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Introduzione alla Parte
Sperimentale
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L’ossido di azoto (NO), impropriamente chiamato ossido nitrico, è una delle più piccole molecole presenti in natura con un peso molecolare di 30 Da. Considerato fino alla fine degli anni ‘70 un gas altamente inquinante, nei successivi anni ‘80 si fece strada il concetto che questo gas non fosse un semplice prodotto di rifiuto ma che fosse implicato in importanti processi biologici [1].
I maggiori e più importanti contributi si devono ai ricercatori L. Ignarro, F.Murad e R. Furchott insigniti nel 1998 per le loro ricerche del premio Nobel per la Medicina [2]. Essi dimostrarono che l'ossido nitrico si comportava nell'organismo vivente come un messaggero e che era implicato in una serie di processi fisiologici. Agisce a livello cardiovascolare (dilatazione dei vasi sanguigni, regolazione del battito cardiaco), nel sistema nervoso centrale, sulla muscolatura liscia intestinale e nelle vie aeree.
L’NO viene prodotto dalla conversione enzimatica della L-arginina in L-citrullina ed NO catalizzata dall’enzima ossido nitrico sintetasi (NOS). Questa reazione avviene in presenza di ossigeno ed è quindi fortemente rallentata in condizioni di ipossia come ad esempio nei tessuti ischemici. Sono state identificate 3 isoforme della NOS, codificate da geni diversi: due sono costitutive, NOS neuronale (nNOS) e NOS endoteliale (eNOS) e la terza è inducibile, NOS inducibile [3].
In condizioni basali, la NOS neuronale e la NOS endoteliale producono continuamente bassi livelli di NO che agisce rispettivamente come neurotrasmettitore e come vasodilatatore. La stimolazione di queste NOS è calcio e calmodulina dipendente cioè necessita del rilascio di ioni Ca2+ da siti di stoccaggio subsarcolemmale [4]. La NOS inducibile, invece, produce maggiori quantità di NO che risultano tossiche e servono per combattere i patogeni. Si differenzia dalle altre due in quanto la sua attivazione è calcio indipendente.
A livello cardiovascolare, l’NO rappresenta uno dei più importanti modulatori della resistenza vascolare e della funzione cardiaca. A causa della sua importanza nella funzione vascolare, un’iperproduzione di NO può influenzare il flusso sanguigno e altre funzioni vascolari, come avviene in diversi stati patologici tra cui l’ischemia cerebrale. Delle tre isoforme, l’nNOS e la iNOS sono associate principalmente all’infiammazione e al dolore neuropatico. L’NO prodotto dalla eNOS regola la funzione dell’endotelio vascolare dopo stimolazione meccanica o chimica delle cellule endoteliali: nella muscolatura liscia vascolare provoca vasodilatazione mentre nel sangue riduce l’adesione e l’aggregazione piastrinica. Quindi l’attivazione della eNOS è utile nella prevenzione dell’aterosclerosi che è tra le cause principali dell’ischemia cerebrale.
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Sembra che l’NO svolga sia ruoli benefici che dannosi in relazione alla concentrazione, al tipo di isoforma di NOS coinvolta e al tipo di cellula che produce NO.
Subito dopo l’insorgenza dell’ischemia, l’NO formato continuamente da eNOS delle cellule endoteliali mantiene entro valori fisiologici i parametri della circolazione sanguigna, inducendo vasodilatazione e inibendo l'aggregazione e l'adesione piastrinica. L’effetto vasodilatatore è dovuto all’attivazione della guanilato ciclasi solubile (sGC), con conseguente aumento dei livelli intracellulari di cGMP.
