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COMPORTAMENTO ADATTIVO I Capitolo

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Academic year: 2021

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I Capitolo

COMPORTAMENTO ADATTIVO

1.1 Introduzione

Si può pensare al comportamento adattivo (CA) come una costellazione di abilità che permettono ad una persona di funzionare in modo efficace, tutti i giorni, a casa, a scuola, a lavoro e nella comunità (Schalock, Borthwick-Duffy, Bradley, Buntinix, Coulter, Craig et al., 2010).

Il presente capitolo mira a definire l’attuale concettualizzazione del costrutto di CA, oltre a fornire un background storico e ad illustrare il suo utilizzo per la diagnosi di disabilità intellettiva. La comprensione dell’importanza del CA richiede, infatti, una certa conoscenza della sua storia ed evoluzione, compresa la sua stretta associazione con la valutazione e l’identificazione degli individui con disabilità intellettiva.

1.2 Definizione e caratteristiche del CA

“Immaginate una persona che si preoccupa per la sua salute, si impegna in attività di comunità, frequenta la scuola o ha un lavoro adeguato, applica in modo efficace quello che, lui o lei, ha imparato a scuola, sostiene relazioni significative, è auto-diretto e si preoccupa per i propri bisogni di vita quotidiana (ad esempio, pulizia, lavarsi, vestirsi e mangiare): coloro che mostrano queste qualità, si può dire che abbiano un comportamento e abilità adattivi” (Oakland & Harrison, 2008, p.3).

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Dalla seconda metà del XX secolo, dagli studi di diversi autori (Doll, 1932; Heber, 1959; Grossmann, 1973), sono emerse svariate definizioni e categorie di comportamento adattivo.

Attualmente la AAIDD (American Association on Intellectual and Developmental Disabilities) definisce il comportamento adattivo come l’insieme delle abilità (1) concettuali, (2) sociali e (3) pratiche che sono apprese e vengono messe in atto dalle persone nella loro vita quotidiana (Schalock et al., 2010). Le abilità concettuali riguardano linguaggio, lettura e scrittura, i concetti di denaro, tempo e numero. Le abilità sociali includono capacità interpersonali, responsabilità sociale, autostima, ingenuità, diffidenza, seguire le regole e obbedire alle leggi, evitare di essere vittima, problem solving sociale. Le abilità pratiche si riferiscono, invece, ad attività di tutti i giorni di cura della persona, abilità occupazionali, utilizzo del denaro, rispetto delle regole di sicurezza, cura della propria salute, utilizzo dei mezzi di trasporto, rispetto degli orari e routine, e uso del telefono (Luckasson, Schalock, Spitalnik, Tassé, Spreat, Snell et al., 2002; Schalock et al., 2010).

Storicamente, Heber, nel 1959, è stato il primo a sviluppare una definizione di comportamento adattivo, definendolo come “l’efficacia con cui l’individuo fa fronte alla natura e alle esigenze sociali del suo ambiente che si riflette nella maturazione, nell’apprendimento e nell’adattamento sociale. Esso ha due principali aspetti: il grado con cui l’individuo è capace di funzionare e mantenere se stesso in modo indipendente, ed il grado con cui risponde, in modo soddisfacente, alle esigenze, culturalmente imposte, di responsabilità personale e sociale” (Heber, 1961, p. 61).

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Nel manuale di classificazione della disabilità intellettiva del 1973, dell’allora Associazione Americana per il Deficit Mentale (AAMD), ora AAIDD, il concetto veniva definito come “l’efficacia e il grado con cui l’individuo raggiunge gli standard di indipendenza personale e responsabilità sociale propri dell’età e del gruppo culturale di appartenenza” (Grossmann, 1973, p.11). Analogamente, deficit nel CA erano concettualizzati come “limitazioni significative nell’efficacia individuale nel raggiungere gli standard di maturazione, apprendimento, indipendenza personale, e/o responsabilità sociale propri dell’età e del gruppo culturale e determinati mediante valutazioni cliniche e, solitamente, scale standardizzate” (Grossmann, 1973, p.11).

