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Tutela giurisdizionale ordinaria, principio di separazione dei poteri e modelli di esecuzione delle sentenze civili di condanna nei confronti della Pubblica Amministrazione: aspetti problematici - Judicium

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IGNAZIO ZINGALES

Tutela giurisdizionale ordinaria, principio di separazione dei poteri e modelli di esecuzione delle sentenze civili di condanna nei confronti della Pubblica Amministrazione: aspetti

problematici

SOMMARIO: 1.- Premessa 2.- Tutela civile e principio di separazione dei poteri 3.- Le forme di esecuzione delle sentenze civili di condanna della pubblica amministrazione al pagamento di una somma denaro 4.- Le forme di esecuzione delle sentenze civili di condanna della pubblica amministrazione ad un facere provvedimentale

1.- Premessa

Da sempre il tema riguardante l’individuazione dei limiti di adottabilità, da parte del giudice ordinario, di sentenze di condanna nei confronti della pubblica amministrazione suscita particolare interesse in capo non solo ai processualcivilisti, ma anche agli studiosi del diritto costituzionale e del diritto amministrativo, involgendo tale problematica anche la questione della misurazione della estensione del raggio di operatività del principio di separazione dei poteri.

Gli aspetti problematici, che saranno qui evidenziati, non si esauriscono, però, nella enucleazione di detti limiti, ma attengono anche alla individuazione delle forme di esecuzione coattiva di dette sentenze civili di carattere condannatorio.

L’indagine si concentrerà su due specifiche categorie di pronunzie: 1) le sentenze civili di condanna al pagamento di una somma denaro; 2) le sentenze civili di condanna ad un facere provvedimentale.

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Come detto, il tema di indagine impatta sul principio di separazione dei poteri e, quindi, in primo luogo sulla valenza del precetto contenuto nell’art. 4 della legge n. 2248 del 1865, All. E (c.d.

legge abolitiva del contenzioso amministrativo).

Da qui dobbiamo dunque partire.

2.- Tutela civile e principio di separazione dei poteri

Come è noto, l’articolo 4, comma 2, della legge n. 2248/1865, All. E, in ossequio alla visione ottocentesca del principio di separazione dei poteri, sancisce il divieto di revoca o modifica, da parte del giudice ordinario, dell’atto amministrativo.

Tale divieto non ha rango costituzionale, e può, pertanto, essere oggetto di deroghe da parte del legislatore ordinario, il quale può, dunque, attribuire alla autorità giudiziaria civile il potere di annullare provvedimenti amministrativi incidenti non solo su diritti soggettivi, ma anche, a mio avviso, su interessi legittimi1.

1 È mia opinione che la Costituzione non escluda la possibilità, per il legislatore, di attribuire, in determinate materie, al giudice civile la tutela degli interessi legittimi e, dunque, di creare forme di giurisdizione ordinaria esclusiva.

Come è noto, però, secondo il tradizionale indirizzo della dottrina (Cfr. MORTATI C., Istituzioni di Diritto pubblico, Padova, 1958, 871; BACHELET V., La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1966, 50;

CANNADA BARTOLI E., La tutela giudiziaria del cittadino verso la pubblica amministrazione, Milano, 1964, 29-30;

ANDRIOLI V., Bilancio della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, 1643; GIANNINI M. S. – PIRAS A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., Milano, XIX, 1970, 231; CAIANIELLO V., Manuale di Diritto processuale amministrativo, Torino, 1994, 84, nel testo e nella nota n. 16; GALLI R. – GALLI D., Corso di Diritto amministrativo, II, Padova, 2004, 1645; MAZZAMUTO M., Verso la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario?, in Giur. it., 1999, 1126), della Corte costituzionale (Cfr. Corte cost., 1 agosto 1979, n. 100, in Giur. cost., 1979, I, 732) e del Consiglio di Stato (Cfr. Cons. Stato, ad. gen., 31 agosto 1992, n. 146, in Cons. Stato, 1992, I, 1505, e Cons. Stato, ad. plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1, in Foro it., 2000, III, 365, con nota di FRACCHIA F., Giurisdizione esclusiva, servizio pubblico e specialità del diritto amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2000, 556, con nota di TRAVI A., La giurisdizione amministrativa al bivio, ed in Foro amm., 2000, 768), nel sistema disegnato dalla Costituzione non vi sarebbe spazio per la configurabilità di una giurisdizione ordinaria in materia di interessi legittimi.

Questa tesi non è, a mio avviso, condivisibile.

Ed invero, deve innanzitutto osservarsi come nella Carta costituzionale non sia rinvenibile alcuna disposizione che espressamente vieti al legislatore di devolvere alla cognizione del giudice civile controversie involgenti interessi legittimi (Dello stesso avviso MENCHINI S., La tutela del giudice ordinario, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di Diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, V, Il processo amministrativo, Milano, 2003, 4874-4875. Cfr., sul punto, anche SANDULLI A. M., Manuale di Diritto amministrativo, II, Napoli, 1989, 1195).

In secondo luogo, occorre dare adeguato rilievo alla lettera dell’articolo 113, comma 3, Cost. (“La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”); norma, questa, che, riferendosi genericamente agli “atti della pubblica amministrazione” senza operare distinzioni tra gli stessi, permette al legislatore di attribuire al giudice civile il potere di annullare anche provvedimenti connotati da elementi di discrezionalità.

