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Sentenze tributarie. 12 Ottobre 2020 A CURA DELLO STUDIO FUOCO. I testi integrali delle sentenze sul sito

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(1)

12 Ottobre 2020

Selezione di Selezione di

Sentenze tributarie

A CURA DELLO

S

TUDIO

F

UOCO

1. P RESCRIZIONE ECCEPIBILE ANCHE DOPO LA NOTIFICA

2. I MPOSTE ALL ESTERO , OK ALLA DETRAZIONE

3. C ONTESTAZIONI TARDIVE , AFFIDAMENTO VIOLATO

4. N OTIFICA ALLA SOCIETÀ , SERVE IL COLLEGAMENTO

5. O TTEMPERANZA NEI CONFINI DEL DECISUM

6. I LLEGITTIMO IL CUMULO DONATUM - RELICTUM 7. T RANSFER PRICING , OPERAZIONI LIMITATE

I testi integrali delle sentenze sul sito www.italiaoggi.it/docio7

(2)

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

(…) La Ctr, per quel che qui rileva, ri- teneva che la prescrizione del credito erariale poteva essere eccepita solo con l’impugnazione della cartella cui il cre- dito si riferiva.

L’Agenzia delle Entrate Riscossione si è costituita con controricorso.

Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.

19 D.Igs. n. 546/1992, 2934, 2953 c.c.

e 5, comma 51 d. I. n. 953/ 1982, conv.

con modifi cazioni dalla l. n. 60/1986, in relazione all’art. 360, comma, n. 3) c.p.c. La Ctr Calabria avrebbe erronea- mente ritenuto che la prescrizione della pretesa erariale poteva essere eccepita solo impugnando la cartella ritualmente notifi cata.(…)

Invero, le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che la mancata impugnazione della cartella di pagamento nel termine di decadenza previsto dalla legge produce soltanto

l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. conver- sione del termine di prescrizione bre- ve - eventualmente previsto - in quello ordinario decennale di cui all’art. 2953 c.c. (Cass., S.U., n. 23397/2016; Cass., Sez. VI, 5 n. 11760/2019; Cass., n.

9906/2018).

Peraltro, si è più volte ribadito che la defi nitività dell’accertamento relativo alla sussistenza dei crediti portati dalla cartella, per effetto della mancata op- posizione alle medesime non preclude l’accertamento della prescrizione o di fatti comunque estintivi del credito, maturati successivamente alla notifi ca delle cartelle in oggetto, dovendo appli- carsi il termine di prescrizione proprio del tributo in contestazione cfr. Cass. n.

31010/2019; Cass. n. 2428/2019, Cass.

n. 28576/2017, Cass. n. 418/2018.

Orbene, nel caso di specie la Ctr non ha fatto corretta applicazione dei superiori

principi laddove ha escluso che in seno all’impugnazione dell’intimazione di pagamento, atto prodromico all’espro- priazione, la contribuente potesse far valere la prescrizione maturata in epo- ca successiva alla notifi ca della cartella recante la pretesa concernente la tassa automobilistica sulla base del termine triennale previsto dall’art. 5, comma 51, dl 30 dicembre 1982, n. 953, convertito con la legge 28 febbraio 1983, n. 53.

Sulla base di tali considerazioni, riget- tato il secondo motivo di ricorso ed ac- colto il primo la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Ctr Calabria, che disporrà anche per le spese della presente lite.

P.Q.M. La Corte accoglie il primo mo- tivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Ctr Calabria, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Prescrizione eccepibile anche dopo la notifi ca

La rituale notifica della cartella di pagamento, pur non impugnata, non preclude la possibilità di eccepire la maturazione del termine di prescrizione della pretesa tributaria anche in sede di impugnazione della intimazione di pagamento successiva, che spetta al giudice appurare. Lo ha affermato la Corte di cas- sazione nell’ordinanza n. 19311/2020. Alla Suprema corte è giunto il ricorso di un contribuente contro la sentenza della commissione tributaria regionale della Calabria che, a suo dire, nel rigettare il suo appello, aveva dato errata applicazione ai principi in tema di prescrizione della pretesa erariale pur se maturata successivamente a una regolare notifica del titolo in cui essa è contenuta.

