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Le frontiere incerte fra danno morale e danno biologico Dr. W. Brondolo

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Academic year: 2022

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Le frontiere incerte fra danno morale e danno biologico

Dr. W. Brondolo* -Dr. A. Marigliano** - Dr. A. Farneti***

Le sentenze n. 184 del 1986 e n. 356 del 1991 della Corte Costituzionale hanno riconosciuto la legittimità del risarcimento del danno non patrimoniale definendo il danno morale “turbamento transeunte soggettivo”.

Ne consegue, come sostiene sinteticamente il Giannini, che “allo stato il danno non patrimoniale altro non è che il danno morale subbiettivo consistente nella sofferenza fisica e psichica ingiustamente provocata dall’autore del fatto illecito”.

Al di là del titolo, che ne costituisce un aspetto consequenziale, lo scopo propostoci in questa esposizione, è il tentativo di identificazione di criteri tecnicamente più validi per l’accertamento e la liquidazione della “sofferenza”, giuridicamente rilevante sotto l’aspetto risarcitorio.

Non intendiamo, in questa sede, entrare nel merito della questione definitoria, in senso stretto, del danno morale, le cui connotazioni nel tempo, sono state ormai delimitate dalla dottrina, definendolo danno non patrimoniale e, come tale, da affidare ad una sua liquidazione equitativa, proprio perché difficilmente quantificabile.

Di fronte alla ormai accettata autonomia del danno alla salute, inteso come compromissione temporanea e/o permanente dell’integrità psicofisica dell’individuo, ci si è chiesti (altri prima di noi hanno già colto questo spunto), quali siano oggi i contenuti, i limiti, le caratteristiche del danno morale, si vi siano compresi elementi di possibile valutazione tecnica, oppure se esso debba rimanere di esclusivo apprezzamento del magistrato o delle parti in sede stragiudiziale.

Ed ancora ci si deve interrogare sulla affettiva equità dei criteri che conducono al riconoscimento e di conseguenza alla liquidazione di un danno morale effettuata con parametri rigidi, uniformi, solo in funzione di elementi di fatto (gravità e durata della malattia e del ricovero, numero ed eventuali interventi chirurgici più o meno rischiosi e dolorosi, gli esiti permanenti come fatto qualificante la qualità delle conseguenze della lesione), laddove esso, per definizione, si fonda su elementi solo soggettivi e perciò spesso assai variabili.

Alcuni di questi elementi, tuttavia, potrebbero essere meglio illustrati, in modo da rendere meno

“meccanica” l’attuale metodologia risarcitoria.

Allo scopo di enucleare gli aspetti di possibile valutazione tecnica medico legale si rende necessario affrontare, preliminarmente, il problema dei limiti e contenuti del danno morale, precisando che, in questa sede, intendiamo solo riferirci al danno morale del soggetto leso e non a quello dei superstiti che, allo stato, trova una sua consolidata definizione risarcitoria, che non si intende qui discutere, e neppure alla sofferenza psichica, cosiddetta indiretta, da gravi menomazioni di un congiunto (danno alla serenità familiare e similari).

Secondo le definizioni della giurisprudenza, della dottrina giuridica e di quella medico legale, con la denominazione “danno morale” si intendono genericamente le sofferenze fisiche e psichiche, la compromissione temporanea della qualità di vita, quel disagio più o meno prolungato avvertito da tutti coloro che, per un repentino mutamento delle condizioni di salute, vengono bruscamente interrotti e impediti nelle loro occupazioni consuete, quotidiane, ecc.

* Medico Legale, Milano

** Psichiatra, Istituto di Clinica Psichiatrica, Università di Milano

*** Ordinario di Medicina Legale, Università di Milano

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Questo “disagio = sofferenza” può assumere le più diverse connotazioni che dipendono dal tipo di lesione riportata, dalle modalità di trattamento medico della stessa, dalla necessità di ospedalizzazione, dalle caratteristiche degli esiti, dalla opportunità/necessità di cure future, dalla reattività del singolo a fronte di questo complesso di eventi sfavorevoli.

Per fare solo qualche esempio, tratto dall’esperienza, si pensi al danno odontoiatrico del minore o anche dell’adulto che debba sottoporsi periodicamente, nell’arco della vita, a cure dello specialista, per il necessario rinnovo di apparecchi protesici; vi sono pazienti in cui ciò produce, ogni volta, un profondo “transeunte turbamento soggettivo” originato dall’ansia, dal timore di sentire dolore, tanto da instaurare un vero stato fobico che si ripeterà ogniqualvolta dovrà sottoporsi a tali cure.