Tuttavia, con l’evolversi del fenomeno, il ridotto flusso di sangue causa una diminuzione dei livelli di ossigeno (ipossia cerebrale), con conseguente riduzione del metabolismo aerobico cerebrale. I livelli di ATP scendono rapidamente e le cellule cerebrali ischemiche non sono più in grado di mantenere l’adeguato equilibrio elettrochimico, provocando il rilascio di grandi quantità di glutammato conseguenti all’aumento di calcio intracellulare e alla depolarizzazione evocata dall’incremento di potassio extracellulare. Di conseguenza nelle cellule cerebrali ischemiche si verifica un grande aumento della concentrazione di Ca2+ libero che innesca una serie di meccanismi tossici (attivazione delle proteasi e lipasi, formazione di radicali tossici, danno mitocondriale ecc.), che portano alla morte cellulare ed alla necrosi della zona colpita. L’ipossia cerebrale e il rilascio di glutammato sono i principali fattori responsabili dell’iperattivazione di nNOS e eNOS e, più tardi, da iNOS di nuova sintesi in condizioni ischemiche. Tale iperattivazione causa iperproduzione di NO e quindi contribuisce sia alla neovascolarizzazione che al danno tissutale [4]. Infatti l’NO endogeno in eccesso, reagendo con gli anioni superossido, forma radicali liberi tra cui il perossinitrito ONOO-, specie altamente reattiva che promuove il danno a carico delle macromolecole biologiche. L’ossido nitrico NO e il suo derivato perossinitrito ONOO -sono i maggiori rappresentanti delle RNS (Reactive Nitrogen Species) che insieme alle ROS (Reactive Oxygen Species) possono essere prodotte o a causa di un malfunzionamento dei sistemi di difesa antiossidanti o per un’aumentata produzione di tali specie in condizioni di stress ossidativo. Un corretto bilanciamento tra sostanze ossidanti ed antiossidanti è essenziale per tutta una serie di funzioni fisiologiche, tra cui la modulazione delle vie di trasduzione del segnale: gli squilibri maggiori possono produrre l’alterazione delle strutture cellulari, incluse le membrane, i lipidi, le proteine e il DNA.
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Infine in seguito all’evento ischemico si ha un maggiore rilascio di citochine: l’iperespressione di queste causa un’aumentata produzione di iNOS che può raggiungere livelli citotossici e contribuire così al progredire del danno ischemico.
Figura 19 Effetti dell’NO a livello cardiovascolare
A basse concentrazioni, l’NO può bloccare lo stress ossidativo e ha un effetto benefico nelle malattie cardiovascolari in quanto induce vasodilatazione e inibisce l’adesione e l’aggregazione piastrinica.
Ad alte concentrazioni invece si esplicano gli effetti tossici dell’NO dovuti soprattutto all’interazione con altre specie reattive dando vita ad una serie di intermedi tossici. Partendo da queste conoscenze sono stati progettati dei farmaci duali per il trattamento dell’ischemia cerebrale conciliando in un’unica molecola attività inibitoria selettiva verso la nNOS e porzione donatrice di NO unite tra loro da un linker.
Questi farmaci sono detti NO-NOS e dovrebbero avere attività inibitoria selettiva verso la nNOS in modo da ridurre la sintesi di NO conservando l’attività della eNOS. D’altra parte anche i donatori di NO svolgono un’azione neuroprotettiva nell’ischemia cerebrale in quanto l’NO rilasciato agisce con un meccanismo di down-regulation sui recettori NMDA del glutammato bloccandoli tramite una s-nitrosilazione e inibendo quindi l’ulteriore rilascio di NO. Inoltre questi donatori si legano ai gruppi tiolici delle caspasi
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mediante s-nitrosilazione promuovendo l’inattivazione di queste proteine, coinvolte nell’apoptosi, riducendo la morte neuronale e il danno cerebrale.
Dallo studio degli inibitori della nNOS presenti in letteratura è emerso che la presenza di una porzione tiofenica nella loro struttura molecolare sembra essere centrale per l’azione neuroprotettiva. Infatti in uno studio della Maddaford del 2006 sono stati progettati farmaci inibitori della nNOS con scaffold ammidinotiofen-indolico che hanno mostrato una buona attività inibitoria verso nNOS.
S NH NH N H R
Figura 20 Struttura generale degli inibitori della nNOS dello studio della Maddaford
Basandosi sulla duplice attività dell’NO nell’ischemia cerebrale sono stati progettati nuovi composti che tenessero conto di questo dualismo al fine di migliorarne l’efficacia terapeutica.