La sentenza della Regionale, infatti, aveva ritenuto del tutto inoppugnabile l’intimazione di pagamento oggetto del contenzioso, dal momento che le doglianze mosse dal ricorrente, in particolare quella relativa all’eccezione di prescrizione del credito erariale, non potevano trovare sede nel giudizio dal momento che gli atti esattoriali presupposti erano stati correttamente notificati. La Ctr, in altre parole, riteneva che tale eccezione andava riferita e resa oggetto di apposito ricorso contro le cartelle, ritualmente notificate ma rimaste non impugnate, e non contro l’intimazione

successiva. Tale decisum non è stato però condiviso dalla Suprema corte, la quale ha ricordato, richia- mando le proprie SS.UU. n. 23397/2016 e altri più recenti pronunciamenti sul tema (Cass. n. 11760/2019;

Cass. n. 9906/2018), che «la mancata impugnazione della cartella di pagamento nel termine di decadenza previsto dalla legge produce soltanto l’effetto sostan- ziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cosiddetta conversione del termine di prescrizione breve, eventualmente previsto, in quello ordinario decennale di cui all’art. 2953 c.c.».

Ha quindi affermato che pur di fronte alla mancata opposizione alla cartella di pagamento e dinanzi alla definitività da questa acquisita, non può esser sottratta al contribuente la possibilità di far valere l’eventuale decorso della prescrizione od ogni altro fatto estintivo del credito avvenuto dopo la notifica di quegli atti esattoriali stessi. Nel caso di specie, quindi, il ricorso veniva accolto, posto che la Ctr aveva errato nel ritenere la questione risolta dalla rituale notifica delle cartelle rimaste non opposte senza soffermarsi anche sull’eccezione di prescrizione sollevata dal con- tribuente con l’opposizione all’intimazione successiva, di cui era necessario il vaglio.

Benito Fuoco

(3)

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

L’articolo 165 del Tuir prevede che, qualora alla formazione del reddito complessivo concorrano redditi pro- dotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo defi nitivo su tali redditi siano ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta, fi no alla concorrenza della quota d’imposta corrisponden- te al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo, al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in dimi- nuzione.(…)

Le imposte estere devono dunque considerarsi pagate a titolo defi nitivo nel periodo d’imposta in cui le stesse sono state versate al Fisco estero, a nulla rilevando il periodo d’imposta in cui il benefi ciario del reddito este- ro è venuto in possesso della relativa certifi cazione (infatti, la certifi cazio- ne ha una valenza meramente proba- toria e, pertanto, non determina la de- fi nitività del pagamento del tributo).

Ai fi ni della spettanza della detrazio- ne, è necessario predisporre e con-

servare un’idonea documentazione atta a comprovare la defi nitività del pagamento delle imposte estere.

La questione è ben chiarita dalla stes- sa Agenzia delle Entrate nella Circo- lare n. 9/E del 5 marzo 2015 che al paragrafo 2.4 indica proprio i criteri per potere identifi care cosa si intenda per «defi nitività delle imposte paga- te all’estero», che è il titolo stesso del paragrafo, e soprattutto indica in maniera inequivocabile la documen- tazione da conservare ai fi ni della de- trazione (…).

La situazione fattuale, il pagamento di imposte defi nitive nell’anno in cui si usufruisce della detrazione, unita- mente alla documentazione prodotta, che è conforme a quanto richiesto dall’Agenzia delle Entrate nella pro- pria circolare, evidenziano la corret- tezza del comportamento tenuto dal contribuente, che ha anche rappre- sentato al fi sco l’origine dei propri redditi di fonte estera nell’ambito della procedura di voluntary disclo-

sure allegata agli atti processuali.

La posizione contraria dell’Agenzia delle Entrate, che nega la detrazio- ne considerando la documentazione proposta come insuffi ciente a dimo- strare la defi nitività delle imposte pagate all’estero, appare intanto ge- nerica, poiché non è chiaro cos’altro avrebbe dovuto e potuto produrre il contribuente a tal fi ne, e d’altro can- to tale posizione non appare neppure conforme a quanto richiesto dalla stessa amministrazione nella richia- mata circolare n. 9/E, con riferimen- to ai documenti da conservare ai fi ni della detrazione indicati al paragrafo (…), rispetto ai quali il contribuente ha ottemperato. (…) Per queste ra- gioni, il ricorso deve essere accolto (…)

Imposte all’estero, ok alla detrazione

Ai fini della prova dell’assolvimento delle impo- ste avvenuto all’estero in maniera definitiva, sarà sufficiente, per il contribuente che intenda detrarre quanto già versato nel paese straniero, fornire nient’altro che quei documenti che è la stessa am- ministrazione finanziaria ad indicare nelle proprie circolari amministrative. Sono le osservazioni fornite nella sentenza n. 271/01/2020 emessa dalla Ctp di Frosinone (Presidente Relatore Costantino Ferrara).

