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LA RILEVANZA AQUILIANA DELLE LESIONI PSICHICHE: DANNI PATRIMONIALI, DANNI MORALI, DANNI BIOLOGICO/ESISTENZIALI.

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Collana Medico‐Giuridica n.10 

VULNERA MENTIS 

‐ Associazione M. Gioia ‐ 

LA RILEVANZA AQUILIANA DELLE LESIONI PSICHICHE:

DANNI PATRIMONIALI, DANNI MORALI, DANNI BIOLOGICO/ESISTENZIALI.

Prof. Paolo Cendon1

1. La quantificazione del danno

Assai significative - nel raffronto tra compromissioni fisiche e psichiche - appaiono le diversità di statuto inerenti al momento della quantificazione del danno.

E si tratta, occorre dire, di differenze riscontrabili lungo tutti i versanti del giudizio risarcitorio: dalle questioni relative al danno emergente, a quelle in ordine all'amministrazione del patrimonio, sino ai vari problemi che interessano il mancato guadagno, il danno biologico/esistenziale, il danno morale.

2. Le spese di cura

Per quanto concerne le spese di cura, i punti da mettere in luce sono più d'uno.

Un primo passaggio appare quello inerente all'accentuata costosità di certe terapie, soprattutto di quelle psicanalitiche. Si sa bene come occorra far luogo, in certi casi, ad una pluralità di sedute periodiche (anche due o tre alla settimana). Ed è noto poi come i buoni specialisti siano difficili, qui, da reperire; come i loro onorari, di norma, pesino sulle tasche del cliente in misura ragguardevole; come ogni incontro programmato debba, salvo casi di forza maggiore, venir pagato (anche se il paziente disdica in tempo l'appuntamento, pena scadimenti nel rapporto di cura); come gli "sconti"

sulla tariffa ordinaria siano da considerare, tendenzialmente, antiterapeutici. E così via.

Nulla impedirà, poi, alla vittima di farsi curare da un professionista o presso qualche istituto (in Italia come all'estero) non direttamente “convenzionato” con le strutture dell'assistenza e previdenza nazionale. L'unico vincolo è che, se molto più onerosa, la soluzione alternativa dovrà essere tale da assicurare - sulla carta - probabilità di recupero più ampie rispetto a quelle che il ricorso ad un servizio ufficiale sarebbe, verosimilmente, in grado di permettere.

1 Ordinario di Diritto Privato, Università di Trieste.

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Oltre alle prestazioni di tipo sanitario, nella partita del risarcimento andranno conteggiati altresì i costi sostenuti (o prevedibili) per la partecipazione dell'infermo a quelle varie iniziative - di risocializzazione, riacquisto di autosufficienza, riadattamento alla vita normale (e in certi casi abitazione indipendente) - consigliate eventualmente dal medico.

Le peculiarità delle terapie "psi" mostrano, poi, di risiedere soprattutto:

(a) nell'accentuata difficoltà di prognosi, e molto spesso nell'impossibilità, per il consulente, di stabilire con sufficiente approssimazione la durata della malattia;

(b) nella necessità di immaginare che, per la maggior parte dei disturbi, il trattamento sia da prestarsi in via continuativa e senza limiti di tempo - proprio perché, a differenza di tante compromissioni somatiche, l'apparente inguaribilità quasi mai può cancellare, qui, la speranza di riprese più o meno significative;

(c) nella varietà delle fasi per gran parte dei malesseri, stante il possibile succedersi, neanch'esso esattamente prevedibile, di continue alternanze fra ricadute e miglioramenti.

Di qui la necessità di far spesso capo ad una valutazione equitativa ex art.

1226 c.c. - dove equità significherà tuttavia, per il giudice, niente più che impegno a prefigurare (in via tanto discrezionale, quanto motivata e controllabile) l'andamento probabile della malattia.

Di qui inoltre - per la vittima, e per lo stesso chiamato al risarcimento - la possibilità di sollecitare giudizi di revisione, nel quantum, ogniqualvolta gli sviluppi fossero tali da smentire (in meglio o in peggio) il quadro clinico prospettato dalla sentenza: possibilità, anch'essa, destinata a presentarsi ben più frequentemente che non nel caso delle lesioni fisiche.

