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LA PREVENZIONE IN AMBITO SANITARIO: ASPETTI GENERALI

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LA PREVENZIONE IN AMBITO SANITARIO: ASPETTI GENERALI

Dr. F. Ferraris, Dr. C. Mantovani∗∗

In ambiente sanitario l’approccio alla prevenzione non può che fare riferimento ai concetti universali validi in qualsiasi ambiente di lavoro.

Una volta effettuata la valutazione del rischio, le tappe successive non possono che essere costituite da:

• informazione dei lavoratori

• individuazione delle misure di prevenzione da attuare, a loro volta articolate in

¾

¾

¾

misure ingenieristiche misure procedurali

misure di protezione individuali

• formazione dei lavoratori all’applicazione delle misure di cui sopra

Il tutto deve naturalmente essere progettato come un insieme armonico, le cui varie componenti si integrano e si completano a vicenda.

Il complesso delle attività di analisi e di prevenzione non deve peraltro essere inteso come un cammino lineare da percorrere una volta per tutte, ma come un sistema dinamico che si sviluppa su un percorso di tipo circolare, in cui la rivalutazione del rischio a seguito della valutazione di efficacia delle misure intraprese comporta riaggiustamenti delle strategie di intervento.

Vanno tuttavia evidenziati due aspetti che, ancorchè non esclusivi, sono peculiari dei servizi sanitari.

Un primo aspetto, di tipo “tecnico”, è costituito dal fatto che l’intensità e la tipologia di alcuni dei fattori di rischio (e particolarmente di quelli di cui trattiamo), è importata, in misura rilevante, dall’esterno del sistema, ed è quindi non prevenibile

“all’origine”.

Un secondo aspetto, di tipo “etico”, deriva dalla natura dei valori che si confrontano nelle attività di prevenzione.

In ambito industriale devono essere operate scelte tra valori che sono situati su piani eticamente diversi (quantomeno nelle dichiarazioni di principio su cui la nostra organizzazione sociale trova fondamento): la tutela della salute del lavoratore da una parte e l’efficienza del processo produttivo (ovvero un valore economico) dall’altra.

In ambito sanitario, viceversa, il confronto avviene spesso tra valori posti sullo stesso piano quanto a caratura etica: la tutela della salute dell’operatore e quella della salute del paziente.

È chiaro come tale situazione limiti l’arco delle scelte possibili nell’ambito della prevenzione.

Responsabile Unità operativa di Medicina del lavoro Ospedaliera dell’ ASL 12 di Biella

∗∗ Responsabile Unità operativa di Medicina del lavoro Ospedaliera dell’Ospedale Maggiore di Novara

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La presenza combinata di questi due aspetti comporta infatti che molti degli interventi più radicali (e più efficaci) sui fattori di rischio siano di fatto impossibili e che le difese debbano essere in qualche modo arretrate “in seconda linea”. L’obiettivo non può quindi essere quello di eliminare il rischio alla fonte, ma quello di minimizzarlo e acquisire l’abitudine e le abilità necessarie a convivere con esso senza subire danni e, aspetto non meno importante, senza intollerabili vissuti di angoscia.

L’analisi della letteratura sul tema, e la quotidiana esperienza di lavoro, concordano nel segnalare un grande interesse sia dal punto di vista scientifico che da quello del marketing sul tema della prevenzione del rischio da agenti biologici in ambiente sanitario.

In termini generali, esaminando le numerosissime proposte avanzate, si ha la sensazione che per molte di esse, quando pure sono presenti solide dimostrazioni di efficacia nella soluzione di uno specifico problema, siano carenti le certezze in ordine ad una serie di altri fattori altrettanto importanti nel determinare la scelta di adozione.

In particolare spesso non è dato conoscere:

• Se non vengano introdotti o incrementati altri fattori di rischio (valga quale esempio tipico quello dei guanti in materiale alternativo al lattice, che evitano manifestazioni allergiche ma garantiscono una protezione non sempre adeguatamente documentata contro gli agenti biologici);

• Se il dispositivo o la procedura sperimentata nell’ambito dello studio sia concretamente e correttamente adottabile nelle reali condizioni operative, anche in relazione all’accettabilità da parte degli operatori (valga ad esempio l’introduzione della “zona neutra” per il passaggio degli strumenti chirurgici);

• Se la procedura/dispositivo non comporti svantaggi per il paziente e se questi eventuali svantaggi siano accettabili (valga ad esempio l’uso costante dei doppi guanti nelle chirurgie “delicate”).

Infine la pressione commerciale spesso afferma apoditticamente l’esistenza di un positivo rapporto costi benefici, senza curarsi di dimostrarlo cifre alla mano.

Il problema dei costi merita la massima attenzione in un mercato in cui il prezzo viene determinato (dall’importatore/rivenditore) senza precisi riferimenti ai costi di produzione, di ricerca e di commercializzazione. È paradigmatico l’esempio (reale) di un dispositivo il cui prezzo è stato dimezzato (!) quando ha dovuto confrontarsi con un concorrente con prezzi più vantaggiosi.