Nel manuale di classificazione del 1983 della AAMD, il CA si riferiva alla qualità delle prestazioni quotidiane nell’adattarsi alle esigenze ambientali, che veniva associata al livello di intelligenza. . È evidente che il CA si riferisce più a cosa le persone fanno per prendersi cura di sé e porsi in relazione con gli altri nella quotidianità piuttosto che al potenziale astratto dell’intelligenza (Grossmann, 1983, p.42).

Più recentemente, Luckasson et al. (2002) hanno definito il costrutto come le “attività che l’individuo deve quotidianamente svolgere per rispondere alle richieste di autonomia personale e sociale per individui di pari età e contesto culturale”. Secondo altri autori, esprime l’interazione dell’individuo con il proprio ambiente (ad es. Borthwick-Duffy, 2006; Widaman e McGrew, 1996). Greenspan (2006, p. 213) lo descrive come “la capacità di funzionare nel mondo reale” (“One’s ability to function in the real word”).

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Sia Heber (1959) che Grossmann (1973) hanno riconosciuto la multidimensionalità del comportamento adattivo e l’influenza della cultura sulla valutazione del costrutto. In particolare, Heber (1961) ha concettualizzato il comportamento adattivo come composto da tre fattori principali: maturazione, apprendimento e adattamento sociale. Questi tre domini continuano a far parte della concettualizzazione più aggiornata di comportamento adattivo, ma vengono riformulate come abilità pratiche, concettuali e sociali.

Nel 1992, nel manuale della AAIDD, il termine abilità adattive rimpiazzava il vecchio concetto di comportamento adattivo (Luckasson, Coulter, Polloway, Reiss, Schalock, Snell et al., 1992). Nell’intento di definire operazionalmente il termine, furono incluse nella definizione dieci abilità adattive: comunicazione (comprendere ed esprimere messaggi sia attraverso comportamenti simbolici che non simbolici); auto-accudimento (igiene personale, comportamento a tavola, vestirsi); vita domestica (abilità legate all’ambiente casa, quali gestione domestica, cucinare); abilità sociali (abilità legate agli scambi sociali); utilizzo delle risorse della comunità (spostarsi nella comunità, fare acquisti, utilizzo dei trasporti pubblici); autodeterminazione (abilità connesse con l’operare delle scelte, perseguire obiettivi); salute e sicurezza (benessere fisico, abilità di prevenzione); scuola (abilità legate all’apprendimento); tempo libero (interessi ricreativi e attività che implichino una interazione sociale); e lavoro(abilità lavorative, come ad esempio, la gestione del denaro). Queste aree di abilità adattive vengono considerate fondamentali per un buon funzionamento quotidiano, sono correlate al bisogno di sostegni da parte dell’individuo affetto da disabilità intellettiva e, considerato che le abilità rilevanti cambino nel corso della

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vita, le valutazioni sul funzionamento dovrebbero essere riferite all’età del soggetto in esame (Bryant, Taylor & Rivera, 1996).

Nel 1999, l’AAIDD amplia il costrutto, proponendo dodici abilità adattive: abilità espressive, abilità recettive, lettura/scrittura, calcolo, cura di sé, cura della propria salute, sicurezza, abilità domestiche, uso dei servizi della comunità, relazione con gli altri, gestione del tempo libero, abilità professionali (Heal e Tassé, 1999).

Attualmente (AAIDD, 2010), indagini empiriche hanno rilevato che tre sono le dimensioni che costituiscono il costrutto teorico di comportamento adattivo: abilità concettuali, pratiche e sociali, e che la dimensione delle abilità motorie non costituisce il comportamento adattivo, ma è misurata dalle scale perché necessaria all’espressione di alcune abilità adattive.

Oltre l’aspetto multi-dimensionale, appena descritto, il comportamento adattivo presenta le seguenti caratteristiche. Esso è:

- Età- specifico: si sviluppa in età evolutiva, raggiunge un plateau in età adulta e poi declina in età avanzata (Harrison, 1990; Widaman, Borthwick- Duffy & Little, 1991). In individui con disabilità, lo sviluppo del comportamento adattivo dipende dal grado di compromissione: più è grave, minori sono le abilità che sviluppa e più breve è il periodo in cui sviluppa abilità (Widaman et al., 1991).

