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Dr. Gianni Barbuti

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Academic year: 2022

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Dr. Gianni Barbuti

Medico legale, Venezia-Mestre

IL QUESITO MEDICO LEGALE

Della difformità dei quesiti giudiziari ci si rese conto ben presto, subito dopo la famosa sentenza 184/1986, tanto che il Prof. Francesco Introna già nel 1990 si pose il problema, in un editoriale pubblicato sulla rivista italiana di Medicina-Legale (1990/n.2, pag. 365 e sgg) il cui titolo era appunto "La valutazione medico legale del danno alla persona in Responsabilità Civile e la difformità dei quesiti".

Il Maestro sottolineava la problematica insita nella sentenza 184/1986, che aveva introdotto questa apparentemente nuova categoria di danno, ovvero quello all'integrità psicofisica del soggetto.

Ne era scaturita una serie nuovi quesiti posti dai Giudici civili ai medici legali, nei quali questa categoria di danno veniva variamente inserita, ma, il più frequentemente, considerata come voce additiva, accanto a quelle già note: danno alla capacità lavorativa generica, danno all'integrità estetica, alla vita di relazione, alla capacità sessuale ecc.

Evidentemente in questa raffica di richieste si ipotizzava un ventaglio di invalidità che non possono tutte sussistere contemporaneamente.

Il Prof. Introna giustamente riprendeva le fila del discorso e sottolineava la necessità che nel quesito venisse esplicitamente richiesta la definizione percentuale del danno all'integrità psicofisica del soggetto o, nella sua eccezione più vasta, di danno alla salute, e, accanto a questa, la sua proiezione patrimoniale, ovvero il danno alla capacità lavorativa patrimoniale, ovvero il danno alla capacità lavorativa specifica, sottolineando la necessità che il Medico legale "saggio ed esperto pervenisse a questa valutazione solo con certezza o per dati tecnici gravi, precisi e concordanti, secondo il concetto espresso degli articoli 2697 e 2729 del Codice Civile".

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In quest'ottica si posero i primi quesiti sintetici, fra cui quello attualmente in uso nel nostro Tribunale Civile, presso la III Sezione.

"Accerti il CTU esaminati gli atti e i documenti, visitata la parte, se sussista nesso di causalità tra l'incidente di cui è causa e le lesioni riportate; ne determini la durata della inabilità lavorativa temporanea totale e parziale; se dalla lesione sono residuati postumi permanenti, dica in quale misura gli stessi incidono sulla validità biologica del soggetto e, se sono rilevanti sulla capacità lavorativa specifica ne determini il grado.

Dica inoltre se le spese mediche documentate sono congrue e pertinenti.

Accerti gli eventuali precedenti morbosi del Periziando, valutandone percentualmente la loro incidenza sulla sua integrità psicofisica antecedente al fatto di causa, indicando altresì se i medesimi avrebbero comunque determinato in progresso di tempo le medesime conseguenze dell'evento lesivo".

Questo quesito in poche righe, condensa tutto lo sforzo concettuale della Medicina Legale Italiana fino al 1986.

Si identificano in esso chiaramente distinti, il danno alla validità biologica ed il danno alla capacità lavorativa specifica, ovvero la proiezione dinamica del primo sul patrimonio del soggetto.

Purtroppo, come spesso accade nella realtà umana, anche uno strumento concettualmente valido, seppure così sintetico, si scontra con la difformità del reale.

Che ci fossero delle difficoltà applicative si evidenziò quasi subito, tanto che sotto la spinta di un Giudice della III Sezione, si prese in esame anche la problematica dello stato preesistente.

Questa discendeva da relazione del Prof. Chini in un incontro di studi tenuto sotto l'egida del Consiglio Superiore della Magistratura.

In particolare il Prof. Chini diceva esplicitamente che l'operazione valutativa del Medico legale non può prescindere dalla conoscenza dello stato preesistente e,

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spingendosi ancora più in là, dalla necessità di percentualizzare il grado di validità preesistente all'evento lesivo di cui è causa.

