti:
- sul piano sociale, in quanto va ad occupare spazi destinati ai più umili, togliendo quindi potenzialità occupazionali per i cittadini;
- sul piano del terrorismo di natura religiosa, atteso che il flusso migratorio proveniente dai paesi nordafricani rappresenta un potenziale veicolo di nuove istanze religiose, alimentando la già consistente comunità musulmana residente nei paesi dell’UE;
- sul piano della criminalità organizzata, in quanto la prostituzione e il traffico di droga offrono fonte di facile guadagno.
Quanto alle principali cause che alimentano il fenomeno de quo, si può affermare che esse sono essenzialmente riconducibili ai seguenti aspetti: la
povertà, in continuo aumentare in molti dei paesi del sud del Mediterraneo; i conflitti etnici e religiosi; il progressivo deterioramento delle condizioni ambientali (quali calamità naturali, erosioni dei suoli, desertificazioni); l’imponente crescita demografica che ha generato ulteriori squilibri in quanto non accompagnata da una correlata capacità di crescita del sistema economico e sociale dei paesi africani; l’avvento di nuove tecnologie che ha contribuito ad accrescere la disoccupazione in quei paesi caratterizzati dall’impiego massiccio di lavoratori a basso costo non specializzati.
In questo contesto, il nostro Paese viene a trovarsi in una situazione molto esposta , anche dal punto di vista geografico. Comunque, al di là della posizione strategica dell’Italia, le ragioni di questi movimenti verso il nostro Paese sono da ricercare negli aspetti attrattivi avvenuti soprattutto nei settori produttivi ed economici che hanno comportato una considerevole richiesta di manovalanza straniera tendente a rompere gli spazi occupazionali rifiutati e non copribili dalla popolazione nazionale, sia per il calo demografico sia per il suo invecchiamento che per il rifiuto dei giovani a svolgere lavori umili e comunque non graditi.
Un’altra causa che ha contribuito all’aumento dell’immigrazione in Italia è costituita dalle norme restrittive adottate dagli altri Paesi dell’UE per arginare il dilagare del lavoro nero straniero, anche a causa della recessione economica seguita dal boom dei passati decenni.
L’afflusso di immigrati, ormai imponente, non è stato controbilanciato nel nostro Paese da una corrispondente richiesta di manodopera, talchè molti soggetti si sono adattati a dover vivere di espedienti e a svolgere attività marginali o improvvisate ed igienicamente carenti. Ed è proprio questo bacino di clandestini e di emarginati che è diventato il serbatoio di reclutamento sia per lo sfruttamento lavorativo, sia per la microcriminalità che per la criminalità organizzata.
Come può notarsi, il fenomeno migratorio ha molteplici valenze e non può ricondursi tout court a una mera attività di repressione dello Stato, ma richiede, proprio per i numerosi riflessi sociali, di solidarietà e politici, un’efficace bilanciamento tra attività di sostegno e di supporto per le fasce più deboli
coniugate ad una ferma ed energica attività di contrasto per tutti coloro che volessero sfruttare tale circostanza per operare nella clandestinità e nella illegalità.
Ed è proprio questo l’obiettivo che si cercherà di centrare con questa analisi, nel rispetto dei principi costituzionali che tutelano i suindicati valori.
CAPITOLO 1
DEFINIZIONE DI STRANIERO E CITTADINO
1.1 LA CITTADINANZA ITALIANA.
La cittadinanza nel suo significato più ampio e generico, può essere definito come la condizione giuridica di chi fa parte dello Stato; in senso più stretto, invece, con questa accezione si indica “ La condizione giuridica di un gruppo delle persone appartenenti allo Stato, e precisamente di quelle che in esso sono titolari di particolari obblighi.1”
In Italia la cittadinanza si può acquisire: a) automaticamente:
- per nascita.Se si è figli di almeno un cittadino italiano; se si nasce in territorio italiano da genitori ignoti, o apolidi, o stranieri appartenenti a Stati la cui legislazione non preveda la trasmissione della cittadinanza dei genitori al figlio nato all’estero;
- riconoscimento o dichiarazione giudiziale di filiazione. Per riconoscimento di paternità o maternità o a seguito di dichiarazione giudiziaria di filiazione durante la minore età del soggetto;
- per adozione. Diviene cittadino italiano il minore straniero adottato da un cittadino italiano;
b) a domanda:
- per acquisto volontario. Se discendenti da cittadino italiano per nascita, fino al secondo grado, che abbia perso la cittadinanza, in presenza di determinati requisiti (svolgendo servizio militare nelle forze armate e dichiarando preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana; oppure assumendo pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiarando di voler acquistare la cittadinanza italiana; oppure risiedendo legalmente in Italia due anni al raggiungimento della maggiore
età e dichiarando, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana);
- per matrimonio. Dopo due anni di convivenza e residenza legale in Italia successivi al matrimonio (tre per i residenti all’estero e ridotti alla metà in presenza di figli);
- per naturalizzazione (residenza). Se si risiede legalmente in Italia da 10 anni;
- se nato in territorio italiano da genitori stranieri. Risiedendo legalmente ed ininterrottamente dalla nascita fino al raggiungimento della maggiore età. La dichiarazione di volontà è resa all’ufficiale di stato civile.
La cittadinanza può essere concessa con Decreto del Presidente della Repubblica anche nel caso in cui lo straniero abbia reso eminenti servizi all’Italia, o nel caso in cui intercorra un eccezionale interesse dello Stato.
1.2 LA NOZIONE DI STRANIERO.
La normativa riguardante la situazione giuridica dello straniero è particolarmente articolata, perché può essere studiata sotto svariati profili, quali ad esempio il diritto internazionale, il diritto comunitario e il diritto costituzionale.
Invero, negli ultimi anni, la quantità di fonti normative che definiscono i diversi elementi dello status di cittadino straniero, è aumentata considerevolmente.
