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Il danno alla persona: Discorso sul metodo per una più equa distribuzione dei risarcimenti

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Il danno alla persona: Discorso sul metodo per una più equa distribuzione dei risarcimenti

di

Gennaro Giannini*

Il problema del danno alla persona

Ha scritto F. D. Busnelli1 che la sentenza della Corte Costituzionale n. 372 del 27 ottobre 1994 costituisce una sorta di “punto e a capo” che dovrebbe (il condizionale è dell’Autore) riportare ordine ed equilibrio in una responsabilità civile sempre più squilibrata da disordinate ondate alluvionali.

Non condivido questo ottimismo (se ottimismo è), giacché, a mio avviso, quella decisione ha apportato confusione concettuale: riprova ne è che è stata immediatamente riproposta, dal Tribunale bolognese, la questione della legittimità costituzionale dell’art. 2059 cod. civ., ritenendosi non sussistere differenza ontologica tra danno morale e danno biologico di tipo psichico2.

E’ invece da condividere la constatazione delle “disordinate ondate alluvionali” che investono non solo e non tanto l’area della responsabilità, ma anche e soprattutto quella della liquidazione del risarcimento per il danno alla persona. Perché ciò avvenga, è difficile spiegarlo in sintesi e probabilmente la risposta compete più al sociologo che al giurista, dovendosi tener conto del ripudio di certi concetti, come quello di “fatalità” o “fortuito”, ossia di ogni ipotesi di danno senza responsabilità, oppure di “distribuzione della tutela risarcitoria”, con indubbi sacrifici imposti a determinati soggetti, in determinate occasioni, a tutto vantaggio di altri soggetti, da ritenere meritevoli di maggior protezione.

Un serio discorso sulla liquidazione del danno alla persona non può prescindere da alcune considerazioni fondamentali, tante volte formulate e condivise ma altrettante volte di fatto disattese, e che perciò giova richiamare.

a) Il danno alla persona non è risarcibile; è risarcibile la perdita economica, che è un pregiudizio secondario ed eventuale, non quella biologica, che è il pregiudizio primario, e neppure quella affettiva e dei sentimenti. Non esistono “ricambi” del corpo umano, come non esiste il “prezzo”

dell’uomo. Diceva Gaio: “liberum corpus nulla recepit aestimationem”. E se il corpo dell’uomo non può essere stimato, non può ipotizzarsi né la reintegrazione in forma specifica né il risarcimento per equivalente.

b) Il cosiddetto risarcimento per il danno alla persona consiste dunque nel fornire al danneggiato una utilità sostitutiva del bene irrimediabilmente perduto, che in qualche modo lo consoli per tale perdita. Il punto sta nel parametro da utilizzare per la scelta del bene sostitutivo e consolatorio, perché, in astratto, tutte le opinioni sono giustificabili, e si può sostenere che la rottura di un’unghia vale, in moneta risarcitoria, una lira come un miliardo.

c) Occorre peraltro tenere presente che le risorse economiche destinate al risarcimento del danno - ricavate per lo più dai premi assicurativi - sono limitate. Anche a non voler tener tonto dello squilibrio provocato dai lunghi tempi della giustizia civile (si liquida oggi, con i criteri

* Avv. Giurista, Milano

1 F.D. Busnelli, “Tre punti esclamativi, tre punti interrogativi, un punto e a capo”, in Giust. civ. 1994, I, 3035.

2 v. Trib. Bologna (ord.) 13 giugno 1995, in Resp. civ. Prev. 1995, 783.

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attuali, un danno per il quale i premi sono stati riscossi dieci anni addietro, e quindi in misura inadeguata), è intuitivo per tutti come i premi assicurativi non possano essere dilatati all’infinito.

Quindi, la garanzia assicurativa costituisce sempre una coperta troppo corta, e bisogna stabilire se lasciare scoperti i piedi o la testa.

d) S’impone, perciò, una scelta etica su come distribuire i risarcimenti. Si può ipotizzare se dare poco a tutti, ma sarebbe una scelta errata e ingiusta. Errata, perché il danno alla persona non si sviluppa secondo una progressione aritmetica ma secondo una progressione geometrica: più grave è il danno, più devastanti sono gli effetti (un danno permanente del 70% “vale” ben più di dieci volte di un danno permanente del 7%). Ingiusta, perché contraddice il principio della giustizia distributiva, sintetizzata nella frase di Ulpiano: “Suum cuique tribuere”, cioè a ciascuno il suo.

e) In definitiva, bisogna predisporre e utilizzare uno schema liquidativo - una sorta di convenzione sociale - che sia razionale e giusto, e al contempo compatibile sono le risorse economiche. Dopo che il sistema bipolare (danno patrimoniale - danno non patrimoniale) è stato abbandonato a ragion veduta, a seguito della contestazione giurisprudenziale registratasi negli anni Settanta, non resta che affidarsi al sistema basato sul danno biologico, che trovò il suo assetto definitivo con la sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14 luglio 1986.

