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Sviluppo industriale e sottosviluppo economico. Il caso cileno (1860-1920)

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SVILUPPO INDUSTRIALE

E SOTTOSVILUPPO

ECONOMICO

caso

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(5)

«Studi»

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SVILUPPO INDUSTRIALE

E SOTTOSVILUPPO ECONOMICO

Il caso cileno

(

1860

-

1920

)

di

M ARCELLO C ARM AGNANI

f

TORINO - 1971

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Nell’affrontare lo studio del processo storico d’industrializzazione in aree geografiche definite oggigiorno sottosviluppate o, eufemisticamente, in via di sviluppo, si va incontro a seri rischi, i quali derivano in gran misura dal fatto che — seguendo l’esempio storico dei paesi dell’Europa Occidentale e in special modo dell’Inghilterra — si è tentati di definire l’industrializzazione come un processo tipicamente sviluppante. Da questo schema a quello che identifica la mera esistenza d ’industrie con un primo avvìo verso lo sviluppo, non c’è che un passo.

Dal momento però in cui ci si rende conto di quanto tali schemi siano infondati, e quindi pericolosi ai fini analitici, si va incontro a note­ voli difficoltà nell’elaborazione di nuove ipotesi di ricerca; infatti i pur notevoli studi di cui disponiamo che prendono le mosse da uno schema diverso concernono realtà diverse da quella americana \

Per quanto riguarda l’America Centro-Meridionale, si può utilmente far ricorso agli studi esemplari e pionieristici della Commissione Econo­ mica per l’America Latina delle Nazioni Unite (E.C.L.A.), le cui analisi, pur applicandosi sostanzialmente al periodo posteriore a quello da noi studiato, hanno il vantaggio d’offrirci un validissimo quadro che, rispet­ tando il particolare, illustra adeguatamente l’insieme dell’evoluzione eco­ nomica dell’America Centro-Meridionale. In questi studi l’E.C.L.A. di­ stingue due periodi: prima e dopo la crisi mondiale del 1929-1932. 1

1. Riteniamo opportuno ricordare l’enorme utilità che presentano gli studi di

D. Thorner, De-Industrialisation in India, 1881-1931, in Première Conférence

Internationale d’Histoire Économique, Stoccolma, 1960, pp. 217-226, e di A. Ger-

schenkron, Aspetti dell’industrializzazione in Bulgaria, 1878-1939, in II problema

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L’E.C.L.A. vede in questa crisi l’inizio di un mutamento generale nello schema dello sviluppo di certi paesi dell’America Centro-Meridionale nel senso che, mentre prima della crisi la struttura economica di questi paesi

si d efiniva essenzialmente come esportatrice delle materie prime — agri­

cole o minerarie — che il mercato mondiale richiedeva, dopo la crisi le economie dell’America Centro-Meridionale cercano di produrre in loco quello che non possono più ottenere — in gran parte a causa del dete­ riorarsi delle ragioni di scambio — attraverso il commercio interna­ zionale 2 3.

La formulazione originaria dell’E.C.L.A. risale al 1949 e l’ipotesi fu giudicata talmente utile che fu accolta ben presto dagli economisti. Nel Cile, il primo ad elaborare anche storiograficamente questa formulazione dell’E.C.L.A. fu Anibai Pinto Santa Cruz che nel 1958 pubblicò un saggio brillante e convincente, non esente però da un certo staticismo, in cui mostrava come l’economia cilena conobbe nel secolo scorso e sino alla crisi del 1930 uno sviluppo da lui definito bacia afuera (verso l’esterno), in cui l’elemento dinamico era il commercio d’esportazione; poi, in se­ guito alla crisi, le esportazioni non riuscirono più a conservare il ruolo dinamico, e l’economia cilena dovette orientarsi verso uno schema di sviluppo diverso, da lui definito bacia adentro (verso l’interno), dando così l’avvìo ad un processo d’industrializzazione caratterizzato dal fatto che il suo fine era la sostituzione dei beni prima im portati3.