A un contribuente era stato notificato un avviso di rettifica successivo a controlli ex art. 36 ter del dpr 600/73, per il pagamento di imposte su redditi prodotti all’estero. Più specificamente, l’Ufficio disconosceva la detrazione di cui il contribuente si era avvalso poiché non era stato dallo stesso dimostrato il definitivo assolvimento delle imposte sui redditi esteri. Con il ricorso, pertanto, il ricorrente ha inteso dimostrare nel merito il regolare assolvimento delle imposte nello stato d’Irlanda e la legittima spettanza della detraibilità conseguente. Proprio nel merito di tale questione la Ctp ha richiamato in primis il disposto dell’art. 165 del Tuir, secondo cui «se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta

(…)». Per «definitività» del pagamento delle imposte all’estero va inteso che le stesse siano state pagate integralmente, e non in acconto o provvisoriamente, essendo altresì necessario che il contribuente si procuri e conservi, ai fini della detrazione, la documentazione idonea a dimostrarlo. Quest’ultima, ed è la stessa amministrazione finanziaria a specificarlo nella circolare 9/E del 2015, consiste in ogni documento utile a certificare la definitività del pagamento, che nel caso di specie consisteva nella dichiarazione dei redditi presentata in Irlanda, nell’estratto conto da cui risultava l’integrale pagamento delle imposte nell’anno di riferimento e nel documento attestante la regolarità fiscale rilasciato dall’agenzia delle entrate irlandese. Di fronte a tali produzioni documentali del contribuente, ogni contestazione dell’Agenzia volta a ritenere insufficiente quanto fornito appariva ai giudici generica e infondata. Il collegio, accogliendo il ricorso, ha affermato che non solo il contribuente aveva nel caso di specie prodotto quanto in suo possesso per dimostrare il pagamento delle imposte all’estero, ma così facendo si era anche allineato alle indicazioni fornite nei documenti stessi dell’amministrazione finanziaria, come illustrato nella circolare.

Nicola Fuoco

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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

(…) Con sentenza n. 1384 del 29.1.2018 (depositata il 26.3.2018) la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, Sezione 10, accoglieva i ri- corsi, riuniti in sede di giudizio, pro- posti da G. I. Holding S.p.a. (oggi N.

P. S.p.a.) quale consolidante e G. M.

S. Italia S.p.a. quale consolidata, av- verso l’avviso di accertamento n. (…) relativo a Ires ed altro per il 2011.

Nei confronti delle società, collega- te dal consolidato fi scale e pertanto chiamate a rispondere in solido del- la ripresa erariale, era stato emesso l’avviso di accertamento a fi ni Ires per complessivi € 6.863.789,00, sulla base di due rilievi: indeducibilità dei costi in operazioni di transfer pricing, ai sensi dell’art. 110 comma 7 Tuir e indebita deduzione di quote di am- mortamento dell’ avviamento, ai sen- si dell’art. 103 comma 3 Tuir.(…) L’appello deve essere respinto.

Sul transfer pricing.

Come emerge dalle controdeduzio- ni delle appellate, le osservazioni dell’Uffi cio si espongono a moltepli-

ci rilievi critici, avuto riguardo: i) al periodo della comparazione (è stato preso in esame dall’Uffi cio un anno di imposta diverso da quello cui si ri- ferisce l’accertamento); (…) Sull’affrancamento dell’avviamento.

Devono essere preliminarmente con- divise le considerazioni del contri- buente in relazione alla violazione del principio dell’affi damento. La contestazione in esame riguarda ne- cessariamente una pluralità di anni di imposta, nello specifi co tutti i dieci anni in cui è stata spalmata la dedu- zione dei costi di avviamento. Ebbe- ne, l’Uffi cio ha avviato l’accertamen- to dopo che era scaduto il termine per l’accertamento del 2003 (anno in cui per effetto della fusione si è generato il disavanzo imputato ad avviamen- to) e dunque non solo a distanza di tempo, ma anche dopo che per il primo anno «utile» non era sta- ta compiuta alcuna ripresa. Lede il principio dell’affidamento muove- re rilievi a «singhiozzo», dopo che il procedimento di ammortamento

è stato avviato, senza che per i pri- mi esercizi nulla venga obiettato, addirittura facendo decorrere il termine di prescrizione per l’ac- certamento dell’anno a partire dal quale l’ammortamento è stato av- viato. Non corretto appare neppure il rilievo di merito dell’Ufficio, che ritiene sussista una limitazione di tipo soggettivo rispetto alla disci- plina di cui all’art. 1 d.lgs. 358/97 (disposizione sulla base della quale la casa madre francese ha liquidato l’imposta sostitutiva del 19% ).