Il danno alla persona va dunque risarcito sotto tre aspetti: come danno biologico, consistente nella violazione e menomazione dell’integrità psicofisica della persona - indipendentemente dalla sua capacità reddituale - che è il pregiudizio primario, centrale, sempre presente e sempre risarcibile, in quanto elemento interno del fatto illecito; come danno patrimoniale, che è un pregiudizio consequenziale esterno del fatto illecito, meramente eventuale (perché non sempre ricorrente in concreto), ravvisabile nella duplice forma (art. 1223 cod. civ.) del danno emergente e del lucro cessante; e come danno non patrimoniale, che è anch’esso un pregiudizio consequenziale esterno del fatto illecito, meramente eventuale (perché risarcibile alla condizione posta dall’art. 2059 cod. civ.), consistente nella sofferenza e nel dolore apportati dal fatto illecito.

Si tratta di tre categorie giuridiche che costituiscono un numero chiuso3: qualsiasi pregiudizio connesso al danno alla persona, per essere risarcibile, va qualificato e inserito in una di queste tre categorie4.

Il metodo per la liquidazione del danno biologico

E’ noto come i metodi maggiormente seguiti in giurisprudenza per la liquidazione del danno biologico siano quello “genovese”, che si avvale del criterio indicato dal terzo comma dell’art. 4 della Legge n. 39/77, consistente nel calcolo tabellare sul triplo della pensione sociale; e quello “pisano”, che propone il calcolo a punto, il cui valore medio è ricavato dai risultati equitativamente acquisiti dalla giurisprudenza di merito. Recentemente, è stato proposto un terzo sistema intermedio, elaborato dai magistrati milanesi, che potremmo chiamare del punto tabellare.

3 Giustamente è stata esclusa l’autonoma risarcibilità del c.d. danno alla serenità familiare (riconosciuta dal Trib. Milano 18 febbraio 1988, 454, in quanto l’ordinamento giuridico non prevede la tutela della serenità familiare quale diritto soggettivo a sé stante (Trib. Milano 26 gennaio 1995, in Giust. Mil., 1995, fasc. 3; Trib. Trento 19 maggio 1995, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1995, 782).

4 Sono stati perciò assorbiti nella categoria del danno biologico il c.d. danno alla vita di relazione, con le sottospecie del danno estetico e del danno sessuale (Cass. 17 novembre 1990, n. 11133, in Mass. Giust. Civ., 1990, fasc. 11; Cass. 5 novembre 1994, n. 9170, in Riv. Giur.

Circ. Trasp., 1995, 367), la menomazione della capacità lavorativa (Cass. 19 marzo 1993, n. 3260, in Resp. Civ. Prev., 1993, 268), la maggior fatica per mantenere inalterato il reddito (App. Milano 28 aprile 1995, n. 1240, inedita; App. Milano 30 maggio 1995, inedita), e così via.

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Il sistema genovese5 interpreta la norma sopra menzionata nel senso che il criterio ivi indicato riguarderebbe tutti i casi in cui il danno non incide o comunque prescinde dal reddito lavorativo, come appunto accade per il danno biologico6. Ma, a parte la considerazione che tale interpretazione non è condivisibile, nel senso che il criterio del calcolo sul triplo della pensione sociale concerne soltanto il danno patrimoniale ed è utilizzabile quando il danneggiato, per qualsiasi ragione non disponga di reddito lavorativo o non sia comunque in grado di esibire le denunzie fiscali7, questo metodo, pur presentando indubbi vantaggi (semplicità e rapidità del calcolo, previsioni esatta del risarcimento), ha il grave difetto della rigidità, nel senso che considera come varianti solo l’età del danneggiato e la percentuale della invalidità permanente, senza badare al contenuto concreto del danno biologico accertato, che è operazione necessaria onde adeguare il risarcimento all’effettivo pregiudizio. In particolare, il metodo genovese non è utilizzabile ogni qual volta acquisti rilevanza la distinzione tra aspetto statico (che è il danno puramente fisiologico) e aspetto dinamico (utilità sottratte alla vita del danneggiato). Per esempio, il danno arrecato a un arto non utilizzato, perché già menomato, va risarcito solo come danno fisiologico (aspetto statico) e non anche sotto il profilo dinamico, stante la sua pregressa inutilizzabilità, e perciò il risarcimento va liquidato in misura più modesta; per converso, nel caso che venga menomato un arto sano in un handicappato, il danno pur presentando il medesimo aspetto statico dei casi consimili in soggetti sani, appare ben più grave nel suo aspetto dinamico, perché sottrae al danneggiato quella sia pur ridotta autonomia della quale godeva, e perciò il risarcimento va liquidato in misura maggiore.