In realtà è difficile ricercare elementi comuni quando con il termine straniero vengono considerate varie fattispecie: da colui che non ha alcuna cittadinanza a colui che è cittadino di un Paese di nuova adesione europea, da chi si trova per turismo in Italia a chi ha fatto richiesta di asilo politico.
Inoltre la stessa definizione è soggetta a mutamenti storici che, di volta in volta, ampliano o restringono i gruppi di persone che vengono definite “stranieri”.
Nel Nuovo Digesto italiano del 1940 al paragrafo 10, lo straniero veniva definito colui che:
- non gode della cittadinanza italiana; - non è un suddito coloniale;
- non è cittadino della Libia;
- non è un cittadino delle Isole Egee; - non è apolide.
La nozione di straniero nella Carta costituzionale del 1948 è presente all’art. 102 che, nel regolarne la condizione giuridica, vi fa menzione, pur senza alcuna indicazione in merito al dato definitorio.
Allo stesso modo, la legge di riforma del diritto internazionale privato3, pur richiamando i concetti di apolide e rifugiato, non definisce cosa si
debba intendere per straniero.
Le norme richiamate danno per presupposto la nozione di straniero, rifuggendo così dal definirla. Ad ogni modo, e nel tentativo di fare chiarezza, pare opportuno sottolineare, che essa non è univoca, dipendendo dal sistema di riferimento rispetto al quale la si intende definire.
In poche parole, per individuare la nozione di straniero si deve, in prima battuta, specificare a quale ordinamento (italiano o comunitario) ci si riferisce, e, in seconda battuta, nell’ambito di quale materia ci si muove. Da quanto detto discende ciò che in dottrina è stato definito come il “processo di
frammentazione della definizione di straniero”.
Pare evidente che il costituente, nel fare riferimento allo straniero, intendesse tutti coloro i quali non fossero italiani, con una definizione per esclusione. Tale nozione è stata superata dalla Convenzione di Schengen del 14
2 “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l ’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reali politici».
3 L’art. 19, L. n. 218/1995, così recita: “Nei casi in cui le disposizioni della presente legge
richiamano la legge nazionale di una persona, se questa è apolide o rifugiata si applica la legge dello Stato del domicilio o, in mancanza, la legge dello Stato di residenza.
Se la persona ha più cittadinanze, si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale”.
giugno 1990, relativa alla eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, che all’art. 1 ha definito lo straniero come colui che “non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità Europee”.
La distinzione tra cittadini comunitari ed extracomunitari è stata poi recepita nel T.U.I.4, il quale qualifica espressamente come stranieri i cittadini extracomunitari e gli apolidi.
In relazione ai cittadini comunitari pare opportuno sottolineare che essi, per un verso, non sono da considerarsi cittadini italiani a tutti gli effetti, in quanto la cittadinanza dell’Unione Europea costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non la sostituisce5, e , per altro verso, ad essi non si
applicano le norme del T.U.I. salvo le eccezioni espressamente previste6.
Si deve, dunque, distinguere due categorie di soggetti stranieri: da una parte i cittadini dell’Unione Europea, che godono di una tutela particolarmente qualificata e tendenzialmente assimilabile a quella riconosciuta agli italiani; dall’altra parte i cittadini extracomunitari, che sono soggetti a maggiori restrizioni relativamente al diritto di ingresso, soggiorno e permanenza sul territorio nazionale.
Riepilogando quanto descritto, possiamo concludere che nel nostro ordinamento, ai fini dell’applicazione dell’istituto dell’espulsione del T.U.I., lo straniero è il cittadino extracomunitario.
1.3 LA DIFFERENZA TRA CITTADINO E STRANIERO
NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE
COSTITUZIONALE.
Come già anticipato, l’art. 10 della Costituzione si limita a stabilire che la condizione giuridica dello straniero “è regolata dalla legge in conformità
4 L art. i, co. I, D.Lgs. n. 286/1998 cosi recita: «Il presente testo unico, in attuazione
dell'articolo 10, secondo comma, della Costituzione, si applica, salvo che sia diversamente disposto, ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi, di seguito indicati come stranieri».
5 L’art. 17, co. 1, Trattato CE afferma che «È istituita una cittadinanza dell’Unione. E’ cittadino
dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima».
6 L'art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 286/1998 cosi recita: «Il presente testo unico non si applica ai
cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, salvo quanto previsto dalle norme di attuazione dell’ordinamento comunitario».
delle norme e dei trattati internazionali”; previsione cui fa seguito il duplice riconoscimento del diritto di asilo – allorchè nel Paese di origine gli sia impedito “l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”- e del divieto di estradizione per reati politici.
E’ stato, invece, necessario attendere la modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione per vedere comparire un riferimento esplicito all’immigrazione, inclusa tra le materie oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera b.
Nondimeno, già in passato la Corte Costituzionale era stata chiamata ad intervenire, più volte, sulla legislazione che disciplinava la presenza, sul territorio italiano, di cittadini di altre nazioni o di apolidi.
Nella giurisprudenza al riguardo formatasi, l’angolo visuale consueto consisteva nel considerare la disciplina dell’immigrazione come orientata essenzialmente alla salvaguardia di esigenze di ordine pubblico, sul presupposto che lo Stato non potesse “abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le
proprie frontiere” (sentenza n. 353/1997).
In particolare, valorizzando la “differenza basilare, esistente in linea
di fatto tra il cittadino e lo straniero”, differenza ravvisata “nella circostanza che mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e temporaneo” (cosi già la sentenza n.
104 del 1969), la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la “diversa
posizione dello straniero” può comportare il suo assoggettamento, in via di
principio, a discipline legislative e amministrative ad hoc (sentenza n. 62 del 1994). Discipline, entrambe, ritenute espressione di quell’ampia discrezionalità che spetta in tale materia alla pubblica autorità e la cui ragion d'essere è stata ravvisata nel fatto che “la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello
straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici”, tra i quali la Corte ha ritenuto di menzionare principalmente “la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione” (sentenza n. 62
A questa prospettiva tradizionale (che resta tuttavia un punto di riferimento fondamentale), si è venuto affiancando - in coincidenza con l’intensificazione dei flussi migratori che hanno interessato non solo il nostro Paese, ma l’intero continente europeo e, di riflesso, con l’emergere dei problemi posti dall’evoluzione in senso multietnico anche della società italiana – un nuovo modo di intendere pure da parte della giurisprudenza costituzionale, i fenomeni connessi all’immigrazione.