Così opinando, appare chiara la rilevanza del ruolo che svolge l’articolo 113 nella materia de qua; la disposizione - consentendo il superamento, nelle materie espressamente indicate dal legislatore, del divieto di revoca e modifica dei

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Sebbene il divieto esplicitamente investa solo una certa tipologia di pronunzie costitutive (comprese, ovviamente, quelle di annullamento dell’atto), nel corso degli anni, come è noto, il campo di applicazione della norma è stato, però, via via esteso dalla giurisprudenza in una non condivisibile ottica di tutela della posizione della pubblica amministrazione. Si è così passati dal previsto divieto (ex articolo 4) di emanazione di pronunzie costitutive incidenti su atti amministrativi autoritativi ad un (non giustificabile) divieto generalizzato di adozione di qualsivoglia statuizione che potesse interferire con qualunque genere di attività della pubblica amministrazione2.

Negli ultimi tempi, il rigoroso indirizzo è stato superato (anche se non demolito integralmente, essendo ancora oggi possibile registrare incomprensibili manifestazioni di timidezza nei confronti delle autorità amministrative in campi non caratterizzati dalla presenza di atti costituenti estrinsecazione di potestà autoritative) dal giudice ordinario, sempre più consapevole della necessità di una lettura delle norme contenute nella legge abolitiva del contenzioso alla luce del quadro di garanzie delineato negli articoli 24 e 113 Cost..

Analizzando quelli che appaiono i risultati di questa (fin troppo) lunga e tormentata evoluzione giurisprudenziale, può, oggi, osservarsi che il divieto di cui all’articolo 4 è stato circoscritto (oltre che alle statuizioni di revoca o modifica esplicitamente menzionate) ai provvedimenti di carattere costitutivo (anche con effetto caducatorio) rivolti verso l’attività provvedimentale ed a quelle pronunzie di condanna incidenti sulle potestà autoritative della pubblica amministrazione3.

provvedimenti dell’autorità amministrativa sancito nell’articolo 4 della legge abolitiva del contenzioso - non si limita a registrare l’assetto di riparto venutosi a creare a seguito delle note legislazioni del 1865, del 1889 e del 1923, ma alza il sipario su scenari del tutto nuovi.

Considerato, infatti, che, dinanzi alle scelte discrezionali della pubblica amministrazione, possono residuare unicamente interessi legittimi, attribuire al giudice ordinario un siffatto potere di annullamento degli atti discrezionali significa concedergli la possibilità di erogare tutela giurisdizionale anche in materia di interessi legittimi.

E questa conclusione non può, a mio avviso, essere messa in dubbio sostenendosi che, con il termine “atti” di cui al citato articolo 113, comma 3, della Costituzione, si sia fatto esclusivo riferimento agli atti emessi in carenza assoluta di potere, agli atti di natura privata o agli atti paritetici della pubblica amministrazione, ad atti, cioè, che non determinano il fenomeno della degradazione; ed invero – nel consacrare, in via generale, la tutelabilità giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi lesi dall’attività amministrativa -, il costituente ha utilizzato, nel primo comma della medesima norma, lo stesso termine (“atti”) anche in correlazione con la figura degli interessi legittimi (“Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”).

Per tutte queste considerazioni e per maggiori approfondimenti, mi permetto di rinviare a ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007, 87 ss..

2 Cfr., sul punto, MENCHINI S., La tutela, cit., 4894 ss..

3 Osserva MENCHINI S., La tutela, cit.: “l’art. 4, l. n. 2248/1865, avendo lo scopo di impedire che il giudice usurpi una potestà pubblica, riservata all’autorità che di essa è titolare, può trovare applicazione esclusivamente quando la norma

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Con riferimento a quest’ultima categoria di pronunzie, mi sembra, però, che un ulteriore passo in avanti possa essere compiuto.

Una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 4, che tenga conto del principio di piena tutelabilità dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, del principio di effettività della tutela giurisdizionale, e delle indicazioni provenienti dall’attuale sistema di tutela che caratterizza il processo amministrativo, impone, a mio avviso, invero di ritenere che tale disposizione non impedisca al giudice civile, nelle controversie assoggettate alla sua giurisdizione, di ordinare alla pubblica amministrazione, nei limiti che ora si indicheranno, un facere di carattere provvedimentale.

Alla luce di detti principi presidiati dalla Carta costituzionale, può oggi sostenersi che l’art.

4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo non miri a tutelare, tout court, la posizione della pubblica amministrazione dagli interventi della giurisdizione ordinaria, ma solo a salvaguardare la sua sfera di discrezionalità, da intendersi, quest’ultima, come la “facoltà di scelta fra comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine rispondente alla «causa» del potere esercitato”4.