Attesa la complessità delle questio- ni sottese al presente giudizio, le spese devono essere integralmente compensate.(…)

Contestazioni tardive, affi damento violato

Deve ritenersi violato il principio dell’affidamento e quindi illegittimo l’avviso derivatone che contesti le modalità in cui l’ammortamento di costi sia stato eseguito da un gruppo societario, spalmandoli su una pluralità di anni, di cui i primi mai accertati dall’Agenzia, intervenuta solo ad anni di distanza dal primo anno utile per una possibile ripresa del dedotto. Sono le conclusioni che si traggono dalla sentenza n. 5556/16/2019 emessa dalla Ctr della Lombardia. Delle società, appartenenti ad un gruppo di consolidato fiscale, erano state raggiunte da un avviso di accertamento Ires, per oltre 6 milioni di euro, scaturito dall’attività dell’Ufficio delle Entrate, direzione regionale della Lombardia, che aveva ne- gato la deducibilità di costi derivanti da operazioni di transfer pricing, e anche la deduzione di quote di ammortamento. Tra le società avvenivano scambi relativi a merci ed apparecchiature mediche, rispetto ai quali, però, l’ufficio non era riuscito a dimostrare alcuna incongruità alle stesse attribuibile rispetto ai normali margini di redditività del settore. Tale dato, insieme al fatto che, a seguito di fusione intervenuta tra società del gruppo, ne fosse derivato un valore di avviamento iscritto in bilancio il cui disavanzo era oggetto di ammortamento, portava i giudici della

Ctp ad accogliere i ricorsi. L’Ufficio ha appellato la sentenza, insistendo sul fatto che la ripresa scatu- rita dal metodo di accertamento basato sul transfer pricing ai sensi dell’art.110 comma 7 del Tuir, fosse stata giustificata da inadeguatezze riscontrate nella documentazione contrattuale che aveva riguardato i rapporti tra le società, dalla quale emergeva un inusuale incremento dei prezzi e un indebito affran- camento del valore di avviamento successivo alla fusione. A ciò si aggiungeva il mancato assolvimento di parte all’onere di prova teso a scardinare la rico- struzione dell’amministrazione. La Ctr ha condiviso le deduzioni delle contribuenti posto che i costi di avviamento erano stati oggetto di ammortamento su numerosi anni, tra i quali sui primi non poteva più risultare tempestiva alcuna ripresa accertativa.

Muovere contestazioni a come tale ammortamento è avvenuto soltanto dopo che lo stesso era stato già da tempo avviato, era lesivo del principio del legittimo affidamento del contribuente, così come computarne il decorso del termine di prescrizione dall’anno in cui lo stesso era stato avviato. A fronte di tale violazione commessa dall’ufficio regionale la Ctr ne ha respinto l’appello compensando le spese.

Benito Fuoco

(5)

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

(…) Con ricorso (…) la società A. D. Srl impugnava le cartelle di pagamento n. (…) relative a Iva e Irpef anni 2010-2011 per comples- sivi euro 47.190,98.

In relazione agli atti impugnati la ricorrente sosteneva:

a) L’omessa notifi ca delle cartelle e degli atti presupposti. La conse- guente prescrizione del credito era- riale.

Si costituiva l’Agenzia delle entrate che replicava alle argomentazioni di parte ricorrente producendo do- cumentazione asseritamente idonea a provare la corretta notifi ca delle cartelle.

La Ctp di Roma, sui ricorsi riuniti RGR (…), accoglieva il ricorso con sentenza n. (…).

L’Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale I di Roma, ha impugna- to, in sede di gravame, la sentenza in epigrafe deducendo: a) Erronei- tà della sentenza di primo grado.

Inammissibilità del ricorso intro-

duttivo per violazione dell’art. 19, co. 3, dlgs n. 546/92. Ritualità e va- lidità della notifi ca delle prodromi- che cartelle di pagamento n. (…).

Le cartelle in argomento sono sta- te consegnate nel pieno rispetto di quanto previsto dall’art. 26, dpr n.

602 del 1973, a persona abilitata, per legge, a riceverla (come peral- tro si evince dall’avviso di ricevi- mento in atti, allegato dall’Uffi cio alle proprie controdeduzioni di primo grado). Non si è costituita l’appellata.