Partendo dallo scaffold degli inibitori n-NOS dello studio della Maddaford e dalle considerazioni sulla “selectivity modulating region” della NOS [5], nel laboratorio dove ho svolto la mia tesi sono stati sintetizzati i composti tiofenici 1,2 e 3 che dovrebbero presentare il duplice profilo farmacologico di inibitore nNOS e donatore di NO.
In questi composti l’anello indolico è sostituito da un sistema aromatico 3-metilpiperazinico funzionalizzato sull’azoto terminale con un gruppo che in vivo rilascerebbe NO. Il donatore di NO è opportunamente legato alla piperazina con un linker di tipo etilossicarbammico (1), acetammidico (2) o etil-solfonammidico (3).
S NH NH N H R S NH NH R
- 42 - S NH NH R S NH NH N N O ONO2 O S NH NH N N ONO2 O S NH NH N N S O O ONO2 1 2 3
In questa tesi è stata messa a punto la seguente via sintetica che rappresenta la procedura seguita per ottenere i composti finali 1,2 e 3 con rese accettabili.
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SCHEMA 1
NH N H+
Br NO2 N N H NO2 I 4 II S CN+
SH S S NH III N N H NH2 5+
S NH NH N NH 6 7 Br OH V O2NO OH+
8 S NH NH N N O ONO2 O 1 VI IV HBr *HBrReagenti e condizioni: I: EtOH, Et3N, 50ºC, 2 h; II: H2, Pd/C, AcOEt, t.a., 4 h; III:
Et2O, HBr (g), t.a., 1 h; IV: MeOH, 0ºC, 5 h; V: AgNO3, CH3CN, t.a., 18 h; VI: CDI,
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Il composto finale 1 è stato ottenuto seguendo la procedura sintetica illustrata nello Schema 1.
La piperazina commerciale è stata fatta reagire con il 3-bromo-nitrobenzene commerciale in presenza di EtOH ed Et3N per generare il derivato 4. La successiva
reazione di riduzione del gruppo nitro tramite idrogenazione catalitica in presenza di Pd/C ha condotto alla corrispondente ammina 5. Il derivato 5 viene sottoposto a reazione di sostituzione con la tioammide bromidrato 6 in presenza di MeOH per dare l’intermedio ammidinico 7. Il derivato 6 è stato ottenuto per reazione del 2-ciano-tiofene commerciale con il tiofenolo in corrente di HBr [6].
La successiva reazione del 2-idrossietil-1-nitrato (8) con l’ammidina 7 in presenza di CDI ha condotto al corrispondente composto finale 1.
Il derivato 8 è stato ottenuto tramite una reazione di nitrazione del 2-bromo-etanolo commerciale in presenza di AgNO3 e CH3CN.
Figura 23 Rappresentazione della reazione III per la sintesi del derivato tioammidico 6 in corrente di HBr.
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SCHEMA 2
Reagenti e condizioni: Ia: ClCH2COCl,CH2Cl2, Et3N, t.a., 3 h; Ib: ClCH2CH2SO2Cl,
CH2Cl2, Et3N, t.a., 3 h; II: AgNO3, CH3CN, t.a., 18 h; III: HNO3/Ac2O, -10°C, 2 h.
S NH NH N NH 7 S NH NH N N Cl O S NH NH N N ONO2 O 9 2 II HBr S NH NH N N S O O CH2 10 Ia Ib S NH NH N N S O O ONO2 3 III
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I composti finali 2,3 sono stati ottenuti seguendo la procedura sintetica illustrata nello Schema 2.
Il derivato ammidinico 7 , ottenuto secondo la procedura riportata nello Schema 1, viene fatto reagire con cloroacetilcloruro per dare il composto acetammidico 9. Questo derivato é stato sottoposto a reazione di nitrazione in presenza di AgNO3 e CH3CN per
dare il prodotto finale 2.
Sempre partendo dal derivato ammidinico 7 è stato ottenuto il composto finale 3: il derivato 7 è stato fatto reagire con 2-cloroetansolfonilcloruro per dare il composto solfonammidico 10. La reazione di nitrazione con HNO3/Ac2O a -10°C dovrebbe
portare al composto finale 3.
Questi composti sono stati sottoposti a saggi biologici per verificare sia l’inibizione della nNOS che il rilascio in vivo di NO ma al momento non sono ancora disponibili i dati relativi a questi saggi.