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LA PREVENZION DEGLI INFORTUNI CON CONTAMINAZIONE DA MATERIALE BIOLOGICO

La progettazione e la realizzazione di una strategia preventiva coerente, che miri ad essere efficace nelle innumerevoli situazioni strutturali ed organizzative che sono presenti nell’ambito di un’azienda sanitaria, non può prescindere dall’assunzione di un principio di carattere generale. Tale principio non può che essere individuato in quanto proposto dalle più autorevoli istituzioni sanitarie in campo mondiale e ribadito a livello nazionale circa la presunzione di contagiosità del sangue (e dei liquidi biologici da esso contaminati) di ogni individuo e dell’applicazione generalizzata delle misure universali di prevenzione.

Le precauzioni universali si applicano al sangue, ad altri fluidi corporei visibilmente contaminati da sangue, allo sperma, ai fluidi vaginali, al liquido cerebrospinale, sinoviale, pleurico, pericardico, amniotico.

Le precauzioni universali non si applicano alle feci, alle secrezioni nasali, al sudore, alle lacrime, all'urina, al vomito, a meno che non contengano sangue visibile. Per quanto riguarda la saliva le precauzioni universali si applicano quando è visibilmente contaminata con sangue, o in ambiente odontoiatrico, dove la contaminazione della saliva con sangue è prevedibile (CDC 1996). Ancorché tale principio sia stato ufficialmente adottato da anni, permangono atteggiamenti che tendono ad adottare comportamenti differenti a seconda che il paziente sia o meno considerato “a rischio”. Tali atteggiamenti devono essere evidentemente strenuamente combattuti.

Se si opera in termini di precauzioni universali, risulta evidente che il rischio che deve essere prevenuto è costituito dal contatto con materiale ematico, indipendentemente dalla conoscenza di un potenziale infettante, e non già dal contatto con il sangue di uno specifico paziente di cui è nota la potenziale contagiosità.

MODALITÀ DI ACCADIMENTO DELL’EVENTO A RISCHIO

Il contatto con materiale ematico derivante da pazienti può sostanzialmente verificarsi con due diverse modalità:

• La contaminazione superficiale, cutanea o mucosa;

• La ferita da oggetti taglienti.

La reale frequenza di accadimento delle due modalità è difficile da stimare per il ben noto fenomeno della sottodenuncia degli infortuni, fenomeno che verosimilmente interessa le contaminazioni superficiali in misura maggiore delle ferite.

Tra i dati disponibili in letteratura per stimare il rapporto tra contaminazioni e ferite denunciate possono essere citati, al fine di attribuire una dimensione al fenomeno, i seguenti dati:

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Fonte Periodo di osservazione

N. totale di eventi

registrati

% contaminazioni % ferite

EPINet 1998 3.933 19.1 80.9

EPINet 1993-95 13.472 21.0 79.0

OSHA Gennaio 1996 626 34.0 66.0

Meritano infine segnalazione i dati SIROH (1994-95), che presentano in maniera disaggregata il rapporto tra le due modalità in funzione della situazione del soggetto fonte del materiale ematico.

Agente % contaminazioni % ferite

HCV Ab+ 30.7 69.3

HbsAg+ 27.8 72.2

HIV Ab+ 52.3 47.7

Plurimo 35.2 64.8

Risulta difficile spiegare le differenze tra le varie righe. È ragionevole ipotizzare che, per intuibili motivi, le segnalazioni degli eventi che coinvolgono pazienti HIV+ siano praticamente esaustive e che pertanto il rapporto che si verifica su tali episodi sia quello più vicino alla realtà.

Ai fini della prevenzione pare giustificato trattare separatamente le due modalità.

CONTAMINAZIONI MUCOCUTANEE

Tra le varie possibili modalità di accadimento vengono considerate a rischio di trasmettere infezioni le contaminazioni mucose (in particolare quelle oculari), quelle su cute lesa e, in misura minore, quelle su cute sana che comportino l’interessamento di ampie superfici o il contatto prolungato.

Pare pertanto giustificato che l’attenzione in ambito preventivo venga concentrata sugli eventi con queste caratteristiche e che denomineremo, in questa sede, contaminazioni maggiori.

Con l’importante eccezione delle contaminazioni che si verificano in corso di intervento chirurgico attraverso i guanti, che meritano una trattazione specifica, per tutti gli altri episodi è giustificato ritenere che essi siano totalmente prevenibili e che il loro verificarsi derivi unicamente da carenze nella previsione del rischio e nell’adozione delle opportune misure sia sul versante procedurale che su quello dell’utilizzo di adeguati DPI.

Le indicazioni preventive sono pertanto elementari e non necessitano di ulteriori approfondimenti. Va peraltro rilevato come sia ripetutamente segnalato il fatto che

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contaminazioni della mucose oculari siano avvenute nonostante il soggetto indossasse dispositivi di protezione (occhiali o visiere). Tale evenienza viene segnalata, dallo studio SIROH, nel 25% dei casi di contaminazione oculare. Va quindi sottolineata l’importanza di scegliere con attenzione tali DPI e di utilizzarli in maniera corretta (Ippolito G. et al. 1998).

Per quanto riguarda occhiali e schermi visivi esiste, oltre quello della efficacia protettiva e della generale tollerabilità, un altro problema specifico che deve essere preso attentamente in considerazione: quello della qualità ottica adeguata alle attività che devono essere protette.

