LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE IN ITALIA
5.1 L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA ITALIANA IN MATERIA DI ASILO.
Con il termine protezione internazionale si intende in generale la protezione che viene offerta a persone che cercano rifugio in quanto costrette a fuggire dalle persecuzioni, dalla guerra e dalla violenza generalizzata del loro Paese di origine.
Il concetto di protezione internazionale è anche conosciuto come diritto dei rifugiati o diritto di asilo.
Il diritto d’asilo ha ricevuto, nel nostro ordinamento, espresso riconoscimento a livello costituzionale con 1‘art. 10 Cost. comma 3 secondo cui “lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
L’adozione di tale definizione è stata il risultato di una scelta matura e consapevole formulata dai Padri costituenti dopo approfonditi confronti.
Bisogna, infatti, ricordare che la Costituzione è stata adottata alla fine di un periodo caratterizzato da diffuse persecuzioni politiche e razziali che hanno dato esito alla Seconda guerra mondiale, durante il quale molti degli stessi deputati dell’Assemblea Costituente avevano goduto del diritto d’asilo in altri Paesi.
Appare emblematica la scelta di collocare il diritto di asilo nei primi dieci articoli della Carta costituzionale dedicati ai principi meramente formalistici, dovendo consistere in una menomazione delle predette libertà avente carattere generale e continuativo.
Non integrano, infatti, il citato elemento né una mera attenuazione del godimento, né una sospensione temporanea ed eccezionale delle garanzie costituzionali in situazioni di emergenza.
Sotto l'aspetto contenutistico va segnalato che il diritto di asilo ha un ambito spaziale ben determinato, poiché l’art. 10 comma 3 cost. lo circoscrive, espressamente, al territorio della Repubblica in senso stretto che, quindi, non coincide con la più ampia sfera territoriale sulla quale si esercita la sovranità statuale: si tratta, infatti, del c.d. :asilo territoriale o "asilo costituzionale” che indica, secondo la dottrina40 quel diritto accordato da uno Stato nell’ambito del territorio in cui esercita la propria potestà41.
In linea di principio, pertanto, il c.d. asilo extraterritoriale non rientra, almeno in via diretta, nel raggio di azione dell’art. 10 comma 3 cost.
Per quanto riguarda il complesso problema della natura giuridica della disposizione fondamentale, occorre precisare che la dottrina prevalente ha qualificato l’asilo costituzionale quale diritto soggettivo perfetto del migrante al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana all’ingresso ed al soggiorno nel territorio nazionale, al fine della presentazione della domanda di asilo alle autorità italiane, ritenendolo, peraltro, diritto immediatamente azionabile anche in difetto di apposite leggi ordinarie che ne fissino le condizioni dell’esercizio.
Infatti, in base all’interpretazione condivisa della dottrina e della recente giurisprudenza la norma dell’art. 10 comma 3 è da ritenersi immediatamente precettiva e non meramente programmatica, quindi direttamente applicabile anche in mancanza di leggi ordinarie attuative che ne fissino le condizioni di esercizio42.
40 D'ASCIA. Diritto degli stranieri e immigrazione, Milano, 2009, p. 255
41 In antitesi al c.d. “asilo extraterritoriale” o “asilo diplomatico”, che concerne le immunità
ed i privilegi diplomatici connessi alle sedi di rappresentanza statale al di fuori dei confini quali sedi diplomatiche, per le quali valgono le regole del diritto internazionale.
42 Secondo la Corte di Cassazione “il carattere precettivo e la conseguente immediata
operatività delia disposizione costituzionale sono da ricondurre al fatto che essa, seppure in una parte necessita di disposizioni legislative di attuazione delinea con sufficiente chiarezza e precisione la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo, individuando nell’impedimento all'esercizio delle libertà democratiche la causa di giustificazione del diritto ed indicando l'effettività quale criterio di accertamento della situazione ipotizzata" (Sentenza
Concorda con questa tesi anche la dottrina prevalente43 secondo cui la disposizione costituzionale è da considerarsi direttamente applicabile in quanto, necessitando in parte di ulteriori interventi legislativi di dettaglio, contiene già una disciplina generale dell’istituto ed indica anche i confini della futura legislazione in materia.
