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27/VQ/2019 – Quesito avanzato dalla dott.ssa XXX, in merito alla procedura della sua sesta valutazione di professionalità da parte del Consiglio Giudiziario di XXX.

(delibera 30 luglio 2020)

Il Consiglio,

visto il quesito avanzato in data XXX da parte della dott.ssa XXX, con la quale ha chiesto se il Consiglio giudiziario di XXX, nei cui confronti ha proposto due ricorsi al TAR attualmente pendenti per il merito, tre esposti penali e un esposto disciplinare, è legittimato a procedere alla valutazione di professionalità, profilandosi un conflitto di interessi, chiedendo altresì, nel caso in cui non lo fosse, la procedura da seguire

OSSERVA

La Quarta Commissione, in considerazione del quesito formulato dalla dott.ssa XXX, nella seduta del XXX ha deliberato di richiedere all’Ufficio Studi un parere in merito all’ammissibilità, in assenza di normativa primaria e secondaria specifica, di un’istanza diretta a ricusare il Consiglio giudiziario che dovrebbe pronunciarsi sulla valutazione di professionalità, al fine di impedire che il parere sia formulato da tale organo, nonché in merito alla normativa processuale applicabile in caso di ritenuta ammissibilità.

L'Ufficio Studi ha quindi formulato il richiesto parere in data 30 luglio 2019.

Va altresì evidenziato come successivamente a tale parere il Consiglio Superiore ha adottato la delibera consiliare del 13 maggio 2020 avente ad oggetto "Linee guida per il funzionamento e l’organizzazione dei Consigli Giudiziari e del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione", in cui sono stati affrontati specificatamente alcuni profili oggetto di richiesta di parere all'Ufficio Studi.

In via preliminare va rilevato che, come osservato dall'Ufficio Studi nel richiamato parere, in più occasioni il C.S.M. e l’Ufficio Studi hanno avuto modo di pronunciarsi su questioni attinenti alla materia della ricusazione nell’ambito dei procedimenti di competenza consiliare.

Sulla tematica della ricusazione nell’ambito del procedimento finalizzato alla valutazione di professionalità, con speciale riferimento alla stesura del rapporto da parte del dirigente, l'Ufficio studi si è pronunciato col parere n. 409 del 2013, concludendo condivisibilmente nel senso che il ricorso all’istituto della ricusazione è ammissibile anche nell’ambito del procedimento di valutazione della professionalità, con riguardo ai soggetti chiamati a fornire un contributo istruttorio alla definizione del relativo procedimento.

In relazione alla questione dell’obbligo di astensione dei soggetti che partecipano al procedimento di valutazione di professionalità, l’Ufficio Studi col parere n. 9 del 2011 ha peraltro osservato che il dirigente chiamato a redigere un rapporto finalizzato alla valutazione professionale di un magistrato dell’ufficio sia gravato del dovere di astenersi dall’incombente nell’ipotesi in cui penda un giudizio amministrativo – introdotto dal magistrato interessato alla valutazione – di impugnazione della nomina del medesimo dirigente all’incarico attualmente ricoperto. Ciò in applicazione dell’art. 51 del codice di procedura civile – ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza utilizzabile quale criterio di individuazione delle situazioni di incompatibilità del funzionario amministrativo, in assenza di normativa specifica – che impone al giudice di astenersi nell’ipotesi in cui abbia causa pendente con alcune delle parti interessate al suo giudizio.

Più di recente l’Ufficio studi, col parere n. 74 del 2018, analizzando le previsioni contenute nei regolamenti dei Consigli giudiziari concernenti il dovere di astensione da parte dei componenti e, più in generale, in relazione a pratiche concernenti il proprio ufficio di appartenenza, ha constatato come detti regolamenti sembrano muoversi nella prospettiva dei principi enucleati dalla

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giurisprudenza sui componenti delle commissioni esaminatrici che hanno l'obbligo di astenersi solo se ricorre una delle condizioni tassativamente indicate dall'art. 51 c.p.c., senza che le cause di incompatibilità previste dalla stessa disposizione possano essere oggetto di estensione analogica (Consiglio di Stato, sez. III, 20/01/2016, n. 192). La giurisprudenza richiamata ha altresì affermato che il conflitto d'interessi sussiste solo allorché i componenti di un collegio amministrativo siano portatori di un interesse personale divergente da quello affidato alle cure dell'organo di cui fanno parte (Cons. Stato, sez. V, 16/05/2016, n. 1961; Cons. Stato, Sez. III, 2/4/2014 n. 1577; Sez. V, 13/6/2008 n. 2970).