3. L'amministrazione dei propri beni

Particolarmente seri sono gli ostacoli cui il sofferente andrà incontro nell'amministrazione del proprio patrimonio.

Inutile ricordare come risvolti del genere siano assenti, di regola, nell'ipotesi di lesioni fisiche; o si producano comunque in forma assai minore.

Oltre tutto (va sottolineato) le difficoltà di gestione quasi mai nasceranno dai soli impedimenti naturalistici - dovendo aggiungersi ad esse le barriere, formali o negoziali, che interessano i malati di mente.

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È quanto può dirsi - ad esempio - per gli impacci nei rapporti con la P.A., o per i vincoli nella concessione di licenze e autorizzazioni di pubblica sicurezza (artt.31 e 131 T.U. delle leggi di PP.SS.), come pure nell'iscrizione agli albi professionali. O, ancora, per le vicende estintive stabilite in materia di affitto (art.1626 c.c.), di mandato (art.1712, n. 4., c.c.), di conto corrente (art.1833 c.c.), di deposito (art.1769 c.c.), di agenzia (art. 1751, 3° co., c.c.).

Oppure per gli impedimenti previsti nella disciplina dell'impresa commerciale (art.425 c.c.), della società in nome collettivo (art. 2294 c.c.), della società semplice (art.2286 c.c.), della società per azioni (artt. 2382 e 2399 c.c.)

Né a rischiarare il quadro potranno valere - in misura apprezzabile - istituti come l'interdizione o l'inabilitazione (quando pure attivabili nei confronti della vittima). Specialmente per le fortune che sono state governate sino all'inizio della follia secondo criteri di imprenditorialità pura, è palese il divario intercorrente fra la lentezza di decisione che i rimedi di "protezione stabilizzata" introducono, e il dinamismo che invece occorrerebbe per mantenere quello sviluppo al passo con il mercato o con i tempi.

Senza accennare poi alle fasi di stallo che - per un arco di anni o di decenni - si determinano allorquando ragioni di affetto, di convenienza o di riserbo inducano i familiari a rinviare, via via, la richiesta delle misure di volontaria giurisdizione.

E senza dire come la stessa rinuncia ai procedimenti ablativi della capacità possa rivelarsi un esito tutt'altro che tranquillizzante, persino là dove i criteri del management siano abbastanza poco sofisticati da risultare alla portata di un soggetto afflitto da qualche tenue disturbo. Nell'equilibrio della sua orditura, la soluzione dell'art.428 c.c. non riesce infatti a scongiurare il pericolo che, attorno al sofferente, possa ingenerarsi una situazione di autentico "ingessamento negoziale", data la comprensibile ritrosia dei terzi ad entrare in contatto con qualcuno che - dietro semplice dimostrazione della loro malafede, pur se lo scambio è stato equilibrato - potrebbe all'indomani stesso del contratto ottenere l'annullamento.

4. Il lucro cessante

Non diverse le indicazioni sul terreno del mancato guadagno.

Il dato essenziale andrà cercato, qui, nella considerazione delle varie attività produttive (idonee a far sorgere ricchezza e guadagno) dal cui svolgimento la vittima viene a trovarsi esclusa per l'avvenire. Detto in altro modo, nel rilievo di tutto quanto, di fruttuoso, colui che è stato lesionato al

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corpo - o rispettivamente alla mente - si trova per ciò stesso a non poter continuare a fare, ossia a dover smettere di assolvere, oppure a non poter più sperare un giorno di incominciare.

Ecco il divario allora: bisogna pensare ad attività professionali di livello abbastanza alto per trovare esempi di qualcosa che l'inflizione di un handicap fisico, non proprio gravissimo, possa precludere alla vittima di compiere; o, comunque, di intraprendere in un futuro più o meno lontano, nella sede in cui il danneggiato viveva precedentemente, oppure altrove.

Inversa la situazione nel caso delle lesioni alla mente: occorre pensare ad incombenze di livello modestissimo, tutte normalmente confinate entro l'ambito geografico in cui il malato viveva in precedenza, per trovare esempi di qualcosa che l'inflizione di una turba psichica (non addirittura irrisoria) consentirà ancora di effettuare.