Motivi della decisione

Osserva la Commissione che dalla documentazione prodotta dall’ap- pellante non emerge chiaramente la ritualità della notifi ca. La stessa è stata in effetti eseguita nello stabi- le, composto da più piani abitativi, ubicato al civico (…) ma a soggetti non chiaramente riconducibili alla soc. A. D. (tale sig.ra A. non ricon- ducibile all’A. D. e studio D. R. di cui in atti non vi sono elementi da

cui dedurre il collegamento con la soc. contribuente).

Alla luce delle suesposte conside- razioni devono condividersi le per- plessità dei giudici della Ctp in or- dine alla ritualità delle notifi che.

L’appello deve essere quindi riget- tato. Non si provvede sulle spese in considerazione della mancata costi- tuzione dell’appellata.

P.Q.M.

La CTR del Lazio rigetta l’appello.

Nulla sulle spese.

Notifi ca alla società, serve il collegamento

Per assicurare piena regolarità alla notificazione di cartelle di pagamento indirizzate alla società, e giunte presso lo stabile in cui questa ha la sede, sarà necessario che vi sia una chiara riconducibilità delle persone che hanno materialmente ricevuto gli atti alla compagine dell’impresa. In assenza di elementi che provino tale collegamento, la notifica di quegli atti non può dirsi perfezionata.

Sono le precise indicazioni fornite dalla Commis- sione Tributaria Regionale del Lazio nella sentenza n. 426/10/2020 depositata lo scorso 23 gennaio.

Nel caso trattato con la pronuncia del collegio laziale, in rigetto dell’appello presentato dall’Ufficio della direzione provinciale I di Roma, i giudici di secondo grado condividevano le perplessità mani- festate già dai giudici provinciali della Ctp romana in merito alle notifiche delle cartelle di pagamento oggetto di opposizione. Con il ricorso contro queste ultime, infatti, una società ne aveva eccepito l’omessa notifica, rispetto alla quale l’amministrazione forniva invece in giudizio apposite relate tese a dimostrare come gli atti esattoriali fossero invece tutti giunti alla società contribuente.

Si trattava, in particolare, di due cartelle por- tanti Iva ed Irpef per oltre 40.000 euro, per la cui

notificazione l’ufficio aveva seguito i canoni di cui all’art. 26 del dpr n. 602/73, nel caso di specie con consegna delle stesse nelle mani di persone addette all’azienda. In primo grado la Ctp accoglieva il ricorso ritenendo non dimostrata la correttezza della notificazione e l’ufficio proponeva gravame insistendo sulla ritualità della stessa.

La Ctr ha quindi osservato che pur a fronte del deposito di documentazione di notifica relativa a quelle due cartelle impugnate, giunte allo stabile sede della società, dalle stesse era rintracciabile la materiale consegna degli atti a persone che tuttavia in alcun modo potevano essere ricondotte alla compagine societaria o comunque a soggetti che avessero un qualche legame con essa. Lo stabile in questione, infatti, presentava diversi piani ed unità abitative, e non vi era modo di individuare il collegamento che le persone che aveva materialmente preso l’atto potessero avere un minimo collegamento con la contribuente.

Tali incertezze, incidendo sulla notifica degli atti impugnati, portavano i giudici a respingere l’ap- pello e confermare il decisum di primo grado con cui era stato accolto il ricorso.

Nicola Fuoco

(6)

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

(…) Con tale atto la ricorrente ha chiesto, in ottemperanza a tale sen- tenza, il riconoscimento dell’aliquo- ta del 9% sulla pensione integrativa nonché il rimborso delle somme successive al 31.12.2014. Con la citata sentenza veniva rigettato l’ap- pello dell’Agenzia delle entrate e confermata la sentenza n. (…) della Commissione tributaria provinciale di Roma che riconosceva il diritto della ricorrente al ricalcolo da parte dell’Agenzia delle entrate dei versa- menti Irpef sulla pensione integrativa dal 19.11.2009 in poi con imposta fissa del 15%.

Con memoria ritualmente depositata, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Roma si è costituita in giudizio eccependo l’inammissi- bilità del giudizio di ottemperanza in quanto la richiesta della ricorrente non sarebbe coperta dal giudicato, perché riguarderebbe l’applicazione dell’aliquota fiscale del 9% e anche

un periodo diverso da quello coperto dalla sentenza.(…)

Secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione «in tema di giudizio di ottemperanza alle de- cisioni delle commissioni tributarie, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’og- getto della controversia definita col giudicato (cd. “carattere chiuso” del giudizio di ottemperanza), sicché può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato e rendendolo quindi effettivo, ma non può attribuirsi un diritto nuovo ed ul- teriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire». (Cfr., Cass. civ. Sez. V Ord., 29/05/2019, n. 14642). (…)

