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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL AQUILA

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Academic year: 2022

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologie CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN

SCIENZE PSICOLOGICHE APPLICATE

TESI DI LAUREA La Psicoterapia Familiare

Relatore: Laureanda:

Prof.ssa Di Giacomo Dina Mastropietro Simona (Matricola:252931)

ANNO ACCADEMICO 2020/2021

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Quante volte ho detto basta, quante volte ho detto non sono all’altezza,

quante volte ho detto chi me lo fa fare, però pensando a voi non sarei mai stata capace di mollare.

Papà & Mamma.

Nella vita nonostante gli ostacoli, ho continuato a lottare senza mollare mai!

A me stessa…

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INDICE GENERALE

Indice generale……….

Introduzione……….

CAPITOLO PRIMO

IL CANCRO, IL BAMBINO E LA FAMIGLIA

1.1 Il Cancro……….

1.2 La diagnosi e l’impatto sul bambino e la famiglia……….

CAPITOLO SECONDO LA PSICONCOLOGIA

2.1 Introduzione……….

2.2 Psiconcologia come disciplina scientifica………

2.3 La figura dello psicologo nel reparto di oncologia pediatrica………

2.4 Modelli di intervento psicologico e obiettivi principali……….

CAPITOLO TERZO

INTERVENTI PER IL BAMBINO ONCOLOGICO E LA FAMIGLIA

3.1 Le attività ludiche e gli interventi distrazionali in oncologia………

3.2 Gli interventi psicologici per la famiglia in oncologia………

3.2.1 Counselling familiare………

3.2.2 La consulenza psicologica per la famiglia (CPF)………

Conclusioni generali………

Bibliografia………..

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INTRODUZIONE

Oggi giorno sentiamo ovunque parlare di una malattia denominata cancro, spesso al sentirla pronunciare si pensa subito alle donne, in quanto il più frequente e il più nominato è il cancro alla mammella.

Con questa tesi, attraverso la consultazione di diversi articoli scientifici e riviste, è stato affrontato l’argomento cancro in relazione all’età evolutiva.

Questo lavoro si è posto l’obiettivo di mettere in risalto le problematiche psicologiche correlate alla malattia oncologica.

Nel corso della stesura, si evidinzia come i modelli terapeutici tengano conto dell’unità della persona malata (mente-corpo), nonché della necessità di ciascun individuo di essere curato in tutti gli aspetti della patologia; infatti, la malattia somatica non rappresenta esclusivamente un’esperienza di sofferenza fisica e psicologica individuale, ma causa un riscontro negativo anche nello status psicosociale che modula le relazioni interpersonali.

Il secondo capitolo approfondirà il concetto di psiconcologia ovvero una disciplina definita tale nel Novecento, che si pone come obiettivo l’individuazione delle variabili psicologiche di pazienti oncologici e la risoluzione di esse.

Il fine della psiconcologia è sostenere un processo di cure, complessivamente inteso del paziente oncologico, attraverso un approccio interdisciplinare.

In conclusione, verranno presentati diversi interventi mirati a migliorare le condizioni del bambino/paziente, la collaborazione di quest’ultimo con la famiglia e l’équipe di medici, ma soprattutto interventi diretti al supporto del nucleo famigliare nelle diverse fasi della malattia.

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CAPITOLO PRIMO

Il cancro, il bambino e la famiglia

1.1 Il cancro

Con il termine “cancro” si definisce un gruppo di malattie caratterizzate da uno sviluppo incontrollato di cellule.

Il nostro corpo è costituito da molti tipi di cellule che in condizioni normali crescono e si dividono, producendo così altre cellule per mantenere l’organismo sano e farlo funzionare nel modo adeguato. A volte, però, il processo di riproduzione cellulare impazzisce, per cui le cellule si dividono troppo spesso e in maniera disordinata e incontrollata, da origine ad una forma di tumore.

I tumori possono essere benigni o maligni:

• i tumori benigni sono quelli in cui le cellule hanno uno sviluppo lento e sono incapaci di diffondersi in altre parti dell’organismo. Spesso possono essere asportati chirurgicamente e, nella maggior parte dei casi, non si ripresentano. Solo raramente costituiscono un pericolo di vita;

• i tumori maligni, invece, sono costituiti da cellule che hanno la capacità di dividersi in maniera incontrollata e disordinata, invadendo e distruggendo i tessuti adiacenti, oltre alla capacità di espandersi a distanza, ovvero al di fuori della sede di insorgenza del tumore primitivo, in cui le cellule possono continuare a dividersi, dando origine ad un precesso chiamato metastasi.