-Contesto- specifico: per ogni età i livelli di comportamento adattivo adeguati dipendono dalle aspettative dell’ambiente (Barclay, Drotar, Favell, Foxx, Gardner, Iwata et al., 1996; Bornstein, Giusti, Leach & Venuti, 2005; Svein,

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2006). La valutazione del comportamento adattivo è sempre specifica al contesto nel quale si manifesta il comportamento valutato.

-Performance tipica: riguarda le attività che l’individuo svolge abitualmente e non invece quelle che potrebbe svolgere (Berclay et al., 1996). Molteplici fattori possono impedire la messa in atto di abilità apprese: mancanza di opportunità, motivazione, limitazioni fisiche, disturbi psicopatologici.

-Modificabile: riguarda attività che possono modificarsi nel tempo, migliorando o peggiorando, a seconda degli eventi (Sparrow, Balla & Cicchetti, 2005).

1.3 Storia del costrutto di CA

La società dell’Antica Grecia fornisce i primi scritti sul comportamento adattivo e la sua associazione con quello che ora si definisce disabilità intellettiva. Il termine idiot, usato comunemente fino al XX secolo per descrivere le persone con disabilità intellettiva, derivava da una parola greca che significa “ persone che non si impegnano nella vita pubblica della comunità”: gli individui, che nella cura di sé e nell’impegno nella comunità sono simili ai loro pari, erano ritenuti normali; mentre, coloro che, rispetto ad individui di pari età, presentavano minore cura di sé e minore impegno nella comunità, erano considerati persone idiot (Barr, 1905).

Prima dell’avvento dei test di intelligenza, intorno al 1900, la disabilità intellettiva era descritta nei termini di ciò che noi ora chiamiamo comportamento adattivo. Itard e Haslan (1819), Seguin (1837), Voisin (1843) et al., riferendosi al CA, utilizzavano termini, quali “competenza sociale”, “training delle abilità”,

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“norme sociali”, “il potere di badare a sé nel quotidiano” e “adattabilità all’ambiente” (Horton, 1966).

Il lavoro di Binet ha origine nei primi anni del Novecento con il tentativo di comprendere la natura e lo sviluppo dell’intelligenza. Nel suo libro, Development of intelligence of children, Binet scrisse “ Un individuo è normale se è in grado di condurre le sue questioni di vita senza aver bisogno della supervisione di altri, se è in grado di fare un lavoro sufficientemente remunerativo per supportare le proprie esigenze personali e, infine, se la sua intelligenza non sia inadatta per l’ambiente sociale dei suoi genitori” (Binet & Simon, 1905, p. 88). Sono, quindi, evidenti i parallelismi tra le opinioni di Binet, per quanto riguarda l’importanza del CA, e quelle espresse diciotto secoli prima dai Greci. Binet pensò, infatti, all’intelligenza come ad una qualità necessaria al fine di impegnarsi con competenza in importanti attività della vita quotidiana. Si evince, dunque, una concezione di normalità / non normalità affine a quella descritta nella società della Grecia Antica.

Nella prima metà del XX secolo, l’introduzione dei test che misuravano prevalentemente le funzioni cognitive dell’individuo, secondo un approccio unidimensionale dell’intelligenza, e la concezione organicistica e meccanicistica della realtà, portò a disinteressarsi delle abilità adattive come aspetti da valutare e su cui intervenire nel caso di soggetti con disabilità intellettiva. L’eccessiva fiducia nel QI ed idee sbagliate relative alla sua natura rinsaldarono la nozione di incurabilità e la giustificazione di assistenza custodialistica per individui affetti da ritardo mentale.

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Edgar Doll (1932), al contrario, sostenne che la disabilità intellettiva, essendo incurabile e di origine costituzionale, inibisse lo sviluppo di competenze sociali e che, di conseguenza, fosse più importante misurare questo livello di competenze, ossia il comportamento adattivo, piuttosto che il livello di QI. Per tale motivo, sviluppò le Vineland Social Maturity Scales (1935), scale di competenze sociali influenzò lo sviluppo negli anni successivi di scale di comportamento adattivo.