Per queste considerazioni, appare senz’altro preferibile il metodo pisano, consentendo al magistrato di utilizzare un criterio (il valore del punto) uniforme di base per tutti ma al contempo elastico, in modo da adattare il risarcimento al pregiudizio concreto, come del resto ebbe ad auspicare la stessa Corte Costituzionale8; metodo che gode ora anche del favore della c.s.9.

Tuttavia, neppure il metodo pisano è esente da difetti o, quanto meno, da rischi applicativi.

Richiede, infatti, un approfondita preparazione specifica in tema di risarcimento del danno, che sovente il magistrato non possiede; il calcolo non è semplice, nel senso che occorre tenera conto di tutte le circostanze che connotano il caso concreto; ragione per la quale, il risarcimento liquidabile non sempre risulta prevedibile con esattezza in sede stragiudiziale, salvo che il valore del punto - da flessibile, com’è stato ideato - finisca per essere utilizzato in modo rigido, ossia sempre per uno stesso ammontare. In questo modo, si perderebbe - come si è perso nella prassi - il pregio più rilevante del metodo. Si aggiunga, infine, il rischio non secondario che il valore del punto venga stabilito in modo arbitrario, con sensibili differenze anche tra le diverse sezioni dello stesso tribunale, con sperequazioni inammissibili.

Pregi e rischi del metodo “milanese” o del punto tabellare

Si diceva che, di recente (anno 1995), i magistrati milanesi hanno redatto una tabella per il valore a punto, che varia in misura progressiva in relazione alla gravità della menomazione (più grave è il danno, maggiore è il risarcimento) e in misura regressiva in relazione all’età del danneggiato (più anziano è il danneggiato, minore è il risarcimento, sul presupposto che il soggetto giovano dovrà sopportare più a lungo - tenuto conto della vita media probabile - il danno biologico accertato e viceversa). Il valore del punto suggerito dalle tabelle è meramente indicativo, e il magistrato può

5 Per una compiuta esposizione del quale si rinvia a Trib. Genova 17 febbraio 1989, in Ass., 1989, II, 2, 121.

6 v. anche App. Genova 4 gennaio 1993, 8 febbraio 1993, 15 febbraio 1993 e 24 marzo 1993: decisioni riportate tutte in Dir. Econ. Ass., 1993, pagg. 885-895.

7 v. da ultimo Cass. 10 giugno 1994, n. 5669, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1994, 824; Cass. 1 novembre 1994, n. 10269, ibidem, 1995, 332;

Cass. 9 dicembre 1994, n. 10539, in Ass., 1995, massimario, m. 66; nonché Corte Cost. 24 ottobre 1995, n. 445, in Giust. Civ., 1996, 16.

8 v. Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, c. 2053, segnatamente al § 20 della motivazione in diritto.

9 v. Cass. 13 aprile 1995, n. 4255, in Giust. Civ., 1996, I, 507.

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adottare un diverso valore, a seconda del caso concreto, giustificando tale decisione con una pur succinta motivazione.

Si direbbe che questo sistema abbia conciliato i pregi del sistema genovese (rapidità di calcolo, prevedibilità del risarcimento) con quelli del sistema pisano (flessibilità del valore del punto).

Purtroppo, anche il sistema milanese, dopo poco più di un anno di applicazione giudiziaria, presenta un grave inconveniente.

La diversificazione progressiva e regressiva del valore del punto, pur essendo giusta in sé (risarcimento modesto per il danno lieve, risarcimento elevato per il danno grave) ha finito per scontentare quanti o per la modestia del danno o per l’età del danneggiato, si sono visti ridurre i risarcimenti. Mantenere le distanze tra il danno modesto (il cui risarcimento s’intende elevare), il danno di media gravità e le macrolesioni (i cui risarcimenti automaticamente dovrebbero essere maggiorati) è divenuta un’operazione piuttosto difficile.