Né calcoli del genere - può aggiungersi - andranno ristretti ad una semplice presa d'atto delle mansioni svolte, dalla vittima, sino al momento dell'illecito;

o di quelle assimilabili come livelli di impegno e di compenso (e alle quali il danneggiato, nel suo futuro, avrebbe forse potuto convertirsi). In primo piano deve essere altresì la considerazione di tutto ciò che la persona - ove non fosse intervenuto il torto - sarebbe stata in grado di intraprendere, negli anni a venire, per migliorare il suo status e i suoi orizzonti.

Non serve molto allora per vedere quante, fra le prospettive che rimangono aperte al portatore di una menomazione corporea (sul terreno dell'istruzione, della specializzazione, dell'affinamento culturale, della riconversione lavorativa), vengano invece a chiudersi per sempre, o almeno per un tempo imprecisato, nel caso di handicap mentali che non appaiano proprio trascurabili.

A parte le incombenze più modeste, si può concludere - in definitiva - come sul terreno delle malattie di mente operi un'unica frontiera tendenziale (una sorta di Alles-oder-Nichts-Prinzip): al di qua della quale la menomazione arrecata si annuncia pressoché irrilevante professionalmente (nulla di significativo andrà risarcito), e al di là della quale ogni distinzione fra questo o quel coefficiente di invalidità cessa di avere un valore pratico apprezzabile (tutto il mancato guadagno sarà dovuto).

5. Ostracismi e diffidenze

Gli impatti sin qui descritti appaiono tanto più gravi - d'altronde - ove si considerino gli scogli che il malato di mente è destinato a incontrare (assai più che per un handicap corporeo), sul terreno della vita di relazione.

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Ancora una volta, occorrerà non tener conto unicamente dei tramiti entro cui viveva immersa la persona, prima che l'illecito accadesse; o di quelli avvicinabili quanto a censo, per cultura, nel tenore complessivo di vita. Si tratta di pensare anche agli incontri che il destino aveva in serbo, nel futuro della vittima, e che ormai restano esclusi dal suo oroscopo e di fatto non verranno più intessuti - non, almeno, a quelle stesse condizioni o comunque all'età giusta per goderne.

Ed è ovvio come ciò non si compensi, poi, attraverso un rilievo dei contatti verso i quali l'infermo è instradato dalla nuova condizione in cui versa.

Né è, poi, questione solo dei rifiuti mossi da un deficit specifico. Tutti quei limiti verranno esasperandosi nel filtro di ritegno, e di imbarazzo, con cui l'offeso sarà accolto già a priori (o meglio respinto già in partenza), semplicemente in quanto portatore di un marchio imprestatogli all'esterno.

Ciò almeno presso gli interlocutori, e si tratta della grande maggioranza, che vivono ancor oggi la demenza con l'ansia e i sentimenti messi in luce da tutta la moderna psichiatria: timore di possibili contagi - ad esempio - orrore per le tare ereditarie, senso di colpa verso chi è custode dei fantasmi diffusi nel villaggio, sospetto che si tratti di un castigo meritato in qualche modo dall'infermo.

Il pericolo è che la vittima, insomma, neppur si veda abitualmente interpellata circa il tipo di effettive inettitudini che quel certo disturbo comporta;

o, addirittura, che i riscontri più innocenti vengano subito letti come indizi (poiché ogni forma di follia è follia), di una totale perdita del senno che potrebbe rivelarsi ad ogni istante.

6. La zona di rischio messa a carico del convenuto

Obiettare che, a questa stregua, il danneggiante finisce per sopportare il costo di distorsioni che non dipendono immediatamente dalla sua colpa, significherebbe non tener conto della realtà effettiva del danno - né, soprattutto, dei criteri attraverso cui va determinata, in tutti i casi, la "zona di rischio" di cui far carico all'autore.

Sono ben poche le disfunzioni che non minaccino di accrescere, in misura maggiore o minore, l'ammontare iniziale di una perdita. Così come avrà l'effetto di ridurla - altrettanto regolarmente - qualsiasi ritocco funzionale che migliori l'efficienza degli apparati, intorno alla sfera dell'offeso.

Ciò vale per gli stessi illeciti commessi dalla vittima, successivamente alla (prima) lesione - e abbiamo già visto alcuni esempi. Ma l'elenco sarebbe ben più lungo.