Tanto più il tempo di utilizzo è prolungato, le condizioni di illuminazione ambientale sfavorevoli, l’impegno visivo elevato, tanto più è necessario che la qualità ottica dei dispositivi adottati sia elevata. Deve essere inoltre di volta in volta valutato se sia accettabile il contemporaneo utilizzo di occhiali correttivi e del dispositivo di protezione o se invece tale dispositivo debba provvedere anche alla correzione del vizio refrattivo.

In ogni caso l’utilizzo del DPI, laddove sia richiesto, non può essere sostituito da quello dei normali occhiali da vista.

Un ulteriore aspetto che si ritiene importante segnalare è costituito dall’utilizzo di teleria monouso in sala operatoria. Nell’esperienza personale sono tate segnalate numerose contaminazioni cutanee legate alla capacità di assorbire liquidi di tale materiale che pare essere inferiore a quello della teleria tradizionale. Ne consegue che il sangue può scorrere su di essa e contaminare sia il camice che gli arti inferiori del chirurgo, dando origine, talora, ad eventi inquadrabili tra le “contaminazioni maggiori”. Non sono state, peraltro, reperite in letteratura segnalazioni in merito.

In generale è tuttavia possibile sostenere che la prevenzione nei confronti delle contaminazioni cutanee e mucose non richiede di affrontare particolari problemi concettuali, ma solo determinazione e costanza nell’analisi delle procedure, al fine di individuare quelle a rischio, nella scelta dei DPI, nella formazione degli operatori.

CONTAMINAZIONI CUTANEE DELLE MANI IN CORSO DI INTERVENTO CHIRURGICO

La perforazione nei guanti in corso di intervento chirurgico è un evento estremamente frequente, che viene ridotto ma non completamente eliminato dall'utilizzo sistematico dei doppi guanti e che rimane, perlopiù, inavvertito dall'operatore, come evidenziato in diversi studi negli ultimi dieci anni.

In letteratura si rileva discordanza nell'individuazione delle aree del guanto maggiormente interessate dal danneggiamento con conseguente perdita di impermeabilità. Alcuni lavori segnalano una maggiore frequenza per la mano dominante; altri, viceversa, per quella non dominante. È verosimile che tale discordanza debba essere riferita al tipo di intervento chirurgico eseguito. Vi è invece generale consenso sul fatto che le dita siano la zona più interessata dalle perforazioni.

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Tra i fattori che incrementano il rischio vengono citati: l'inesperienza dell'operatore, la durata e la complessità dell'intervento.

Numerose indicazioni vengono fornite al fine di ridurre il rischio di contaminazione cutanea. Vengono di seguito elencate e, ove è parso opportuno, commentate quelle più ricorrenti:

1. Sistematico cambio dei guanti in corso di intervento.

Il razionale di tale indicazione è naturalmente costituito dal fatto che lo stress meccanico legato all'utilizzo riduce la resistenza del guanto e ne facilita la perforazione. Non esiste peraltro univocità nel definire il ritmo di cambio dei guanti: si passa dai 30 ai 120 minuti.

2. Utilizzo sistematico dei doppi guanti.

I dati di letteratura sono pressoché univoci nel dimostrare che il rischio di perforazione nello stesso punto dei due guanti è statisticamente minore del rischio di perforazione del singolo guanto. Viene peraltro, in un caso (Berridge DC et al 1998), manifestato il dubbio che la perdita di destrezza e il discomfort connessi con l'utilizzo dei doppi guanti possano comportare un aumento piuttosto che una riduzione del rischio. Diversi studi evidenziano, relativamente al problema della sicurezza del paziente, il fatto che l'utilizzo dei doppi guanti riduce la destrezza manuale e la capacità di fine discriminazione.

3. Utilizzo, per le suture, della tecnica " no touch".

In confronto alla tecnica tradizionale il numero di punture è stato simile, ma il numero di guanti su cui è stata rilevata perforazione significativamente minore.

4. Utilizzo, per le suture, di aghi a punta smussa.

Tali strumenti annullano praticamente il rischio di puntura per il chirurgo e riducono significativamente, senza peraltro eliminarlo, quello di perforazione del guanto. L’utilizzo di aghi smussi non è possibile per la sutura di tutti i tessuti.

Ove ne esista l’indicazione pare che nessun significativo inconveniente ne consegua per il paziente.

5. Utilizzo di apparecchi automatici per la sutura.

La riduzione delle perforazioni è risultata significativa in tutti i sottogruppi studiati e più rilevante in quelli costituiti da operatori con minore esperienza.

6. Evitare il passaggio mano a mano degli strumenti e utilizzando una zona neutrale (linee guida della commissione nazionale per la lotta all'AIDS).

Tale tecnica, ad un primo esame, è tuttavia gravata dalla necessità che il chirurgo distolga ripetutamente lo sguardo dal campo operatorio. Tale necessità costituisce un problema particolarmente in caso di utilizzo di occhiali ingranditori e, verosimilmente, durante situazioni di urgenza.