Emblematica, al riguardo, è la pronuncia (n. 300 del 2005) con cui la Corte ha affermato che in materia di immigrazione l’intervento pubblico non può limitarsi “al doveroso controllo dell'ingresso e soggiorno degli stranieri sul
territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall'assistenza all'istruzione, dalla salute all'abitazione”, con conseguente necessità, pertanto, di
un concorso del legislatore statale e di quelli regionali.
Alla luce di tali rinnovate premesse non può ritenersi, dunque, casuale che la giurisprudenza costituzionale abbia posto l'accento sulla necessità di evitare irrazionali distinzioni fra le posizioni del cittadino e dello straniero anche in altri ambiti, oltre quello - il godimento dei diritti inviolabili dell'uomo - nel quale, da sempre, era stata esclusa la legittimità di ogni discriminazione.
Da un lato, infatti, si è sottolineato che “le ragioni della solidarietà
umana non sono di per sé in contrasto con le regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un'adeguata accoglienza ed integrazione degli stranieri (ordinanza n. 444 del 2006). Per altro verso, si è
affermato che, dettate dal legislatore "norme, non palesemente irragionevoli, che
regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia'', resta inteso che,
“una volta che il diritto a soggiornare non sia in discussione, non si possono
discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona" (sentenza n. 306 del
2008).
Si collocano, pertanto, in questa prospettiva quelle decisioni -richiamandone solo alcune - che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle norme che, rispettivamente, stabilivano una preclusione assoluta all'accesso alle misure alternative alla detenzione per lo straniero extracomunitario, entrato
illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno (sentenza n. 78 del 2007), ovvero configuravano alla stregua di una circostanza aggravante comune l'essere stata qualsiasi fattispecie criminosa commessa da soggetto trovantesi illegalmente nel territorio dello Stato (sentenza n. 249 del 2010), o, ancora, che imponevano allo straniero, che intendesse contrarre matrimonio nella Repubblica, di presentare all'ufficiale dello stato civile un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano (sentenza n. 245 del 2011), o, infine, per venire ad una recente decisione, che impedivano la cosiddetta “emersione dal nero” dei lavoratori domestici che fossero stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per uno dei reati previsti dall'art. 381 del codice di procedura penale (sentenza n. 172 del 2012).
Quale potrà essere, invece, l’approdo ulteriore di questo percorso che ha portato, sin qui, ad un arricchimento del complessivo status dello straniero, nessuno oggi è in grado, ovviamente, di prevedere.
Tuttavia, approfondimenti dottrinari ed un’efficace andamento giurisprudenziale possono costituire un’utile occasione per sviluppare una riflessione in grado di orientare gli operatori del diritto - ed auspicabilmente gli stessi interventi del legislatore - nella individuazione degli strumenti più idonei ad assicurare una sempre maggiore integrazione degli stranieri nel tessuto civile, prima ancora che ordinamentale, della società italiana.
CAPITOLO 2
EVOLUZIONE DELLA POLITICA COMUNITARIA IN
MATERIA DI IMMIGRAZIONE
2.1 LA COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA: DA
SCHENGEN A MAASTRICHT.
Per un lungo periodo l’immigrazione non è stata considerata una materia propria della realtà comunitaria, preoccupata per la realizzazione di una serie di obiettivi economici fissati nei trattati istitutivi.
L’evoluzione normativa comunitaria in materia d’immigrazione è stata inizialmente promossa in un contesto limitato ed esterno ai trattati comunitari, in considerazione anche del fatto che la popolazione straniera è soggetta ad un processo di trasformazione continuo e costante. Solo le norme sulla libera circolazione dei lavoratori e la rimozione delle restrizioni al trasferimento hanno avuto una influenza riflessa soprattutto dal punto di vista familiare, dal momento che, come vedremo, pur essendo i cittadini dell’U.E. i beneficiari di tale legislazione, il suo ambito di applicazione soggettivo si estende con la stessa
intensità ai familiari dei comunitari, anche se questi non hanno la loro nazionalità. Il precedente di questa politica comune europea è costituito dalla decisione della
Commissione Europea datata 8 luglio 19857 che, benché fallita, rappresenta in ogni caso il primo serio tentativo di comunitarizzazione della politica d’immigrazione sulla base di tre obiettivi fondamentali:
1) il coordinamento in materia d’informazione reciproca sui problemi dell’immigrazione degli Stati membri;
2) l’assicurazione che i progetti in materia di immigrazione rispettino le norme comunitarie;
3) l’esame degli atti comunitari o statali volti ad armonizzare le legislazioni nazionali in materia di stranieri.
7 Su questo punto vedasi MANCINI, Politica comunitaria e nazionale delle migrazioni nella
La decisione tentava di avviare (attraverso il precedente art. 118) una procedura preliminare di conciliazione, con l’intento di evitare che i progetti degli Stati membri in materia di politica migratoria risultassero in chiaro contrasto. La sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 luglio 1987 decretò la fine di qualsiasi aspirazione dell’U.E. di avere una politica comune europea, circoscrivendo la decisione della Commissione solo alle materie propriamente comunitarie come l’occupazione e le condizioni di lavoro in quanto l’U.E. non disponeva ancora di competenze in materia d’immigrazione8.
Fallito il tentativo, la politica d’immigrazione europea dei Paesi comunitari è passata attraverso il quadro della cooperazione politica e intergovernativa nell’ambito degli Accordi di Schengen, firmati il 14 giugno 1985 da Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. L'accordo iniziale è stato completato dalla Convenzione di applicazione del 19 giugno 1990. Tuttavia, l’effettiva attuazione dei due accordi e, quindi, il c.d. “Sistema Schengen”, è stata ritardata fino al 26 marzo 1995, periodo nel quale sono andati gradualmente aggiungendosi la maggior parte degli Stati membri, fino a quando, a seguito della riforma operata con il Trattato di Amsterdam nel 1997, questi strumenti giuridici internazionali sono stati incorporati nella struttura dell’Unione.