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Si tratta in ogni caso di circostanze suscettibili di rientrare - proprio perché incidono sul danno, buone o cattive che siano - nel computo globale della responsabilità: tranne quando le loro caratteristiche di eccezionalità, oppure altre considerazioni, permettano ai principi sulla causalità giuridica di imporre un diverso risultato.

Nuoce ad esempio al convenuto il cattivo funzionamento del collocamento obbligatorio; ma gli giova l'avvento di una legge che, come la 180/1978, può indurre a minori pessimismi circa future guarigioni della vittima. Sarà recriminabile il fatto di essersi imbattuti, invece che in una persona qualsiasi, in un soggetto con predisposizioni alle turbe psichiche; ma è provvidenziale il comportamento di un terzo che, subito dopo la lesione, si sia adoperato con successo per ridurne le conseguenze.

Un tendenziale equilibrio si realizza - del resto - anche fra i gruppi di elementi (positivi e negativi) che, per le dette caratteristiche, sono destinati a rimanere fuori dal calcolo del risarcimento.

Così, il danneggiante non verrà a risentire del fatto che un datore di lavoro licenzi illegittimamente, dopo averla assunta, la vittima della lesione; ma non potrà giovarsi della nascita di un luogo di cura, sgradito peraltro all'infermo, dove le probabilità di guarigione appaiano sulla carta maggiori che altrove. E ancora, sarà indifferente che il malato venga fatto oggetto, nel quartiere in cui vive, di angherie o dileggi spiegabili con l'insensibilità di qualcuno; ma altrettanto lo sarà la circostanza che favorevoli possibilità di lavoro, dovute alla situazione familiare o ad un colpo di fortuna, non siano sfruttate dall'offeso per fobie o idiosincrasie particolari.

7. Il danno morale

Particolarmente dolorose, di regola, le conseguenze che l'inflizione di un disturbo alla mente produrrà sul terreno del danno morale.

Si osserva spesso come la (caduta nella) pazzia sia un evento destinato a privare la persona proprio delle cose che al mondo sono in grado di dare maggior felicità, sbarrando intorno, nel contempo, i percorsi attraverso cui quegli stessi beni potrebbero venire inseguiti (e magari raggiunti). Per il modo in cui l'interessato si vivrà quotidianamente - e per come lo tratterà chi gli sta accanto - è difficile non concludere che i riflessi dell'illecito diventano il centro, e la fonte di pene, dell'intero universo della vittima.

Neppur vale replicare, d'altro canto, all'appunto secondo cui ogni contezza del dolore verrebbe meno nei malati di mente - quale dato di per sé incompatibile con quello della "perdita del senno". La risposta migliore, in

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proposito, si ha lasciando la parola ai cultori della scienza psichiatrica, dai quali opinioni del genere sono state, da tempo, seppellite come un luogo comune fra i più malinconici (anche se fra i più ostinati) che circolino dalle origini del mondo sul conto della pazzia.

In ogni caso mette conto ricordare come la l.180/1978 sia (anch'essa) imperniata rigorosamente - quanto alla scelta del trattamento sanitario - sul principio generale della volontarietà. Dal momento che l'unità della persona rimane sempre la medesima, la valorizzazione di quel consenso non può allora non implicare un riconoscimento, da parte del legislatore, circa sufficienti attitudini del paziente a riconoscere, lui per primo, qual è il suo bene e il suo male: e non può non equivalere dunque a una presa d'atto (compiuta dall'ordinamento) circa l'esistenza di una sensibilità al piacere e al dolore non più labile, presso chi soffre mentalmente, rispetto a qualsiasi altro individuo.

8. Il danno biologico/esistenziale

Non meno forti gli impatti sul terzo (e ultimo) fronte della responsabilità, quello del danno biologico/esistenziale; ed è appena il caso di ricordare come la disciplina applicabile, stavolta, sarà non già quella restrittiva di cui all'art. 2059 c.c., bensì quella ordinaria offerta dall'art. 2043 c.c. e dalle norme comuni di responsabilità (soggettiva, oggettiva, semioggettiva).

8.1. I riflessi di ordine fisico / estetico

Un primo gruppo è allora quello dei momenti che si rapportano alla maschera più esterna della vittima - ossia i risvolti di natura estetico/fisiologica. Una capitolo, va sottolineato, cui apparterranno non soltanto i fastidi veri e propri che la follia minaccia (emicranie, vertigini, nausea), ma anche i tratti involgenti le funzioni vitali o i luoghi propri della struttura corporea.