Nel caso di specie, come corretta- mente rilevato dall’Agenzia delle entrate, in sede di ottemperanza si

chiede l’applicazione dell’aliquo- ta del 9%, contrariamente a quanto contenuto nel ricorso introduttivo in primo grado e accolto con sentenza poi passata in giudicato (applicazio- ne dell’aliquota del 15%). Inoltre, viene richiesto il ricalcolo anche per periodi non contenuti nell’originaria istanza di rimborso e, quindi, non og- getto del giudizio di merito.(…)

Ottemperanza

nei confi ni del decisum

La sentenza con cui il giudice, nel giudizio di ottemperanza ai sensi dell’art. 70 dlgs 546/92, si pronunci rispetto agli obblighi dell’ufficio rimasti inevasi e da ottemperare, non può disporre alcun altro effetto favorevole al contribuente che non sia stato espressamente previsto da quel decisum oggetto del giudicato.

È l’indicazione fornita dalla Ctr del Lazio nella sentenza n. 644/17/2020 dello scorso 6 febbraio.

Nel caso trattato con la pronuncia della regionale laziale, una contribuente aveva proposto ricorso per l’ottemperanza di una precedente sentenza, resa dalla stessa Ctr in rigetto dell’appello dell’ufficio, al fine di chiedere ai giudici che le fosse riconosciuta l’applicazione dell’aliquota del 9% sulla sua pen- sione integrativa ed il rimborso delle somme versate e successive al 2014.

Nel costituirsi in giudizio, tuttavia, la controparte Agenzia delle Entrate D.P. II di Roma, eccepiva l’inammissibilità del ricorso in ottemperanza dal momento che, con lo stesso, la contribuente chiedeva il riconoscimento di spettanze ulteriori, e per la precisione riferibili ad altre annualità rispetto a quelle oggetto di giudizio, che invece non potrebbero giovarsi di alcun giudicato del precedente decisum.

Limitatamente, invece, alla parte coperta da giudi- cato ed oggetto di specifica statuizione del giudice di merito, l’Agenzia procedeva al rimborso e ne dava atto in giudizio con memoria.

La Ctr, preso atto del rimborso intervenuto nei limiti di quanto stabilito dai giudici di merito, ha pertanto dichiarato il ricorso inammissibile nella restante parte, nella quale la ricorrente chiedeva una liquidazione diversa rispetto all’aliquota da sempre invocata nei precedenti gradi di giudizio nonché il rimborso per ulteriori anni. All’uopo, richiamando la posizione sul punto della Corte di Cassazione (ex multis Cass. 14642/2019) e ribadendo il carattere

«chiuso» del giudizio di ottemperanza, il collegio laziale ha ricordato che «in tema di giudizio di ottemperanza alle decisioni delle commissioni tri- butarie, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, sicché può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato (…) ma non può attribuirsi un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello ri- conosciuto con la sentenza da eseguire».

Benito Fuoco

(7)

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

Gli avvisi di liquidazione impugna- ti risultano illegittimi ed infondati e vanno annullati per i seguenti motivi: in via principale nullità per illegittima applicazione dell’istituto del coacervo:

Gli atti impugnati sono da ritenersi nulli per errata applicazione dell’art.

8 co. 4 dlgs 346/1990 che discipli- nava l’istituto del cumulo ereditario delle donazioni con i beni ereditati, risultando incompatibile con il nuo- vo regime dell’imposta di succes- sione di cui al dl n. 262/2006.

La nuova novella ha eliminato il sistema di imposizione ad aliquote progressive, introducendo il nuovo sistema di imposizione ad aliquote fisse.

Eliminando le aliquote progressive, il richiamato art. 8 co. 4 non ha più operatività tanto che anche la Supre- ma Corte con diverse sentenze, per consolidato orientamento, ne ha sta- tuito implicitamente l’abrogazione.