7. Utilizzo di guanti resistenti al taglio (rinforzati con filamenti di acciaio o di polimeri ad alta densità).

Tali guanti devono evidentemente essere utilizzati insieme ai normali guanti chirurgici. Sulla loro reale utilità esistono pareri contrastanti (Louis SS et al 1998, Kelly KE et al 1993).

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PREVENZIONE DELLA CONTAMINAZIONE PER FERITA DA AGO/TAGLIENTE

Individuazione delle priorità di intervento

Esiste, in letteratura, una notevole mole di materiale inerente l'argomento. Nel suo contesto assumono particolare rilievo le linee guida emanate dal NIOSH nel novembre 1999, in quanto affrontano in maniera organica tutti gli aspetti del problema.

È peraltro evidente che le strategie preventive non possono essere adottate in maniera acritica e ripetitiva in ogni specifica situazione. È viceversa necessario condurre un’attenta analisi della propria realtà al fine di definire quali siano le situazioni di rischio che meritano prioritariamente attenzione e quali siano le iniziative che debbano essere intraprese per prime.

Le linee di azione di una strategia preventiva sono, concettualmente, abbastanza agevoli da individuare:

• Eliminazione dell'uso improprio degli strumenti taglienti;

• Eliminazione dell'uso degli strumenti taglienti laddove siano disponibili alternative efficaci;

• Introduzione di strumenti con caratteristiche o dispositivi di sicurezza laddove non sia possibile sostituire lo strumento tagliente;

• Introduzione di procedure per l'utilizzo e l'eliminazione sicuri dei taglienti su cui non sia possibile nessuno degli interventi elencati nei punti precedenti.

In fase applicativa emergono tuttavia due problemi:

In primo luogo non è facile individuare in maniera esaustiva tutte le situazioni in cui si rende necessario applicare le azioni elencate ai punti precedenti. L'attività sanitaria è infatti multiforme e poco standardizzabile: non sono, in generale, disponibili descrizioni delle procedure adottate che permettano di individuare, a priori, le operazioni a rischio.

L’obiettivo di un’analisi esaustiva dei compiti lavorativi al fine di individuare le misure preventive da adottare in ogni singola circostanza deve comunque essere perseguito. Utile, sotto questo aspetto, l’utilizzo dei criteri di classificazione dei compiti lavorativi in tre categorie proposto da NIOSH (v. Tabella).

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In secondo luogo tutte le azioni elencate, con l'eccezione della prima, comportano dei costi che, sommati tra loro, raggiungono inevitabilmente livelli insostenibili qualora debbano essere affrontati contemporaneamente.

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È quindi necessario individuare le situazioni su cui agire prioritariamente.

Vi è generale consenso sul fatto che il monitoraggio sistematico degli infortuni costituisce il migliore strumento attualmente disponibile per raggiungere tale obiettivo.

Non va inoltre dimenticato, anche se tale aspetto esula dall'ambito della presente discussione, che solo il monitoraggio sistematico permette di sottoporre a sorveglianza sanitaria, ove indicata, gli operatori della vittima di infortunio.

Numerosi dati di letteratura segnalano tuttavia che non tutti gli infortuni occorsi vengono denunciati e sono quindi rilevati ed analizzati dal sistema di monitoraggio.

L'entità di tale sottonotifica peraltro varia ampiamente in funzione del ruolo professionale della vittima, dell’unità operativa di appartenenza e, più in generale, della struttura sanitaria in cui il fenomeno è stato studiato.

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È quindi indispensabile che il monitoraggio degli infortuni sia integrato, da una parte, da tutte le iniziative opportune al fine di ridurre il fenomeno della sottonotifica e, dall'altra, da indagini che permettano di stimarne le dimensioni e la distribuzione.

Vanno prese in considerazione, per quanto riguarda il primo aspetto, l'informazione degli operatori sanitari sul sistema di rilevamento e sui suoi obiettivi, la massima semplificazione degli adempimenti burocratici e la minimizzazione del tempo impiegato, l'efficacia e la puntualità della sorveglianza sanitaria che segue l'infortunio, la capacità di assicurare un medico di adeguato livello.

Un aspetto rilevante, che non è possibile approfondire in questa sede per ragioni di spazio, ma che non può essere trascurato, è costituito dal fatto che il sistema di rilevamento, per far coesistere il massimo dell'efficacia con il minimo dei costi, deve essere progettato e gestito in funzione dell'obiettivo che si propone. Non è detto, in altre parole, che sistemi nati per la rilevazione dei tassi di infezione a seguito di infortunio siano strumenti adeguati per monitorare gli infortuni a fini preventivi.

È d'altra parte noto che la proporzione di infortuni attribuibili ai differenti strumenti e procedure varia considerevolmente da un ospedale all'altro e, nello stesso ospedale, varia nel tempo anche in funzione delle strategie preventive eventualmente adottate.

È pertanto indispensabile che ogni centro sia in grado di progettare la raccolta dei dati e di curarne l'elaborazione su base locale.

La disponibilità di un quadro esaustivo della distribuzione degli infortuni con contaminazione da materiale biologico nell'ambito della propria struttura è premessa indispensabile per definire:

quali siano le situazioni cui è necessario assegnare priorità nella progettazione di interventi preventivi.