Le tesi sostenute dall’E.C.L.A. come da Pinto Santa Cruz, suscitano indubbiamente alcune perplessità, poiché se ne potrebbe dedurre che i settori nuovi dell’economia cilena — come il settore industriale — na­ scono voltando le spalle a quella che era stata sino alla crisi del 30 la caratteristica strutturale dell’economia cilena. Questa ipotesi troverebbe conferma a livello storiografico, se si constatasse che la sostituzione dei prodotti importati — di certi e ben specifici beni — prende avvìo sol­ tanto dopo il 1930.

Si potrebbe però fare un’altra ipotesi, alternativa alla precedente, secondo la quale il processo di sostituzione delle importazioni potrebbe prendere avvìo anche all’interno di quelle che erano le caratteristiche della struttura economica cilena prima della crisi del ’30.

Per entrambe le ipotesi, il nodo cruciale è costituito essenzialmente dall’evoluzione del commercio estero e specialmente della bilancia dei

2. Cfr. R. Prebisch, The Economic Development of Latin America and its

principal problems, New York, 1950, passim; N. U., E. C. L. A. Antecedentes so­ bre el desarrollo de la Economía Chilena, Santiago, 1954, pp. 9-13.

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pagamenti. Infatti, poiché l’evoluzione delle esportazioni e delle impor­ tazioni è interdipendente — ossia, la variazione nella media e lunga durata delle prime provoca una variazione simile nelle seconde , e poi­ ché il processo d’indebitamento verso l’estero da parte dell’economia cilena intacca il surplus della bilancia dei pagamenti, a partire da un determinato momento storico l’economia cilena non è più in grado di soddisfare completamente le sue necessita attraverso il commercio estero e deve di conseguenza incominciare a produrre in loco quei beni — prima importati — che domanda il mercato interno.

Il logoramento tanto della bilancia commerciale come della bilancia dei pagamenti può avvenire in due modi: attraverso un lento processo o attraverso una crisi profonda, quale quella del 1930. Evidentemente l’uno non esclude l’altro, e sebbene sia dimostrato che effettivamente la crisi del ’30 provocò una modificazione profonda della bilancia commer­ ciale e di quella dei pagamenti, questo non esclude che una modificazione di una certa portata s’inizi assai prima della crisi del ’30, tanto che la crisi potrebbe non essere altro che la coclusione brutale di un processo già pluridecennale.

La nostra analisi concede la dovuta importanza non solo agli aspetti dell’evoluzione industriale, ma anche a quelli della struttura economica globale e del pensiero e della politica economica. Lo studio dello sviluppo industriale e artigianale è stato svolto non solo a livello globale ma anche a livello dei singoli settori, e non solo a livello della produzione ma anche dei capitali investiti, dell’occupazione, della massa salariale, dei salari, degli stabilimenti, delle materie prime, e ciò al fine di mettere in luce i meccanismi essenziali dello sviluppo industriale e artigianale. Abbiamo inoltre analizzato certi aspetti della struttura economica cilena e il suo peculiare inserimento nella struttura del commercio internazionale, per vedere i meccanismi stimolanti o frenanti che scaturivano dal commercio estero e dalla struttura economica nazionale condizionando lo sviluppo industriale. Abbiamo anche ritenuto opportuno cercare d ’analizzare in che misura furono accolte le idee protezioniste nella politica economica, al fine di comprendere il loro ruolo nello sviluppo dell industria.

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Sud coll’incorporazione dell’Araucania, regione compresa fra Concepción e lo’stretto di Chacao, abitata dagli indigeni araucanos, che avevano fino allora resistito ai tentativi d ’occupazione dei conquistatori spagnoli prima e del Cile poi. Verso la fine del secolo scorso e nel primo decennio di questo, venne infine incorporata al territorio nazionale la regione di Magallanes, vicina allo stretto omonimo. L’espansione territoriale rea ìz- zata sia tramite la conquista militare, sia tramite l’incorporazione econo­ mica di regioni prima spopolate, ricorda in certa misura quanto avvenne negli Stati Uniti e in Argentina. _ . ,

Strettamente collegato a questa espansione del territorio e 1 incre­ mento demografico. Infatti, fra il 1865 e il 1920 la popolazione aumenta da 1.819.223 a 3.730.235 abitanti, ossia con un tasso annuo del 1 ,5 /o. Questo incremento è dovuto sostanzialmente alla riduzione — molto lenta in verità — del tasso di mortalità e al contingente immigratone, sebbene quest’ultimo non abbia mai raggiunto le punte che ebbe invece nel versante atlantico dell’America del Sud.