Relativamente alla questione dell'ammissibilità dell’istituto della ricusazione nell’ambito del procedimento di valutazione di professionalità per i soggetti chiamati a fornire un contributo istruttorio (relatore del Consiglio Giudiziario, Dirigente, Componenti del Consiglio Giudiziario) alla definizione del procedimento, nel parere dell'Ufficio studi si sottolinea come il Consiglio e l’Ufficio studi, rispettivamente con la delibera del 3 luglio 2013 e con il parere n. 409 del 2013, si sono già pronunciati sull’ammissibilità dell’istituto della ricusazione nell’ambito del procedimento di valutazione di professionalità per i soggetti chiamati a fornire un contributo istruttorio (nella specie, relatore del Consiglio Giudiziario, componenti del Consiglio Giudiziario) alla definizione del procedimento. Non paiono pertanto esservi dubbi quanto alla ricusabilità dei soggetti - ivi compreso il Dirigente dell’ufficio - chiamati a fornire un contributo istruttorio nell’ambito del procedimento di valutazione di professionalità.

Il procedimento per la valutazione di professionalità del magistrato costituisce una fattispecie a formazione progressiva della quale, secondo il chiaro disposto della normativa secondaria, il parere del Consiglio giudiziario costituisce un momento imprescindibile. In questo senso già la delibera del C.S.M. del 18 marzo 2009 (risoluzione d’indirizzo sul funzionamento dei Consigli Giudiziari) stabilisce che “i Consigli Giudiziari realizzano una forma di compartecipazione nell'esercizio della funzione valutativa rimessa al C.S.M. ...; la relazione corrente tra i Consigli giudiziari ed il C.S.M.

rientra nello schema giuridico della funzione ausiliaria; non appare configurabile un rapporto dì sovraordinazione gerarchica, ma solo funzionale, tra il C.S.M. e gli Organi collegiali decentrati ...

il C.S.M. svolge la propria azione di amministrazione dei magistrati in collegamento funzionale con ì Consigli Giudiziari, che cooperano, con diversità dei ruoli, all'esercizio della funzione valutativa della professionalità dei magistrati”.

Sul punto, va ulteriormente richiamato il parere dell'Ufficio Studi, che evidenzia come sulla generale applicabilità degli istituti dell’astensione e della ricusazione nei procedimenti amministrativi la giurisprudenza amministrativa maggioritaria ha individuato nell'art. 51 del c.p.c. il criterio di valutazione della ricorrenza di motivi d'incompatibilità del funzionario amministrativo coinvolto rispetto alla materia devoluta alla sua potestà provvedimentale (Cons. Stato, n. 147/2007) stabilendo, in altre pronunce, che gli artt. 51 e 52 c.p.c. costituiscono espressione di un principio generale applicabile anche alle Commissioni giudicatrici dei pubblici concorsi, nel rispetto dell'esigenza di assicurarne l'imparzialità, pur dovendo trovare opportuno ed adeguato adattamento, con sufficiente motivazione, alla realtà normativa e fattuale dell'Ordinamento di recepimento (cfr.

parere n. 524/2000 dell'Ufficio Studi del C.S.M., allegato alla delibera plenaria del 7/12/2000). Più di recente il T.A.R. di Reggio Calabria, con sentenza n. 517 del 2016 ha ribadito che le cause d'incompatibilità sancite dall'art. 51 c.p.c., sono estensibili, proprio in rispetto al principio costituzionale di imparzialità, a tutti i campi dell'azione amministrativa, in quanto presunzioni di doverosa declinatoria eccepibile dalla parte interessata. Prima causa d'incompatibilità contemplata dal codice di procedura civile, con conseguente obbligo di astensione del funzionario che versi in tale ipotesi, è esattamente l'avere interesse proprio nella causa (id est nel procedimento amministrativo) o in altra vertente su identica questione di diritto. L'obbligo di astensione figura altresì tra i doveri che il Codice di comportamento dei pubblici dipendenti, approvato con d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, configura tra i doveri d'ufficio la cui violazione è fonte, ferme restando le ipotesi di responsabilità civile, penale e amministrativa, di responsabilità disciplinare. Non possono qui non richiamarsi le pronunce che il giudice amministrativo (T.A.R., Lazio – Roma, Sezione I, 29 aprile

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2009, n. 4454, confermata da Cons. Stato 13 giugno 2011, n. 3587) ha reso proprio con riferimento al C.S.M., e, segnatamente, avuto riguardo ai procedimenti ex art. 2 R.d. n. 511/1946, laddove si è rilevato come l'obbligo di astensione nei procedimenti amministrativi va verificato con riferimento alle fattispecie circostanziate e tipizzate dall'art. 51 c.p.c. e deve essere comunque riferibile ai fatti specifici destinati a formare oggetto del successivo apprezzamento imparziale (Cons. Stato, IV, 3 marzo 2006, n. 1035).