Tuttavia, allo stato attuale, si può certamente affermare che il legislatore italiano non ha dato piena attuazione al disposto costituzionale. L'assenza di una legge che disciplini l’asilo ha comportato l’esclusiva applicazione della Convenzione di Ginevra che, con la legge 24 luglio 1954 n.722, era stata ratificata e resa esecutiva in Italia.
Con tale Convenzione si era proceduto a regolamentare non il più ampio istituto del diritto di asilo, bensì lo status di rifugiato, che identifica un istituto molto più limitato. Sulla base di tali presupposti, si veniva a creare un'anomalia per la quale, pur in presenza di una norma costituzionale “improntata ad una visione progressiva e aperta44 , la disciplina applicabile all’asilo era quella convenzionale più restrittiva.
Si verificava così la situazione per cui i soli rifugiati ai quali veniva concesso l’asilo erano quelli che rientravano nel campo di applicazione della Convenzione, i cosiddetti rifugiati de iure e, quindi, i soli per i quali si applicava la Costituzione. Tutti gli altri rimanevano esclusi dal diritto di asilo.
L’Italia, inoltre, nel ratificare la Convenzione, si è avvalsa della c.d. riserva geografica, che limitava il riconoscimento dello status di rifugiato ai soli richiedenti provenienti dall’area europea.
Questa riserva ha limitato per anni l’impegno dell’Italia, poiché la maggior parte dei rifugiati proveniva e proviene tuttora da Paesi extraeuropei.
Risulta quindi evidente la discrepanza tra gli obblighi assunti tramite la Convenzione di Ginevra, che riserva il riconoscimento dello status di rifugiato ai soli cittadini europei vittime di persecuzione, e la Costituzione italiana che estende il diritto di asilo a chiunque non possa esercitare le libertà democratiche nel proprio Paese, ancorché non direttamente perseguitato.
43 BARILE, Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova, 1995 pag. 61 ss. 44 STROZZI, Rifugiati e asilo politico nella legge n. 39 del 1990, in Riv. dir. int. 1992.
Mentre la limitazione temporale venne eliminata relativamente presto con la ratifica del Protocollo di New York con la legge n. 95 del 1970, per il ritiro della riserva geografica bisognò aspettare gli anni ’90 con l’avvio del processo di armonizzazione delle politiche europee in materia di immigrazione ed asilo e l’adozione della Legge Martelli.
Infatti il decreto legge n. 416 del 1989, convertito nella legge n. 39 del 1990, meglio conosciuta come legge Martelli, contenente “norme urgenti in
materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari già presenti nel territorio dello Stato”, rappresentava in Italia il timido inizio di un
regime nazionale della protezione internazionale dei rifugiati.
Con tale legge l’Italia riusciva a dotarsi di una scarna ed essenziale normativa, nelle more che il Parlamento varasse una disciplina organica dell’asilo, in attuazione dell’art. 10, comma 3 Cost. L'approvazione della legge avveniva in un contesto comunitario completamente nuovo, caratterizzato proprio in questo periodo dal processo di abolizione delle frontiere interne nonché dall’adozione dei primi strumenti comunitari vincolanti in materia di asilo.
Le più rilevanti novità erano l’abolizione della citata limitazione geografica delia Convezione di Ginevra del 1951 e l'introduzione di una disciplina procedimentale in materia di riconoscimento della condizione giuridica di rifugiato. Per quanto riguarda la prima novità, all’articolo 1 comma 1, si prevedeva l’abrogazione della dichiarazione fatta dall’Italia, ex articolo 1 della Convenzione di Ginevra.
Ne conseguiva che, a partire dall’entrata in vigore della legge Martelli, lo status di rifugiato in Italia poteva essere invocato anche da persone appartenenti a Stati non europei.