In caso di applicazione dell’istituto del «coacervo», i ricorrenti eccepi- scono l’illegittimità degli avvisi di liquidazione per violazione e falsa applicazione dell’art. 8 co. 4 e 16 del dlgs 346/1990, avendo l’Ufficio, nella determinazione della base im- ponibile, applicato il valore attualiz- zato della piena proprietà delle quo- te della B. srl, anziché il valore delle quote della sola nuda proprietà.(…) L’Agenzia delle Entrate, nelle con- trodeduzioni depositate, sull’appli- cabilità del coacervo o cumulo, dopo una precisa disamina delle riforme normative che hanno interessato l’istituto, afferma che nonostante l’evoluzione normativa, è rimasto invariato il disposto di cui all’art. 8 co. 4 dlgs 346/1990. (…)

Nel merito il ricorso è fondato e merita di essere accolto, alla luce dell’orientamento espresso anche di recente - Corte di Cassazione, ordinanza n. 758 del 15.01.2019

– secondo cui «in tema d’imposta di successione, intervenuta la sop- pressione del sistema dell’aliquota progressiva in forza dell’art. 69 del- la L.n. 342 del 2000, deve ritenersi implicitamente abrogato l’art. 8 co.

4, del dlgs n. 346/1990, che preve- deva il cumulo del “donatum” con il “relictum” al solo fine di deter- minare l’aliquota progressiva da applicare, attesa la sua incompati- bilità con il regime impositivo ca- ratterizzato dall’aliquota fissa sul valore non dell’asse, ma della quota di eredità o del legato». Oltre ad al- tre sentenze (Cass. n. 24940/2016, n. 26050/2016, n. 12779/2018, n.

32818/2018, n. 32819/2018, n.

32830/2018).

La pretesa dell’Amministrazione è infondata come evidenziato dalla Suprema Corte.(…)

Illegittimo il cumulo donatum-relictum

Deve ritenersi ormai abrogata la norma di cui all’art. 8 comma 4 del dlgs n. 346/1990, con conseguente illegittimità degli avvisi di liquidazione dell’imposta di successione nei quali l’ufficio applichi il sistema delle aliquote progressive ragguagliate tanto al relictum quanto al donatum. Diversamente, la novella di cui alla L. n. 342/2000 prevede, ad oggi, un regime ad aliquota fissa. Si tratta di quanto precisato, con la sentenza n. 47/01/2020, depositata lo scorso 3 luglio 2020, dalla CTP di Lecco.

Ai ricorrenti, nella loro qualità di eredi, era stato notificato dall’Agenzia delle Entrate un avviso di liquidazione per la maggior imposta di successione, liquidata con riferimento non solo a quanto presente nell’asse ereditario ma, cumulativamente, anche rispetto a quanto oggetto di donazione verso le figlie da parte della de cuius. Con il ricorso proposto le contribuenti hanno quindi eccepito l’applicazione del c.d. istituto del «cumulo» o del «coacervo», dovuto all’errata adozione del disposto dell’art. 8 comma 4 del dlgs n. 346/1990, il quale permetteva, con un sistema ad aliquote progressive, il cumulo ereditario tra le donazioni ed i beni ereditati.

Tale regime, tuttavia, veniva ritenuto dalle contri- buenti come non più operativo, a fronte delle modifiche

intervenute sulle imposte di successione con la novella di cui alla Legge 342/2000, istitutiva di un regime ad aliquota fissa.

Tale considerazione veniva infatti condivisa anche dalla Ctp di Lecco, che difatti richiamava copiosa giurisprudenza di legittimità dimostrativa dell’or- mai consolidato orientamento sul punto assunto anche dai giudici supremi (cfr. Cass. n. 24940/2016, n. 26050/2016, n. 12779/2018, n. 32818/2018, n.

32819/2018, n. 32830/2018).

La Corte ha infatti affermato (Cass. ord. n. 758/2019) che «in tema d’imposta di successione, intervenuta la soppressione del sistema dell’aliquota progressiva in forza dell’art. 69 della legge n. 342 del 2000, deve ritenersi implicitamente abrogato l’art. 8 co. 4, del dlgs n. 346/1990, che prevedeva il cumulo del “donatum”

con il “relictum” al solo fine di determinare l’aliquota progressiva da applicare, attesa la sua incompatibilità con il regime impositivo caratterizzato dall’aliquota fissa sul valore non dell’asse, ma della quota di eredità o del legato».

Il ricorso veniva quindi accolto e gli avvisi di liquidazione, frutto del cumulo, pertanto, venivano annullati.

Nicola Fuoco

(8)

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

(…) Ai sensi del citato comma 7, la valutazione delle componenti reddi- tuali in caso di scambi infragruppo deve avvenire sulla base del valore normale dei beni ceduti e dei servizi prestati, come si trattasse di scambi fra soggetti indipendenti ed operanti in regime di libera concorrenza.