Il tumore nell’infanzia non è un’entità singola, ma un gruppo di tumori diversi per:

istologia, sede di origine, sesso ed età. Le differenze principali tra le neoplasie infantili e quelle dell’età adulta riguardano: caratteristiche istopatologiche, sedi di insorgenza, velocità di accrescimento, responsività ai farmaci e possibilità di guarigione. Nel bambino prevalgono neoplasie del sistema emopoietico e forme embrionali, che originano dal tessuto mesenchimale e costituiscono il gruppo dei cosiddetti tumori solidi dell’infanzia.

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Nella maggior parte dei casi i tumori infantili non dipendono dagli stili di vita, sui quali l’individuo può intervenire cambiando abitudini, ma da fattori non del tutto noti, per cui è più difficile pensare a interventi di prevenzione.

I tumori in età pediatrica sono relativamente rari, e possono comprendere anche quelli che insorgono negli adulti; la leucemia è di gran lunga il tumore infantile più frequente (33%), seguito da tumori cerebrali (25%) e linfomi (8%). [10]

Per la cura e la distruzione di quest’ultimi vengono adottate delle terapie mediche, comunemente conosciute come terapie antitumorali che vengono selezionate a seconda della tipologia e dal livello di gravità del tumore; tra le diverse disponibilità in seguito ne verranno citate alcune:

Chemioterapia: prevede la somministrazione di particolari farmici, capaci di distruggere le cellule tumorali. Esistono diversi farmici che si differenziano per attività e meccanismo d’azione, tra loro combinati in svariati modi per ottenere diverse disponibilità a seconda della situazione presente. Vengono somministrati maggiormente per via endovenosa, ma sono previste anche somministrazioni per via orale, intramuscolare e sottocutanea.

Radioterapia: prevede la somministrazione di radiazioni ionizzate per distruggere le cellule tumorali cercando al contempo di preservare le cellule sane. Può essere utilizzata per tre obiettivi differenti: curativo, profilattico, palliativo. [2]

1.2 La diagnosi e l’impatto sul bambino e la famiglia

La difficoltà maggiore nel comunicare la diagnosi di malattia oncologica non risiede nel

“che cosa dire” ma piuttosto nel come dirlo.

La diagnosi rappresenta un evento traumatico, doloroso, e viene percepita come un’aggressione inaspettata, che espone il malato a una nuova realtà che non può controllare o modificare, che mette in crisi gli equilibri psichici, gli adattamenti sociali consolidati e i sistemi di valori del paziente e dei suoi familiari. L’individuo si trova immerso in una nuova condizione esistenziale dove le precedenti fonti di certezza e i propri progetti di vita risultano minacciati e perduti.

Esistono, tuttavia, specifiche reazioni che sono comuni a tutti i bambini, indipendentemente dai fattori sopraccitati, che esprimono lo shock, il terrore, che potrebbe

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riguardare la specificità delle procedure di diagnosi e cura, l’idea di un improvviso cambiamento del futuro, la tristezza, l’angoscia, l’imbarazzo, la vergogna [3]

La diagnosi di tumore, rappresenta una condizione di grande stress non solo per il bambino, ma anche per chi si prende cura di lui e dunque, per la famiglia. L’improvviso manifestarsi della malattia rappresenta una condizione di rischio che va a minare gravemente il funzionamento psicofisico dei soggetti coinvolti, rendendoli vulnerabili, e che può dar vita ad un’alterazione dell’andamento del ciclo di vita familiare [22-23-27]

La famiglia è il mediatore tra il bambino e il mondo esterno. In tal senso, il “bambino-e-la- sua famiglia” rappresentano un’unità ben precisa, con identità, forza e vulnerabilità proprie. Il suo modo di reagire è fortemente influenzato dalla famiglia, dalla risposta individuale collettiva dei suoi membri. In circostanze ottimali, “la famiglia assume un ruolo centrale nel preservare l’integrità psicologica del paziente”, rappresentando un rifugio, entro il quale il bambino può rifornirsi delle risorse psichiche necessarie a difendersi dall’assalto della malattia. [24]

Accanto all’esigenza di definire la condizione di stress del bambino con neoplasia e dei suoi genitori, è cresciuta negli anni, la consapevolezza che le necessità dei fratelli sani dei bambini malati di tumore vengano comprese e soddisfatte molto meno rispetto a quelle degli altri membri della famiglia [19-20]

Anche la mancanza di chiare informazioni riguardo quanto sta accadendo può aumentare in loro il sentimento di esclusione e isolamento dal nucleo familiare, oltre a negare loro i mezzi per una corretta valutazione cognitiva degli eventi esponendoli, dunque, a confusione [13]

Generalmente alla comunicazione della diagnosi la prima reazione da parte del bambino e la famiglia è caratterizzata da una fase di rifiuto e negazione, al quale fanno seguito: fase di collera e rabbia; fase del venire a patti; fase della depressione e fase dell’accettazione.