Veniva poi risolto il problema della coesistenza e della concorrenza di menomazioni policrome, secondo una metodica che è mutuata dalla legge sugli infortuni sul lavoro:

maggiorativa per menomazioni concorrenti e riduttiva per quelle coesistenti.

Questa necessaria ulteriore precisazione si scontra però con una realtà di fatto, ovvero quella, a tutti nota, del "paradosso del cieco".

Se noi poniamo, per esempio, un soggetto cieco, quindi che ha già una invalidità del 100%, che subisce una lesione traumatica nel fatto di causa a carico degli arti inferiori, da cui deriva una invalidità permanente coesistente del 25%: come avrà calcolato questo 25%?

Evidentemente la mera applicazione di una formula aritmetica presenta delle problematiche non facilmente risolvibili.

A mio parere, il Medico legale deve nella relazione peritale descrivere lo stato preesistente e le condizioni menomative che eventualmente il soggetto aveva prima dell'evento lesivo di merito, ma non può tradurre questa descrizione qualitativa con una valutazione meramente percentualistica, che altrimenti porterebbe a quei paradossi logici di cui abbiamo parlato prima, pur fornendo al Giudice dei criteri qualitativi di giudizio.

Un ipotesi di nuovo quesito

Esaminato così brevemente il quesito attualmente in uso presso la III Sezione del Tribunale Civile di Venezia, con le sue problematiche, risulta a nostro parere utile ipotizzare un nuovo modello di quesito.

Lo stesso prende le mosse da uno schema attualmente in uso presso il Tribunale Civile di Treviso ed in sperimentazione, da qualche tempo anche presso il nostro.

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"Accerti il CTU, esaminati gli atti e i documenti di causa, visitata la parte:

- la natura e l'entità delle lesioni riportate;

- se sussista nesso di causalità tra l'incidente di cui è causa e le lesioni descritte;

- la durata della malattia derivata dalle lesioni descritte; la durata della incapacità temporanea totale e parziale a svolgere attività lavorativa o attività confacente;

- se dalle lesioni descritte sono residuati postumi permanenti, dica in quale misura gli stessi incidono sull'integrità psicofisica del soggetto, precisando a tal fine in che modo e misura esse influiscano:

sulla sfera individuale (per esempio sonno, riposo, sport, viaggi, passatempi);

sulla sfera relazionale (rapporti sociali, familiari, sessuali);

sull'espletamento delle normali attività quotidiane (lavarsi, vestirsi, assolvere alle funzioni fisiologiche, scrivere, leggere, camminare, correre, salire e scendere le scale, piegarsi, stare seduti o in piedi, guidare, afferrare, sollevare e trasportare gli oggetti).

- L'incidenza della precedente menomazione dell'integrità psicofisica del soggetto sulla sua capacità lavorativa specifica, precisando a tal fine se il Periziando possa continuare a svolgere la propria attività ed in tal caso se ciò comporti o meno maggior affaticamento o ricorso alle energie lavorative di riserva;

- Se il Periziando debba ridurre quantitativamente (diminuzione delle ore di lavoro) o qualitativamente (esclusione di alcune mansioni o di alcuni tipi di attività o di prestazioni) la propria attività lavorativa;

-Se il Periziando non possa più svolgere la sua attività lavorativa ed in tal caso se egli possa svolgere attività similari, compatibili con il danno permanente accertato, con il suo livello di istruzione, l'età ed ogni altra circostanza soggettiva od oggettiva utile a giudizio;

- Nel caso il soggetto non svolga attività lavorativa specifica, se la menomazione all'integrità psicofisica surriferita possa costituire incidenza sull'attitudine allo svolgimento di attività lavorative confacenti al grado di preparazione, al sesso, all'età.

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-Il livello di sofferenza (alto, medio, basso) che è conseguito in futuro, se il Periziato dovrà sottoporsi ad ulteriori interventi di carattere sanitario con particolare riferimento a quelli chirurgici.

-La congruità delle spese mediche e di assistenza sostenute e l'entità di quelle prevedibilmente da sostenere".

Questo quesito molto articolato può sembrare a prima vista ridondante, apparendo come una sorta di inutile angheria da parte del Giudice nei confronti del proprio consulente tecnico d'ufficio.