E' interessante notare come i vincoli alla capacità dell’U.E. di sviluppare un quadro giuridico comune in relazione alla gestione dei flussi migratori derivano, da un lato, dal particolare interesse che in generale presenta questa materia per gli Stati membri e, dall’altro, dalle diverse situazioni in cui essi si trovano con riferimento al fenomeno migratorio.
Il primo di tali fattori ha prodotto un notevole ritardo nell’attribuzione di competenze all’U.E. da parte dei singoli Stati; un trasferimento competenziale, tuttavia, molto circoscritto e accompagnato da garanzie che consentano di mantenere un livello di controllo sul loro esercizio.
8 Su questa sentenza si veda TRAVERSA, Il coordinamento delle politiche migratorie nazionali
nei confronti degli stranieri extracomunitari , in Rivista di Diritto Europeo, 1988, p. 17.
Solo dopo la fine degli anni novanta, con l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, la Comunità vantava per la prima volta competenze ad adottare misure e a sviluppare azioni concrete in materia d’immigrazione9.
2.2 L’INTEGRAZIONE DELL’ACQUIS DI SCHENGEN
NELL’AMBITO DELL’UNIONE EUROPEA.
Uno degli aspetti più importanti del Trattato di Amsterdam è stato il trasferimento al pilastro comunitario delle questioni relative all’immigrazione, attraverso l’inclusione di un nuovo Titolo IV, rubricato: “Visti, asilo,
immigrazione e altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone ",
al fine di promuovere la progressiva istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Questa svolta ha rappresentato un salto qualitativo importante, dal momento che materie finora oggetto di cooperazione per la loro appartenenza al terzo pilastro vengono incorporate, per la prima volta, al pilastro comunitario, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Dal punto di vista giuridico e tenendo conto della precedente situazione, la comunitarizzazione di queste aree deve essere considerata positivamente. Ora è possibile adottare norme di diritto derivato in tale materia (regolamenti, direttive e decisioni) in grado di assicurare una maggiore armonizzazione tra le legislazioni degli Stati membri, trattandosi di strumenti giuridici vincolanti, direttamente applicabili negli Stati stessi, dato il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale. Inoltre, nel momento in cui le norme sull’immigrazione vengono rimesse a procedure comunitarie, l'elaborazione e l’adozione di decisioni acquista maggiore trasparenza: ciò ne favorisce il controllo
9 In precedenza il trattato di Maastricht si era limitato a stabilire nell’alveo del “Terzo
pilastro” dell’Unione un sistema di cooperazione intergovernativa che, insieme ad altre
diverse questioni, riguardava anche tale materia, ma che si mostrò, tuttavia, assolutamente inefficace nella pratica. Infatti, i progressi realizzati in tale contesto si devono all’applicazione del “Sistema Schengen” e non del Trattato dell’Unione europea. D’altra parte questa attribuzione di competenza non era stata concepita con l’intenzione di consentire all’U.E. di affrontare tout court il fenomeno dell’immigrazione, responsabilità che continua a ricadere sui governi nazionali, ma con l’obiettivo più modesto che potesse dar risposta ad alcuni problemi concreti, legati, fondamentalmente, alla rimozione dei controlli fisici alla circolazione delle persone all’interno della Comunità.
e il monitoraggio da parte della società civile. Gli Stati membri, quindi, cessano di essere i protagonisti nella definizione delle misure da adottare, sostituiti dalle istituzioni comunitarie la cui partecipazione legittima l’attività della Comunità in materia d’immigrazione. In un ambito così sensibile per i diritti umani e le libertà fondamentali, è necessario sottolineare il ruolo attribuito alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, che esercita un controllo giurisdizionale nell’attuazione e nell'interpretazione uniforme delle norme vigenti. Trattandosi di un ambito competenziale condiviso da ciascun Stato e dalla Comunità, spetta al principio di sussidiarietà individuare le situazioni in cui la Comunità può intervenire.
Negli altri ambiti previsti dal Trattato (artt. 62 e 63 TCE), l’intervento comunitario tende essenzialmente a coordinare e sostenere le capacità nazionali, o a stabilire un insieme di contenuti minimi che devono essere rispettati dalle leggi degli Stati membri in un determinato ambito10.
Per quanto riguarda il controllo delle frontiere esterne, la responsabilità di base rimane degli Stati membri, che liberamente affidano la realizzazione di tali funzioni alle autorità di loro scelta. Il coordinamento tra di esse è determinato da una serie di obblighi derivanti dall’applicazione dell’Accordo di Schengen, precisate nel “Codice frontiere Schengen”. Quest’ultimo trova applicazione operativa nel “Manuale pratico per le guardie di
frontiera”, documento comune ad uso delle Autorità competenti degli Stati
membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone11.
10 In tal senso è orientata, ad esempio, la c.d. “Politica europea di asilo”, con la quale, in realtà,
si è voluto affrontare il fenomeno dei “rifugiati in orbita” che presentano diverse domande di asilo in diversi Stati dell’U.E., fenomeno noto anche come “asylum shopping”. A tal fine, è stata adottata nel 1990, la Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente all’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, sostituita nel 2003 da un regolamento comunitario relativo alla stessa questione.
11 Raccomandazione della Commissione del 6 novembre 2006 che istituisce un “Manuale
pratico per le guardie di frontiera'' (Manuale Schengen) comune, ad uso delle autorità
competenti degli Stati membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone. In particolare ci si riferisce alla parte 2 sez. 1 par. 3.1 che fissa le norme particolari per le verifiche da effettuare su alcune categorie di persone e, in particolare, dei beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione; si veda poi la parte 2 sez. 1 par. 6.3 relativo alle motivazioni legittimanti il respingimento delle persone che beneficiano del diritto comunitario alla libera circolazione; e ancora la parte 2 sez. 1 par. 6.8 che stabilisce gli adempimenti che la guardia di frontiera deve porre in essere in caso di respingimento dei beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione.