La ragione principale di tale abolizione stava nella necessità di adeguare la legislazione nazionale ai nascenti strumenti comunitari in materia di immigrazione e asilo e in particolare di soddisfare le condizioni necessarie per la firma della Convenzione di Schengen nonché della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l’esame della domanda d’asilo.
Nessuno dei due strumenti, infatti, poteva applicarsi ad un Paese che continuasse a riconoscere l’asilo solo ai cittadini di determinate nazioni. Per
quanto riguarda la seconda novità, la legge prevedeva, nell’articolo 1, aspetti rilevanti circa la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
La norma enunciava, innanzitutto, gli aspetti relativi all’accesso del richiedente asilo sul territorio italiano, di cui all’art. 1 comma 4 vengono elencate le ”cause ostative all’ingresso”45. La seconda parte della legge riguardava, invece, la modalità di presentazione della domanda d’asilo. Dalla legge Martelli in poi tale procedura si svolgeva dinnanzi alla Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato divenuta operativa nel marzo 1991, con conseguente cessazione delle funzioni svolte fino ad allora dalla Commissione paritetica di eleggibilità.
La legge 39/90 regolamentava, inoltre, alcuni aspetti relativi ai diritti sociali e civili dei rifugiati, cosi come definiti nella Convenzione di Ginevra.
In base alla stessa, il rifugiato, infatti, poteva fruire non solo dei diritti riconosciuti agli immigrati regolari, ma oltre a questi, dei diritti relativi ai rapporti civili, di lavoro e di assistenza sociale diventando, di fatto, equiparabile a un cittadino italiano.
Nel periodo compreso fra l’ingresso del richiedente nel territorio nazionale e il provvedimento finale della Commissione, il richiedente asilo era tenuto a ricevere quelle garanzie minime di tutela e assistenza che, una volta riconosciutogli lo status di rifugiato, si allargavano ad abbracciare uno spettro più ampio di diritti46.
45 Non è consentito l’ingresso nel territorio dello Stato dello straniero che intende chiedere il
riconoscimento dello status di rifugiato quando, da riscontri obiettivi da parte delia polizia di frontiera, risulti che il richiedente: a) sia stato già riconosciuto rifugiato in altro Stato. In ogni caso non è consentito il respingimento verso uno degli Stati di cui all’art. 7, comma 10; b) provenga da uno Stato, diverso da quello di appartenenza, che abbia aderito alla convenzione di Ginevra, nel quale abbia trascorso un periodo di soggiorno, non considerandosi tale il tempo necessario per il transito del relativo territorio sino alla frontiera italiana. In ogni caso non è consentito il respingimento verso uno degli Stati di cui all’art. 7, comma 10; c) si trovi nelle condizioni previste dall'alt. 1, paragrafo F, della convenzione di Ginevra; d) sia stato condannato in Italia per uno dei delitti previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale o risulti pericoloso per la sicurezza dello Stato, ovvero risulti appartenere ad associazioni di tipo mafioso o dedite al traffico degli stupefacenti o ad organizzazioni terroristiche.
46 A tal proposito, all’art. 1 comma 7. la legge Martelli trattava alcuni aspetti basilari relativi
all’assistenza accordando ai richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza o ospitalità in Italia un contributo di prima assistenza erogato dalle Prefetture. Tale contributo non tarda a rilevarsi tuttavia ampiamente insufficiente, soprattutto a fronte dei tempi di attesa della risposta della Commissione in merito alla domanda d’asilo.
Questa legge, seppur al di sotto delle aspettative di coloro che si aspettavano una normativa complessiva sull'asilo, rimane importante poiché ha segnato il passaggio in Italia da una logica formale di regolazione di flussi migratori all’elaborazione di una linea politica vera e propria in materia di immigrazione e asilo. Successivamente, l'obiettivo di regolamentazione della materia con una legislazione organica, non veniva raggiunto nemmeno con il Decreto legislativo n. 286/1998 intitolato Testo unico sull’immigrazione e sulla
condizione giuridica dello straniero, tuttora vigente.
