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Tel cose oldirés da qui avanti parler, qe vu meesme v’en avri merviler.
Autore anonimo di V13
.PREMESSA
Il Macaire è un poema franco-italiano conservato nel manoscritto Marciano francese XIII, l’ultimo dell’ampio ciclo carolingio denominato Geste Francor.
Appartiene a una letteratura che in passato è stata definita a malincuore come una «terra di nessuno, destinata ai lazzaretti della storia letteraria»
1perché nata in un periodo di transizione e in un luogo di frontiera. Queste erano infatti le condizioni delle regioni del nordest italiano dove fra il XIII e il XIV secolo fiorisce questa produzione particolare, caratterizzata da una lingua unica nel suo genere.
Ma poco più di due secoli sono troppo pochi per permettere a un idioma di cristallizzarsi in una grammatica, tanto più se esso nasce non come lingua d’uso quotidiano ma letteraria, dunque piegata da ogni autore alle proprie esigenze, con il risultato che ogni testo fa a sé e la sua interpretazione è frutto di ipotesi ed illazioni. Questi sono alcuni dei motivi che hanno messo in ombra una tradizione letteraria che ha fatto conoscere l’epopea carolingia in Italia ed è stata anticipatrice di alcuni dei capolavori dei secoli seguenti. Gli ultimi cinquant’anni hanno visto però una sua rivalutazione da parte dei filologi e si veda Capusso quando afferma che «ormai la sua riconosciuta posizione di confine, anziché relegarla ad una inerte marginalità, suggerisce piuttosto di investigare positivamente i contatti differenziati e plurimi con le realtà culturali adiacenti: lo scavalcamento dei tradizionali (talvolta deleteri) confini interdisciplinari, oltre che degli antifilologici pregiudizi estetici, consente insomma di intravedere vie d’indagine ancora obiettivamente fruttuose»
2. La storia che si legge oggi con il titolo di Macaire non è che una delle versioni di una chanson de geste meglio
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LIMENTANI 1992.
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CAPUSSO 2007, pp. 185-186.
2 conosciuta come Chanson de la Reine Sibille3 che nel Medioevo godeva di una grande popolarità. Altre versioni, sia in prosa che in versi, si sono scoperte in tutta Europa, le prime delle quali risalgono al XII secolo e le ultime arrivano alla metà del XV secolo. Proprio il confronto con esse, seppure limitatamente a quelle provenienti dall'area romanza e in forma manoscritta, ha messo in luce come il testo franco-italiano si discosti da tutte per molti aspetti, a iniziare dal nome della protagonista. La narrazione contenuta nel Marciano XIII potrebbe essere copia di un originale più antico, forse francese, della quale però non si hanno tracce;
chiunque abbia pensato la storia come la leggiamo oggi le ha in ogni caso fatto compiere un’evoluzione particolarissima, che per alcuni tratti si avvicina alle chansons de geste tardive: come in quelle compare un Carlo Magno ormai
demitizzato, emergono nuove figure popolari e la comunità non corrisponde solo ad un’élite aristocratica; il mondo saraceno non è più il nemico minaccioso da combattere e le guerre scoppiano per ideali meno elevati fra gli stessi Cristiani.
Sebbene siano molti gli aspetti condivisi, numerose sono anche le differenze: se le chansons tardive muovono una critica alla sovranità, esse lo fanno tramite i vassalli ribelli, nobili cavalieri che si oppongono al loro signore ingiusto entro i limiti di una mentalità feudale; ma in Italia manca la forte classe proprietaria terriera che era alla base della società e della letteratura francesi, così che i gesti del codice cavalleresco che vi sono legati qui diventano più che altro un topos letterario senza riscontro diretto nella realtà circostante. L’imperatore viene svuotato di ogni autorità e ridotto in balia dei consiglieri, mentre intorno sono altri i ceti che premono per emergere. Un famoso vassallo ribelle compare anche nella Geste Francor, a dimostrazione che l’autore conosce bene questo genere e le sue scelte non sono dettate dall’ignoranza, ma non a caso si tratta di Ogier il Danese, l’unico che già nelle storie originali francesi si riconciliava con il sovrano e che nel Macaire contribuisce a ricostituire la pace finale. Il ciclo franco-italiano sembra improntato infatti alla regola che, qualsiasi cosa avvenga, la fine deve
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