Inoltre al punto 6 della parte 2 sez. 1 si elencano i presupposti di carattere operativo correlati all’adozione di un provvedimento di respingimento alla frontiera esterna di un cittadino di un Paese terzo da parte delle guardie di frontiera.
2.3 SLSG: IL PRESUPPOSTO PRECIPUO PER FAVORIRE
LA POLITICA COMUNITARIA.
A seguito dello sviluppo del terzo Pilastro introdotto dal Trattato sull’Unione Europea del 1992 (Trattato di Maastricht, Giustizia e Affari Interni), istituzionalizzato sin dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (1997) e dal Consiglio europeo di Tampère, svoltosi nell’ottobre 1999, lo sviluppo di uno Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia (SLSG) è stato l’obiettivo chiave dell’Unione Europea.
Si può dire che non vi siano altri aspetti dell’integrazione europea che rivelano un’ambizione politica e costituzionale maggiore. Lo SLSG considera, in modo contestuale, i cittadini europei sia come il nucleo e la fonte di legittimazione dell’azione sviluppata da tale spazio, sia come soggetti della integrazione europea; lo stesso prevede una cornice di diritti che implementa ed arricchisce coloro i quali già godono del possesso di una cittadinanza di uno Stato membro. Da ciò si evince il chiaro messaggio secondo cui, se il mercato interno, se la moneta unica erano indispensabili per costruire un’Europa politica, tutto questo sarebbe stato conseguito attraverso i diritti, le libertà e la cittadinanza.
Emerge inoltre l’intento di assicurare ai cittadini la presenza di uno spazio geografico e giuridico in cui la libertà, la sicurezza e la giustizia siano garantite con un’azione comune, in un mondo in cui le minacce sono in corso e nuove sfide stanno assumendo connotati sempre più mutevoli e meno prevedibili.
Nel disegno dell’U.E., le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo politico e all’immigrazione rientrano nella nozione generale dello “Spazio” che si può definire come l’ambito e il luogo dove l’U.E. intende assicurare i valori della libertà, della sicurezza e della giustizia ai cittadini comunitari per lottare più efficacemente contro le forme gravi di criminalità. Questi valori che sembrano essere collocati su piani distinti si intersecano nelle situazioni concrete, non escludendosi a vicenda e senza dar luogo a evidenti contraddizioni.
Il concetto di libertà ha un significato che va oltre la libera circolazione delle persone attraverso le frontiere interne e comprende la libertà di
vivere in un contesto di legalità, dove le autorità pubbliche utilizzano tutti i mezzi in loro potere, a livello nazionale o a livello dell’Unione, per combattere e limitare l’azione di chi cerca di negare tale libertà o di abusarne.
2.4 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI
CITTADINI UE E DEI LORO FAMILIARI.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, è da premettere che la Corte di Giustizia e le istituzioni politiche dell’UE hanno sempre definito la libertà di circolazione delle persone come una “libertà fondamentale” nel contesto dell’ordinamento giuridico sovranazionale.
In particolare l’art. 21 del TFUE prevede che i cittadini degli Stati membri hanno il diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri, subordinatamente alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso.
La Corte di Giustizia, come sua giurisprudenza costante, ha affermato che le eccezioni alla libertà di circolazione devono essere interpretate restrittivamente, specialmente dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, atteso che l’art. 21 TFUE deve essere considerato idoneo ad attribuire un diritto soggettivo ai singoli12.
Continuando nell’analisi di tale normativa, viene in rilievo l’art. 45 TFUE par. 1 dove si afferma che “la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione è assicurata”. Va de plano che tale configurazione comporta una forte limitazione per la sovranità degli Stati in quanto i singoli cittadini appartenenti ad uno degli Stati membri possono vantare un vero e proprio diritto di ingresso e di soggiorno, ancorchè con alcune deroghe previste dallo stesso art. 45.
Tale linea normativa sembra essere adattabile anche ai lavoratori indipendenti (artigiani, liberi professionisti, imprenditori) in forza della direttiva
12 CGCE, 17.9.2002. causa C-‐413/99, Baumbast e R. c. Secretar of State for the Home
Department. §§ 81-‐86; 29.4.2004, cause riunite C-‐482/01 e C-‐493/01. Orfanopoutos e Olivieri c. Land Baden-‐ Wiirttemberg, § 65; 23.3.2006, causa C-‐408/03, Commissione c. Belgio, §§ 34-‐
73/14813 , che ha soppresso le restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi.
Di particolare interesse è poi la direttiva 2004/3814 che costituisce un vero e proprio testo unico della materia della circolazione e del soggiorno dei cittadini dell’UE e dei loro familiari.
Tale direttiva è particolarmente rivolta ai familiari dei cittadini UE ai fini di un loro ricongiungimento, prescindendo dalla loro cittadinanza, che potrà quindi essere anche di Stati non membri dell’UE.
L’art. 2.2 della direttiva individua la definizione di familiare comprendendovi il coniuge, il partner che abbia contratto con il cittadino un’unione registrata equiparata al matrimonio, i figli di età inferiore a 21 anni o a carico del cittadino o del coniuge o del partner, gli ascendenti a carico e quelli del coniuge o del partner.
L’ammissione su un territorio di un altro Stato costituisce un vero e proprio diritto soggettivo di soggiornare fino a 3 mesi (c.d. soggiorno breve). Il cittadino deve essere comunque in possesso di una carta di identità o di un passaporto valido15.
Naturalmente il diritto UE riconosce anche il diritto di soggiorno per periodi superiori a 3 mesi, semprechè il soggetto rientri in una delle quattro situazioni previste dall’art. 6 par. 1:
A) la prima ipotesi riguarda i cittadini che siano lavoratori, subordinati o indipendenti, per i quali è sufficiente la titolarità di un contratto di lavoro o la dimostrazione dell’avvio di un’attività indipendente per godere del diritto di soggiorno;
13 Direttiva n. 73/148 del Consiglio, del 21.5.1973, relativa alla soppressione delle restrizioni
al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi.