La nozione di «valore normale», se- condo l’art. 9, comma 3, del medesi- mo DPR 917/1986, è quella del prez- zo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza, nel tempo e nel luogo di acquisto dei beni e dei servizi. (…)

Il confronto fra prezzi, per accerta- re se quello praticato dalle imprese infragruppo corrisponde a quello che sarebbe fissato in regime di li- bera concorrenza fra operatori indi- pendenti, non è sempre possibile o agevole (si pensi a situazioni di so- stanziale monopolio del mercato del bene o del servizio), sicché è gioco-

forza ricorrere ad altre metodologie.

La valutazione dell’attività di ac- certamento compiuta dall’Ammini- strazione Finanziaria, pertanto, deve essere svolta dal giudice tributario, chiamato a sindacare la legittimità degli atti impositivi, costituenti il risultato dall’attività accertativa, te- nendo necessariamente conto della logicità e della razionalità delle valu- tazioni espressa dall’Amministrazio- ne stessa, tenendo in ogni modo pre- sente la libertà di ogni impresa (…), di organizzare autonomamente i pro- pri fattori produttivi e la loro remu- nerazione, anche attraverso la libera circolazione dei capitali fra imprese del medesimo gruppo (…).

In primo luogo appare fondato il mo- tivo secondo cui l’amministrazione vorrebbe applicare erroneamente la disciplina del TP (art. 110 comma 7 del TUIR sopra citato), ad operazioni intercorse fra due società (quella ri- corrente e la controllata P.), entrambe

con sede in Italia, mentre la norma- tiva sul TP attiene a scambi fra una controllata italiana ed un controllante avente sede in altro Paese.

Di fronte alla chiarezza del dato letterale della legge, ogni contraria soluzione appare radicalmente ille- gittima.

Neppure potrebbe sostenersi che P.

svolgerebbe un ruolo meramente pas- sivo, trattandosi di una affermazione assolutamente apodittica, visto, a ta- cer d’altro, che P. non è stata neppure oggetto di rituale accertamento.

Fermo restando quanto sopra esposto, avente carattere assorbente, reputa il Collegio che l’amministrazione non abbia neppure esattamente applicato il metodo per la corretta determina- zione dei prezzi di mercato, nel caso di specie per l’adeguata fissazione del tasso per la quantificazione delle royalty da corrispondersi per l’uso dei brevetti.(…)

Transfer pricing, operazioni limitate

Dal tenore letterale del comma 7 dell’art. 110 del dpr 917/86, si evince chiaramente la possibilità di utilizzare la normativa sul transfer pricing solo a fronte di scambi intervenuti tra una società control- lante italiana ed un’altra società controllata con sede all’estero, non essendo possibile applicare la nor- mativa nell’ambito di rapporti di controllo relativi a società che siano entrambi residenti nel territorio italiano. Lo ha precisato la Ctp Milano con sentenza n. 61/17/2020 depositata il 14 gennaio 2020.

Ad essere impugnati due avvisi di accertamento Ires ed Irap emessi dalla Direzione Agenzia Entrate lombarda nei confronti di una SpA, capogruppo nel settore delle telecomunicazioni, rispetto alla quale l’amministrazione aveva applicato le norme di cui all’art. 110 comma 7 Tuir in tema di politiche di transfer pricing, rilevando ricavi non dichiarati. Si trattava di vagliare nello specifi co il valore normale dei beni ceduti e servizi prestati fra le varie società del gruppo, ai sensi dell’art. 9, comma 3, del Tuir, tra le quali erano avvenute concessioni di licenze per brevetti e corresponsioni di royalties. Nella vicenda in cui risultava alquanto complesso rilevare, secon- do anche il metodo applicato dall’uffi cio, il valore normale per il tipo di scambi effettuati dato il settore di attività dei soggetti, risultava tuttavia dirimente

per la CTP giudicante il vaglio dell’eccepita erro- nea applicazione di tutta la normativa sul transfer pricing evidenziata dalla ricorrente in riferimento ai soggetti coinvolti legati dal controllo societario.

In effetti, condividevano i giudici in accoglimento del ricorso, il comma 7 del citato art. 110 prevede che «i componenti del reddito derivanti da opera- zioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa (…) sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libe- ra concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito». Da tale indicazione discendeva che la norma non poteva applicarsi alle società attenzionate, tra cui la ricorrente, entram- bi residenti in Italia mentre la norma sui prezzi di trasferimento è applicabile solo su scambi fra una controllata italiana ed un controllante avente sede in altro Paese. Questo solo presupposto, nel caso di spe- cie non rispettato dall’amministrazione, permetteva di confermare l’illegittimità dell’operato dell’uffi cio, soccombente anche nel merito del criterio usato per risalire al valore normale delle operazioni infra- societarie.

Benito Fuoco

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