In quest’ottica, una eventuale pronunzia del giudice civile con cui si ordini all’amministrazione l’adozione di un determinato provvedimento può essere considerata in contrasto con il precetto di cui all’art. 4 solo se giunge a comprimere tale sfera di discrezionalità amministrativa. Ne consegue che al giudice civile non sarà impedito di ordinare all’amministrazione, sia in fase cautelare che all’esito del giudizio di merito, l’emanazione di un

sostanziale individui un potere di imperio (in senso proprio) e l’amministrazione lo eserciti mediante il ricorso al procedimento e all’atto prestabiliti dal legislatore” (pag. 4900); “l’art. 4 della legge abrogatrice entra in campo soltanto quando si sia in presenza di una vera e propria potestà pubblica e di un atto che costituisca formale esercizio di essa, i cui effetti incidano in modo diretto sull’esistenza e sul contenuto del diritto soggettivo dedotto in giudizio; in tali ipotesi, la norma citata impedisce, almeno di regola, al giudice non soltanto di «caducare» il provvedimento, ma pure di rimuoverne o di sospenderne gli effetti (e, a maggior ragione, di sostituirsi con proprie determinazioni alla pubblica autorità nell’attuazione della funzione ad essa riservata). Ne consegue che è fatto divieto al magistrato ordinario: 1) di eliminare (in tutto o in parte) l’atto amministrativo, che del potere pubblico costituisca formale manifestazione; 2) di surrogare l’amministrazione nella emanazione o nella modificazione dell’atto ovvero di condannarla ad emanarlo, dovendosi invece limitare a dichiararne l’illegittimità e a non tenerne conto riguardo alla situazione sostanziale controversa; 3) di emettere sentenze costitutive contro le autorità, le quali siano dirette vuoi alla rimozione o alla sostituzione dell’atto, vuoi alla surrogazione dell’amministrazione rimasta inerte; 4) di pronunciare sentenze di condanna che obblighino l’autorità pubblica a prestazioni di fare (o di non fare), a sopportare, a dare beni determinati, ogni volta che la sanzione con tali provvedimenti comminata si risolva nella sostituzione del giudice all’amministrazione nello svolgimento della funzione pubblica” (pag. 4904).

4 Questa, come è noto, è l’essenza della discrezionalità amministrativa secondo VIRGA P., Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, 19.

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provvedimento vincolato5, di un provvedimento, cioè, che l’amministrazione, in presenza dei presupposti previsti dal sistema, aveva l’obbligo di adottare6.

Se il soddisfacimento della pretesa azionata in giudizio postula necessariamente l’adozione di un provvedimento amministrativo di carattere vincolato, non si può dunque ritenere in contrasto con il principio di separazione dei poteri una eventuale pronunzia del giudice civile con cui si ordini alla pubblica amministrazione di adottare proprio l’atto richiesto.

Essendo qui il conseguimento del bene della vita a cui aspira l’attore subordinato non a valutazioni discrezionali rimesse all’amministrazione, ma al mero accertamento dell’esistenza di determinati requisiti normativamente previsti, non vi sono (a meno di non voler ritenere che, nonostante la sussistenza di detti requisiti, il soddisfacimento dell'aspirazione dell’interessato sia in ogni caso rimesso alla “benevola magnanimità” della pubblica amministrazione) ragioni idonee ad escludere l’erogazione di una tutela piena da parte del giudice civile; di una tutela, cioè, che si estrinsechi in ordini di facere provvedimentale.

Ed un intervento del genere del giudice civile può così, ad esempio, manifestarsi nelle fattispecie di cui agli articoli 12 (impugnazione dei provvedimenti di diniego di cancellazione dal registro dei protesti e azione avverso il silenzio7 dell’amministrazione sull’istanza, proveniente dal privato, di cancellazione dal registro dei protesti)8, 13 (opposizione al provvedimento di diniego di riabilitazione del debitore protestato)9, 16 (impugnazione, da parte di un cittadino comunitario, del

5 Sull’essenza degli “atti vincolati quanto all’emanazione, ma subordinati all’accertamento di determinati presupposti”, cfr. VIRGA P., Il provvedimento amministrativo, cit., 25, secondo cui “caratteristica di questi atti è che l’amministrazione è tenuta ad emanarli con la forma e il contenuto predeterminati dalla legge, purché però risulti accertata la sussistenza dei presupposti, ai quali la legge subordina la loro emanazione”.

In giurisprudenza, da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957, in Guida al diritto, n. 17/2012, 54, che osserva: “…il provvedimento amministrativo costituisce un atto di scelta del modo di curare interessi pubblici (se discrezionale), ovvero di esercizio del potere predefinito nel fine dalla norma, in coerenza con la riconduzione del caso concreto al tipo normativo (se vincolato)…”.

6 Cfr. SANTANGELI F., I ricorsi avverso le decisioni di organi amministrativi e i poteri del giudice civile. Elementi comuni, in SANTANGELI F. (a cura di), Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, Milano, 2012, 66, il quale osserva che: “Se l’amministrazione ha l’obbligo, in presenza di determinati requisiti, di provvedere in un certo modo, e se la presenza di tali requisiti è stata accertata nel giudizio di impugnazione avverso il provvedimento di diniego, e se, dunque, in capo all’amministrazione non residua alcuno spazio di scelta, il giudice, anche in fase cautelare (e dunque, ex art. 700 c.p.c.), può e deve direttamente ordinare all’autorità l’adozione dell’atto vincolato”.

7 La possibilità, per il giudice ordinario, di statuire sul silenzio dell’amministrazione e di ordinare alla stessa,

“sempreché ovviamente ci si trovi in settori caratterizzati da attività vincolata”, il rilascio del provvedimento richiesto è riconosciuta anche da SANTANGELI F., I ricorsi avverso le decisioni di organi amministrativi e i poteri del giudice civile. Elementi comuni, cit., 70.