14 Direttiva n. 2004/38 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al
diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e che modifica il regolamento 1612/1968 ed abroga le direttive 64/221, 68/360, 72/194.73/148. 75/34, 75/35, 90/364, 90/365, 93/96 (la versione italiana rettificata è in GUUE L 229 del 19.6.2004).
15 L’unico elemento che può incidere negativamente sulla costanza del diritto di soggiorno
breve è rappresentato dall’eventualità in cui il soggetto diventi un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato ospite, che potrà in tal caso adottare un provvedimento di allontanamento.
B) la seconda categoria riguarda i cittadini che, pur non lavorando dispongano di risorse economiche sufficienti per non essere un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato e, inoltre, siano in possesso di una assicurazione per malattia;
C) la terza categoria riguarda chi si è iscritto presso un istituto per lo svolgimento di un corso di studi o di formazione professionale e disponga, per sé e per i familiari, di risorse economiche sufficienti per non essere un onere a carico del sistema di assistenza sociale dello Stato;
D) la quarta categoria riguarda i familiari del cittadino UE, e in tal caso gli unici requisiti richiesti riguardano il possesso di risorse economiche adeguate da parte del familiare principale e la copertura sanitaria.
Il diritto di soggiorno per il cittadino può avere anche carattere permanente: lo si ottiene dopo aver soggiornato legalmente ed in modo continuativo per almeno 5 anni nello Stato membro ospitante. Analoga previsione riguarda i familiari che non siano cittadini, con l’unica differenza che, in tal caso, il documento assume il nome di “carta di soggiorno permanente”, ed è rinnovabile di diritto ogni 10 anni.
2.5 IL REGIME DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI
CITTADINI DI STATI TERZI.
2.5.1 PREMESSA.
Alla luce delle innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona, con la procedura legislativa ordinaria le istituzioni UE possono adottare misure concernenti: una politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata; l’abolizione dei controlli alle frontiere interne, i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne e la definizione di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; le condizioni alle quali i cittadini di Paesi terzi possono circolare liberamente nell’UE per un breve periodo; le condizioni di ingresso e soggiorno, le procedure di rilascio di visti e titoli di soggiorno di lunga durata (compresi quelli per ricongiungimento familiare); la definizione dei diritti di cittadini di Stati terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la
libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri; incentivi e sostegno agli Stati membri al fine di favorire l’integrazione di detti cittadini (ad esclusione dell’armonizzazione delle normative statali).
Volendo tradurre in termini più immediatamente comprensibili quanto ora elencato, “l’UE ha in teoria la competenza concorrente a definire i requisiti per l’ingresso e il soggiorno di qualsiasi cittadino di Stato terzo, a cominciare dai visti, passando per le procedure in frontiera, per arrivare al soggiorno breve e a quello di lunga durata, fino a includere persino i profili di circolazione e soggiorno (anche di lunga durata) nell’UE. Praticamente, le uniche questioni che non sono oggetto di un’astratta competenza UE appaiono essere quelle relative all’attribuzione della cittadinanza, al riconoscimento dei diritti elettorali e alla determinazione dei volumi di ingresso per ricerca di lavoro16.
2.5.2 INGRESSO E SOGGIORNO PER BREVI PERIODI.
Per quanto concerne il soggiorno breve, l’art. 5 par. 1 codice frontiere stabilisce che il cittadino di Stato terzo che intenda soggiornare per un periodo non superiore a 3 mesi, deve attenersi alle seguenti condizioni di ingresso: 1) essere in possesso di uno o più documenti di viaggio validi che consentano di attraversare la frontiera (es., un passaporto in corso di validità o altri documenti di viaggio internazionalmente riconosciuti); 2) essere in possesso di un visto valido, se richiesto a norma della relativa normativa; 3) giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel Paese di origine o per il transito verso un Paese terzo nel quale l'ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi; 4) non essere segnalato nel Sistema Informativo Schengen (c.d. SIS) ai fini della non ammissione; 5) non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi.
16 CALAMIA, DI FILIPPO, GESTRI, Immigrazione, Diritto e Diritti: profili internazionalistici ed
Una volta soddisfatti detti requisiti, allo Stato membro di ingresso non rimane altro margine di discrezionalità per rifiutare l’ingresso.
Come può notarsi, qualche perplessità interpretativa riguarda il quarto e il quinto requisito, entrambi riconducibili a una visione piuttosto ampia del concetto di pericolosità sociale del soggetto. Infatti “gli aspetti critici della disciplina consistono nell’ampia formulazione dei motivi che giustificano l’immissione di una segnalazione ai fini della non ammissione, nell’assenza di disposizioni comuni circa lo svolgimento del procedimento che porta un’autorità statale a disporre la segnalazione (in particolare, informazioni all’interessato prima o dopo l’adozione del provvedimento, possibilità di essere ascoltato), nella pressoché esclusiva competenza dello Stato che immette la segnalazione e nella correlata limitata possibilità degli altri Stati di disconoscere effetti ad essa, nell’impostazione stessa della CAAS che privilegia i rimedi a posteriori, quando ormai il pregiudizio per il singolo potrebbe già essersi verificato”17.
2.5.3 INGRESSO E SOGGIORNO PER PERIODI SUPERIORI AI TRE MESI.
La normativa UE sinora esaminata riguarda i visti di corta durata (fino a 3 mesi). I visti di lunga durata sono rimasti di competenza nazionale fino all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, che ha previsto una competenza per le istituzioni europee con riguardo alle sole procedure per il rilascio di detti visti (ma non sui requisiti per la loro concessione). Successivamente, il Trattato di Lisbona ha previsto più in generale che l’UE possa adottare norme sul rilascio di visti di lunga durata: la materia potrebbe pertanto conoscere significativi sviluppi nei prossimi anni.