L’AAMD (1959), includendo il comportamento adattivo nel sistema di classificazione della disabilità intellettiva (allora denominata ritardo mentale), ebbe il merito di reintrodurre tale concetto come aspetto rilevante nella definizione di tale disturbo. Fu riconosciuto che la diagnosi doveva basarsi anche sulla valutazione delle performances tipiche nel contesto reale, ovvero il livello di abilità che un individuo manifesta in modo caratteristico quando risponde alle richieste dell’ambiente, e non solo su test di intelligenza che consenta di determinare la performance massima, ovvero il livello ottimale di performance di cui una persona è capace.

Significative pressioni sociali ed orientamenti culturali durante gli anni ’60 accrebbero l’enfasi sulla valutazione del CA nella pianificazione degli interventi terapeutici. Questo decennio fu contrassegnato dalla presa di coscienza nazionale e dalla premura per il trattamento di individui affetti da disabilità intellettiva. Venne favorito lo studio del CA come funzione da valutare e su cui intervenire per la presa in carico di un individuo, in un’ ottica di recupero e di valutazione prognostica (Horn & Fuchs, 1987). L’inclusione del CA nella definizione di disabilità intellettiva, data dalla AAMD, accrebbe il bisogno di strumenti per il

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comportamento adattivo nelle pratiche di valutazione di routine. Il concetto e la valutazione del CA posero le basi per descrivere le competenze degli utenti in termini comportamentali specifici e per stabilire programmi e obiettivi formativi; offrì, inoltre, una base tecnica per la de-istituzionalizzazione e la riabilitazione in comunità. Il maggior contributo dell’approccio comportamentale adattivo, in quegli anni, fu di stimolare obiettivi ed aspettative rilevanti dal punto di vista sociale, volti all’intervento e al trattamento.

Negli anni ’70, si passò dal fornire trattamenti per individui con disabilità intellettiva all’offrire servizi nel loro interesse, interrogandosi circa la tutela dei loro diritti. La valutazione ed il training del comportamento adattivo erano parte integrante del principio secondo cui gli individui con disabilità devono avere le abilità di base e la consapevolezza richiesta per essere attivi in un ambiente meno restrittivo possibile. A questo scopo, la valutazione di tale costrutto mirava a favorire l’integrazione nella comunità (Meyers, Nihira & Zetlin, 1979) e ad identificare gli alunni che richiedevano programmi scolastici individualizzati (Mercer, 1973). Inoltre, le valutazioni del comportamento adattivo iniziarono ad essere considerate come parte dell’approccio diagnostico per salvaguardare bambini EMR (Educable Metally Retarded, individui affetti da ritardo mentale potenzialmente educabili) da classificazioni erronee. Al volgere degli anni ’70, l’interesse per il comportamento adattivo si allargò all’ambito della ricerca (Nihira, 1999).

Negli anni ’80 si ebbero interessanti sviluppi nella ricerca sul CA. In questo decennio vi fu l’elaborazione di molteplici definizioni del costrutto che presuppongono il confronto delle prestazioni dell’individuo con le aspettative del

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proprio contesto culturale (Barclay et al., 1996). Si moltiplicarono gli strumenti di valutazione del CA. La diffusione di scale indicò il bisogno di disporre di una gamma di strumenti di valutazione del costrutto che avesse diversi valori e significati, a seconda dell’età, per individui con differenti tipi e gradi di disabilità, in ambienti differenti e per obiettivi di valutazione diversificati.

Negli anni ’90, la ricerca si concentrò soprattutto sulla natura, lo sviluppo e la struttura fattoriale del CA (Thompson, McGrew e Bruininks, 1999). Nel 1996, in uno studio, Widaman e McGrew hanno proposto che la struttura fattoriale del CA sia di natura gerarchica, con fattori più ampi o più generali in corrispondenza dei livelli più alti della gerarchia, e fattori più ristretti o più specifici a livelli inferiori. Altri studi (Greenspan, 1997) hanno evidenziato la relazione del CA con altre dimensioni, quali ad esempio l’intelligenza concettuale e le abilità sociali. Da alcune ricerche sono emersi pattern tipici di CA di individui con sindromi quali quella di Down (Loveland e Kelley, 1991) o l’autismo (Dykens, Hodapp, Ort e Leckman, 1993).