8 Cfr. COSTA A., Impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti, in SANTANGELI F. (a cura di), Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, Milano, 2012, 406-407.

9 Cfr. COSTA A., Opposizione ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato, in SANTANGELI F. (a cura di), Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, Milano, 2012, 428.

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diniego di riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale)10 e 24 (impugnazione del diniego di iscrizione nelle liste elettorali o del diniego di cancellazione dalle stesse)11 del d.lgs.

150/2011; fattispecie in cui non sembrano rinvenibili spazi di discrezionalità della pubblica amministrazione12.

Come già detto anche in altra sede13, se poi volessimo “rintracciare” un dato normativo idoneo a confortare la tesi che riconosce la possibilità, anche per il giudice ordinario, di erogare una tutela piena, la ricerca sarebbe presto soddisfatta, potendosi individuare tale dato nel nuovo secondo inciso inserito - dall’art. 1, comma 1, lettera e), del D.lgs. 14 settembre 2012, n. 160 - nella lettera c) del primo comma dell’articolo 34 del codice del processo amministrativo; norma che - nel disporre che “l'azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all'articolo 31, comma 3, contestualmente all'azione di annullamento del provvedimento di diniego o all'azione avverso il silenzio” - prevede una soluzione che - in un’ottica di salvaguardia dell’euritmia sistematica e di valorizzazione di quelle regole che, pur essendo di derivazione esclusivamente processual-amministrativistica, si proiettano nel sistema quali fonti di principi generali - appare “esportabile” in via analogica anche nell’ambito della giurisdizione del giudice civile.

Nel processo amministrativo è, dunque, codificata, in maniera espressa, la possibilità di esperire - non solo in caso di silenzio, come peraltro già ricavabile dagli articoli 31, commi 1-3, e 117 di detto codice14, ma ora anche in caso di rigetto, da parte della pubblica amministrazione, di una istanza volta ad ottenere un determinato provvedimento amministrativo - proprio una azione di condanna ad un facere avente ad oggetto l’adozione dello specifico provvedimento richiesto15; una

10 Cfr. DI SALVO C., Controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione Europea, in SANTANGELI F. (a cura di), Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, Milano, 2012, 604.

11 Cfr. DI BLASI G. B., Delle controversie in materia elettorale, in SANTANGELI F. (a cura di), Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, Milano, 2012, 764.

12 Sul punto, cfr. SANTANGELI F., I ricorsi avverso le decisioni di organi amministrativi e i poteri del giudice civile.

Elementi comuni, cit., 66-67.

13 Cfr. ZINGALES I., Profili processuali della tutela giurisdizionale del diritto alla salute, in Dir. giur. comm., n.

4/2013, 74-75.

14 Sull’azione avverso il silenzio, cfr., per tutti, SASSANI B., Arbor actionum. L’articolazione della tutela nel codice del processo amministrativo, in www.judicium.it., 21 ss..

15 Va comunque sottolineato che, già prima dell’entrata in vigore della nuova disposizione, una tale forma di protezione dell’interesse pretensivo dinanzi al giudice amministrativo veniva ritenuta ammissibile, da una corrente giurisprudenziale e dottrinale, alla luce prevalentemente della lettera dell’articolo 34, comma 1, lettera c), del codice del processo amministrativo, nella parte in cui prevede che, “in caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda:…condanna…all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”. In giurisprudenza cfr. Cons. Stato, ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, in Foro amm.-C.D.S., 2011, 826, T.A.R.

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azione di condanna non autonoma, ma, come appare dalla lettera della norma, strettamente legata alla “impugnazione” dell’atto di diniego o del silenzio, ed esperibile con successo solo in presenza degli stessi presupposti richiamati dall'articolo 31, comma 3, del codice del processo amministrativo con riferimento all’azione avverso il silenzio della pubblica amministrazione. Il che sta a significare che, anche a fronte di una azione rivolta avverso un diniego, il giudice (in presenza di apposita domanda) potrà ordinare alla pubblica amministrazione di adottare l’atto richiesto solo nel caso in cui venga in rilievo attività vincolata nell’an e nel quid o non vi sia più spazio per valutazioni discrezionali e non risulti necessario svolgere accertamenti istruttori di competenza della stessa amministrazione.

3.- Le forme di esecuzione delle sentenze civili di condanna della pubblica amministrazione al pagamento di una somma di denaro

In questo quadro, nessun dubbio, chiaramente, può configurarsi in ordine alla adottabilità, da parte del giudice civile, di sentenze di condanna dell’amministrazione al pagamento di somme di denaro.

Qui l’aspetto che merita di essere segnalato riguarda l’individuazione delle forme di esecuzione di dette pronunzie.

Che nei confronti dell’amministrazione possa essere attivato, in caso di sentenze civili di condanna pecuniaria (passate in giudicato o ancora “meramente” esecutive), il processo di esecuzione per espropriazione di cui al libro terzo del codice di procedura civile costituisce dato certo su cui non è necessario indugiare (tale processo è, peraltro, utilizzabile, ai sensi dell’art. 115, comma 2, del codice del processo amministrativo, anche per l’attuazione dei provvedimenti emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro).

Parimenti certa è l’utilizzabilità - una volta formatosi, su dette sentenze civili di condanna pecuniaria, il giudicato - del giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo.