L’incremento demografico finì col favorire in un primo tempo le zone minerarie e le zone agricole recentemente incorporate all’attività produt­ tiva. Dopo il 1885, invece, fece aumentare soprattutto la popolazione urbana, che rappresentava allora appena il 28,5% della popolazione totale, e che raggiunse, nel 1920, la percentuale del 42,8% . Questa espansione della popolazione urbana si concentrò soprattutto nella citta di Santiago (la capitale del paese, la cui popolazione fra il 1885 e il 1920 aumenta da 189.332 a 507.296 abitanti) e nei porti di Antofagasta, Valparaíso e Concepción.

Questo processo d’espansione territoriale e demografica doveva indub­ biamente incidere sullo sviluppo industriale del paese, e sebbene nella nostra analisi le abbiamo considerate come variabili indipendenti, non abbiamo trascurato il loro peso parzialmente determinante non solo de consumo di beni industriali prodotti all’interno dell’economia cilena, ma anche di beni industriali importati.

Riteniamo opportuno fare in sede introduttiva un certo numero di precisazioni che riguardano tanto l’arco di tempo coperto dal presente studio, quanto le fonti.

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2) Il lettore noterà una discordanza nella periodizzazione utilizzata nei capitoli I, II e IV, dovuta sostanzialmente al fatto che le fonti utiliz­ zate nell’analisi dello sviluppo industriale sono assai scarse prima del 1910. Questa scarsezza ci ha appunto impedito di utilizzare i veri tempi dell’economia cilena, che sono invece rispettati nell’analisi condotta nel capitolo IV.

3) Siccome il valore del peso cileno conosce, a partire dall’ultimo quarto del secolo xix, una costante svalutazione in rapporto alla moneta dominante — la lira sterlina — , abbiamo convertito le nostre serie riguardanti il valore della produzione, dei capitali investiti, della massa salariale, delle materie prime, dei salari, dell’industria e dell’artigianato e quelle relative al commercio estero, alla bilancia dei pagamenti ecc., in pesos di un contenuto aureo costante. A tale scopo abbiamo scelto il contenuto aureo di 6 d. inglesi.

4) Le nostre serie statistiche riguardanti l’industria e l’artigianato sono quelle che ci sono fornite dai censimenti industriali del 1895, del 1906 e del 1910, che furono effettuati dalla Società per lo Sviluppo In­ dustriale, creata nel 1884 allo scopo di raggruppare gl’imprenditori e di servire come organo per promuovere le iniziative industriali. Non ci è stato possibile sapere in base a quali criteri furono raccolti i dati di questi censimenti, poiché l’Archivio della Società per lo Sviluppo Industriale è andato disperso. Nel 1910 la Società per lo Sviluppo Industriale cedette il compito di elaborare le statistiche industriali alla Oficina Central de Estadística (Direzione Generale di Statistica), la quale prosegue le stati­ stiche industriali anno per anno, secondo gli stessi schemi utilizzati dalla Società per lo Sviluppo Industriale. Una piccola modifica venne appor­ tata nel 1914, quando la statistica industriale incomincia a distinguere le imprese artigiane dalle imprese industriali propriamente dette, definendo come industriali quelle che occupano più di 5 operai. Per distinguere l’evoluzione della produzione e dei capitali investiti nell’industria da quella della produzione e dei capitali investiti nell’artigianato prima del 1914, abbiamo calcolato il valore percentuale medio della produzione e dei capitali investiti nel settore artigianale nel periodo 1914-1918, e abbiamo poi proceduto ad applicare questa percentuale ai dati relativi al periodo precedente il 1914, estraendo così dal valore globale il valore che approssimativamente dovrebbe corrispondere all’industria.