Per giunta, il compenso elevato che risulta liquidabile per i danni di una certa gravità, soprattutto in soggetti giovani (soluzione - sia ben chiaro - da condividere, per la sua rispondenza al principio della giustizia distributiva), ha fatto dirottare sulla sede giudiziaria milanese controversie che, se decise nel Foro di residenza del danneggiato, avrebbero comportato la liquidazione di un risarcimento più contenuto.

Lo spostamento della competenza risulta agevolato non solo dalla circostanza che non poche imprese assicuratrici hanno sede a Milano, ma anche dal fatto che l’eccezione di incompetenza territoriale, per essere operativa nelle ipotesi di litisconsorzio necessario (come nel caso dell’azione diretta, promossa ai sensi dell’art. 18 della Legge n. 990/69, per i sinistri stradali), dev’essere sollevata da tutti i convenuti, restando inefficace l’eccezione di uno soltanto di essi, ancorché in contumacia dell’altro, per il carattere inscindibile della causa10.

La verità è che le tabelle milanesi esprimono valori che non possono non ritenersi collegati al costo della vita in Milano, che è una delle città più care d’Italia; e che i criteri liquidativi non possono prescindere dalla variante data dalle peculiarità dell’ambiente (e dei costi dei beni) in cui il danneggiato vive ed opera11.

In una recente sentenza di una Corte di merito12 si legge testualmente: “ ... anche il danno biologico - pur essendo danno evento in quanto lesivo del valore uomo - va tuttavia monetizzato e, nella monetizzazione, un serio progetto risarcitorio non può trascurare caratteristiche e modalità di riparazione della compromissione delle capacità espansive della personalità individuale. Ne deriva che utilità sostitutive e beni riparatori andranno valutati con riferimento agli inferiori costi sloveni di acquisizione al fine di mantenere un analogo tenore di vita”. Nel caso deciso - che, come si ricava dalla massima e dalla motivazione, riguardava il danno subito in Italia da soggetto residente e operante in Slovenia - la Corte ha ritenuto opportuno ricorrere a un apprezzamento equitativo (artt.

1226 e 2056 cod. civ.), riducendo in tal modo il risarcimento che sarebbe stato liquidato se il danneggiato fosse stato residente a Trieste.

Nella monetizzazione del risarcimento va dunque considerato anche il contesto socioeconomico nel quale vive il danneggiato, senza che ciò costituisca iniqua discriminazione. La diversa monetizzazione non significa affatto che il danno biologico di un soggetto residente in una città, dal costo di vita elevato, valga di più di quello di un soggetto non residente, perché certamente il danno biologico è uguale per tutti; significa, invece, che lo stesso valore di danno viene espresso in moneta diversa, o più esattamente, con moneta che ha un diverso potere di acquisto, e perciò si deve fare in

10 Si tratta di un principio pacifico: v. Cass. 14 giugno 1986, n. 3959, in Mass. Giust. Civ., 1986, fasc. 6; Cass. 9 febbraio 1988, n. 1416, in Ass., 1988, massimario, m. 122; Cass. 25 novembre 1989, n. 5116, ibidem, 1990, m. 10.

11 v. anche Cass. 7 gennaio 1991, n. 57, in Arch. Giur. Circ. Sin., 1991, 305

12 App. Trieste 25 gennaio 1995, in Ass. Internaz. Veicoli, 1995, 153

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modo che i danneggiati, con i risarcimenti rispettivamente loro assegnati, possano acquistare la stessa quantità di beni e quindi ricevere una medesima utilità sostitutiva.

Un caso particolare: la liquidazione del danno biologico in ipotesi di lesioni mortali

E’ noto come la Corte Costituzionale, respingendo l’eccezione di incostituzionalità degli artt.

2043 e 2059 cod. civ. per l’ipotesi di lesioni mortali13, abbia però ammesso la trasmissibilità agli eredi della vittima il risarcimento per il danno biologico, acquisito nel suo patrimonio nell’arco di tempo intercorso tra lesione e l’attimo antecedente il decesso.

Trattandosi di una sentenza interpretativa di rigetto, avente efficacia per il solo caso deciso14, certa giurisprudenza di merito prosegue nel ritenere risarcibile agli stretti congiunti il danno biologico iure proprio, inteso come danno alla vita di relazione, per la perdita del familiare15, ovvero nel ritenere trasmissibile agli eredi l’intero risarcimento spettante alla vittima per il danno biologico totale16.