Inverso è il caso del neuroleso periferico, che non sente il dolore, non avverte sofferenza: non presenta quindi gli elementi indispensabili a concretare un “transeunte turbamento soggettivo”

valutabile, seppure in via presuntiva.

Ed ancora, da ricordare, la sofferenza derivante da particolari “neuropatie” periferiche, per fortuna assai rare, che si riscontrano dopo un evento traumatico che abbia leso (“stiramento”, sezione o contusione) un tronco nervoso anche modesto. La sintomatologia è costituita da intensi dolori e turbe sensitive che hanno la caratteristica di essere assai difficilmente diagnosticabili e non sempre rapportabili alla lesione primitiva.

Da riscontro peraltro non frequente sono da ricondurre alla formazione di neuromi periferici, di difficile individuazione clinica, che inducono spesso il leso a simulare una paralisi periferica, pur di trovare un riconoscimento e, quindi, una terapia.

Analizzando schematicamente i diversi tipi di sofferenza che pertengono al danno morale, è possibile, a nostro avviso, distinguere queste eventualità:

a) la sofferenza inerente al tipo di lesione, quindi, con una dimostrabile spiegazione anatomo- funzionale della stesso;

b) l’alterazione obbligata dei consueti ritmi esistenziali (derivanti, ad esempio, dalle regole del regime ospedaliero durante il ricovero, ecc.);

c) il pregiudizio alla propria immagine pubblica;

d) la sofferenza psichica per il turbamento del senso di integrità del sé corporeo;

e) la sofferenza psichica per l’abbandono, a causa di gravi menomazioni, da parte di una persona cara.

Gli spetti sopra prospettati si riferiscono, con ovvia evidenza, due tipi di dolore: quello di origine fisica, che nasce dalla stimolazione di specifici sensori nervosi periferici, e quello di origine psichica inteso come patema d’animo, preoccupazione, ansia, turbamento psicologico.

Il dolore fisico è insito, con maggiore o minore intensità, in qualsiasi modificazione peggiorativa della integrità corporea della persona, cioè in qualsiasi lesione fisica anche minima; è parte integrante del pregiudizio dello stato di salute, è insito nella lesione, nella conseguente malattia e, sovente, anche componente degli esiti della stessa: caratterizza quindi il danno alla salute, ne è, anzi, una delle componenti più significative e di disturbo, analogamente ad altri sintomi fisici (la temperatura febbrile, le limitazioni funzionali connesse alla lesione, la nausea, il vomito, ecc.) che nessuno penserebbe di far rientrare nel danno morale.

Esso quindi, a nostro parere, è implicitamente compreso nel danno alla salute (o biologico).

La valutazione medico legale dovrebbe però fornire utili indicazioni in termini in entità e durata del “dolore fisico” che, come abbiamo detto, è specifico di ogni quadro lesivo, senza però voler esigere dal tecnico apprezzamenti impossibili, quali l’accertamento della effettiva e reale intensità del dolore nel singolo caso, trattandosi di un parametro per ora difficilmente accertabile.

Infatti a parità di compromissione organica non corrisponde identica sensazione dolorosa, per la ben nota variabilità individuale nella percezione e nella capacità di tollerare; tuttavia è un dato clinico corrente che la stessa lesione, trattata con metodi terapeutici differenti, comporti sensazioni dolorose più o meno intense e più o meno prolungate nel tempo.

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E’ il caso, ad esempio, di una frattura del femore o delle ossa della gamba trattate con apparecchio gessato o chirurgicamente con osteosintesi.

Nel primo caso la sensazione dolorosa si protrae nei primi tempi fino all’inizio della consolidazione; nel secondo il dolore è destinato a diminuire sensibilmente nell’immediato decorso postoperatorio; oppure di fratture esposte, infette, che comportano - di regola - un solo intervento chirurgico, ma accompagnate nel tempo di guarigione da ripetute e dolorose medicazioni, da quotidiani lavaggi antibiotici, per giungere alla loro fissazione con una sorte di gabbia immobilizzante (il fissatore esterno) da tenersi per almeno 3-4 mesi, con comprensibile disagio nella vita del leso.

Si pensi all’ustionato grave, la cui lunga degenza è costellata quotidianamente da dolorosissime medicazioni per giungere - prima della guarigione - ad una serie di interventi di chirurgia riparativa che lo costringono, assai spesso, in anomale posizioni coatte.

Inoltre, lesioni in sé di lieve o modesta entità, quali la frattura di una o due coste non complicata e che giunge a guarigione senza postumi o con esiti modestissimi, si accompagna notoriamente ad intensa sintomatologia dolorosa, a dispnea, ed a limitazioni anche consistenti per la qualità di vita del soggetto, seppure per un periodo di tempo contenuto.