Lombardia-Milano, sez. III, 8 giugno 2011, n. 1428, in Foro amm.-T.A.R., 2011, 1852, T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 19 gennaio 2011, n. 472, T.A.R. Puglia-Bari, sez. III, 25 novembre 2011, n. 1807, in Foro amm.-T.A.R., 2011, 3636. In dottrina, tra altri, cfr. CARINGELLA F., Corso di Diritto amministrativo. Profili sostanziali e processuali, I, Milano, 2011, 716 ss.; GISONDI R., La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it. Per una più ampia analisi delle ragioni che già potevano militare a favore di tale ammissibilità, si veda PAGNI I., L’azione di adempimento nel processo amministrativo, in Riv. dir. proc., 2012, 328 ss..

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Stante le note difficoltà a cui va incontro colui che voglia utilizzare gli strumenti espropriativi disciplinati nel codice di procedura civile per la tutela delle proprie posizioni creditorie vantate nei confronti della pubblica amministrazione, appare legittimo, però, interrogarsi circa la possibilità o meno di promuovere una esecuzione forzata attraverso il giudizio di ottemperanza anche soltanto in presenza di una sentenza di condanna del giudice civile non ancora munita del crisma del giudicato.

A tale interrogativo si è già risposto in senso negativo16, essendosi ritenuto che il sistema normativo (l’art. 27, comma 1, n. 4, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e l’art. 37, commi 1 e 2, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 in passato; l’art. 112, comma 2, lett. c, del codice del processo amministrativo oggi17), con riferimento alle pronunzie del giudice civile, ancori alla formazione del giudicato l’utilizzabilità dello strumento dell’ottemperanza. E tale risposta deve essere oggi ribadita, non avendo sul punto il codice del processo amministrativo innovato in alcun modo.

16 Mi permetto di rinviare a ZINGALES I., Sentenza civile di condanna pecuniaria non passata in giudicato ed esecuzione attraverso gli strumenti del giudizio di ottemperanza, in Cons. Stato, 2003, II, 2473. Va, però, segnalato che per T.A.R. Puglia-Bari, sez. II, 25 ottobre 2002, n. 4668, in Giur. merito, 2003, III, 1013 (s. m.), con nota di SINATRA A., Brevi note su alcuni problemi applicativi in materia di ottemperanza al giudicato del giudice ordinario, il giudizio di ottemperanza non è impedito dalla circostanza che avverso la sentenza di condanna pronunziata dal giudice ordinario nei confronti di una pubblica amministrazione sia stato proposto appello, purché dagli atti di causa non risulti che il giudice del gravame abbia sospeso l’esecutività della stessa. La pronunzia - che conferma, peraltro, un orientamento già delineatosi in passato [Cfr. T.A.R. Veneto, 9 giugno 1978, n. 383, in T.A.R., 1978, I, 3255 (s. m.)] - è sicuramente coraggiosa e tendente a valorizzare la lettera dell’art. 282 c.p.c.. Purtroppo, però, la motivazione è, sul punto, alquanto sintetica e non permette di individuare il percorso logico-argomentativo seguito dal collegio per poter giungere a tale risultato ermeneutico. La possibilità di utilizzare il rimedio dell’ottemperanza anche per le sentenze civili non ancora passate in giudicato è stata, invece, decisamente negata da T.A.R. Campania-Napoli, sez. V, 13 marzo 2002, n. 1322, in T.A.R., 2002, I, 2014 (s. m.), da T.A.R. Liguria, sez. I, ord. 11 novembre 2002, n. 1094, in Giur. merito, 2003, III, 1013 (s. m.), con nota di SINATRA A., Brevi note, cit., da T.A.R. Lazio-Latina, 15 novembre 2002, n. 1171, e da T.A.R.

Sicilia-Catania, sez. I, 25 novembre 2002, n. 2238.

17 Questo il testo dell’art. 112 del codice del processo amministrativo:

I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti.

L'azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l'attuazione:

a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;

b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;

c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;

d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;

e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.

Può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione.

Il ricorso di cui al presente articolo può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza.

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L’esistenza della barriera (purtroppo ermeneuticamente insuperabile18) costituita dalla formazione del giudicato appare, però, in contrasto con il principio di ragionevolezza che costituisce, come è noto, una componente strutturale del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Giova, invero, ricordare che, nel sistema del processo amministrativo, l’azione di ottemperanza può essere esperita, sia in materia di interessi legittimi che nell’ambito della giurisdizione esclusiva su diritti soggettivi, pure per ottenere l’attuazione di sentenze “meramente”

esecutive (si veda l’art. 112, comma 2, lett. b, del codice del processo amministrativo, e, prima dell’entrata in vigore di detto codice, l’art. 33, comma 5, l. n. 1034/1971, aggiunto dall’art. 10, comma 1 , l. 21 luglio 2000, n. 205). In tale sistema, dunque, il giudicato non costituisce presupposto per l’attivazione del procedimento di esecuzione de quo.

Ne consegue che, nel medesimo campo della tutela dei diritti soggettivi e, stante anche la possibilità di una giurisdizione esclusiva ordinaria19, nel medesimo campo della tutela degli interessi legittimi, sussistono due diversi regimi; l’uno che permette alla parte che ha ottenuto, nel giudizio amministrativo, una sentenza esecutiva di servirsi degli incisivi strumenti propri dell’ottemperanza, e l’altro che, invece, nega tale efficace tutela esecutiva, con compressione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, a chi sia in possesso di un analogo titolo giudiziale formatosi nel processo civile.