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quali siano gli interventi prioritari in funzione delle specifiche modalità di accadimento degli infortuni.

se gli interventi adottati si sono dimostrati efficaci nel ridurre la frequenza e la gravità degli infortuni.

Quest'ultimo punto è particolarmente delicato e richiede l'adozione di un rigoroso metodo di lavoro:

sorveglianza attiva degli infortuni durante l'utilizzo dei dispositivi tradizionali e quantificazione del fenomeno della sottodenuncia; raccolta dei dati necessari ad ottenere convenienti denominatori per la definizione dei tassi di infortunio.

addestramento teorico e pratico del personale all'utilizzo del dispositivo di sicurezza.

fornitura dei dispositivi di sicurezza e verifica che quelli tradizionali non siano più presenti nei luoghi di utilizzo.

proseguimento della sorveglianza attiva degli infortuni e contemporanea verifica del livello di soddisfazione degli operatori sanitari, nonché dell'insorgenza di eventuali effetti avversi nei pazienti.

recupero dei contenitori per taglienti usati e verifica del loro contenuto al fine di accertare se e in che misura i dispositivi di sicurezza sono stati utilizzati e se

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l'attivazione eventualmente necessaria sia stata effettuata sistematicamente ed in maniera corretta.

elaborazione dei dati e verifica delle efficacia del dispositivo studiato.

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È peraltro evidente, nelle concrete situazioni in cui ci troviamo ad operare, che una verifica tecnica di efficacia non è l'unico parametro che deve essere preso in considerazione per decidere sull’adozione o meno di un particolare dispositivo. Non è infatti possibile non tenere in considerazione il problema dei costi.

Un utile strumento per valutare anche tale aspetto è stato recentemente pubblicato sul giornale italiano delle infezioni ospedaliere, cui si rimanda per l'approfondimento del problema.

Il percorso proposto è obiettivamente complesso. Va tuttavia segnalato che i fattori che condizionano il verificarsi dell'infortunio non sono necessariamente identici in tutte le situazioni e che pertanto modelli di intervento attuati altrove con successo non garantiscono automaticamente una replica del risultato. Va inoltre tenuto presente che la prevenzione dell'infortunio non può che essere il risultato di un impegno complessivo, consapevole e coordinato, di tutta la struttura aziendale e un può derivare dall'acquisizione di interventi "chiavi in mano".

Il controllo ingegneristico

Interviene, più tradizionalmente, sull'organizzazione spaziale del posto di lavoro verificando che gli spazi disponibili siano adeguati ad eseguire le manovre a rischio senza conflitti con parti del corpo dell'operatore o di altri soggetti che assistano l'esecuzione della manovra.

Rientra in quest'ambito anche il corretto posizionamento dei contenitori destinati a contenere i taglienti dopo l'utilizzo e la verifica dell'adeguatezza delle loro caratteristiche.

Quest'ultimo aspetto è stato diffusamente analizzato in un documento NIOSH del 1998 “Selecting, Evaluating and Using Sharp Disposal Containers”.

Più recentemente il controllo ingegneristico è intervenuto sui dispositivi di lavoro.

Sono stati messi a punto dispositivi che eliminano radicalmente la necessità di utilizzare aghi o altri strumenti taglienti e dispositivi che rendono il tagliente, particolarmente l'ago, inoffensivo immediatamente dopo o in stretta prossimità del momento di utilizzo. Vengono proposti dispositivi che automaticamente si mettono in condizioni di sicurezza ed altri che, viceversa, devono essere attivati manualmente. In questi casi è essenziale che l'attivazione possa avvenire con una sola mano e senza intralciare lo svolgimento della manovra in corso.

Senza eccezione questi dispositivi richiedono, da parte dell'operatore, l’acquisizione di abilità manuali nuove rispetto a quelle consolidate e la disponibilità a modificare la successione dei momenti in cui abitualmente le varie manovre si articolano.

Per questi motivi la loro introduzione non è abitualmente un processo semplice e va adeguatamente preparato con specifici momenti di informazione sul rischio e di formazione sulle corrette modalità di utilizzo.

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L'elusione di questa fase preparatoria comporta abitualmente il rifiuto dell’utilizzo del dispositivo di sicurezza o il suo uso scorretto, vanificando in tal modo gli obiettivi che le hanno motivato l'introduzione, nonché i costi sostenuti.

Non è possibile, in questa sede, esaminare tutti i dispositivi proposti. Ippolito G. et al., nel testo “Esposizioni professionali ad HIV nelle strutture sanitarie” del 1998, ne illustra un buon numero. Si tratta peraltro di un mercato in continua evoluzione.

Fig. 1 – Alcuni esempi di dispositivi di sicurezza per la prevenzione delle

punture accidentali. ( da Alert Preventing Needlestick Injuries in healt Care Setting. NIOSH – nov. 1999)

Quel che qui importa sottolineare è la necessità di valutare attentamente il dispositivo, sia per quanto riguarda la sua reale utilità (un equivalente livello di sicurezza potrebbe essere raggiunto con dispositivi tradizionali correttamente utilizzati), sia la sua praticità di utilizzo, il rapporto tra costi e benefici. Nel processo valutativo non va infine dimenticata la sicurezza del paziente e l'assenza di complicazioni indotte.