La prima fase di rifiuto e negazione: si manifesta con frasi “no, non può essere vero”

oppure “hanno sbagliato diagnosi”, rappresenta un modo per proteggersi e tenere lontana la realtà dalla coscienza, fino a quando non si è in grado di affrontarla. La persona rifiuta la realtà dell’evento oppure si comporta come se la patologia non ci fosse. Questo modo di reagire, può essere funzionale, se transitorio, in quanto permette di mobilizzare le risorse utili per affrontare il dolore. Tuttavia, se permane nel tempo, limita la capacità di adattamento alla malattia e può condurre ad un intervento psicologico.

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La seconda fase di collera e rabbia: si presenta con frasi “perché io e non qualcun altro”, il paziente sentendosi minacciato dalla patologia tende a considerare la causa della propria rabbia e frustrazione l’ambiente circostante, proiettando queste sensazioni e pensieri negativi su altre persone. La rabbia emerge quando l’individuo interpreta un evento, in questo caso la malattia oncologica, come un ostacolo che non gli consente il raggiungimento del proprio obiettivo, oppure, quando vi è una minaccia all’autostima e all’immagine sociale. Questo stato emotivo dipende da come la persona percepisce e accoglie gli eventi.

La terza fase del venire a patti: espressa con frasi “se prendo le medicine, credo che potrò viveri fino a…”, il paziente può abbandonare la rabbia in favore della trattativa, a seconda dei valori personali, con la sorte o con parenti o con medici. Il patteggiamento è considerato come una falsa speranza di poter rimandare oltre il tragico evento. In questo momento, subentra la convinzione che il giusto comportamento porterà il raggiungimento della guarigione.

La quarta fase o fase del “lutto anticipatorio”: si manifesta solitamente quando la malattia progredisce, il livello di sofferenza aumenta e il paziente cominci a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o sta per subire. In questa fase la persona non può più negare la sua condizione di salute e inizia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta.

La quinta, fase dell’accettazione: rappresenta una presa di coscienza della propria morte, in quanto il paziente troppo stanco per essere arrabbiato e troppo abituato alla malattia per essere depresso. In questa fase, si acquisisce consapevolezza della situazione attuale, le emozioni iniziano pian piano a stabilizzarsi e vi è un ritorno alla realtà, la malattia e tutte le circostanze si presentano come parti della persona con cui ha imparato a convivere. [3]

Inizia così per il paziente una nuova fase di adattamento alla malattia che prevede lo sviluppo di un nuovo assetto mentale che gli consentirà di approcciare con la nuova realtà, nella quale dovrà fronteggiare profondi sentimenti di ansia e di angoscia emerse per l’incertezza del futuro [6]

La reazione alla diagnosi di tumore da parte del bambino è influenzata da una serie di fattori:

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− le caratteristiche specifiche della malattia, come l’andamento, la gravità, la visibilità e il grado di disabilità che impone;

− le specifiche caratteristiche del bambino, come l’età, le sue abilità cognitive e la sua capacità di adattamento sociale;

− le risorse della famiglia, come la capacità di risolvere i problemi, i livelli di coesione interna, la capacità di adattarsi al cambiamento, la capacità di comunicazione;

− il sistema di supporto a disposizione del bambino e della sua famiglia, che include la famiglia estesa, gli amici, i compagni e la comunità di appartenenza [7-28]

Tali riflessioni vengono sottolineate nel settimo documento ufficiale del Comitato della S.I.O.P. [25] sui problemi psicosociali in Oncologia pediatrica, dove vengono affrontate le questioni relative all’assistenza dei fratelli dei bambini con tumore, focalizzando sia la condizione di sofferenza e sia il rischio evolutivo che essi vivono, e soprattutto, la possibilità che diventino delle vere e proprie risorse. È fondamentale, pertanto, che i fratelli vengano messi al corrente della situazione, e che sia data loro la possibilità di recarsi in ospedale per vedere dove i genitori e il loro fratello passano così tanto tempo insieme, in modo da garantire la continuità della quotidianità di questa importantissima relazione.