La disarmonia sistematica è evidente. E trattasi di una disarmonia che determina una disparità di trattamento non giustificabile, e perciò incostituzionale, in quanto fondata esclusivamente sulla diversità della provenienza dei titoli azionati, tenuto conto che detti titoli, da un punto di vista ontologico, non presentano alcuna differenza.

Per meglio spiegare questa conclusione basta il seguente semplice interrogativo: cosa distingue, ai fini che qui interessano, una sentenza di condanna al pagamento di differenze retributive adottata dal giudice del lavoro da quella, avente stesso oggetto, emessa dal giudice amministrativo (in quei settori, ovviamente, ancora devoluti alla sua giurisdizione), posto che

18 Cfr. ZINGALES I, Sentenza civile di condanna pecuniaria non passata in giudicato ed esecuzione attraverso gli strumenti del giudizio di ottemperanza, cit., 2474-2476.

19 Si veda la nota n. 1.

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entrambe possiedono sostanzialmente il medesimo contenuto e sono emesse nei confronti di autorità amministrative20?

Anche la risposta è semplice: nulla.

E se equipollenti sono le pronunzie di condanna pecuniaria rese dal giudice civile e quelle rese dal giudice amministrativo, fisionomicamente equipollenti sono (di conseguenza) pure i giudizi di ottemperanza che ad esse accedono21.

Dunque, a fronte di sentenze (di condanna al pagamento di somme di denaro) contenutisticamente omogenee, assolutamente irrilevante dovrebbe risultare, ai fini della esperibilità del giudizio di ottemperanza, la provenienza del titolo esecutivo azionato. Sicché irragionevole risulta un sistema (come l’attuale) in cui il soggetto, che vanta una pretesa creditoria nei confronti della pubblica amministrazione consacrata in un titolo esecutivo, veda allargato o ristretto il ventaglio dei rimedi di tutela esecutiva a seconda che la materia sia attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo o, invece, alla cognizione del giudice civile.

Purtroppo, però, dello stesso avviso non è stata la Corte costituzionale, la quale chiamata a giudicare, anche sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina e della disparità di trattamento riservata alle pronunzie de quibus, sulla costituzionalità del sistema in esame ha, con l’ordinanza 25

20 Sotto quest’ultimo profilo, deve, infatti, ritenersi che la pubblica amministrazione resti tale anche nel campo del pubblico impiego privatizzato, dato che la nota riforma del pubblico impiego ha inciso esclusivamente sul rapporto di lavoro privatizzandolo, ma non sulla natura e sulla posizione, all’interno dell’ordinamento, dell’ente datoriale pubblico, al quale sono ancora attribuiti, in materia, ampi poteri organizzatori, riconducibili all’esercizio di pubbliche potestà, che si estrinsecano anche in veri e propri provvedimenti amministrativi. Sul punto, mi permetto di rinviare a ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, cit., 104-105.

Sulla natura pubblica del datore di lavoro nel campo del pubblico impiego privatizzato, cfr., anche, SASSANI B., Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto. Ottemperanza amministrativa e tutela civile esecutiva, Milano, 1997, 210-211; Id., Intorno al problema dell’esecuzione forzata della sentenza del giudice civile nel nuovo assetto del lavoro

«depubblicizzato», in Giust. civ., 1993, II, 202; MENCHINI S., La tutela dei diritti soggettivi e degli interessi nel pubblico impiego privatizzato, in Riv. dir. proc., 2002, 431; ALBENZIO G., L’esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione, in Foro it., 1999, I, 3475.

21 Osserva incisivamente CAIANIELLO V., Manuale di Diritto processuale amministrativo, cit., 848-849: “…l’obbligo di conformarsi al giudicato del giudice ordinario venne in origine concepito come obbligo di annullare l’atto amministrativo che fosse stato disapplicato, perché ritenuto illegittimo, da parte del giudice ordinario. Successivamente la giurisprudenza ha esteso però il giudizio di ottemperanza anche alle sentenze di condanna, relativamente alle quali il giudizio in parola si caratterizza in funzione attuativa, onde il rimedio assume la medesima fisionomia di quello che accede alla sentenza amministrativa, perché tende anch’esso a rendere concreto il contenuto della statuizione di condanna e non già a rimuovere l’atto amministrativo oggetto di disapplicazione. …Per le sentenze di condanna del giudice ordinario, una volta ammessa per esse l’esperibilità del giudizio di ottemperanza, questo tende ad attuare la statuizione principale (di condanna) in essa contenuta e, quindi, non a dare corpo ad un effetto ulteriore, indotto dal giudicato, ma a realizzare quello principale. Se dunque il giudizio di ottemperanza si pone, relativamente alle sentenze di condanna del giudice ordinario, in funzione di attuazione, esso non si distingue sotto questo aspetto da quello che viene instaurato per l’attuazione delle sentenze del giudice amministrativo e, quindi, l’individuazione della sua natura si pone negli stessi termini…che per il giudizio che accede a queste ultime sentenze”.