In particolare, l'alterarsi delle capacità sensorie, l'inceppamento nei movimenti, l'insonnia, le allucinazioni, l'appannamento dei riflessi e della memoria. E poi ancora le catatonie, gli stupori aggravati dalla necessità di ricorrere agli psicofarmaci, i tic, le dislalie, i manierismi. Oppure le allergie, la monotonia della voce, la staticità dell'espressione, la povertà dei gesti, l'invecchiamento precoce, la perdita della bellezza, eventualmente l'impotenza.

Vi è, qui, un profilo (afflittivo) che riguarda il malato in quanto tale, considerato nella sua stretta fisicità - per i dialoghi che mantiene col proprio essere, per le sensazioni che quel rapporto gli procura. E vi sono poi le

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angustie proiettate sul fronte della vita di relazione, nella sfera sociale e affettiva: ossia le ombre nascenti dal ripudio cui potrà indurre, via via, il contatto (imbarazzato) con quei sintomi - e che aggiungono ulteriore solitudine a quella cui già il dato della pazzia condanna, per se stesso, la persona.

8.2. L’ inettitudine ad amministrare i propri beni

Non meno acute le valenze espropriatrici che si determinano, in seguito al disturbo, nelle possibilità di iniziativa economica: soprattutto rispetto ai beni appartenenti alla vittima, e al controllo della loro gestione.

Sono palesi i risvolti "esistenziali" di quel distacco: non soltanto la scissione - più o meno irrevocabile - tra l'infermo e le voci della sua ricchezza, ma anche lo spoglio di ogni autonomia negoziale (o di una sua parte significativa), la coscienza di una difficoltà ad amministrare, l'impossibilità di costruire un futuro modellato sui propri desideri.

Oltretutto, il capitolo delle preclusioni si annuncia appesantito da alcuni vincoli che - privi di sostanziale rilievo agli effetti del danno patrimoniale - entrano invece in primo piano in un discorso sul danno biologico. E ci si riferisce, in particolare, alle restrizioni da cui è colpita la capacità testamentaria (art. 591 c.c.) e alle strettoie previste sul terreno delle donazioni (artt. 774, 775, 776, 777 c.c).

È evidente come il piacere di fare un regalo alle persone amate non è (non sarebbe stato) inferiore per la vittima di un trauma psichico che per qualsiasi altro individuo. E lo stesso può dirsi per la consolazione di poter lasciare (con un negozio di ultima volontà, oltre le regole della successione legale) una parte dei propri beni a coloro verso i quali l'infermo, come chiunque, avesse cumulato nel corso della sua vita ragioni di affetto, di ammirazione o di riconoscenza.

8.3. La dipendenza dagli altri

Un motivo intorno a cui si aggregheranno occasioni continue di affanno appare, poi, quello della dipendenza: rispetto sia all'ambiente circostante, sia alle persone che ne fanno parte.

Ben poche - in effetti - fra le necessità quotidiane della vittima (dall'assistenza spicciola alle cure mediche, dall'indispensabile per vivere agli psicofarmaci, dai viaggi alle iniziative più semplici) potranno sfuggire al morso di quella sottomissione. E, quanto agli incontri con il prossimo, si può dire che sarà proprio il gioco delle urgenze a decidere - pazienza se poco felicemente -

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la scala delle priorità da osservare; ogni altro appuntamento (paritario) venendo di fatto posto al margine, ridotto nei limiti di un optional.

Soggezione, pertanto, rispetto ai centri di igiene mentale, agli enti di previdenza, agli apparati pubblici in genere. Ma dipendenza soprattutto nell'ambito domestico - dove la vittima sperimenterà giorno per giorno sino a che punto la continua necessità di aiuto possa incrinare, salvo eccezioni, anche il linguaggio dei legami più profondi.

8.4. La difficoltà di difendersi

Un profilo ulteriore attiene poi alla difficoltà, per la vittima, di difendersi (in via di fatto o di diritto) contro i colpi e gli assalti del mondo.

La gamma delle ipotesi è assai vasta. Potrà trattarsi di aggressioni che riguardino la persona stessa del malato; e il bersaglio, altre volte, sarà costituito piuttosto dai suoi beni, o da qualcuno dei familiari. Vi sono i casi in cui la minaccia consiste in fattori naturali, e quelli in cui tutto sarà riferibile, invece, al comportamento di un terzo (comportamento, a sua volta, di natura dolosa, o meramente negligente, o del tutto incolpevole).