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CAPITOLO SECONDO

La Psico-oncologia

2.1 Introduzione

Il cancro, “quel male” o “quel brutto male”, continua ad associarsi a comportamenti delle persone colpite e dei loro congiunti, investe la sfera psico-emozionale, psico-relazionale e somatico-funzionale.

Lo sviluppo della psico-oncologia emerge da queste premesse, ma anche dalla necessità sempre più esplicativa di una comprensione globale e di un approccio olistico per la cura efficace della malattia oncologica, intesa come epifenomeno di processi eterogenei [9]

La Psico-oncologia è una disciplina che si occupa, in modo privilegiato e specifico, della vasta area di variabili psicologiche derivanti dalle patologie neoplastiche e in generale delle implicazioni psico-sociali dei tumori. Nasce e si impone, per affrontare le diverse problematiche psicologiche ed emozionali, che colpiscono la maggior parte dei pazienti affetti da tumore.

La psico-oncologia pediatrica tratta fondamentalmente bambini e adolescenti molto malati e sofferenti, spesso traumatizzati, che però nella maggior parte dei casi sono psicologicamente sani, così come le loro famiglie [1] e si occupa sia dell’aspetto assistenziale, promuovendo le modalità di interazione più adeguate tra medico/infermiere e paziente con la sua famigli, sia di ricercare strategie di gestione efficace della sofferenza in ogni momento della malattia: dalla diagnosi e per tutto il processo terapeutico e infine anche in caso di recidive. Guarino afferma che un bambino malato è prima un bambino:

l’importanza di un approccio globale, di un’attenzione al prendersi cura, e non solo a curare, è in pediatria. Questo significa che l’équipe medico-infermieristica e i genitori, insieme a tutti coloro che ruotano intorno al bambino malato, devono cooperare per preservare il più possibile l’infanzia con tutte le sue caratteristiche”. [12]

La psico-oncologia si pone dunque come interfaccia tra le discipline oncologiche e quelle psicologico-psichiatriche, per focalizzarsi specificamente su due significative dimensioni legate al cancro:

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− l’impatto psicologico e sociale della malattia sul paziente, la sua famiglia e l’équipe curante;

− il ruolo dei fattori psicologici e comportamentali nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nella cura delle neoplasie [18-15-16]

La psiconcologia non è quindi una disciplina medica o psicologica, ma una “scienza” che si occupa dell’uomo malato nella sua complessità di aspetti biologici, mentali e relazionali.

L’integrazione sta nel porre le proprie conoscenze psicologiche, mediche, farmacologiche, e psicoterapeutiche sullo stesso tavolo di discussioni, senza false priorità legate alle culture personali o agli arroccamenti ideologici: lo scopo è curare, al meglio, un paziente che sempre, pur talora negando o mascherandolo, è sofferente nel corpo, nella mente e nello spirito [26]

2.2 Psiconcologia come disciplina scientifica

Negli anni Novanta la psiconcologia è stata definita come disciplina scientifica, con specifici obiettivi di ricerca e applicazione clinica, delineabile all’interno di pluralità di ambiti:

− La prevenzione, la diagnosi precoce e compliance: ambito di studio vasto in cui avviene l’analisi delle variabili psicologiche e sociali che condizionano l’esposizione degli individui a fattori di rischio per le neoplasie (i meccanismi di difesa);

− La valutazione della morbilità psicosociale in oncologia e la rispettiva prevenzione:

ambito dedicato alla ricerca dei sintomi che indicano sofferenza psicologica nei pazienti oncologici e nelle loro famiglie e le eventuali relazioni con una pluralità di fattori (personalità, stili di coping, supporto sociale…)

− Gli interventi psico-oncologici: ambito che si occupa sia degli aspetti che incidono sulla qualità della vita dei pazienti oncologici e dei loro familiare, e sia di studiare l’efficacia degli interventi psicoterapici;

− La formazione: sia del personale oncologico, sia di psichiatri e psicologi impegnati professionalmente nel settore. [9]

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2.3 La figura dello psicologo nel reparto di oncologia pediatrica

In ambito pediatrico, l’attenzione è maggiormente diretta alla guarigione del tumore, ma allo stesso tempo non può essere trascurato lo sviluppo del bambino. Nel reparto di oncologia pediatrica, il tempo ritenuto minimo viene coinvolto solamente alle cure fisiche.

Lo psicologo provenendo da un’altra dimensione, considera il reparto come un luogo dove il tempo deve esserci anche se non c’è, il luogo dell’attesa nella ricerca dei significati (Di Maggio, 2006).