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marzo 2005, n. 12222, ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata, osservando tra l’altro che: 1) “il giudizio di ottemperanza concerne, di norma, sentenze passate in giudicato e che questa scelta del legislatore non appare irragionevole, in quanto la procedura di ottemperanza nei confronti della pubblica amministrazione comporta l'esercizio di una giurisdizione estesa al merito”; 2) “la previsione di cui all'art. 33 della legge n. 1034 del 1971, secondo la quale il giudizio di ottemperanza può esercitarsi nei confronti delle sentenze del TAR non sospese dal Consiglio di Stato, rientra nella discrezionalità del legislatore, il quale ha voluto dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado, evitando che l'amministrazione possa arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali”; 3) “sono differenti e quindi non comparabili le azioni esecutive esperibili davanti al giudice ordinario secondo le norme di procedura civile, trattandosi di sentenze o di provvedimenti esecutivi che non richiedono l'esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza”; 4) “non può parlarsi di disparità di trattamento fra l'ipotesi di esecuzione di sentenza amministrativa di primo grado, perseguita attraverso il giudizio di ottemperanza, e l'ipotesi di esecuzione delle sentenze di primo grado del giudice ordinario”.

Con grande rispetto, mi sembra, però, possibile osservare che le affermazioni poste a base della non condivisibile conclusione a cui approda il Giudice delle leggi (conclusione ribadita, negli stessi termini, anche da Corte cost., ord. 8 febbraio 2006, n. 4423) siano inidonee a dissipare i dubbi di costituzionalità qui prospettati.

Stante, come visto, l’omogeneità contenutistica delle sentenze di condanna pecuniaria rese dal giudice civile e dal giudice amministrativo, assolutamente irrilevante mi sembra, ai fini della valutazione sulla costituzionalità del sistema, la circostanza, posta in evidenza dalla Corte, che il procedimento di ottemperanza comporti l'esercizio di una giurisdizione estesa al merito.

Con riferimento, poi, all’affermazione secondo cui rientra nella discrezionalità legislativa la scelta, riguardante solo le pronunzie del giudice amministrativo, di “dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado, evitando che l'amministrazione possa arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali”, è possibile osservare non solo che identico rischio di sottrazione della pubblica amministrazione alle statuizioni del giudice può concernere pure le

22 La questione di costituzionalità era stata sollevata dal T.A.R. Sicilia-Catania nell’ambito di un giudizio di ottemperanza promosso per l’esecuzione di una sentenza civile (provvisoriamente esecutiva) di condanna di un Comune al pagamento di una somma di denaro a titolo risarcitorio.

23 La questione di costituzionalità era stata sollevata sempre dal T.A.R. Sicilia-Catania nell’ambito di un giudizio di ottemperanza promosso per l’esecuzione di una sentenza del giudice del lavoro (provvisoriamente esecutiva) di condanna di un Comune alla riassegnazione di mansioni ed al pagamento di differenze retributive e degli interessi legali dalla maturazione dei crediti.

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pronunzie civili, ma anche che l’argomentazione del Giudice delle leggi appare in contrasto con quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 406 del 12 dicembre 1998. In questa pronuncia, resa precedentemente alla introduzione della previsione della eseguibilità, con le forme del giudizio di ottemperanza, anche della sentenza del giudice amministrativo non ancora passata in giudicato, il Giudice delle leggi ha invero evidenziato: 1) che è proprio “l'unicità dei presupposti del ricorso per ottemperanza di sentenze dei giudici ordinari e di quelle dei giudici amministrativi” che esclude “qualsiasi disparità nell'ambito dei ricorsi per l'esecuzione del giudicato”; 2) che, “quando si tratta di sentenza di condanna al pagamento di somma di denaro esattamente quantificata e determinata nell'importo, senza che vi sia esigenza ulteriore di sostanziale contenuto cognitorio”, il giudizio di ottemperanza assume “natura di semplice giudizio esecutivo…e quindi qualificabile come rimedio complementare che si aggiunge al procedimento espropriativo del codice di procedura civile, rimesso alla scelta del creditore”; 3) che, pur non esistendo “un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo (civile e amministrativo)”, i rispettivi ordinamenti processuali possono differenziarsi solo sulla base di una scelta legislativa che sia “razionale”, che derivi “dal tipo di configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio”, ed “a condizione che non siano vulnerati i principi fondamentali di garanzia ed effettività della tutela”.

Su queste basi, non resta, allora, che sperare in un intervento legislativo di armonizzazione ed ampliamento del catalogo dei modelli di esecuzione delle pronunzie civili nei confronti della pubblica amministrazione.

4.- Le forme di esecuzione delle sentenze civili di condanna della pubblica amministrazione ad un facere provvedimentale

Anche relativamente alla mancata previsione della utilizzabilità del rimedio dell’ottemperanza per l’esecuzione delle sentenze civili, non ancora passate in giudicato, di condanna della pubblica amministrazione ad un facere, potrebbero sollevarsi, soprattutto con riferimento a specifiche materie (quale, ad esempio, quella del pubblico impiego privatizzato), dubbi di costituzionalità. L’analisi di tali dubbi richiederebbe, però, una articolata ricostruzione delle fattispecie ipotizzabili, che in questa sede non può essere compiuta.