Per contro, analoga compromissione scheletrica, destinata anch’essa ad evolvere in guarigione pressoché completa quale una frattura di un osso dell’avambraccio, una volta immobilizzata in apparecchio gessato non procura particolari sofferenze, né limitazioni consistenti per la qualità di vita del leso. E’ infatti possibile che un soggetto con una frattura di un osso dell’avambraccio ridotta e contenuta in apparecchio gessato possa persino, sia pure con prudenza, guidare l’autovettura, mentre ciò è improspettabile per un fratturato costale.

Questi aspetti clinici diversi comportano, di regola, quantificazioni del danno biologico sotto il profilo medico legale, sensibilmente differenti: ad uno 0,5-1% per una frattura costale fa riscontro, mediamente, un 2-3% per gli esiti di una frattura ben consolidata di radio o di ulna.

Ne consegue che la monetizzazione del danno morale rapporta alla durata della malattia, che può anche non divergere molto nei due esempi ed all’entità dei postumi, privilegia del tutto ingiustamente la lesione meno foriera di sofferenza. Esempi analoghi si potrebbero elencare, anche con riferimento a lesioni viscerali.

A questa impostazione si può obiettare che se il dolore fisico è parte integrante del danno alla salute, non vi è motivo di cercare di valutarlo in termini di entità e durata, essendo sufficiente, in sede medico legale, quanto si compie attualmente: accertamento della inabilità temporanea (malattia temporanea biologica) e della permanente compromissione dell’integrità psicofisica.

E’ chiaro però che se si escludono le sofferenze fisiche del cosiddetto danno morale riducendo così complessivamente l’entità del risarcimento, occorre prevedere una metodologia valutativa che tenga conto anche della componente “sofferenza”, altrimenti questa resterebbe paradossalmente esclusa dal risarcimento.

In altri termini se si ritiene corretto includere nel danno alla salute anche il dolore fisico, questo deve trovare una sua indicazione risarcitoria, variando opportunamente la valutazione della temporanea e se del caso della permanente o, meglio ancora, introducendo dei parametri propri che valgano a tener distinto questo tipo di transitoria compromissione dello stato di salute.

La prassi oggi diffusa e confermata, anche recentemente sia dalla Magistratura lombarda che da altre sedi giudiziarie, di monetizzare il danno morale con riferimento all’entità del danno biologico (la metà od un quarto del valore del punto), comporta un appiattimento che, da un lato, ha lo scopo di evitare arbitrarie sperequazioni, dall’altro però, per i motivi esposti, nella sostanza si traduce in mancanza di equità in un numero non trascurabile di casi.

Ed allora riteniamo che, anche tale voce di danno (disagio = sofferenza fisica), sia che venga compresa nel danno biologico, sia che resti, come ora, parte del danno morale, non debba solo basarsi pedissequamente su elementi su elementi assunti come decisivi ed esclusivi, per una valutazione equitativa che per essere tale, debba essere aderente al caso concreto, non solo

“indagata” sulla base di elementi presuntivi assunti come parametri di un criterio del “buon senso

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comune”, criterio accettabile solo se il fatto, oggetto di valutazione, sia stato conosciuto con tutti gli strumenti tecnici che la cultura medico legale mette a disposizione.

Il Magistrato potrà chiedere al proprio ausiliare di fornire indicazioni ancorché generiche, secondo l’id quod plerumque accidit, su quanto è noto circa le caratteristiche della sintomatologia dolorosa che inerisca ad ogni lesione e tradurla in termini obiettivi connessi al caso concreto attraverso una aggettivazione efficace, in termini di comunicazione, ad esempio facendo ricorso, come suggerito dagli autori francesi, ad una aggettivazione esplicativa per quanto attiene alle caratteristiche (molto lieve, lieve, moderato, medio, intenso, molto intenso) ed invece con riferimento concreto per la durata, rifacendosi a dati documentali, o alla prassi clinica; il medico legale dovrà solo preoccuparsi di far giungere al giudicante il suo messaggio tecnico in modo chiaro ed agevolmente utilizzabile.

Appare ovvio che sarà pur sempre una modalità valutativa convenzionale, intesa a studiare i vari aspetti che concretano una sofferenza; avrà, quindi, inevitabili inconvenienti, legati sia alla liquidazione, che alla preliminare valutazione.

A differenza di quanto è stato precisato a proposito della sofferenza fisica, quella psichica che spesso non trova una precisa e dimostrabile spiegazione anatomo-funzionale, è dotata di ancor maggiore variabilità soggettiva; il vissuto personale di esperienze analoghe, simili o uguali può essere completamente diverso.

