I REATI IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE DOPO IL PACCHETTO SICUREZZA
8.1 L’INGRESSO IN VIOLAZIONE DELLE DISPOSIZIONI DEL T.U.I.
Nella normativa riguardante i cittadini stranieri molti sono gli aspetti penalistici sia connessi a comportamenti lesivi attuati dallo straniero stesso (uno per tutti l’entrata in Italia) sia a comportamenti lesivi attuati da cittadini italiani (ad esempio chi assume un cittadino straniero non regolare).
La legge n. 94 del 15 luglio 2009 (c.d. Pacchetto Sicurezza) ha introdotto nell’ordinamento italiano il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
Precedentemente la situazione di clandestinità non era ritenuta di per sé un illecito, ma costituiva condizione di punibilità per il reato di favoreggiamento e/o sfruttamento dell’immigrazione clandestina, circostanza aggravante per chi commetteva qualsiasi altro reato in caso di clandestinità reiterata.
La citata legge, come detto, ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Peraltro, questo reato potrebbe avere vita breve in quanto la legge delega n. 67/2014 prevede una sua possibile abrogazione trasformandolo in illecito amministrativo. Conserverebbero, di contro, rilievo penale le condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia (ad esempio violazione del provvedimento di espulsione).
Pertanto, al momento, le fattispecie criminose in materia di reato di immigrazione clandestina sono essenzialmente di due tipi: l’ingresso e la permanenza.
In entrambi i casi l’art. 10 bis del T.U. citato, prevede l’ammenda da 5000 a 10000 euro e la conseguente espulsione a cura del Prefetto della provincia competente per territorio.
Come può notarsi, la realizzazione della contravvenzione de qua può avvenire mediante due condotte tra loro alternative.
La contravvenzione del soggiorno illegale costituisce, al pari della fattispecie di cui all’art. 14, co. 5-ter, del T.U.I., un reato omissivo proprio, incentrandosi il disvalore del fatto non tanto sulla condotta attiva di trattenimento, quanto sul mancato allontanamento dal territorio nazionale in violazione delle disposizioni che vietano la permanenza. La natura di reato permanente della contravvenzione de qua implica, peraltro, tutte le conseguenze giuridiche del caso, come in materia di prescrizione, focus commissi delicti e, in particolare, per quanto attiene al tempus commissi delicti, evitandosi di fatto la necessità di dimostrare che l’ingresso illegale sia stato realizzato dopo l’entrata in vigore della nuova incriminazione.
Per quanto attiene all’elemento psicologico sia della contravvenzione di ingresso che di quella di trattenimento, esso può essere indifferentemente rappresentato dal dolo o dalla colpa.
Con la sent. n. 250/2010, la Corte costituzionale ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 10-bis del T.U.I. Premessa generale nel ragionamento seguito dai giudici della Consulta è che essa possa sindacare la scelta discrezionale del legislatore in ordine all’individuazione delle condotte punibili e del relativo trattamento sanzionatorio solo ove questa si presenti manifestamente irragionevole o arbitraria: nel caso di specie, però, risulta essere del tutto legittima l’attribuita rilevanza penale alle condotte di ingresso e di soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 10-bis del T.U.I. In particolare, in riferimento alla sollevata censura di violazione dei principi di materialità e di necessaria offensività del fatto, ex art. 25, co. 2, Cost., la questione viene ritenuta infondata, non sanzionando l’art. 10- bis del T.U.I., il mero stato soggettivo di straniero irregolare, del quale verrebbe presunta in via assoluta la pericolosità sociale, ma la specifica condotta di ingresso e di soggiorno nel territorio dello Stato, in violazione della normativa
vigente. A detta della Corte costituzionale, quindi, la contravvenzione di cui all’art. 10-bis del T.U.I. non costituirebbe un illecito di mera disobbedienza, non offensivo di alcun bene giuridico meritevole di tutela, essendo, al contrario, il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice ravvisabile «nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria... e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero». Secondo il giudice delle leggi, a ben vedere, il controllo e la gestione dei flussi migratori rappresenta un bene giuridico strumentale, la cui tutela garantisce la salvaguardia di tutti quei beni pubblici finali, di sicuro rilievo costituzionale e per lo più sovraindividuali (quali la sicurezza e l’ordine pubblico, la sanità pubblica, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in materia di immigrazione), suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata.
Per quanto attiene alla presunta incompatibilità tra la fattispecie di cui all’art. 10 del T.U.I., il principio di colpevolezza, di cui all’art. 27 Cost., e il principio di uguaglianza, ex art. 3 Cost., non prevedendo la norma censurata, in relazione alla condotta dell’illegale trattenimento, la clausola «senza giustificato motivo» presente, invece, nella norma incriminatrice di cui all’art. 14, co. 5-ter, del T.U.I. - la quale reprime una speciale forma di indebita permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, ovvero quella conseguente all’inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale - la Corte costituzionale la ritiene infondata. A detta del giudice delle leggi, il principio di colpevolezza risulterebbe essere salvaguardato dalle scriminanti comuni, senza contare che, per quanto concerne la fattispecie omissiva della permanenza irregolare, è valido il principio generale «ad impossibilia nemo
tenetur», in base al quale l’impossibilità (materiale o giuridica) di realizzazione
dell’azione richiesta esclude, già sul piano della tipicità, la configurabilità del reato.
In riferimento al rispetto del principio di uguaglianza, la Corte costituzionale ritiene legittimo il differente regime disciplinatorio delle due fattispecie a raffronto, in quanto la formula del «giustificato motivo» presente
nella fattispecie di cui all’art. 14, co. 5-ter, del T.U.I., trova fondamento nella peculiarità della forma di espulsione prevista in tale norma, la cui esecuzione è affidata allo straniero medesimo e la cui adozione è consentita solo quando non sia possibile l’accompagnamento alla frontiera, nonché nel ben più gravoso trattamento sanzionatorio rispetto a quello di cui all’art. 10 bis del T.U.I. Inoltre, per il giudice delle leggi, al fine di garantire una moderazione dell’intervento sanzionatorio rispetto all’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 10-bis del T.U.I., può trovare applicazione l’istituto dell’improcedibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 274/2000, la cui disciplina «può valere a controbilanciare la mancata attribuzione di rilievo alle fattispecie di giustificato motivo che esulino dal novero delle cause di non punibilità».