Dal 2000 ad oggi, nella definizione di CA è stato incluso il ruolo di altre abilità, quali la credulità, ovvero la probabilità di essere ingannati o manipolati (gullibility, Greenspan, 2006) ed è stata evidenziata l’influenza della cultura (Bornstein, Giusti, Leach e Venuti, 2005) e dell’ambiente (Greenfield, Iruka e Munis, 2004): la definizione del 2002 della AAMR, infatti, fa alcune ipotesi sulle competenze adattive che devono essere considerate alla luce degli ambienti in cui la persona funziona, dunque le limitazione di tali abilità devono essere valutate alla luce delle opportunità della comunità e degli standard tipici di età e cultura della persona.

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1.4 Comportamento adattivo e disabilità intellettiva

La definizione del costrutto di comportamento adattivo si inserisce nel dibattito sulla natura del disturbo di disabilità intellettiva, sulle funzioni da valutare per una sua adeguata diagnosi e sull’identificazione dei comportamenti modificabili sui quali poter intervenire.

Il costrutto di CA è un fattore fondamentale nella definizione di disabilità intellettiva per i seguenti motivi (Tassè, Schalock, Balboni, Bersani, Borthwick- Duffy, Spreat et al., 2012):

 Limitazioni significative nel CA, insieme a significative limitazioni nelle funzioni intellettive ed età d’esordio prima dei 18 anni, definiscono operazionalmente la disabilità intellettiva;

 I punteggi sulle misure del CA sono utilizzati per determinare se la persona risponde al II criterio per una diagnosi di disabilità intellettiva: significative limitazioni nel comportamento adattivo come espresso nelle abilità adattive concettuali, sociali e pratiche (AAIDD, 2010);

 Il costrutto di CA fornisce un quadro di riferimento sia per tracciare lo sviluppo delle abilità adattive sia per stabilire gli obiettivi educativi e riabilitativi;

 Il CA comprende una dimensione essenziale in una comprensione multidimensionale del funzionamento umano.

Il costrutto di intelligenza può essere inteso come un tentativo per chiarire, organizzare e spiegare come gli individui differiscano nell’abilità di comprendere idee complesse, nell’adattarsi efficacemente al loro ambiente, nell’apprendere

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dall’esperienza, nell’essere coinvolti in varie forme di ragionamento, nel superare ostacoli prendendo posizioni e nel comunicare (Nesser, Bouchard, Boykin & Cohen, 1996). In modo analogo, il “comportamento intelligente è essenzialmente adattivo, nella misura in cui soddisfa le richieste di un ambiente in continua evoluzione” (Anastasi, 1986, p. 19-20).

Nella figura 1.1 è rappresentata l’integrazione della multidimensionalità dei costrutti di intelligenza e comportamento adattivo.

La disabilità è, quindi, meglio definita come limitazioni funzionali nella competenza globale. Questo suggerimento comporta alcune implicazioni per un approccio alla disabilità intellettiva di tipo contestuale. Nel manuale della AAIDD del 1992 (Luckasson et al., 1992) è illustrata l’evoluzione significativa che si è attuata nella concezione di disabilità intellettiva da tratto assoluto specifico

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all’individuo a espressione dell’interazione tra l’individuo e il suo ambiente. Sebbene nella letteratura ci siano pochi riferimenti espliciti al contestualismo, tale approccio ha influenzato gli sforzi per definire la disabilità intellettiva e misurare il CA. Un problema fondamentale, tanto per la misura del CA (nelle varie accezioni) quanto per il costrutto in sé, è la mancanza di un modello di competenza ampiamente accettato o utilizzato per indirizzare l’evoluzione di misurazioni o per collocarle in un contesto più ampio. Questo spostamento verso un metamodello contestualista fornisce alle ricerche e alle valutazioni cliniche un modo più significativo di pensare il CA, ancora più vicino al modello di disabilità intellettiva. Una simile prospettiva comporterà dei sostanziali cambiamenti nell’approccio degli psicologi e di altri teorici nella comprensione e valutazione di individui che potrebbero essere affetti da disabilità intellettiva (Greenspan, 1999).

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