Se questo da un lato può essere vero, dall'altro va tuttavia necessariamente segnalato, a mio parere, la positività dell'articolazione, tesa a permettere una più precisa collocazione del danno alla persona, quindi, in ultima analisi, di fornire maggior copia di elementi valutativi al Giudice.

Vorrei brevemente addentrarmi in una descrizione analitica delle diverse parti di questo quesito, senza annoiare più di tanto l'uditorio, ma cercando di porre in luce quelle che sono le problematiche che a mio parere vengono affrontate ed in parte risolte.

1. Diagnosi delle lesioni, discussione del nesso di causa

La prima parte del quesito è quella abituale, a tutti nota. Attenzione però a non leggerla con eccessiva superficialità.

In effetti la stessa pone le basi fondamentali di una corretta relazione medico legale, in quanto si fa esplicito riferimento alla descrizione della natura e dell'entità delle lesioni riportate. Questo obbliga il Perito medico legale ad una accurata diagnosi.

Talvolta si trascura nelle nostre relazioni questo aspetto, che invece ha una notevole importanza perché permette di collocare le basi per giungere poi alla determinazione del danno permanente. Una corretta e completa diagnosi medico legale permette anche al Giudice di orientarsi , perché risulta evidente l'eventuale discrepanza tra lesioni di una

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certa entità, supponiamo lievi ed una valutazione percentualistica elevata o viceversa.

Non che questo non sia possibile in via assoluta, ma deve trovare poi una spiegazione logica nell'ambito dell'elaborato peritale. Essenziale è poi una accurata definizione del nesso causale secondo gli usuali (ma qualche volta inapplicati) criteri medico-legali.

Non è certo questo il luogo per approfondire l'argomento, ma faccio solo notare che i Giudici sempre di più analizzano gli elaborati peritali nella parte inerente il nesso di causa e sono sempre più numerose le sentenze che ribaltano completamente o in parte, le conclusioni a cui è giunto l'esperto" medico legale (che evidentemente tanto esperto non si è dimostrato) proprio per carenza di dimostrazione del nesso causale.

2. Durata della malattia, come concetto biologico e della inabilità temporanea La parte successiva del quesito riguarda la durata della malattia.

Per malattia si intende qui il concetto medico - legale e clinico di processo patologico evolutivo.

E' giusto e corretto, a mio parere, fare riferimento a questo concetto, che ci permette di restringere e di definire meglio i periodi di malattia realmente compatibili con le lesioni subite, secondo con un criterio medio-statistico di evoluzione di processo patologico.

Questo impedisce l'avallo da parte del consulente d'Ufficio di quelle esagerazioni di cui siano, purtroppo, frequentemente testimoni, per la produzione di certificati medici molto spesso "compiacenti", nei quali la prognosi per una determinata lesione viene amplificata a dismisura.

La discrepanza tra certificazioni e giudizio medico - legale va risolta nel senso sopraddetto: se, secondo realtà scientifica, una lesione guarisce in 20 giorni, evidentemente io non posso avallare quattro mesi di malattia, a meno di casi particolarissimi e giustificati da elementi gravi e fra loro concordanti.

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In fase successiva ed in rapporto al primo giudizio, si potrà definire il periodo di inabilità temporanea assoluta e parziale allo svolgimento dell'attività lavorativa o attività confacente, nel caso dello studente o del pensionato.

3. La valutazione percentualistica del danno alla integrità psicofisica della persona

Questa parte del quesito è dedicata alla definizione del danno all'integrità psicofisica.

Mi sembra ragionevole che il Medico legale risponda con una valutazione percentualistica, però spiegando e giustificando questa valutazione.

In altri termini il consulente d'Ufficio non può limitarsi ad affermare che un danno all'integrità psicofisica di un soggetto è pari, ad esempio, al 15%.

Deve anche spiegare sulla base di quale meccanismo logico giunge a questo 15%, segnalando appunto al Giudice quegli elementi qualitativi che sono esplicitamente richiamati in questa parte del quesito.