Ferenczi afferma che “per la medicina, con la sua divisione in tanti settori specialistici, l’ammonimento della psicoanalisi di curare in ogni forma di malattia non solo la malattia, ma anche il malato, è stata una vera benedizione; il principio è sempre stato riconosciuto, ma raramente messo in pratica per mancanza di un adeguato sapere psicologico. Con una certa esagerazione si potrebbe dire che fino a oggi la medicina ha sempre curato il paziente come se questo non avesse niente nella testa e le forze razionali- superiori non intervenissero nella battaglia degli organi contro la malattia” [8]

Il lavoro dello psiconcologo è considerato a più livelli ed è rivolto a diversi soggetti: il paziente, il gruppo e le istituzioni. Egli comunica con sanitari e non, genitori e a volte anche con bambini. [21]

Nello specifico, lo psicologo svolge una funzione di: accettazione e adattamento alla diagnosi, facilitando la relazione terapeutica con l’equipe curante; di sostegno alla coppia e di facilitazione del dialogo con il bambino; di sostegno rispetto alla gestione dei rapporti familiari e sociali; di elaborazione del lutto; di collaborazione e di integrazione con l’équipe medica e infermieristica.

Lo psicologo contribuisce, dunque, alla realizzazione di un modello di cura che comprenda l’ascolto, maggiore attenzione alle esigenze personali e alla sofferenza emotiva del paziente, rendendolo più partecipe al proprio percorso terapeutico. Il lavoro col paziente e i familiari, d’altra parte, oltre ad offrire sostegno, favorisce la comprensione delle esigenze terapeutiche (e organizzative), con l’obiettivo di migliorare l’aderenza alle cure e mantenere, per quanto possibile, un’accettabile qualità della vita (Di Maggio, 2006).

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2.4 Modelli di intervento psicologico e obiettivi principali

La specialità dello psicologo oncologico consiste nel sapersi rivolgersi ad un paziente la cui sofferenza psicologica non è causata da un disturbo psicopatologico ma piuttosto è generato dalla situazione traumatizzante della malattia. Ciò implica il riferimento ad alcuni concetti psicologici fondamentali. [12]

Il concetto di crisi, considerato come un “momento di cambiamento” in cui è possibile individuare tre momenti:

1) l’esplicitazione del problema, che manifesta una richiesta di aiuto in quanto le circostanze in cui si viene “gettati” oltrepassano le capacità di autogestione dal problema da parte del soggetto;

2) la mobilitazione della rete sociale, ovvero familiari e medici;

3) lo sviluppo di un nuovo equilibrio attraverso l’acquisizione di soluzioni adatte e l’accettazione del cambiamento prossimo.

Il concetto di coping, traducibile in italiano “far fronte”, utilizzato per indicare la capacità dei pazienti di mantenere l’adattamento psicosociale durante periodi stressanti. [14]

Sulla base di ciò, gli obiettivi degli interventi vengono distinti in:

− interventi educativi: approcci direttivi, con lo scopo di informare e fornire chiarimenti riguardo la mattia. Le informazioni vengono trasmesse attraverso l’utilizzo di diapositive, dépliant, oppure attraverso tecniche cognitive e di problem solving che sono finalizzate alla gestione dello stress e all’adattamento della malattia. Può interessare sia il paziente oncologico, ma anche i familiari e il personale sanitario. Possono essere fortini da diverse figure in ambito oncologico;

− interventi psicoterapeutici: che interessano solamente i pazienti e i familiari, adottano metodi dinamici e di investigazione al fine di esaminare e comprendere le reazioni emozionali. A differenza degli interventi educativi, questi tipi di interventi sono di competenza specifica di professionisti psicologi e psichiatri.

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CAPITOLO TERZO

Interventi per il bambino oncologico e la famiglia

3.1 Le attività ludiche e gli interventi distrazionali in oncologia

Il gioco rappresenta un’attività naturale dell’infanzia altamente importante come anche il disegno, in quanto attraverso questi strumenti il bambino è capace di comunicare le sue esperienze, i suoi vissuti ma soprattutto le emozioni. Questi strumenti risultano ancora più importanti ed efficaci nei momenti di disagio e sofferenze profonde, proprio come una malattia oncologica.

Le attività ludiche nei reparti ospedalieri guidano a due risultati:

− occupazione del tempo in modo piacevole;

− esprimere pensieri, dolori ed esperienze in modo involontario;

Alcuni interventi attuati in ambito pediatrico sono i seguenti:

Comicoterapia: Secondo Bruschettini et al. (2001) [5] l’humor è un modo per guardare la realtà con occhi diversi e un modo per riconsiderare le nostre esperienze. In questo senso dovrebbe diventare uno stile di vita: la comicità proietta una luce nuova sui problemi della vita quotidiana, fornendo una nuova percezione di ciò che accade.

