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Il concetto di “danno punitivo”

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Il concetto di “danno punitivo”

Avv. Aldo Grassi*

Nel diritto della maggior parte dei singoli Stati degli Stati Uniti sono previsti i c.d. “danni punitivi” o esemplari (punitive o exemplary damages) i quali danno luogo ad un risarcimento di vaste proporzioni. Tale risarcimento può essere riconosciuto all’attore in aggiunta a quello destinato alla compensazione del torto effettivamente sofferto, quando il pregiudizio subito è aggravato da circostanze di violenza, angoscia, mala intenzione, frode o dalla condotta e gratuita del convenuto.

L’applicazione della sanzione è subordinata all’avvenuta prova della mala fede ovvero dell’internazionalità della condotta nella fase precedente e successiva al processo.

Il riconoscimento dei c.d. “danni punitivi” è rimesso alla discrezione del Giudice e tende al perseguimento di quattro obiettivi principali:

1. La punizione dell’autore del torto;

2. Costruire un efficace deterrente per l’autore del pregiudizio ed altri potenziali trasgressori quando la mera compensazione del danno non è tale da condizionare il comportamento;

3. Remunerare l’attore per il suo impegno nell’affermazione del suo diritto dal momento che contribuisce ad un contestuale rafforzamento dell’ordine legale;

4. Attribuisce alla vittima un’aggiunta al semplice risarcimento del pregiudizio sofferto quando esso è da ritenersi insufficiente.

La determinazione dell’importo da attribuire a titolo di “danno punitivo” è rimesso alla discrezionalità del Giudice che normalmente tiene conto di una pluralità di parametri quali il carattere dell’azione illecita, il tipo del pregiudizio e le proporzioni che esso assume per l’attore e soprattutto le condizioni economiche del convenuto (si veda ad esempio la decisione della vertenza TXO Production v. Alliance Resources decisa dalla West Virginia Supreme Court of Appeals).

E’ interessante notare che anche in alcuni Studi Europei l’argomento è stato affrontato. Il Bundesgerichtshof (Corte di Cassazione della Repubblica Federale Tedesca), in una recente sentenza (BGH, 4 giugno 1992, in BGHZ 118, 312 (340)) ha avuto l’occasione di precisare che l’esecuzione di una sentenza straniera (nel caso di specie degli Stati Uniti) contenente condanna ai c.d. “danni punitivi” non è di per sé contraria all’ordine pubblico internazionale, in quanto è possibile che in tal modo possono essere compensati danni immateriali. Si riconosce perciò implicitamente che con i “danni punitivi” è possibile perseguire aspetti non estranei all’ordinamento giuridico tedesco.

“Danni Punitivi” nell’ordinamento giuridico italiano

Nell’ordinamento giuridico italiano, almeno nel campo civilistico, il tema non è stato dibattuto.

Manca nell’ordinamento giuridico italiano una norma che citi espressamente il termine “danni punitivi o esemplari”. Nondimeno è lecito chiedersi se sia possibile individuare disposizioni vigenti, in grado di comprendere alcuni aspetti del citato concetto tenendo conto delle diverse finalità ad esso sottese.

* Avvocato, Rimini

Tagete n. 1-2000 Ed. Acomep

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L’attenzione deve portarsi sul primo comma dell’art. 96 c.p.c. che cita: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dall’altra parte, la condanna, oltre alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”.

La norma sanziona indubbiamente un comportamento riprovevole della parte, dal momento che colpisce tutti coloro che utilizzano il processo a mero scopo defatigatorio, ovvero, senza il doveroso impegno di quella diligenza che consenta di avvertire agevolmente l’ingiustizia della propria condotta nel processo. Basti pensare ai numerosi casi in cui le compagnie assicuratrici resistono in giudizio per scoraggiare la parte attrice, considerati i tempi lunghi della giustizia italiana, dall’insistere nell’azione legale e scendere a patti alle condizioni imposte unilateralmente. Il tema poi diventa addirittura rovente nell’ipotizzare la sua applicazione al contenzioso bancario. Anche altri temi sono potenzialmente idonei ad essere investiti dal ciclone dei c.d. “danni punitivi”, come per esempio le cause di tutela ambientali e quelle di responsabilità per i danni causati da prodotti difettosi.

Il Legislatore Italiano ha voluto introdurre con la norma suindicata una sanzione risarcitoria idonea a costruire un monito per il futuro, se è vero che il danno liquidabile dal Giudice risulta così completamente slegato dal pregiudizio effettivamente subito dalla vittima, ma solo collegato direttamente ad un comportamento riprovevole della parte in giudizio.

Riguardo l’identificazione della natura giuridica dell’art. 96 c.p.c., la giurisprudenza dominante ha riconosciuto che questa è da considerarsi speciale rispetto al precetto contenuto nell’art. 2043 c.c. (ad esempio Cass. Civile sez. I, 7 maggio 1998, n. 4624). I danni liquidati sovente dai Giudici ai sensi dell’art. 96 c.p.c. hanno il più delle volte costituito in quei danni che la parte non aveva raggiunto completamente la prova (Cass. 1592 del 1994) e in altri casi sono stati liquidati come danni le spese legali patite dalla vittima e solitamente non ripetibili alla controparte (Cass. 8872 del 1987). Tutte le decisioni censite hanno ritenuto l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c., dando atto implicitamente che il danno liquidato non era rigorosamente collegato al pregiudizio sofferto.

Pertanto si è ritenuto che il danno ex art. 96 c.p.c. risulta slegato da quello effettivamente subito dalla vittima per il quale il giudizio è stato instaurato, ed è giustificato esclusivamente dal comportamento della parte che ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.

Se il danno risarcibile ai sensi dell’art. 96 c.p.c. è slegato dalla perdita subita dalla vittima, il Giudice sarà libero di liquidare qualsiasi somma reputi giusta ed equa per adempiere alle prescrizioni del precetto contenuto nell’art. 96 c.p.c. Il danno punitivo può essere quindi contenuto tra un margine minimo che va da una lira fino a una somma tale da incidere seriamente sulla parte responsabile.

Pertanto, il risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. dovrà essere tale da incidere di fatto sulle responsabilità economiche di chi del comportamento malevole o privo della normale diligenza fa uno stile di vita.

A sostegno di questa lettura innovativa dal primo comma dell’art. 96 c.p.c. è possibile addurre anche l’art. 88 c.p.c. che al primo comma afferma il dovere delle parti di comportarsi in giudizio secondo lealtà e probità. La mancanza della parte a tale dovere sarebbe infatti priva di un'adeguata sanzione e la sua previsione si risolverebbe in una semplice frase di stile.

Alla luce delle considerazioni svolte pare dunque possibile individuare una duplice finalità dell’art. 96 c.p.c. di risarcire il danno causato dal riprovevole comportamento processuale dell’altra parte e di costituire un monito in grado di condizionare il comportamento delle parti del processo.

Quest’ultimo aspetto è realizzabile, come insegna la comune esperienza, solo quando la sanzione è rapportata alle condizioni economiche del soggetto da punire.

Tagete n. 1-2000 Ed. Acomep

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