Ovvero dicendo al Giudice quali riflessi hanno le menomazioni permanenti definite precedentemente, sulla sfera individuale, sulla sfera relazionale e sull'espletamento della normale attività quotidiana. Queste affermazioni sono qualitative e non delle ulteriori voci di danno, dotate di autorità propria e percentualizzabili "a parte".

La voce di danno percentualizzabile è una sola: il danno all'integrità psicofisica o danno alla salute che dir si voglia.

Si deve però dire al Giudice sulla base di quali elementi si giunge alla percentuale.

Questo sgombrerebbe il campo della critica, molto spesso giustificata, che gli Avvocati e qualche volta gli Assicuratori, un po’ meno frequentemente i Giudici, fanno a noi consulenti Medico - legali, ovvero di esprimere valutazioni percentualistiche in modo acritico e quasi ieratico.

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Terminata questa parte vi è quella non ancora ben sistematizzata dalla Medicina Legale Italiana, della proiezione del danno all'integrità psicofisica sulla capacità lavorativa del soggetto.

4. Il danno alla capacità lavorativa specifica o danno patrimoniale

Nel quesito proposto, si fa esplicito riferimento innanzitutto all'attività lavorativa specifica sviluppata dal Periziando con due sottodistinzioni:

- la prima, se il Periziando possa continuare a svolgere la propria attività lavorativa, in questo caso segnalando se ciò comporti maggior affaticamento ed eventuale ricorso alle forze lavorative di riserva.

A mio parere questo giudizio non può essere che qualitativo e non può portare ad una valutazione percentualistica perché non abbiamo basi scientifiche per poterlo fare -, ma semmai suggerire al Giudice una demandata a giudizio equitativo.

- La seconda sottoparte di questo quesito, verte sul fatto che il Periziando debba ridurre quantitativamente o qualitativamente la sua attività lavorativa.

In questo caso è necessario esprimere una valutazione percentualistica di menomazione specifica.

Evidentemente questo particolare aspetto è riservato alle menomazioni più gravi, ovvero, secondo le note proposizioni del Fiori e prima ancora del Gerin e del Cattabeni, quelle che generalmente incidono per oltre il 15-20% sull'integrità psicofisica del soggetto.

Qui tutto sembrerebbe facile, solo che vi è un grosso problema che è legato alla mancanza di prove certe.

Il Medico legale, attualmente, fa solo delle presunzioni, perché ricava le indicazioni sull'attività lavorativa dalla viva voce del Periziando non avendo nessun'altra possibilità di riscontro.

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A mio parere la soluzione deve essere diversa: quando ci viene conferito l'incarico da parte del Giudice dovrebbero esserci consegnate delle prove documentarie e/o testimoniali della effettiva mansione lavorativa del periziando.

Ho sentito molti miei colleghi affermare che questo non ci compete, ovvero che noi, nel nostro Empireo medico - legale, dobbiamo limitarci ad esprimere un parere astratto di percentualizzazione della ipotetica invalidità lavorativa specifica.

Questo parere astratto, diciamolo una volta per tutte, non esiste.

Noi non possiamo esprimere un parere avulso dalla realtà dei fatti, quando parliamo di incapacità lavorativa specifica, abdicando così al nostro ruolo di tecnici e divenendo responsabili di sperequazioni.

Non mi soffermo sull'altro aspetto che è quello più chiaro, più facile, ovvero quando il Periziato non può più svolgere in assoluto la sua attività lavorativa e, in tal caso, se egli possa svolgere attività similari compatibili.

Qui la situazione è abbastanza chiara e si prospetta solo per delle menomazioni gravi dell'integrità psicofisica, fatte anche in questo caso le eccezioni di regola.

5. La valutazione della invalidità della capacità lavorativa potenziale

Passiamo poi ad esaminare la proiezione della menomazione dell'integrità psicofisica sulla potenzialità lavorativa.

Al fine di sgombrare il campo da equivoci dico subito che non voglio con questa frase dare nuova vita al fantasma della "incapacità lavorativa generica".

Il danno alla capacità lavorativa generica, lo diciamo fin dall'inizio, è integrato in quello alla salute del soggetto e non può essere calcolato a parte, altrimenti rappresenterebbe un inutile e perniciosa duplicazione delle voci di danno.