Dispositivi di protezione individuale.

Nella gerarchia della prevenzione rappresentano abitualmente l'ultima risorsa da utilizzare. In ambito sanitario, purtroppo, sono spesso l'unico intervento possibile.

Sono stati più sopra citati occhiali e visiere di sicurezza e, in relazione all'ambiente di sala operatoria, guanti resistenti al taglio.

Il capitolo di maggiore complessità e rilevanza è tuttavia quello relativo ai guanti, che merita una specifica discussione.

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L’utilizzo dei guanti come mezzo di protezione individuale per gli operatori della sanità è da far risalire ai primi anni del 1800, quando un dermatologo austriaco, il Dott. J. Plenk, suggeriva l’impiego dei guanti alle ostetriche allo scopo di evitare il contagio con il Treponema Pallidum. Il guanto di lattice fece la sua prima apparizione nel 1844 a seguito di un brevetto di Thomas Foster, che utilizzò il processo di vulcanizzazione ideato e brevettato da Goodyear. Solo alla fine del 1800 l’utilizzo dei guanti in lattice quale barriera protettiva per il paziente e per gli operatori divenne prassi comune in ambito chirurgico. Fino alla fine degli anni settanta l’utilizzo di guanti in lattice era soprattutto presente in ambito chirurgico, ma con la diffusione dell’infezione da HIV e la produzione di linee guida per la prevenzione di tale patologia da parte di organismi nazionali ed internazionali, l’utilizzo di tale presidio a fini preventivi è diventato comune a tutti i lavoratori della sanità nelle situazioni di potenziale rischio di contatto con liquidi biologici potenzialmente infetti, in particolare per la prevenzione del contagio da HBV, HCV e HIV da paziente ad operatore, oltre che per la prevenzione del contagio da operatore a paziente.

Differenti sono le caratteristiche biomeccaniche che hanno i diversi tipi di guanti in funzione del loro utilizzo in ambito sanitario. Principalmente possiamo dividere i guanti in due categorie principali: a) da esplorazione o visita non sterili o sterili; b) chirurgici sterili.

Il materiale utilizzato per la produzione di ambedue i tipi di guanti è essenzialmente il lattice. Il lattice o gomma naturale è un’emulsione che contiene il 30-35% di un polimero naturale (cis 1-4 polisoprene). Per la produzione dei guanti al lattice vengono aggiunte le seguenti sostanze: acceleranti (tiurami, carbamati, mercaptobenzotiazoli ecc.), antiossidanti, vulcanizzanti. Per favorirne lo scorrimento durante l’indossamento vengono solitamente utilizzati dei lubrificanti quali amido di mais, che può contenere epiclorina, ac. sorbico, isotiazolin-3-one. Recentemente, per evitare il contatto diretto con il lattice, l’interno dei guanti può essere rivestito con polimeri acrilici o poliuretani. I guanti in lattice possono essere prodotti nella versione depolverizzata per esigenze tecniche (chirurgia particolare, uso di particolari farmaci) o per problemi del lavoratore (ridurre l’irritazione della cute delle mani o l’aerodispersione delle proteine del lattice). Oltre al lattice nell’ultimo decennio, per motivi che vedremo successivamente, sono entrati in uso altri materiali allo scopo di sostituirlo. I materiali in questione sono essenzialmente dei polimeri di tipo sintetico quali:

- Polivinile (prodotto attualmente maggiormente utilizzato come alternativa al lattice per i guanti da esplorazione);

- Nitrile (di recente introduzione);

- stirene-butadiene;

- neoprene;

- polietilene (solo per guanti da esplorazione);

- ecc.

Anche i guanti prodotti con polimeri sintetici hanno solitamente al loro interno della polvere (quasi sempre amido di mais), con la funzione di lubrificante per facilitarne

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l’indossamento. Nelle versioni depolverizzate le superfici interne sono solitamente clorinate e prive di polvere.

Esistono dei riferimenti di buona tecnica per quanto concerne gli standard produttivi dei guanti per uso sanitario. Tali standard riguardano in particolare l’assenza di fori ( EN 455-1) e le proprietà fisiche, al fine di assicurare e mantenere durante il loro utilizzo un adeguato livello di protezione per il paziente e per l’utilizzatore (EN 455- 2). Esistono altresì delle norme di tipo statunitense (ASTM) che riguardano caratteristiche quali lo spessore minimo ed alcuni requisiti fisici.

Ai fini della prevenzione dell’esposizione ad agenti biologici per via ematogena, in particolare per impedire il contatto fra i liquidi biologici potenzialmente infetti e la cute delle mani degli operatori sanitari, di rilevante importanza è la valutazione delle differenti caratteristiche biomeccaniche che i diversi guanti prodotti con materiali diversi presentano.