Arte-terapia: in questa attività la relazione paziente-operatore si realizza attraverso la mediazione di un prodotto grafico che traduce le sensazioni del suo autore. Inoltre, si facilita il contato con il proprio corpo e si permette al bambino di sperimentarsi attivo e competente.

Musicoterapia: l’uso creativo della musica e degli elementi musicali (armonia, melodia, ritmo, timbro) per affrontare i bisogni fisici, emotivi, psicologici e spirituali di persone di tutte le età.

Pet-therapy: indica una serie complessa di utilizzi del rapporto uomo- animale in campo medico e psicologico. Nel contatto tra l’animale e la persona trattata avviene uno scambio di stimoli e di emozioni, facilitato dal fatto che non è necessario il linguaggio verbale. Nel caso di interventi con bambini le attività ludiche e ricreative organizzate in compagnia e con lo stimolo degli animali, il dare loro da mangiare, il prenderli in braccio per accarezzarli, hanno lo scopo di riunire i bambini, farli rilassare e socializzare. [12]

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3.2 Gli interventi psicologici per la famiglia in oncologia

I trattamenti di supporto psicologico per la famiglia del paziente oncologico sono centrati su skills comunicativi, sulla facilitazione dell’espressività emotiva e la condivisione empatica dei sentimenti di frustrazione, rabbia e dolore depressivo scatenati dalla malattia.

Ogni intervento presenta delle tecniche orientate al lavoro introspettivo congiunto del paziente con i propri familiari, e sono brevi e focalizzati, condotti da diverse figure ospedaliere professionali nel reparto oncologico. Il counselling e la psicoterapia familiare, in ambito oncologico, focalizzano l’attenzione sulla modifica di pattern relazioni e sull’insight di malattia del gruppo familiare con lo scopo finale di migliorare l’adattamento alla malattia e la gestione emotiva delle angosce di perdita connesse al cancro. I seguenti interventi sono alcuni tra i tanti risultanti efficaci in ambito oncologico.

3.2.1 Counselling familiare

Nel contesto oncologico il counselling rappresenta uno strumento di supporto psicologico di prima scelta e di indubbia efficacia.

Gli obiettivi che questo intervento si pone sono i seguenti:

− coinvolgimento precoce dei familiari nella partecipazione attiva alla gestione della malattia (Funzione coesiva);

− il sostegno all’espressione dei sentimenti/emozioni (Funzione espressiva);

− il miglioramento della comunicazione tra paziente, medico e famiglia (Funzione educativa);

− l’elicitazione e trasformazione dei vissuti di malattia della famiglia (Funzione introspettiva).

Lo scopo finale di questo intervento è quello di sostenere la famiglia nella risoluzione dei problemi nella vita quotidiana inerenti alla necessità di contemperare l’assistenza de paziente con le abitudini, gli impegni e le esigenze di ciascun membro della famiglia (Problem- solving counselling).

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3.2.2 La consulenza psiconcologia per la famiglia (CPF)

Un incontro psicologico con il paziente e la sua famiglia fan da quanto è avvenuta la comunicazione della diagnosi, si è dimostrato di grande utilità. Questo intervento prevede una sola seduta con la durata di circa 90 minuti e si conclude con una relazione scritta in cui vi è riportata la condizione psicologia o psicopatologica del paziente ad uso dei colleghi invianti, nonché di una restituzione verbale alla famiglia focalizzata sulle problematiche emerse nel corso dell’incontro. Al termine viene comunicata alla famiglia la disponibilità nell’incontrarli nuovamente in caso di necessità. La CPF si pone l’obiettivo di offrire alla famiglia uno spazio protetto in cui riconoscere le difficoltà e affrontarle insieme.

Questo intervento risulta maggiormente utili in determinati momenti cruciali, ovvero: la comunicazione della diagnosi, in concomitanza con impegnativi trattamenti medico- chirurgici, e quando si presentano delle recidive. Di certo, più precocemente avviene il coinvolgimento della famiglia migliori saranno le prospettive di mandare un contatto con loro anche nelle fasi terminali della malattia e nella decisione di fine vita, quando la CPF non può includere più il paziente.