Invero, l’art. 79 TFUE stabilisce al par. 1 che l’UE “sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori...”, e al par. 2 che possono essere adottate misure relative alle “condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare".
Come è dato notare, il TFUE non contempla il riconoscimento di un diritto di ingresso e soggiorno negli Stati membri: “piuttosto, contiene disposizioni programmatiche, che richiedono l’adozione di specifici atti, non necessariamente ispirati al riconoscimento di diritti individuali “forti” in tema di ingresso e soggiorno. Solo i soggetti interessati da questi atti potranno allora invocare il diritto UE per vantare un diritto di soggiorno o altri diritti e garanzie, laddove ricavabili dagli atti medesimi. La differenza con le norme primarie dedicate alla libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini UE è lampante"18.
Si deve poi osservare che l’UE ha disciplinato talune tipologie di soggiorno di lungo periodo, senza però sviluppare una normativa organica in proposito. In particolare, sono stati trattati i seguenti temi: il ricongiungimento familiare; il soggiorno per motivi di studio; il soggiorno di ricercatori; il soggiorno di lavoratori altamente qualificati nell’ambito di una relazione lavorativa subordinata già avviata.
In ordine al ricongiungimento familiare, la direttiva 2003/86 individua i beneficiari nel coniuge e nei figli minorenni19 , con un evidente trattamento in peius rispetto alla mobilità del nucleo familiare del cittadino UE . Tale direttiva è molto chiara nel delineare un diritto soggettivo al ricongiungimento, talchè, quando le condizioni previste dalla direttiva e disciplinate più puntualmente dalla normativa statale di attuazione sono soddisfatte, lo Stato membro non detiene ulteriore margine di discrezionalità per negare il ricongiungimento, né può modificare la propria normativa per ridurre il livello di tutela minimo riconosciuto dalla direttiva stessa20.
Per quanto concerne il soggiorno per motivi di studio, la direttiva 2004/114 riguarda proprio l’ingresso e il soggiorno per motivi di studio (livello universitario o post universitario, incluso il dottorato), lo scambio di alunni
18 CALAMIA, DI FILIPPO, GESTRI, op. cit., p. 211.
19 I figli minorenni non devono essere sposati; inoltre, gli Stati membri possono subordinare
il ricongiungimento dei figli di età superiore ai 12 anni al soddisfacimento di requisiti di integrazione. Per i genitori, i partner non sposati e i figli maggiorenni, la direttiva si limita a stabilire che gli Stati possono prevedere la possibilità di ricongiungimento, senza pertanto imporre un chiaro obbligo in tal senso.
20 In tal senso, cfr. per esempio CGCE, 27 giugno 2006, causa C-‐540/03, Parlamento c.
Consiglio, § 60; CGUE, 4.3.2010, causa C-‐578/08, Chakroun, §§ 41-‐44 e 59-‐66 (ove si
sottolinea come il requisito della dimostrazione di possedere risorse stabili e regolari deve essere interpretato restrittivamente).
(istruzione secondaria) il volontariato e il tirocinio non retribuito. Gli studenti devono essere in possesso di svariati requisiti contemplati negli artt. 6-7. Pur se gli Stati membri possono conformare tali requisiti con un certo margine di discrezionalità, non si può fare a meno di notare che l’impianto generale della direttiva sembra far propendere per l'idea secondo cui, una volta soddisfatte dette condizioni, l’interessato maturi il diritto all’ingresso e al soggiorno.
Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi della direttiva ha validità di almeno un anno, ed è rinnovabile se le condizioni sono soddisfatte anche per il periodo successivo e sempre che il soggetto prosegua con il profitto minimo richiesto dalla legislazione statale.
Infine, in linea con la strategia di Lisbona, sono state adottate due direttive finalizzate ad attrarre risorse umane di elevata qualificazione nell’UE. Nel 2005 è stata adottata una direttiva destinata a una tipologia specifica di migranti (la direttiva 2005/71 sui ricercatori), mentre nel 2009 ha visto la luce la direttiva 2009/50, destinata all’intera categoria dei lavoratori altamente qualificati21. Entrambe sono caratterizzate dall’introduzione di un percorso facilitato per attirare risorse umane qualificate, dalla previsione espressa di norme sul ricongiungimento familiare, dal riconoscimento agevolato di una libertà di spostamento e soggiorno in altri Stati membri.
Per quanto riguarda la direttiva 2005/71, ai sensi dell’art. 2, con ricercatore si intende un cittadino di Paese terzo in possesso di un titolo di studi superiori idoneo a consentire l’accesso a programmi di dottorato, il quale è selezionato da un istituto di ricerca per svolgere un progetto di ricerca che richiede il suddetto titolo. Un ruolo chiave è svolto dall’istituto di ricerca ospite, che deve ottenere un accreditamento da parte delle autorità nazionali (art.5 direttiva) e successivamente stipulare con il ricercatore straniero una convenzione di accoglienza (art. 6 direttiva).
Una volta accertati i requisiti descritti, lo Stato deve ammettere sul suo territorio il ricercatore o rinnovargli il permesso di soggiorno.
21 Direttiva n. 2009/50 del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e
La direttiva 2009/50 sui lavoratori altamente qualificati è incentrata sul rilascio a detti soggetti della c.d. Carta blu UE . Dopo diciotto mesi di residenza, il cittadino di Stato terzo ha diritto di accedere al mercato del lavoro di altri Stati membri e di risiedervi, seguito eventualmente dai familiari.