Analizzando i dati della letteratura dell’ultimo decennio, si mette in evidenza come dal punto di vista dell’efficacia come barriera non troviamo alcun tipo di guanto che sia in grado di dare una protezione sicura al 100%. Per quanto concerne i cosiddetti guanti da esplorazione o visita, che sono in temini numerici i più utilizzati in ambito sanitario, studi condotti da Korniewicz, Kotilainen H. e Yangco B. nei primi anni ‘90 hanno dimostrato come guanti in lattice mai usati e conservati in condizioni corrette, presentavano dei difetti (fori) in una percentuale che andava dall’1% all’ 8% a seconda degli studi. Dalgleish e Malkovsky hanno evidenziato come la qualità dei guanti in lattice sia variabile da produttore a produttore e che nessuno comunque è in grado di assicurare una protezione totale. Ovviamente la situazione peggiora durante l’utilizzo degli stessi nelle normali attività sanitarie. Uno studio condotto da Korniewicz et al. nel 1993 sulla performance biomeccanica di guanti in lattice prodotti da tre ditte diverse, ha evidenziato, dopo un normale utilizzo, la presenza di fori nel 18% degli stessi. Se si analizzano i dati per i guanti in vinile, materiale che attualmente viene utilizzato in alternativa al lattice per i guanti da esplorazione nella stragrande maggioranza dei casi, la situazione evidenziata è sicuramente peggiore.

Alcune indagini in tal senso sono concordi nell’evidenziare come i guanti in vinile siano poco resistenti allo stress meccanico, dimostrando la presenza di fori almeno nel 50% degli stessi dopo utilizzo medio in termini di tempo ed impegno meccanico.

In sintesi si evidenzia una netta superiorità del lattice dal punto di vista della resistenza meccanica nei confronti del vinile che si presenta più rigido, e quindi più facile è la formazione di piccole fissurazioni, che ne alterano in modo significativo le proprietà di barriera nei confronti dei liquidi biologici potenzialmente infetti.

Se il lattice è quindi un buon materiale per la produzione dei guanti, anche se non perfetto, perché negli ultimi dieci anni sono così numerosi gli sforzi tecnologici tesi alla sua sostituzione?

La risposta sta nel fatto che è dai primi anni ottanta che il lattice è conosciuto come allergene in grado di scatenare patologie IgE mediate quali: orticaria localizzata nella sede di contatto, orticaria da contatto diffusa o generalizzata, accompagnata da

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manifestazioni di edema angioneurotico, rinite accompagnata in genere da congiuntivite, asma bronchiale, edema della glottide, shock anafilattico. A tali manifestazioni IgE mediate bisogna assommare la presenza nei guanti in lattice di sostanze (acceleranti soprattutto) in grado di produrre Dermatiti Allergiche da Contatto negli utilizzatori. Numerosi sono gli studi degli anni 90 che hanno evidenziato il problema delle patologie allergiche IgE mediate indicandole fra le patologie più rilevanti per numero e gravità nei lavoratori della sanità. Se a questo aggiungiamo che il lattice non è solo un serio problema per gli utilizzatori, ma anche per gli utenti, nei quali può a sua volta scatenare gravi reazioni con lo stesso meccanismo immunologico, è comprensibile come sia importante l’individuazione di materiali alternativi in grado comunque di fornire prestazioni pari o maggiori al lattice in termini di barriera meccanica, mantenendo la possibilità di esecuzione di fini movimenti, sensibilità ecc. per un utilizzo in ambito sanitario. Un tale materiale, per i guanti cosiddetti monouso, anche per problemi di costi e di accettabilità da parte dell’operatore, non è ancora stato chiaramente individuato. Indicazioni molto recenti in tale ambito sembrano individuare il nitrile come materiale alternativo al lattice per i guanti da esplorazione, soprattutto in considerazione dei problemi, già citatati, posti dal vinile. Tale materiale presenta caratteristiche meccaniche molto simili se non addirittura migliori del lattice, ma costi maggiori ed alcuni problemi di resistenza chimica che devono ancora essere ben chiariti, in particolare a preparati a base alcoolica quali alcuni disinfettanti e l’etere etilico. Alcune recentissime indagini (Fischer MD 1999 et al; Rego A, Roley L. 1999) concludono, dopo aver considerato le caratteristiche biomeccaniche dei guanti in nitrile paragonati a quelli in lattice, non solo dal punto di visita della resistenza meccanica, ma anche delle caratteristiche di vestibilità, sensibilità ecc., che il nitrile è una valida alternativa al lattice. Tale argomento è attualmente in studio nell’ambito di un programma di valutazione mirato dei Centers for Disease Control and Prevention proposto all’interno del programma

“Healthy People 2000” con l’obbiettivo di valutare i guanti prodotti con polimeri sintetici (nitrile in particolare) confrontandoli con il lattice in ambito chirurgico. Tale indagine mira a valutare altresì l’influenza delle condizioni di stoccaggio, esposizione a disinfettanti e detergenti sull’integrità dei guanti in vinile, nitrile ed altri polimeri.