Vi è però una situazione nella quale io sono obbligato come medico legale a fare riferimento alle potenzialità lavorative del soggetto.

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Questa situazione è nota a tutti ed è quella del minore o del soggetto disoccupato e che si trova menomato nella sua integrità fisica per un valore non marginale, ovvero superiore al 10%.

In questa situazione posso io risolvere il problema valutativo del danno alla persona, nella sua globalità, esprimendo una sola percentuale di danno? Commetterei, evidentemente, una ingiustizia. Mi limiterei cioè ad assegnare un danno base uguale per tutti e negherei al soggetto un danno patrimoniale, quando in realtà questo esiste.

Se, ad esempio, io mi trovo di fronte ad un giovane di 16 anni, che ha la perdita anatomica di un arto inferiore e quindi una invalidità "biologica" del 70%, potrei tranquillamente assegnare una unica percentuale di danno e affermare che questa è più che sufficiente a soddisfare tutte le necessità di giustizia del soggetto menomato?

Oppure è giocoforza ammettere che questo danno del 70% all'integrità psicofisica del soggetto, si proietterà in qualche modo sulla sua capacità lavorativa potenziale?

In questo caso sono dell'opinione che comunque si debba esprimere una valutazione qualitativa e poi anche delle percentuali, sulla ragionevole proiezione lavorativa futura di questo danno all'integrità psicofisica, in base alla preparazione tecnica e culturale, al sesso ed all'età, permettendo così al giudice di liquidare da un lato il danno base uguale per tutti, ma dall'altro anche il danno conseguenza, perché questo soggetto ha comunque un danno-conseguenza attuale e non solo potenziale: quello, ad esempio, di non trovare facilmente lavoro.

D'altro lato che vi sia un disagio concettuale nell'inserimento di questo danno di potenzialità patrimoniale, nell'ambito danno alla salute, era evidente fin dall'inizio a tutti i maestri della Medicina Legale ed è stato parzialmente risolto con la proposta pratica di

"personalizzazione del punto" o di "punto pesante".

Cioè di suggerire al Giudice una adeguata integrazione economica dl quantum solitamente assegnato a punto biologico, al fine di porre una differenziazione delle compensazioni.

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Questo tipo di soluzione tuttavia fa storcere il naso agli Avvocati e ai Giudici.

Esso infatti ha due problematiche essenziali:

- la prima è che si trascina un danno di tipo patrimoniale, dentro una categoria completamente diversa che è quella del danno alla salute, cioè extrapatrimoniale;

- dall'altro che se suggeriamo una integrazione economica del quantum, non diciamo al Giudice di quanto deve essere fatta questa integrazione.

Evidentemente pertanto non forniamo delle soluzioni al Giudice, ma delle complicazioni, perché diamo luogo ad una affermazione piuttosto generica: "Signor Giudice, posto che il valore economico di questo "punto biologico" va integrato, decida Lei di quanto".

6. La valutazione del danno morale

Brevemente passiamo alla valutazione della “scala dei patimenti” fisici e psichici.

Tale scala è un concetto ampiamente utilizzato dalla Medicina Legale francese (si veda ad esempio quanto nel commento ai Barèmes Fonctionnels di Canepa e Coll., Giuffrè ed. 1986).

Chiunque di noi abbia avuto modo di leggere una perizia redatta da un esperto di Cancelleria di qualche Tribunale Francese, avrà visto come al medico legale (l’esperto di Cancelleria per l’appunto) venga anche proposto esplicitamente dal giudice il quesito sulla scala dei patimenti: quanto quel soggetto abbia patito in relazione alle lesioni riportate nel fatto antigiuridico e quanto presumibilmente dovrà patire in futuro, posto che debba sottoporsi ad altre terapie di una certa entità.

Questa scala dei patimenti mi sembra una giusta idea da inserire anche nel nostro quesito per dar luogo ad una adeguata valorizzazione e modulazione del calcolo del danno morale.

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E’ una scala abbastanza semplice che potrà essere eventualmente corretta e suddivisa in cinque livelli come quella proposta in Francia da Thierry e Nincourt.

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