Altre decisioni accolgono, invece, il principio enunciato dalla Corte Costituzionale, ma con risultati sorprendentemente disparati in ordine al quantum.

Per esempio, la s.c., applicando in principio predetto, ha confermato la liquidazione disposta dalla Corte d’Appello di Napoli in £. 79.20017; il Pretore di Jesi, ritenendo trasmissibile iure hereditatis il risarcimento per il danno biologico subito dalla vittima durante ventun giorni di coma, ha liquidato ai genitori della vittima la somma di £. 500.000.000, pari a £. 5.000.000 per ciascun punto di invalidità18.

Per non cadere in una ennesima anarchia liquidativa, occorre affrontare con coerenza giuridica, ma anche con buon senso, il problema dei criteri in base ai quali possa essere determinato il risarcimento attribuibile alla vittima e da questa trasmessa agli eredi.

Da un lato, sarebbe ingiusto liquidare il risarcimento in misura pari a quella liquidabile per una ordinaria invalidità temporanea, dovendosi pur tener conto del rapido deteriorarsi del bene salute, quale danno-evento causato dall’azione dolosa o colposa. Non si può neppure liquidare il risarcimento per il danno biologico totale, se si ammette che la morte - quale momento terminale e conclusivo della totale distruzione del valore biologico dell’uomo - impedisce, secondo l’enunciazione della Corte Costituzionale19, “che la lesione si rifletta in una perdita a carico della persona offesa, ormai non più in vita”.

Una interessante e recentissima sentenza del Tribunale di Firenze20 affronta preliminarmente la questione della “non immediatezza” dell’evento mortale rispetto alla lesione, dovendo escludere la trasmissibilità del risarcimento - sempre che si condividano le indicazioni della Corte Costituzionale - in ipotesi di morte c.d. immediata. Sul punto, si osserva che non è sufficiente la constatazione della semplice sopravvivenza del soggetto leso all’attimo della violazione dell’integrità psicofisica, giacché, “ove la morte fosse estremamente ravvicinata alla lesione, quest’ultima non potrebbe essere riguardata come violazione del bene salute (non essendo apprezzabile in quanto riduzione/perdita della integrità psicofisica del soggetto), ma diverrebbe tout court lesione del bene vita”; e si perviene alla conclusione che occorre la prova sulla circostanza che la vittima “abbia vissuto in una situazione di menomazione della pregressa integrità psicosomatica - ancorché tale menomazione sia stata

13 Cort. Cost. 27 ottobre 1994, n. 372, in Resp. Civ. Prev. 1994, 976.

14 Il principio della efficacia (delle sentenze interpretative di rigetto) limitatamente al giudizio a quo è stato di recente ribadito da Cass. Pen.

Sez. Unite 13 dicembre 1995 - 29 gennaio 1996, Clarke, in Gazzetta Giur., 1996, 21.

15 Trib. Treviso 27 dicembre 1994, in Resp. Civ. Prev., 1995, 617.

16 Trib. Napoli 16 gennaio 1995, in Resp. Civ. Prev., 1995, 616.

17 Cass. 28 novembre 1995, n. 12299, in corso di pubblicazione su Resp. Civ. Prev.

18 Pret. Jesi 11 luglio 1995, n. 136, in corso di pubblicazione su Resp. Civ. Prev.

19 Corte Cost. 24 ottobre 1994, n. 372, al § 2.1 della motivazione in diritto.

20 Trib. Firenze 26 gennaio 1996, n. 213, in corso di pubblicazione su Resp. Civ. Prev.

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talmente grave da indurre il successivo decesso - e che sia vissuto quel tanto da consentire alla menomazione medesima da acquistare autonoma esistenza”.

In altre parole, l’intervallo dev’essere tale da consentire, nel caso concreto, la distinzione ontologica tra lesione (ossia violazione dell’integrità psicofisica), menomazione (ossia vita in una situazione di integrità psicofisica compromessa) e decesso (perdita della vita); tenuto peraltro presente che si tratta di un danno-evento, e che quindi non è necessaria “una durata dello stato di malattia tale da consentire il concreto esplicarsi delle conseguenze della menomazione sulla futura qualità di vita del leso”. E, sul punto, il Tribunale fiorentino appare senz’altro in sintonia con la sentenza n. 184/86, allorché la Corte Costituzionale avvertiva non essere vero “che la lesione ... della generale integrità biopsichica venga perseguita, attraverso il risarcimento ex art. 2043 cod. civ. solo se e nei limiti in cui rende in concreto, il soggetto passivo dell’illecito incapace, in tutto od in parte, di produrre o ricevere le utilità derivanti dal mondo esterno o dalla sua attività”, essendo invece

“l’ingiustizia ... insita nel fatto menomativo dell’integrità biopsichica, il fondamento giuridico del risarcimento del danno biologico”21; senza, con ciò, elidere la rilevanza - come meglio si chiarirà in prosieguo - dell’aspetto dinamico di tale fondamentale pregiudizio.