In particolare, l'imparzialità dell'Organo deliberante è garantita dall'applicazione dei criteri desumibili dall'art. 49 T.U. n. 3/1957 e, prima ancora, dall'art. 51 c.p.c., i quali impongono l'astensione al componente dell'Organo collegiale che versi in situazione di inimicizia personale nei confronti del destinatario del provvedimento finale o abbia manifestato il suo parere sull'oggetto di questo al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni procedimentali (Cons. Stato, IV, 7 marzo 2005, n.

867).

Anche le linee guida adottate dal Consiglio in data 13 maggio 2020 sottolineano la ricusabilità dei componenti del Consiglio Giudiziario.

Per quanto attiene alla diversa questione relativa alla ricusazione dell’intero Consiglio giudiziario, come evidenziato nel parere dell'Ufficio Studi, è possibile richiamare la giurisprudenza che si è pronunciata sulla ricusazione di altri organi collegiali. Sul punto occorre evidenziare che la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile, in quanto estranea alla fattispecie disciplinata dalla legge processuale, l’istanza di ricusazione presentata nei confronti di una intera sezione della Corte di Cassazione e non dei singoli magistrati che ne fanno parte (Cassazione penale, sent. n. 47 dell’11/12/2008 - Rv. 241995) in quanto “l’istituto della ricusazione non può essere utilizzato nei confronti di un intero collegio giudicante, bensì soltanto nei confronti dei magistrati che compongono il collegio” (Cassazione, sent. n. 45267 del 21/10/2008 - Rv. 242398).

Il medesimo principio, in relazione ad un organo collegiale amministrativo, è stato espresso dalla Suprema corte a Sezioni unite con la sentenza n. 11142 del 2012. La pronuncia, infatti, ha chiarito che “l'istituto della ricusazione può essere adoperato per contestare l'imparzialità di singoli componenti del collegio giudicante, ma non per mettere in discussione l'idoneità a decidere dell'organo stesso cui la legge conferisce tale potestà. Principio, questo, che la Corte europea di Strasburgo, nella pronuncia emessa il 20 maggio 1998 nel caso Gautrin e altri c. Francia, ha riconosciuto pienamente conforme anche ai dettami della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, statuendo appunto che il diritto di ricusazione può essere esercitato solo contro i membri del collegio giudicante presi individualmente e non contro il collegio giudicante nella sua globalità”. Il concetto è stato di recente ribadito dalla Cassazione civile, Sez. Un., 23/10/2017 n. 24966.

La richiamata giurisprudenza, formatasi in tema di ricusazione degli organi collegiali giurisdizionali e amministrativi, non può non applicarsi alla ricusazione dell’intero Consiglio giudiziario come già sottolineato nella delibera del 3 luglio 2013 secondo la quale: “la ricusazione, pertanto, di tutti i componenti del Consiglio giudiziario … non può che essere ritenuta inammissibile”.

Per completezza, va rilevato come nel parere vengono opportunamente indicati alcuni principi individuati dalla giurisprudenza amministrativa sulla concreta applicazione degli istituti della ricusazione e della astensione obbligatoria nei procedimenti amministrativi. Innanzitutto nel procedimento amministrativo, a differenza che nel procedimento giurisdizionale, la ricusazione dei componenti di un Organo collegiale, che versano in una situazione di incompatibilità, costituisce una facoltà e non un onere, in quanto l’interessato può denunciare il difetto di legittimazione dei titolari della potestas decidendi con il ricorso contro il provvedimento conclusivo, anche se non l’abbia rilevato in precedenza (Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 1999, n. 8; Cons. Stato, 22 febbraio 1994, n. 162).

Per altro verso, in linea generale, la disciplina dell’astensione riguardante gli Organi giurisdizionali, in mancanza di norme specifiche, pur estesa agli Organi amministrativi, richiede un adattamento restrittivo, che risponda alle caratteristiche della funzione esercitata. Ed infatti, come anche in seguito si vedrà, la funzione giurisdizionale è per sua natura neutrale rispetto agli interessi delle

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parti coinvolte nel giudizio, mentre l’Amministrazione cura l’interesse pubblico che ha una sua specifica direzione.