La Carta blu non attribuisce diritti di immediata applicazione e non autorizza gli ingressi alla ricerca di lavoro, esigendo che l’interessato produca un contratto di lavoro o un’offerta vincolante al momento della richiesta della Carta stessa. Inoltre, gli Stati membri non solo procedono a una verifica della sussistenza di alcuni requisiti oggettivi e soggettivi, ma possono subordinare la decisione positiva alla verifica che i posti vacanti non possano essere coperti da forza di lavoro nazionale o comunitaria, o da altri cittadini di Stati terzi già presenti sul territorio nazionale (in quanto titolari di un permesso di soggiorno) o comunitario (in qualità di soggiornanti di lungo periodo). Gli Stati membri possono altresì determinare quote di ammissione di cittadini di Stati terzi per determinati impieghi altamente qualificati e, infine, possono rifiutare una domanda per considerazioni etiche collegate alla prevenzione del brain drain dai Paesi terzi di origine o perché il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni in virtù della legge nazionale, a causa di lavoro non dichiarato e/o occupazione illegale.
Dall’ampia discrezionalità valutativa rimessa allo Stato ospite, si può notare come la presenza di una disoccupazione significativa possa incidere negativamente sull’aspettativa del cittadino di Stato terzo che voglia fare ingresso nel mercato del lavoro dell’UE e del datore che lo voglia assumere alle proprie dipendenze.
E’ infine da analizzare la direttiva 2003/109 sui c.d. residenti di lungo periodo, che si occupa della condizione giuridica di un soggetto residente (in maniera continuativa e regolare) da almeno cinque anni in uno Stato membro, definendo una tutela giuridica articolata in due parti: 1) uno status (auspicabilmente) più certo nei confronti dello Stato ospite; 2) la libertà di soggiorno in altri Stati membri per periodi superiori a tre mesi, a condizioni agevolate rispetto ad altri cittadini di Stati terzi. Dunque, la direttiva si disinteressa dei meccanismi di ingresso e primo soggiorno di uno straniero,
focalizzando la sua attenzione su una migliore integrazione dell’individuo (e dei suoi familiari) nello Stato ospite e in altri Stati membri22.
Per quanto concerne i requisiti per accedere allo status di soggiornante di lungo periodo, l’art. 5 della direttiva indica che l’interessato deve dimostrare di aver maturato il quinquennio utile; di disporre, per sé e per i familiari a carico di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento loro e dei loro familiari, senza fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato; di avere un’assicurazione malattia contro tutti i rischi solitamente coperti per i propri cittadini nello Stato membro interessato.
L’art. 8 stabilisce che lo status è permanente e comporta il rilascio di un apposito permesso di soggiorno, valido almeno per cinque anni e automaticamente rinnovabile dietro semplice richiesta. L’art. 9 prevede tuttavia che lo status possa decadere automaticamente o essere revocato a iniziativa delle autorità statali in determinati casi: acquisizione fraudolenta dello stesso; emissione di un provvedimento di espulsione (regolato dall’art. 12 direttiva); assenza dal territorio UE per almeno dodici mesi consecutivi; assenza dallo Stato membro che lo ha rilasciato per almeno sei anni; acquisizione dello stesso status in altro Stato membro. La revoca può infine essere disposta se il soggiornante rappresenta una minaccia per l’ordine pubblico in considerazione della gravità dei reati dallo stesso perpetrati. L’eventuale scadenza del permesso non produce alcuna conseguenza sulla permanenza dello status.
Pur se la direttiva riconosce alcuni elementi di discrezionalità allo Stato membro ospite, “non si può fare a meno di notare come il decorso del tempo renda la posizione giuridica dello straniero più stabile e la sottragga alla piena discrezionalità valutativa degli Stati membri, siano essi lo Stato di prima residenza o quello di successiva residenza. In particolare, come ha ben evidenziato la Corte di Giustizia, alla luce dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/109 e del sistema da questa istituito, i cittadini di Paesi terzi, qualora soddisfino le condizioni e rispettino le procedure previste da tale direttiva, hanno
22 Per una valutazione critica del carattere “minimale” della direttiva e dei successivi risultati
applicativi, v. da ultimo DI STASI, Cittadinanza e altri status personali nello spazio europeo
dei diritti fondamentali: a proposito dell'implementazione della direttiva 2003/109 relativa ai cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, in BARUFFI-‐QUADRANTI,
il diritto di conseguire lo status di soggiornante di lungo periodo nonché gli altri diritti derivanti dalla concessione di detto status”23.
CAPITOLO 3
IL PERMESSO DI SOGGIORNO
3.1 IL PERMESSO DI SOGGIORNO IN GENERALE.
L’evoluzione della normativa concernente il permesso di soggiorno è stata, in particolare nel corso degli ultimi anni, davvero impressionante; in effetti, si è passati dall’emissione di permessi di soggiorno in formato cartaceo e con procedure decentrate che andavano solo ad ingolfare il lavoro delle Questure, al rilascio, a partire dal 2006, di permessi di soggiorno in formato elettronico, con procedure di emissione centralizzate ed, al contempo, più snelle, stante la compartecipazione al procedimento di emissione di vari enti. La procedura di emissione, attualmente, è senz’altro più veloce rispetto al recente passato e prevede la partecipazione di vari attori, oltre alla Questura, quali l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che si occupa della materiale emissione dei permessi di soggiorno, le Poste italiane, presso i cui uffici è ora possibile presentare formalmente una domanda di rilascio dei permessi di soggiorno (andando, così, a snellire il lavoro delle Questure), e vari patronati a livello locale, che, invece, hanno un ruolo fondamentale nell’assistere lo straniero nella redazione della domanda di rilascio dei permessi in questione, al fine di evitare quei classici errori di compilazione che un individuo straniero potrebbe commettere e derivanti da una superficiale conoscenza della nostra lingua.
Inoltre, i permessi di soggiorno conformi alla suddetta normativa sono indiscutibilmente più sicuri rispetto ai precedenti documenti rilasciati in formato cartaceo; infatti, il nuovo permesso di soggiorno elettronico è rilasciato su un supporto plastico che, oltre a rispettare determinate caratteristiche di sicurezza, ha al suo interno un chip contenente i dati biometrici del titolare del documento stesso.
È evidente, pertanto, come, nel corso di pochissimi anni, la procedura di emissione dei documenti in questione sia diventata molto più rapida ed incredibilmente più sicura. Tutto ciò è dipeso, prima ancora che dalla volontà di