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Verificati, nel secondo paragrafo, i limiti entro cui il giudice civile può ordinare alla pubblica amministrazione lo svolgimento di un facere provvedimentale e sul presupposto che, nella materia de qua, non vengono in rilievo attività di carattere infungibile (come è noto, invero, l’infungibilità è legata alla natura del soggetto obbligato ed alla libertà ed intangibilità della sua sfera personale; di conseguenza, il fenomeno dell’infungibilità non appare configurabile a fronte dell’esercizio, da parte di una pubblica amministrazione, di una attività-funzione volta, così come imposto dai principi ricavabili dall’art. 97 Cost., al perseguimento dell’interesse pubblico generale)24, qui si indicheranno esclusivamente i modelli esecutivi applicabili in presenza di una siffatta sentenza civile di condanna.

Se trattasi di sentenza passata in giudicato, sarà possibile promuovere il giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo, il quale potrà ovviamente utilizzare tutti i propri incisivi strumenti25.

24 In dottrina, cfr. SASSANI B., Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto. Contributo allo studio della tutela dichiarativa nel processo civile e amministrativo, Padova, 1989, 45-46, che osserva: l’esecuzione amministrativa

“manifesta concretamente l’incondizionata e completa fungibilità dell’attività pubblica quale attività funzionalizzata.

Proprio in quanto funzione, essa è attività obiettivamente e globalmente controllabile nello svolgimento e finalizzata al perseguimento di un interesse (il c.d. interesse pubblico) che, per quanto non attribuibile all’ordinamento nella sua universalità, non può ridursi ad un interesse «proprio» del soggetto agente nel senso in cui «proprio» del titolare del diritto soggettivo è l’interesse perseguito con l’esercizio di questo (in tal caso l’interesse si identifica con un profitto del soggetto). L’interesse obiettivamente correlato ad una funzione appare così perseguibile attraverso il meccanismo della sostituzione del giudice al soggetto istituzionalmente gravato del compito di soddisfarlo. In maniera espressiva, ma non paradossale, si può dire che è il soggetto che è in funzione del perseguimento dell’interesse e non questo in funzione del soggetto. La fungibilità è, in linea di principio, assoluta”. Sul punto, mi permetto di rinviare anche a ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, cit., 110-111;

Id., Immissioni intollerabili e modello di tutela giurisdizionale: profili problematici, in Dir. giur. comm., n. 5/2013, 61.

25 Questo il testo dell’art. 114 del codice del processo amministrativo, che disciplina il procedimento del giudizio di ottemperanza:

L'azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l'azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del suo passaggio in giudicato.

Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.

Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:

a) ordina l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione;

b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;

c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano;

d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;

e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo.

Se è chiesta l'esecuzione di un'ordinanza il giudice provvede con ordinanza.

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Sempre in presenza di un giudicato, potrà attivarsi il procedimento di esecuzione disciplinato dagli artt. 612 e seguenti del codice di procedura civile; procedimento che potrà essere promosso anche in caso di sentenza non ancora passata in giudicato, essendo la “semplice”

esecutività della pronunzia da eseguire il presupposto per l’attivazione dello stesso.

Ed anche nell’ambito di un procedimento ex art. 612 c.p.c., sarà possibile, analogamente a quanto accade nel processo amministrativo, la nomina di un commissario ad acta che abbia il compito di sostituirsi, nello svolgimento dell’attività provvedimentale richiesta, all’amministrazione inadempiente26. Tale nomina appare, invero, consentita dalla lettera dell’articolo 68, comma 1, c.p.c. (secondo cui: “Nei casi previsti dalla legge o quando ne sorge necessità, il giudice, il cancelliere o l'ufficiale giudiziario si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sé solo”), e si giustifica pienamente in un’ottica di garanzia dell’effettività del dictum del giudice civile27.

Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.

Nel caso di ricorso ai sensi del comma 5 dell'articolo 112, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario.

Le disposizioni di cui al presente Titolo si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell'ottemperanza.

I termini per la proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III.

26 Sulla non estraneità al sistema della possibilità di nominare, anche nell’ambito di giudizi civili, commissari ad acta con lo specifico compito di sostituirsi all’amministrazione inadempiente, cfr., in dottrina, SASSANI B., L'esecuzione delle sentenze civili di condanna dell'amministrazione nei rapporti di lavoro, in Riv. esec. forz., 2005, 13;

SANTANGELI F., I ricorsi avverso le decisioni di organi amministrativi e i poteri del giudice civile. Elementi comuni, cit., 71. Mi permetto, altresì, di rinviare a ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, cit., 112 ss.; Id, L’attuazione coattiva delle ordinanze cautelari del giudice ordinario in materia di pubblico impiego privatizzato, in I T.A.R., 2000, II, 543 ss.; Id., Il commissario ad acta nel quadro della tutela cautelare in materia di rapporto di lavoro privatizzato, in La tutela cautelare amministrativa e ordinaria. Il pubblico impiego, Atti del convegno di Taormina del 1° marzo 2003, Catania, 2003, 133 ss..

In giurisprudenza, optano per la tesi dell’ammissibilità della nomina di commissari ad acta anche nell’ambito del processo civile Trib. Enna, ord. 28 settembre 2004, inedita, Trib. Ariano Irpino, ord. 16 dicembre 2002, in lavoropubblico.formez.it/contenzioso, e Trib. Bari, ord. 12 febbraio 1997, in Giur. it., 1998, 276.

27 Cfr. ZINGALES I., Immissioni intollerabili e modello di tutela giurisdizionale: profili problematici, cit., 62.

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