Appare quindi impossibile far ricorso al criterio analogico, non sussistendo una proporzionalità tra tipo di evento e sofferenza.

Diversi aspetti della sofferenza psichica, si riferiscono a turbamenti dell’anima, sia legati alla compromissione della propria integrità psicofisica, sia di ordine riflesso per pregiudizio di altri; si tratta, in pratica, di gravi afflizioni che possono essere il punto di partenza di vere malattie psichiche, rendendo ancora più incerto e sfumato il confine tra danno morale e danno biologico.

Quando, invece, il turbamento psichico si limita ad un “transeunte turbamento soggettivo”, senza quindi concretare un pregiudizio alla salute psichica, senza cioè comportare un danno biologico da menomazione psichica nell’accezione ampia del termine, ben può e deve essere compreso nel danno morale, del quale costituisce il nucleo essenziale.

E’ un aspetto particolare e parziale del danno alla persona, di estrema variabilità nel suo realizzarsi, che richiede un apprezzamento particolarmente esperto.

Difficile da poter essere misurato, potrà essere aggettivato nella sua entità; estremamente personale e variabile nel tempo, riteniamo che, per ora, debba trovare ristoro in un apprezzamento fatto dal giudice che si avvarrà dei parametri di riferimento fino ad oggi utilizzati, in ossequio a quella equità che la norma gli affida e che è diretta, nella sostanza, ad una uniformità di trattamento in situazioni analoghe.

La “sofferenza soggettiva” del singolo in ambito psichico sarà così tarata in più o in meno del suo reale valore, ma ciò allo stato attuale della nostra esperienza, appare ancora inevitabile, in attesa di una rapida messa a punto dei criteri clinici di determinazione del danno da menomazione psichica.

A fronte di un così ampio ventaglio di possibilità, di aspetti variegati, ciascuno con precisi risvolti negativi sulla persona, che si evidenziano con una sofferenza temporanea fisica e/o psichica, non ci sembra assolutamente possibile che una calibrata liquidazione del danno morale possa essere affidata al giudizio del Magistrato che non conosce a fondo l’iter della malattia e le condizioni psicofisiche del soggetto al momento della liquidazione, inevitabilmente quindi arbitraria, con criterio di buon senso comune, accettabile ed apprezzabile solo quando l’oggetto di valutazione sia conosciuto a fondo nello svolgersi di quella determinata esperienza di vita.

La liquidazione, lo ribadiamo, non è standardizzabile e “tabellabile”, ma richiederebbe una attenta costruzione che emerga dall’opera del tecnico e del magistrato.

Fra l’altro siamo certi che una modalità più ordinata nell’affrontare tale voce di danno non condurrebbe al rincaro del risarcimento che, siamo invece convinti, sarà di valore pari od inferiore all’attuale ma elargito con maggior convinzione, soprattutto con la certezza che la sua elaborazione

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sia fondata sulla conoscenza dei fatti, sull’iter della malattia e sulle sue caratteristiche epidemiologiche.

In sintesi, e per chiudere provvisoriamente questo non facile discorso, ci si aprono, per ora, le seguenti prospettive, alcune piuttosto drastiche, altre più accettabili, per affrontare con maggiore equità la liquidazione di un danno morale:

1) La più semplice, senza alcuna implicanza giuridica e tecnica, è di accettare l’attuale modalità liquidativa del danno non patrimoniale su elementi di valore presunto, cosa che probabilmente non accontenta nessuno, ma di cui nessuno si lamenta, aggiornando la questione a tempi più maturi.

2) Modificare la dottrina del danno biologico, includendo chiaramente anche una voce che comtempli il “transeunte turbamento soggettivo”.

3) Affidare al parere tecnico l’incarico di “valutare” la sofferenza del leso e “comunicarla” al giudicante, secondo una aggettivazione della sua intensità (molto lieve, lieve, moderata, media, intensa, molto intensa) come suggerito da alcuni autori; tale indicazione permetterebbe poi al liquidatore di variare quelle frazioni di punto, attualmente in uso, in frazioni di maggiore o minore entità, per una liquidazione più o meno importante.

4) Concludere, come riferisce Giannini in un lucido studio sull’argomento, con le ragioni di coloro che sostengono di abolire l’art. 2059. Oppure concordare con la tesi di Contardo Ferrini riportata da Piola, di risarcire il danno morale allorché quel tipo di sofferenza, riferita dal leso, sia avvertita dalla generalità degli uomini nello stesso modo e con la stessa intensità e negarlo in caso contrario.

Anche per le sue implicanze di natura giuridica, medico legale e, a nostro avviso, soprattutto economica, è un argomento che riteniamo utile da approfondire.

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