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Procedure sintetiche alternative seguite
Di seguito sono riportate le procedure sintetiche alternative seguite inizialmente per la sintesi del prodotto finale 1 ma successivamente abbandonate a causa di difficoltà riscontrate nel work up delle reazioni, nella purificazione del prodotto finale e nelle rese delle reazioni stesse.
Il primo esempio è rappresentato dallo Schema 3 ed è relativo alla sintesi di 2-naftalenil tiofen-2-carbimidotioato (b) o 2-benzil tiofen-2-carbimidotioato (c) ottenuti partendo da tiofene-2-carbossamide. Schema 3 S NH2 O S NH2 S S S NH S S NH I II III b c + HN N NH2 5 IV S NH NH N NH 7 base libera a
Reagenti e condizioni: I: Reattivo di Lawesson, clorobenzene, 130ºC, 12 h; II: CHCl3,
2-bromo-metil naftalene, 62º C, 12 h; III: CHCl3, benzilbromuro, 62°C, 12 h; IV:
EtOH, t.a., 12 h.
La tiofene-2-carbossamide commerciale è stato fatto reagire con il reattivo di Lawesson in clorobenzene ad alte temperature (130°C per 12 h). Il grezzo ottenuto è stato purificato tramite cromatografia su colonna utilizzando come eluente AcOEt/n-Esano in rapporto 3:7 per dare la tiofene-2-carbotioamide a (Rese: 43%). Questa è stata sottoposta a reazione di sostituzione con il 2-bromo-metilnaftalene o benzil-bromuro in CHCl3 portando alla formazione dell’intermedio naftalenico b o benzilico c (Rese b:
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Limiti di questa procedura rispetto a quella seguita nello Schema 1
Procedura Schema 3 Procedura Schema 1
Sintesi del derivato
tioammidinico 2 step Unico step (reazione III)
Condizioni di reazione Drastiche (130°C; 62°C) Blande (0°C e poi t.a.)
Rese 43% primo step; 45%, 63%
secondo step 63%
Purificazione Colonna cromatografica +
precipitazione con Et2O
Filtrazione
Inoltre seguendo la procedura dello Schema 1 si ottiene il derivato ammidinico 7 evitando le complicazioni associate all’eliminazione del gruppo uscente (tionaftalene o tiobenzile). Infine i prodotti dello Schema 1 sono presenti come bromidrati e questo ne aumenta la stabilità nelle reazioni successive e la purezza in quanto possono essere recuperati per semplice precipitazione con Et2O.
Schema 4 NH N H N N H BOC Br NO2 N NO2 N BOC N NH2 N BOC II III + I S S NH + IV S NH NH N N BOC V S NH NH N NH rese basse d e c f g h
Reagenti e condizioni: I: CH2Cl2, Boc, 0º C, 2 h; II: DMF, K2CO3, t.a., 4 h; III: H2,
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La piperazina commerciale è stata fatta reagire con il Boc in rapporto 2:1 in presenza di CH2Cl2 generando l’intermedio protetto, che è stato sottoposto a reazione di
sostituzione con il 3-nitro-benzilbromuro (Rapporto 1:1) in presenza di K2CO3 e DMF
fornendo il corrispondente nitro derivato. La successiva reazione di riduzione del gruppo nitro tramite idrogenazione catalitica in presenza di Pd/C ha condotto alla corrispondente ammina.
Il derivato benzilico c è stato sottoposto a reazione di sostituzione con il derivato piperazinico protetto come precedentemente descritto in presenza di EtOH fornendo l’intermedio protetto con il gruppo Boc. Questo derivato è stato successivamente deprotetto per trattamento con HCl/AcOEt per dare la corrispondente ammidina base libera.
Limiti di questa procedura rispetto a quella seguita nello Schema 1
1. Rese della reazione di formazione del composto tioammidinico g: questo è probabilmente dovuto all’interferenza del gruppo uscente tiobenzilico.
2. Difficoltà nel work up di questa stessa reazione con conseguenti rese basse anche nella successiva reazione di deprotezione. Il trattamento della reazione di sostituzione per ottenere il derivato g consiste nell’evaporazione del solvente a pressione ridotta e nella trasformazione in cloridrato al fine di ottenere un prodotto più pulito. In realtà è stato difficile il recupero del prodotto dopo precipitazione in Et2O.