Ora, la nozione di astensione invocata dalla giurisprudenza in tema di attività amministrativa è soltanto quella obbligatoria di cui alla prima parte dell’art. 51 c.p.c. secondo le specifiche e tassative ipotesi ivi previste (Consiglio di Stato, sentenza n. 7797/2004).

E, con più specifico riferimento alle singole ipotesi di astensione obbligatoria, la giurisprudenza amministrativa (Cons. st. n. 7170/2018) quanto alla grave inimicizia rilevante ai fini ricusatori, legge l’art. 51, comma primo, n. 3 c.p.c. nel senso che la causa di ricusazione della “grave inimicizia” deve dipendere esclusivamente da rapporti personali svoltisi al di fuori del procedimento e non già dal trattamento usato dal funzionario amministrativo nel corso del procedimento. In altri termini, non produce alcun effetto una mera divergenza tra le aspettative e le interpretazioni di merito degli oggetti del giudizio proprie del soggetto sottoposto all’attività decisionale e quanto espresso od esprimibile dal decidente stesso, occorrendo, viceversa, una contrapposizione insorta autonomamente a cagione di rapporti interpersonali legati a vicende della vita estranee alle funzioni esercitate dai protagonisti del procedimento amministrativo e che, in quanto tale, avrebbe dovuto normalmente preesistere allo svolgimento dell’attività valutativo- decisionale.

Pertanto, sebbene le cause che possono determinare l’obbligo di astensione siano molteplici, ciò che caratterizza la ricorrenza di tali ipotesi è che sono attinenti prevalentemente a rapporti o posizioni o situazioni che potrebbero, comunque, influire sulla regolarità delle pubbliche funzioni per un potenziale o effettivo conflitto tra l’interesse personale e l’interesse pubblico, ovvero per il pericolo di coincidenza di interessi tra persone unite da vincoli di diverso tipo.

Per quanto attiene alla questione relativa all'individuazione dell'organo competente a deliberare sulla eventuale richiesta o istanza di ricusazione, con la risoluzione del 13 maggio 2020 si è chiarito che, modificando un risalente orientamento, competente a decidere in ordine all’istanza di ricusazione di cui siano destinatari i singoli componenti è lo stesso Consiglio giudiziario, senza la partecipazione del componente ricusato. Solo in casi eccezionali in cui non sia oggettivamente possibile integrare il quorum strutturale richiesto dall’art. 9 bis del D.Lgs. n. 25/06, la competenza a decidere sull’istanza appartiene al Consiglio superiore.

In tali linee guida viene affrontata anche la questione relativa alla sostituzione dei Capi di Corte nei casi di loro astensione o ricusazione, così come nel caso di un loro impedimento a partecipare alla seduta. L’art. 9, co. 3 ter, del D.Lgs. n. 25/2006 ha previsto che, in caso di mancanza o di impedimento, “i membri di diritto del consiglio giudiziario sono sostituiti da chi ne esercita le funzioni”. Sicchè nel caso in cui un membro di diritto non possa partecipare alla seduta, questi dovrà essere necessariamente sostituito dal magistrato che, in base alla normativa ordinamentale, subentra nelle attività dell’ufficio quando sussiste un suo impedimento allo svolgimento delle funzioni dirigenziali che gli sono attribuite.

Per quanto attiene viceversa ai casi di astensione ovvero ricusazione degli altri componenti del Consiglio giudiziario, la delibera consiliare del 10 aprile 2013 sottolinea come in relazione ai componenti “non di diritto” dei Consigli giudiziari è venuto meno l’istituto dei “membri supplenti”

a seguito dell’abrogazione dell’art. 10 del D.Lgs. n. 25/06 con le modifiche introdotte dalla L. n.

111/07, che ha sancito l’abolizione del “collegio perfetto” introducendo la previsione del “quorum strutturale” (art. 9 bis cit.) per il funzionamento dell’organo. Pertanto, come sottolineato nel parere, alla sostituzione prevista per i membri di diritto – che fa rinvio al criterio generale previsto dalla normativa ordinamentale su chi debba farsi carico delle attività dell’ufficio quando sussista un impedimento del dirigente allo svolgimento delle funzioni – non corrisponde analogo meccanismo per i componenti elettivi dei Consigli giudiziari, evenienza, quest’ultima, che si spiega in ragione della posizione istituzionale dei primi contrapposta alla diretta investitura dei secondi da parte dei colleghi del distretto. In seguito, pertanto, alle correzioni apportate dalla L. n. 111 del 2007 al D.Lgs. n. 25 del 2006, eventuali casi di ricusazione divengono più facilmente risolvibili dato che, con l’introduzione di un quorum costitutivo e di uno deliberativo per il funzionamento dell’organo

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(che ha perso la connotazione di “collegio perfetto”), il componente interessato può risultare assente, essendo sufficiente il voto favorevole della maggioranza dei membri presenti e la presenza della metà più uno dei componenti.