Solitamente questo incontro avviene fra le mura domestiche in quanto la famiglia sentendosi più protetta risulta più disponibile al colloquio, in più la sessione domiciliare offre la possibilità di conoscere i luoghi di vita quotidiana e comprendere le dinamiche relazionali. La CPF presenta un approccio molto informale. [11]

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CONCLUSIONI GENERALI

Emerge chiaramente, dunque, che il cancro rappresenta un fattore determinante una particolare sofferenza emotiva ed esistenziale non solo in chi ne viene colpito, ma anche nelle persone da cui è circondato e in coloro che svolgono una funzione di supporto e assistenza. Il cancro si presenta come una profonda minaccia che pone pesanti preoccupazioni e incertezze sul futuro, soprattutto se il paziente in considerazione è un bambino.

Sulla base di ciò e sulla base di un’esperienza personale in corso da anni, mi viene spontaneo sollecitare l’inserimento di una équipe ospedaliera dedicata esclusivamente al supporto psicologico di pazienti oncologici, in quanto il numero di studi effettuati hanno dimostrato che la cura della mente facilita e positivizza anche le cure fisiche.

In maggior modo, bisogna intervenire in modo più precoce ed efficace quando si presentano casi di bambini con tumore, l’attenzione non deve essere diretta esclusivamente alla guarigione fisica ma anche al superamento della malattia al livello.

“Non bisogna dimenticare che un bambino malato è prima di tutto un bambino ed è per questo che l’importanza di un approccio globale, di un’attenzione al prendersi cura, e non solo a curare, è prioritaria in oncologia pediatrica. Questo significa che l’équipe medico- infermieristica e i genitori, insieme a tutti coloro che ruotano intorno a un bambino malato, devono cooperare per preservare il più possibile l’infanzia con tutte le sue caratteristiche”(Guarino, 2006).

L’elaborazione della tesi si è originata dal mio sogno nel cassetto ovvero quello di aiutare i bambini in sofferenza psicologica causate da svariate esperienze di vita. Mi auguro in un prossimo futuro di poter intraprendere una professione che mi consentirà di sostenere e aiutare i bambini nelle loro diverse difficoltà riscontrate.

“Un bambino malato si sentirà pronto a raccontare le sue perplessità e le sue paure solo dopo che avrà visto un adulto affrontare per primo l’argomento con lui” (Capurso e Rocca, 2001).

Concludo con questa citazione, aggiungendo che un bambino da solo non sarà in grado di affrontare le precoci problematiche poste dalla vita, dovranno entrare in azione i supereroi

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“gli psicologi” e trasformare famiglie e singoli soggetti amareggiati e impauriti, in una squadra di supereroi pronti ad affrontare ogni sfida.

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Bibliografia:

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(23) Scabini, E. (1983). L’organizzazione della famiglia tra crisi e sviluppo. Milano: Franco Angeli.

(24) Sourkes, M.S., & Proulx, R. (2000). My family and I are in this together”: Children with cancer speak out. In L. Baider, C.L. Cooper & A. Kaplan De-Nour (Eds.), Cancer and family.

Chichester: John Wiley & Sons Ltd.

(25) Spinetta, J.J., Jankovic, M., Eden, T., Green, D., Gentil Martins, A., Wandzura C., Wilbur, J.,

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(26) Torta R. e Mussa A. (2007) Psiconcologia. Il modello biopsicosociale, Feltrinelli.

(27) Walsh, F. (1995). Ciclo vitale e dinamiche familiari. Milano: Franco Angeli.

(28) Willis, D.J., Elliot, C.H., & Jay, S.M. (1982). Psychological effects of physical illness and its concomitants. In J.H. Tuma (Ed.), Handbook for the practice of paediatric psychology. New York:

Wiley.

(21)

Ringraziamenti:

Ringrazio la relatrice Prof.ssa Di Giacomo Dina, che mi ha consentito di svolgere questo studio, svolgere l’elaborato di tesi e poter concludere questa mia prima esperienza.

Alla mia terapeuta Odette Misasi, per avermi aiutata a crescere, avermi insegnato a credere in me stessa e infine per avermi tenuto per mano, guidandomi all’ingresso di questa esperienza e indirizzato verso l’uscita.

A papà e mamma, per aver creduto in me fin dall’inizio, per avermi dato la possibilità di intraprendere questa esperienza, ma soprattutto per i sacrifici fatti per far sì che tutto ciò venisse realizzato

.

A mio fratello, anche se a volte “testa di “****”, per il sostegno, per i suoi aiuti nel mandare avanti la mia carriera universitaria, e perché nonostante mi dica che sono troppo viziata, continua mandare avanti la tradizione.