Per quanto concerne il problema specifico della liquidazione del risarcimento, il Tribunale di Firenze ritiene ininfluente la durata della sopravvivenza, non potendosi ritenere maggiore il danno alla salute quanto più sia sopravvissuto il leso; al contrario, una lesione del bene salute che consenta al leso una lunga malattia prima della morte dovrebbe tendenzialmente considerarsi meno grave di quella che induca ad una rapida morte consentendo solo una minima sopravvivenza”.

Quanto, infine, ai criteri di monetizzazione, il Tribunale opta per il metodo del calcolo a punto, secondo il più recente orientamento della s.c.22; e, rilevato che la liquidazione usuale (per quella sede giudiziaria) prevede un valore massimo per ciascun punto di invalidità in £. 8.400.000, stabilisce in astratto un risarcimento pari a £. 840.000.000, che viene peraltro ridotto del 36%, e quindi a £.

537.600.000, in considerazione dell’età della vittima (anni 56).

La sentenza del Tribunale fiorentino, lodevole per la chiarezza degli approfondimenti, può essere senz’altro condivisa per ciò che concerne l’interpretazione del requisito della non immediatezza della morte, la non influenza della durata del periodo di sopravvivenza e la rilevanza, ai fini della determinazione del risarcimento, dell’età del soggetto leso. Appare, invece, eccessiva quanto alla monetizzazione del risarcimento.

Riassumendo i termini del problema e sempre che, beninteso, si voglia condividere le indicazioni di cui alla sentenza n. 372/94 della Corte Costituzionale, occorre considerare che:

• nel caso di morte ravvicinata - ancorché non immediata, secondo la distinzione ontologica operata dal Tribunale di Firenze - va risarcito il solo aspetto statico (danno fisiologico) e non anche quello dinamico del danno biologico: non perché manchi la perdita delle utilità della vita (perdita che è totale, ma che è risarcibile soltanto ove si considerasse anche la morte come evento di danno o danno-evento), ma perché manca la sopportazione, ossia il patimento della vittima per la perdita23;

• conseguentemente non può essere liquidato il danno totale, ossia il 100% del danno biologico, ma bisogna apportare una congrua riduzione a tale valore;

21 Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 184, cit., al § 13 della motivazione in diritto

22 Cass. 13 aprile 1995, n. 4255, cit.

23 E’ da rammentare che la Corte Costituzionale, nella menzionata sentenza n. 372/94 (§ 2.1 della motivazione in diritto) ritiene errato rapportare il danno risarcibile alla lesione per se stessa, indipendentemente dalle conseguenze pregiudizievoli.

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• nella liquidazione equitativa del risarcimento va considerata anche l’età della vittima, essendo fattore rilevante la durata della vita media probabile del soggetto leso.

L’utilizzazione del calcolo a punto, in questo caso, porta ad un risultato esorbitante. In base alle tabelle milanesi attuali, il valore massimo del punto oscilla tra £. 439.000.000 (per i soggetti più anziani) e £. 1.536.500.000 (per i soggetti più giovani): la media è pari a £. 768.250.000. Poiché il numero dei sinistri mortali è di circa ottomila l’anno, l’adozione del calcolo a punto comporterebbe una spesa complessiva superiore ai seimila miliardi di lire per ciascun anno, per il solo danno biologico in ipotesi di lesioni mortali. Francamente, non è un costo economico sostenibile, almeno in questo momento.

Come si diceva all’inizio, l’intera questione del danno alla persona è risolvibile solo con una sorta di convenzione sociale, che offra criteri equi e al contempo compatibili con le risorse economiche disponibili.