Ulteriore profilo da esaminare attiene alla questione della riassegnazione dell’affare trattato dal componente ricusato. Sul punto va richiamato il parere dell'Ufficio Studi che evidenzia come nel caso in cui si tratti di un membro di diritto, in assenza di diversa disposizione del regolamento di funzionamento del Consiglio, può supplire il citato art. 9, co. 3 ter; per il caso in cui, invece, il membro ricusato sia elettivo deve rilevarsi come sul punto non vi sia disciplina primaria. Come chiarito nel parere dell'Ufficio Studi n. 39 del 2019 i numerosi interventi riformatori succedutisi nel tempo con riguardo ai Consigli giudiziari hanno avuto ad oggetto esclusivamente la composizione, le modalità di nomina dei componenti, le attribuzioni, mentre i profili organizzativi e le modalità di svolgimento delle attività ad essi rimesse sono stati disciplinati con riguardo ad aspetti del tutto residuali. I Consigli giudiziari, tuttavia, pur nell’assenza di una previsione che attribuisse loro poteri di autoregolamentazione, secondo un processo graduale e ormai giunto a compimento, hanno spontaneamente provveduto a disciplinare la loro organizzazione e le loro attività, dotandosi di regolamenti interni. La disciplina della riassegnazione dell’affare del membro elettivo ricusato, pertanto, andrà rinvenuta in tali atti normativi interni. I regolamenti dei Consigli giudiziari, però, per quanto consta, non contengono norme che disciplinino direttamente la riassegnazione in seguito ad accoglimento dell’istanza di ricusazione. In assenza di tali previsioni, pertanto andranno applicate le regole ordinarie previste per la riassegnazione degli affari dei consiglieri astenuti o, in subordine, quelle dirette a disciplinare la riassegnazione degli affari dei membri impediti o assenti.

In tal senso nelle linee guida più volte richiamate si sottolinea come sarebbe opportuno che gli organi locali di autogoverno introducessero, nei rispettivi regolamenti, previsioni che disciplinino, oltre che la loro competenza, i criteri di riassegnazione degli affari nel caso in cui la ricusazione, proposta nei confronti del relatore, sia accolta.

Tanto premesso,

delibera di rispondere al quesito nei seguenti termini:

- il ricorso all’istituto della ricusazione è ammissibile anche nell’ambito del procedimento di valutazione della professionalità, con riguardo ai soggetti chiamati a fornire un contributo istruttorio alla definizione del relativo procedimento, ivi compresi i componenti del Consiglio giudiziario;

- la ricusazione non è ammissibile se riferita al Consiglio giudiziario nella totalità dei suoi componenti;

- competente a decidere in ordine all’istanza di ricusazione di cui siano destinatari i singoli componenti è lo stesso Consiglio giudiziario, senza la partecipazione del componente ricusato e solo in casi eccezionali in cui non sia oggettivamente possibile integrare il quorum strutturale richiesto dall’art. 9 bis del D.Lgs. n. 25/06, la competenza a decidere sull’istanza appartiene al Consiglio superiore;

- la sostituzione del membro di diritto ricusato avviene in base al criterio di cui all’art. 9, co. 3 ter, D.Lgs. n. 25 del 2006, mentre non è prevista la sostituzione dei membri elettivi;

- l’individuazione di chi debba farsi carico dell’attività consiliare in relazione alla quale è intervenuta la ricusazione per i membri di diritto deve avvenire applicando le norme primarie e secondarie che disciplinano la sostituzione nelle funzioni, all’interno dell’ufficio in base all’art. 9, co. 3 ter, D.Lgs. n. 25 del 2006; per i membri elettivi la sostituzione dovrà seguire le regole poste dai regolamenti dei Consigli giudiziari; in assenza di tali previsioni andranno applicate le regole ordinarie previste per la riassegnazione degli affari dei consiglieri astenuti o, in subordine, quelle dirette a disciplinare la riassegnazione degli affari dei membri impediti o assenti.

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