Talora, si tratterà di insidie non dissimili da quelli che qualsiasi altro individuo - e l'infermo medesimo, in condizioni ordinarie - avrebbe potuto incontrare. Ed è assai facile, invece, nei casi di condotta volontaria, che ci si trovi al cospetto di offese concepite, e realizzate, proprio in vista della spiccata vulnerabilità del sofferente (furti, truffe, appropriazioni indebite).

La scelta se patire l'insulto arrecato, o accettare di piegarsi a un male sostitutivo, non sempre sarà facile da compiere.

E le possibilità di sconfitta che si collegano all'una o all'altra opzione risulteranno diverse, ma di rado inferiori a quelle di Amleto: tenuto conto anche della frequenza con cui la cronaca deve registrareepisodi di attacchi o malegrazie contro persone deboli di mente - per gusti, perversioni o meccanismi da tempo codificati nella letteratura medico-legale e vittimologica.

8.5. I legami affettivi

Restano infine da prendere in esame, fra i contraccolpi nella “relazionalità”

della vittima, le ombre inerenti ai legami personali.

Inutile osservare come, in quest'ambito, il primo posto spetti alla famiglia - intesa sia quale cerchia originaria (tra la vittima e i suoi genitori), sia nella veste di kleine Familie (ossia rispetto al coniuge ed ai figli). E le ragioni appaiono ben chiare.

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Qui sono destinati a intrecciarsi i rapporti più stabili nel tempo: soprattutto quelli improntati alla (continuità della) convivenza, e di gran lunga più intensi sotto il profilo degli affetti, oltrechè per lo spessore dei ricordi. Ed è ancora il nucleo domestico a nascondere, in tanti casi, le radici segrete di quella follia: il cui semplice contatto per l'infermo, allo specchio della propria odissea, potrà diventare una ragione di inquietudine - che si aggiunge alla coscienza di interscambi ormai diversi dal passato, di un gioco delle parti messo in crisi.

Né vanno dimenticati, più specificamente, gli ostacoli che il codice civile prevede in ordine a talune situazioni.

Basta pensare alla disciplina stabilita per le nozze dell'interdetto (artt. 85 e 119 c.c.), o all'annullabilità del matrimonio in caso di errore, da parte dell'altro coniuge, circa lo stato di infermità psichica (art. 122 c.c.). Oppure alla possibilità per un coniuge di ottenere la separazione personale, e poi il divorzio, anche se della propria malattia di mente l'altro coniuge non sia in alcun modo colpevole; ovvero all' esclusione, più o meno automatica, dall'amministrazione dei beni della comunione per il coniuge disturbato (art . 183 c.c.). E ancora, alla possibilità che l'esercizio della potestà sui figli venga affidato in via esclusiva all'altro coniuge (art.317 c.c.); o all'improbabilità che appaia idonea, ai fini dell'adozione, una coppia con un membro psichicamente disturbato (art 6, l. 4 maggio 1983, n. 184).

Tutto ciò non vuol dire, beninteso, che frustrazioni ulteriori saranno risparmiate - che non venga compromesso anche lo svolgersi di tante relazioni extradomestiche: a partire dai momenti della partecipazione collettiva (sindacati, associazioni, partiti, comitati, gruppi culturali); passando per il mondo della sessualità (una realtà che l'infermo dovrà vivere prevalentemente con se medesimo, o attuare in prevalenza coi suoi simili); per giungere infine ai rapporti di svago, di compagnia, di amicizia (quelli esistenti al momento dell'illecito, nonché gli incontri proiettati nel futuro).

Ancor più triste - ad ogni modo - il destino per gran parte fra i legami del cuore. Può essere amato, come chiunque, un monco oppure un cieco o uno storpio, ma è ben difficile che qualcuno arrivi a innamorarsi di un infermo di mente. E nessuno continuerà poi ad amare (oltre certi limiti di tempo, al di là di una pietà caritatevole) qualcuno che smarrisca la ragione - e che, proprio per questo e dopo questo, di rado sarà ancora la persona verso cui era nato il trasporto.

Riferimenti

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