L’auspicabile contenimento del costo economico del risarcimento, anche in ipotesi di lesioni mortali, suggerisce l’adozione del diverso criterio del calcolo tabellare sul triplo della pensione sociale, quale valore indicativo per la liquidazione del danno secondo equità. Intendiamoci: la s.c. ha abbandonato il precedente agnosticismo sul metodo liquidativo utilizzabile per il danno biologico24, sia ribadendo che l’art. 4, comma terzo, della Legge n. 39/77 trova applicazione solo per la liquidazione del danno patrimoniale25, sia optando poi apertamente per il metodo pisano26. Ma anche a non voler tener conto di una decisione massimata - a quanto pare - in modo inesatto27, almeno in una occasione28 la s.c. consentì l’utilizzazione del calcolo tabellare sul triplo della pensione sociale per la liquidazione equitativa del danno biologico. Il calcolo predetto, che si basa anche sull’età del soggetto leso, può quindi fornire un utile riferimento per stabilire la somma da assegnare agli eredi in ipotesi di lesioni mortali.

La liquidazione del danno patrimoniale

La liquidazione del danno patrimoniale non presenta particolari problemi se non quello del rischio di una liquidazione automatica - ossia senza che sia stata fornita la prova di una reale o quanto meno probabile flessione del reddito - e quindi di una duplicazione di risarcimenti.

Il danno patrimoniale consiste in una effettiva - e non ipotetica - diminuzione del patrimonio del danneggiato, cioè “nella sofferta privazione (sotto i profili sia della perdita che del mancato guadagno) di un concreto valore economico posseduto, non di una mera attitudine redditizia latente”29. E perciò, una volta liquidato il danno biologico - che, giova rammentare, ricomprende anche la menomazione della c.d. capacità lavorativa generica - al giudice non è più consentito procedere aprioristicamente alla liquidazione di un ulteriore danno “da permanente”30.

Piuttosto, non va sottaciuta né sottovalutata la questione della rivalutazione e degli interessi: voci che contribuiscono, sovente in misura sensibile, ad appesantire il costo dei sinistri. Non è certo

24 Agnosticismo espresso ancora, da ultimo, in Cass. 1 dicembre 1994, n. 10269, in Mass. Giust. Civ., 1994, fasc. 12.

25 v. la giurisprudenza citata alla nota 7.

26 Cass. 13 aprile 1995, n. 4255, cit.

27 Cass. 3 giugno 1994, n. 5380, la cui massima - che si legge anche in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1994, 891 - afferma che il giudice, nella liquidazione equitativa del danno biologico, ben può avvalersi della disciplina dell’art. 4 della Legge n. 39/77, la quale “offre una seria base di calcolo del cosiddetto valore economico convenzionale dell’uomo nella parte in cui stabilisce che il limite minimo invalicabile è costituito dal reddito non inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale”.

28 v. Cass. 16 gennaio 1985, n. 102, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1985, 521.

29 Cass. 13 gennaio 1993, n. 357, in Resp. Civ. Prev., 1993, 1038.

30 v. Cass. 9 dicembre 1994, n. 10539, in Mass. Giust. Civ., 1994, fasc. 12, anche se riferita alla risarcibilità delle micropermanenti.

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questa la sede per esaminare e discutere della nota decisione delle sezioni unite della s.c.31, di non facile lettura e di ancor meno facile attuazione.

Nella prospettazione di uno schema generale per il risarcimento del danno alla persona bisogna tener conto anche di questo problema e auspicare che venga attuato il c.d. principio di indifferenza, nel senso che dev’essere reso indifferente - perché economicamente equivalente - il momento della determinazione del risarcimento tanto per il debitore (che non deve aver interesse a ritardare il pagamento del debito) quanto anche per il creditore (che non deve avere interesse a ritardare l’esazione del credito).

La liquidazione del danno morale

“Nella liquidazione del danno no patrimoniale derivante da fatto illecito, il giudice di merito deve tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma liquidata adeguata la particolare caso concreto”32.

Queste indicazioni della s.c. sono sovente ignorate dai giudici di merito, che sono soliti rapportare automaticamente la liquidazione del risarcimento per il danno morale a una quota del risarcimento liquidato a titolo di danno biologico. Il procedimento è del tutto arbitrario, dovendosi quanto meno tener conto delle “effettive sofferenze patite” dal soggetto leso; sofferenze che, grazie anche alla evoluzione delle tecniche chirurgiche e delle cure mediante farmaci, sovente non corrispondono alla gravità della lesione. Già lo scorso anno, in occasione del IV Congresso Internazionale di Montecatini33, fu fatto presente come una lesione di modesta entità biologica (per esempio, la frattura di una o due coste non complicata) possa comportare una intensa sintomatologia dolorosa, mentre una lesione ben più consistente dal punto di vista biologico (come per esempio la frattura del femore e delle ossa della gamba trattate con apparecchio gessato o con osteosintesi chirurgica) possano provocare una sensazione dolorosa limitata ai primi tempi e destinata a scomparire già nell’immediato decorso postoperatorio.