A Pippi, che mi è stato vicino fin dal primo giorno quando decisi di

mandare tutto in aria; quando tutto mi faceva paura c’era lui a farmi luce;

quando mi abbattevo c’era lui a tirarmi su, quando andavo fuori strada era lui a rimettermi in gareggiata. Grazie, perché se ad oggi sono questa è anche merito tuo; se oggi sono qui a festeggiare è anche per il tuo

sostegno. Grazie, che mi hai fatta crescere, grazie che mi hai fatta laureare, grazie che mi hai insegnato ad essere più forte delle mie paure e degli ostacoli che vedevo ma che non c’erano. Scusami per lo stress, scusami per le crisi, scusami per le volte che hai dovuto sentire le mie paranoie, scusami se hai dovuto sentirmi ripetere X volte, scusami per le X volte che hai sentito uscire dalla mia bocca: ”amo non ce la faccio, non sono capace, è troppo difficile tanto vengo bocciata”; scusami ma se non ci fossi stato, adesso ci non starei neanche io qui. GRAZIE PIPPI PER ESSERE AL MIO FIANCO, LA TUA Pì.

Alla mia Bimba, che nonostante la lontananza c’è sempre stata, mi ha sempre supportata, mi ha sempre detto: “puoi farcela, non può un solo esame far saltare tutto, continua a crederci che raggiungerai l’obiettivo”.

Grazie di tutto.

(22)

Alla mia Cuzzola, amica, coinquilina e compagna di questa esperienza. Che dire? Grazie, per il supporto che mi davi ogni giorno anche se eri sotto un treno, grazie per aver creduto in me ancor prima che lo facessi io, grazie per tutte le volte che ero in camera e tu sempre lì pronta ad asciugarmi le lacrime, grazie per avermi strappato sempre un sorriso quando avevo i miei giorni no, GRAZIE per avermi seguita, sopportata e supportata fino al mio ultimo esame. Grazie Cù, se non ci fossi stata avrei dovuto inventarti.

Alla mia Micia, il regalo più bello che potesse farmi questa esperienza, ritornerei a L’Aquila solo per riavere la possibilità di farti entrare nella mia vita. Grazie miciotta, per la fiducia che mi hai dato anche senza conoscermi, per una seconda casa che non pensavo potessi conquistare, per il supporto dato anche non sapendo che sono un po’ capra. Grazie per essere la

persona che ha reso più bella e più leggera questa mia esperienza, mi sei stata vicino anche non sapendo chi fossi e che problemi stavo affrontando.

Ti porterò sempre con me, perché oramai senza non saprei starci.

SEI IL MIO PORTO SICURO, la Tua Micia.

Un grazie speciale voglio dirlo anche a Michele, Catia e Iacopo che mi hanno aperto la porta di casa ancor prima di sapere chi fossi, mi hanno aperto il cuore come se mi conoscessero da una vita, mi hanno fin da subito trattato come una figlia (forse anche meglio di Irene, ahah), mi

hanno adottata e non potevo ricevere famiglia migliore della vostra. Grazie per avermi donato una seconda casa, GRAZIE per avermi fatto sentire sempre a mio agio. Il regalo più bello che potesse farmi questa esperienza.

Vi Voglio Bene.

Ai miei amici tutti, che in un modo o nell’altro mi hanno sempre dimostrato affetto costante e mi hanno aiutata attraverso una risata o un piccolo gesto ad affrontare le mie giornate.

Le mie due coinquiline e compagne di corso Martina e Alessia, per aver affrontato insieme questa esperienza, per essermi state vicine sia nei momenti belli che nei momenti brutti, e per avermi aiutata a superare qualche esame. Grazie anche per le innumerevoli esperienze dentro casa, che non dimenticherò mai. Pensierina non ti scorderò mai ahahah.

(23)

Voglio ringraziare tutta la mia famiglia per aver creduto in me ed essermi stata vicino nonostante la lontananza da casa, grazie per le gioie che mi avete regalato e per i sorrisi che mi avete strappato, per le infinite chiamate per sapere come stavo, per sapere come era andato l’esame, GRAZIE PER NON AVERMI FATTO SENTIRE MAI SOLA.

Infine, volevo solamente dire che niente e nessuno può decidere per te, bisogna solamente credere in sé stessi e impegnarsi nel modo giusto. Oggi finalmente posso dire NONOSTANTE TUTTO… CE L’HO FATTA.

Grazie SIMONA.

Sono stata molto fortunata ad avere tutti voi vicino. Grazie

Fine!

Simona.

“Corri quando puoi, cammina quando devi, striscia se serve; ma non mollare mai.”

(D. Karnazes)

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