In attesa di una chiara definizione di tali problematiche è indispensabile seguire una serie di semplici indicazioni pubblicate dal NIOSH nel 1998 “Latex allergy. A Prevention Guide” per fornire, con i materiali oggi a nostra disposizione, un’efficace barriera per la cute e, nello stesso tempo, ridurre al minimo l’insorgenza di patologie allergiche. Tali indicazioni sono simili a quelle date sempre nel 1998 dal “Gruppo Regionale di Lavoro sull’esposizione a lattice” della regione Piemonte. In sintesi le indicazioni mirano all’esclusione completa del lattice nei compiti che non prevedono un evidente rischio di contatto con liquidi biologici potenzialmente infetti e l’utilizzo di guanti senza polvere ed a basso contenuto di proteine libere del lattice per quanto riguarda i compiti con presenza di pericolo di contaminazione cutanea, in particolare da HBV, HCV, HIV. In questo modo si riduce notevolmente l’esposizione a proteine del lattice riducendo il rischio di insorgenza di patologie allergiche, mantenendo nello

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stesso tempo una barriera a protezione della cute degli operatori sanitari, la migliore attualmente possibile.

Per quanto riguarda le problematiche dell’utilizzo dei guanti in ambito chirurgico le stesse sono simili a quelle già riferite per i guanti da esplorazione, ma sicuramente complicate dal maggior tempo di contatto con i liquidi biologici, con la cute degli operatori e dalle possibili reazioni allergiche evocabili nel paziente. In letteratura sono ormai numerose le indicazioni che evidenziano come durante il normale utilizzo elevata è la probabilità che tali presidi, comunque prodotti, si lacerino in modo visivamente non apprezzabile, ma in modo tale da non essere più efficaci come barriera. In tal caso il problema dell’avere a disposizione una barriera efficace fra la cute delle mani dell’operatore ed il sangue del paziente è per ovvi motivi di importanza nettamente superiore rispetto alle situazioni in cui vengono usati i guanti da esplorazione. Il materiale ancora oggi usato in modo predominante è il lattice in quanto in grado di fornire una performance biomeccanica ottimale in termini soprattutto di operatività del personale chirurgico che in questo settore diventa condizione irrinunciabile per l’utilizzo di qualsiasi tipo di guanto. Come già detto in precedenza, per migliorare la capacità di protezione per la cute delle mani, recenti indicazioni in letteratura consigliano di utilizzare doppi guanti e di sostituirli con frequenza durante gli interventi per garantire un’efficace protezione per gli operatori nei confronti di agenti biologici trasmissibili per via ematica; tale procedura pare però ridurre la sensibilità tattile in modo significativo. Anche in questo settore sempre maggiore importanza acquistano le gravi problematiche di tipo allergologico prodotte dall’utilizzo del lattice sia per gli operatori che per i pazienti, ma l’elevatissimo costo dei materiali alternativi e le problematiche legate alla comoda vestibilità, adeguata conformazione anatomica, salvaguardia della sensibilità tattile e di “grip” rendono il problema della sostituzione del lattice di non facile soluzione. In attesa di una migliore definizione delle caratteristiche di barriera dei materiali alternativi, che secondo gli studi più recenti sembrano avere caratteristiche simili al lattice, se non addirittura migliori, l’utilizzo dei guanti a basso contenuto di proteine libere e senza polvere lubrificante sembrerebbe indispensabile per contrastare l’insorgenza delle patologie allergiche di cui si è già scritto. L’utilizzo dei guanti in materiale alternativo deve comunque avvenire in due casi: operatore sanitario sensibilizzato al lattice, paziente sensibilizzato al lattice.

A completamento delle cose scritte, si ritiene importante evidenziare come nessuno studio risulta aver mai evidenziato l’insorgenza di un’infezione di tipo professionale da HIV, HBV ed HCV in operatori sanitari che utilizzavano guanti di qualunque materiale, per semplice contaminazione su cute integra. Le modalità con cui si sono verificati i casi accertati di infezione di tipo professionale sembrerebbero indicare che i diversi tipi di materiali utilizzati per la fabbricazione dei guanti non dovrebbero aver influenzato in modo significativo l’insorgenza dell’infezione stessa. La letteratura scientifica degli ultimi dieci anni parrebbe non contenere nessuno studio sulle possibili contaminazioni cutanee evidenziabili in modo visivo dall’operatore in corso di utilizzo di guanti in ambito non chirurgico. Tale dato potrebbe essere utile in quanto, come già stato detto in precedenza, si ritiene rilevante un contatto di liquidi

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biologici potenzialmente infetti su cute integra quando le superfici interessate sono ampie o il tempo di contatto è prolungato. Quanto può essere efficace nel produrre una malattia un contato con sangue o altri liquidi biologici non apprezzabile visivamente? È pur vero che stiamo analizzando un DPI che deve proteggere da un rischio, quello da agenti biologici, che non prevede la possibilità di definire una dose di azione (carica infettante) precisa e quindi ogni sforzo per ridurre al massimo tutte le possibili vie, anche solo potenziali, di esposizione deve essere fatto in considerazione anche della gravità delle patologie di cui stiamo trattando e dei risvolti psicologici negativi che sugli operatori sanitari potrebbero avere eventi anche di semplice contatto cutaneo, comunque evidente, con liquidi biologici potenzialmente infetti. Deve sempre essere posta l’attenzione a non enfatizzare situazioni di rischio solo teorico che potrebbero portare ad un utilizzo errato delle già scarse risorse economiche messe a disposizione della sanità nel nostro paese, in modo particole per la prevenzione della salute degli operatori dai rischi professionali.

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