Per quanto riguarda la reazione di riduzione del gruppo nitro del derivato 4 per ottenere l’ammina 5, è stata fatta anche in presenza di SnCl2•2H2O sia in EtOH (100°C, 2h) che
in DME (84-86°C,2h) sotto azoto.
Schema 5 N N H NO2 4 N N H NH2 5
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Condizioni e
reagenti Tempi Rese
I H2, Pd/C, AcOEt 4 h 80%
II SnCl2•2H2O, EtOH 2 h 25%
III SnCl2•2H2O, DME 2 h 40%
Nella reazione in EtOH (solvente polare) sono stati riscontrati problemi nella fase di trattamento: questo consiste nell’evaporazione del solvente a pressione ridotta e successiva triturazione a freddo con AcOEt. Rispetto alla DME però l’EtOH scioglie anche i Sali di stagno che rimangono in soluzione e non possono essere allontanati. E’ stato quindi scelto un solvente aprotico, la DME (dimetossietano): in questo caso la piperazina risultava solubile mentre i sali di stagno rimanevano nel pallone di reazione come precipitato e potevano essere allontanati per filtrazione. L’idrogenazione catalitica è comunque risultato il metodo migliore in termini di rese perché si evita la fase del trattamento che prevede l’allontanamento dei sali di stagno.
In alternativa alla procedura illustrata nello Schema 2 è stata seguita un’altra via sintetica per cercare di arrivare al composto 2 partendo dal derivato piperazinico 4. Di seguito viene descritta la procedura sintetica seguita inizialmente che ha mostrato come limiti principali le rese e la difficlotà nella fase di trattamento.
Schema 6 N N H NO2 + Cl Cl O Cl N N NO2 O I 4 i
Reagenti e condizioni: I: CH2Cl2, Et3N, t.a., 3 h.
Una soluzione del derivato 4 in CH2Cl2 ed Et3N viene posta sotto agitazione a 0°C per
alcuni minuti. Quindi viene aggiunto goccia a goccia il cloroacetilcloruro sciolto in CH2Cl2 nella minima quantità. La miscela di reazione viene lasciata sotto agitazione a
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t.a. per 3 h. Trascorso tale periodo si ottiene il prodotto di sostituzione i che viene quindi sottoposto a reazione di riduzione per ottenere il derivato amminico.
Limiti della via sintetica descritta nello schema 6
1. Resa finale della reazione.
2. Trattamento della reazione di sostituzione tra la piperazina e il cloruro acido: il trattamento consisteva in evaporazione del solvente a pressione ridotta e lavaggi con NaOH 1N+ estrazioni con AcOEt o CH2Cl2. Il prodotto probabilmente
rimaneva in buona parte disciolto in acqua e risultava difficile l’estrazione con solvente organico. Per questo motivo si è scelta la via sintetica proposta nello schema 2 in cui si utilizzano dei bromidrati che rendono più facile il work up della reazione dando prodotti più puliti con rese accettabili.
Schema 7 Cl N N NH2 O Ia Ib Ic l Cl N N NH2 O i Reagenti e
condizioni Tempi Trattamento Rese
Ia H2, Pd/C, AcOEt 4 h Filtrazione su celite + evaporazione solvente --- Ib SnCl2•2H2O, EtOH 2 h Lavaggi con NaOH 1N+ estrazioni con AcOEt 16% Ic NH2NH2•H2O, FeCl3, MeOH
3 h celite+ estrazioni Filtrazione su AcOEt/H2O
25%
La reazione di riduzione del gruppo nitro è stata operata in tre diversi modi: idrogenazione catalitica, riduzione con cloruro stannoso e riduzione con idrazina/Fe3+.
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Nessuna di queste tre procedure ha dato rese accettabili: non avendo un prodotto pulito dalla precedente reazione di sostituzione anche le rese della reazione di riduzione sono risultate piuttosto basse.
Stessi problemi si sono riscontrati utilizzando invece del cloroacetilcloruro il corrispondente bromo derivato.
Br
Br O
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