Tutto questo per dire che, per una più realistica liquidazione del danno-sofferenza, sarebbe opportuno ricorrere ad una scala valutativa convenzionale del dolore34 e quindi inserire, nei quesiti da sottoporre al consulente tecnico medico legale, anche la richiesta di una indicazione circa la intensità del dolore che accompagna, in base all’esperienza clinica, il tipo di lesione accertato.

Riflessioni conclusive

Una recente sentenza del Tribunale di Torino35 ha scoperto il danno “esistenziale”. Ne è stata ricavata questa massima: “Poiché nella famiglia si esplica la personalità di ciascun componente, estrinsecandosi in diritti inviolabili riconosciuti e garantiti a livello costituzionale, il fatto illecito del terzo - incidente sul diritto di un congiunto - che determini in via immediata e diretta la lesione dei diritti correlati dei familiari, determina in capo a questi ultimi un danno ingiusto, autonomamente risarcibile ex. art. 2032 c.c. e qualificabile come danno esistenziale”.

31 Cass. sez. unite 17 febbraio 1995, n. 1712, in Resp. Civ. Prev., 1995, 533.

32 Cass. 6 ottobre 1994, n. 8177, in Mass. Giust. Civ., 1994, 1195. V. anche Cass. 6 febbraio 1996, n. 1474, attualmente inedita.

33 v. gli Atti pubblicati nel volume Le nuove frontiere del danno risarcibile, Ed. Acomep, Pisa, 1996, segnatamente a pag. 81.

34 Il francese A. Tomadini (“La valutazione del pretium doloris in Francia”, in Ass. Internaz. Veicoli, 1995, fasc. 3, pag. 231) propone sette gradi di valutazione del dolore: molto leggero - leggero - moderato - medio - abbastanza importante - importante - molto importante, con esempi per ciascuno di essi.

35 Trib. Torino 5 agosto 1995, n. 5192, in corso di pubblicazione su Resp. Civ. Prev.

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Per la verità, il concetto non è nuovo, essendo stato affermato diversi anni or sono dal Tribunale di Milano in una decisione stranamente passata sotto silenzio36 e che pure trasse lo spunto dalla sentenza n. 6607/86 della s.c.37. Il danno esistenziale non costituisce una quarta categoria autonoma;

è, alla fin fine, il danno biologico iure proprio dello stretto congiunto superstite, il cui status viene mutato dal fatto illecito altrui. Perché delle due l’una: o è vero che le categorie giuridiche di danno costituiscono un numero chiuso, e nel pregiudizio concernente la vita di relazione rientra nell’ambito del danno biologico; oppure è vero il contrario, e allora il danno alla vita di relazione, tranquillamente ignorato dalla sentenza n. 372/94 della Corte Costituzionale, riacquista autonomia liquidativa, con le conseguenze pratiche facilmente immaginabili.

Nel sistema liquidativo del danno alla persona, la morte della vittima è uno de punti-cardine.

Come ho cercato di spiegare in questi ultimi dieci anni, l’ipotesi di morte rappresentava, nel vecchio sistema, un vero e proprio “buco nero”, un vuoto di giustizia; eppure, il danno ingiusto - non solo per la vittima, ma soprattutto per i familiari - c’è ed è molto grave. Bisogna riempire questo vuoto o con il riconoscimento del danno biologico del soggetto leso trasmesso iure hereditario o con il riconoscimento ai superstiti del danno biologico iure proprio: non ha importanza quale delle due strade venga scelta.

Ma, per risarcire questo danno gravissimo, è anche necessario eliminare gli sprechi liquidativi e ridurre drasticamente, e con coraggio, il risarcimento per i danni meno gravi. Soltanto in questo modo si possano mantenere i costi del sistema che, è bene ribadire, dev’essere sempre informato ai principi di giustizia distributiva, con l’aggiunta di un po’ di buon senso; come diceva Plinio: “addito salis grano”.

36 Trib. Milano 26 giugno 1989, n. 5737, la cui lunga motivazione si può leggere in G. Giannini, Il risarcimento del danno alla persona nella giurisprudenza, Milano, 1991, pagg. 136 e segg.

37 Cass. 11 novembre 1986, n. 6607, in Giust. Civ., 1986, I, 3031.

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