Tale legge si occupava nuovamente di asilo stabilendo alcuni principi quali: il divieto di respingimento (non refoulement) o espulsione dello straniero in un Paese in cui possa essere oggetto di persecuzione per motivi politici, etnici, religiosi, di condizione personale o sociale (art. 19 comma 1); la possibilità del ricongiungimento familiare al titolare di permesso di soggiorno per asilo (art.28 comma 1); l’esenzione per il rifugiato dall’obbligo di dimostrare un reddito sufficiente e un alloggio idoneo per effettuare il ricongiungimento familiare (art. 29 comma 3); l’obbligo d’iscrizione al servizio sanitario nazionale per i titolari di permesso di soggiorno per asilo politico, asilo umanitario e richiesta di asilo (art. 34 comma 1b). Il Testo Unico prevedeva inoltre “misure di protezione
temporanea da adottarsi per rilevanti esigenze umanitarie in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all'Unione Europea” (art 20).
Questa disposizione introduceva cosi nell'ordinamento italiano la possibilità di accogliere coloro i quali non corrispondevano alla definizione di rifugiati della Convenzione di Ginevra del 1951, ma che comunque avevano bisogno di una forma di protezione internazionale.
A partire dalla fine degli anni novanta, la geografìa politica e le caratteristiche dei flussi migratori dei richiedenti asilo si modificavano progressivamente.
In ragione della sua posizione geografica nel Mediterraneo, l'Italia si trovava, infatti, di fronte alle sfide di un flusso migratorio di nuove e diverse origini.
Gli arrivi provenienti perlopiù dal Medio Oriente e dall'area balcanica, venivano man mano sostituiti dagli arrivi di cittadini prevalentemente africani.
E' in tale nuovo contesto che nel 2002, veniva emanata la nuova legge n. 189 sull’immigrazione c.d. legge Bossi-Fini, di modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
La legge apportava significative modifiche all’impianto normativo preesistente introducendo, agli articoli 31 e 32, nuove “disposizioni in materia di
asilo” che modificavano piuttosto radicalmente alcuni punti della procedura
prevista dall'ancora vigente art. 1 della legge 39/1990, aggiungendovi altri sei articoli (dall’art. 1 bis all'art. 1 septies).
In particolare l’art. 32 della legge Bossi- Fini istituiva una doppia procedura di asilo.
Da un lato, infatti, veniva introdotta una procedura ordinaria per tutti i richiedenti asilo che non fossero soggetti all'obbligo di trattenimento.
Per quanto riguardava nello specifico tale nuova procedura ordinaria per il riconoscimento dello status di rifugiato, era prevista l’istituzione di Commissioni territoriali presso le Prefetture per l’esame delle domande di asilo ed il riconoscimento dello status di rifugiato (art. 1 quater) al posto dell’unica Commissione Centrale che esisteva in passato.
La Commissione Centrale cambiava nome e funzione diventando Commissione nazionale per il diritto di asilo, con il compito di decidere in merito alla cessazione e revoca dello status (art. 1 quinquies) e con compiti di indirizzo e coordinamento delle Commissioni territoriali.
Dall’altro lato, veniva prevista una procedura semplificata per tutti i richiedenti asilo trattenuti obbligatoriamente nei c.d. Centri di identificazione e di permanenza temporanea, ovvero nelle seguenti tipologie di casi: a seguito di una domanda di asilo presentata dallo straniero fermato per aver eluso o tentalo di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque in condizioni di soggiorno irregolare; a seguito della presentazione della domanda di asilo da parte
di uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento47.
La legge Bossi-Fini delineava così una prima ristrutturazione delle procedure necessarie48 al riconoscimento dello status di rifugiato che si organizzava quindi in una prima accoglienza nei Centri di identificazione, un esame da parte delle Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status e in una seconda accoglienza costituita dallo SPRAR.
Tuttavia, anche questa norma costituiva un intervento di carattere transitorio adottato in attesa di una disciplina organica dell’intera materia realmente attuativa dell’art.10 Cost.