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6) I tassi d’incremento sono stati calcolati prendendo in considera­ zione non s i i dati iniziali e finali ma anche quelli intermedi. La formu­

la è la seguente:

\

H ; lg yi Si lg yi Si \ -1--- — lg yi (i - 1) -n — i Si 1 (i - 1) n — 1 (i ~ !)

Non mi sarebbe stato possibile intraprendere queste> s t , s^nza l’appoggio del Centro de Estudios Socioeconómicos della Facolta d I appogg del a l che ha finanziato integralmente la ric e rc a tile diverse biblioteche cilene. Il Centre National de la Recherche Scientifique francese mi ha permesso poi di approfondire alcuni aspetti della ricerca. Nella Fondazione Luigi Einaudi ho infine potuto e a ora 6 t — dfodeve inoltre tnolto ni professori, c o l l i i e »miei. T e . go a ringraziare specialmente i professori Eduardo Hamuy,

del Centro i e Estudios Socioeconómicos, Ruggiero Romano dell E cole

T ra tiZ e ie s Hautes Études(Parigi) e Franco Venturi dell’Umvers.ta di Torino- i colleghi ed amici del Centro i e Estudios Socioeconomcos, Silvia

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SVILUPPO INDUSTRIALE E ARTIGIANALE. ANALISI GLOBALE

Prima del 1910 esistono soltanto quattro censimenti industriali di cui solo tre c’informano sulla produzione, i capitali investiti, il numero degli operai, i salari, le materie prime e il numero di fabbriche 1. Questi tre censimenti coprono il periodo 1895-1910. Per il periodo precedente al 1895, le nostre fonti c’informano essenzialmente sulle fabbriche e le botteghe artigiane esistenti.

Vista la mancanza di un’informazione quantitativa più serrata per il periodo precedente al 1895, abbiamo creduto più opportuno articolare la nostra analisi partendo dalle caratteristiche e dai meccanismi che si riscontrano nel periodo 1895-1910 e cercare poi di vedere in che misura queste caratteristiche sono presenti anche nei decenni precedenti.

1. Lo sviluppo industriale e artigianale prima del 1910.

L’insieme dei dieci settori industriali in cui può essere suddivisa l’attività industriale e artigianale durante il periodo 1895-1910 si pre­ senta nel modo seguente:

I. Indici e tassi d’incremento dell’attività industriale e artigianale, 1895- 1910 (1918 = 100) 2.

Anni Produ- Capitali

Materie prime

Salari Massa Occu-

Stabili-zione Nazio­

nali Estere

salari pazione menti

1895 32,3 _ __ _ 47,7 30,6 54,2 35

1906 46,2 26,4 33,3 24,9 50,1 32,1 54,2 30,1

1910 89,9 50,0 51,7 60,8 52,3 55,8 90,2 72,9

Tassi 0/o 7,5 13,7 9,2 19,5 0,5 3,1 2,4 3,1

1. Cfr. Fonti e bibliografia, pp. 209-210.

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Gl’indici e i tassi di sviluppo ci mostrano una forte tendenza all’in­ cremento. Qualsiasi aspetto dell’attività industriale globale si prenda in considerazione, tranne il salario medio, ci mostra un attività in fase ascendente.

Prendiamo innanzitutto in considerazione due aspetti essenziali: la produzione e i capitali investiti. Per la prima si osserva un tasso annuo d’incremento del 7,5% , il che porta il fatturato totale da 148,5 a 424,4 milioni di pesos di 6 d. oro, triplicando, quindi, il valore iniziale in quindici anni. Maggiore è il tasso d ’incremento dei capitali investiti, 1 quali aumentano, fra il 1906 e il 1910, del 13,7% all anno; in questo breve spazio di tempo, cioè, i capitali investiti raddoppiano il valore ini­ ziale, che era di 164,3 milioni di pesos di 6 d. oro nel 1906.

Se il tasso di sviluppo dei capitali investiti appare maggiore di quello del valore della produzione, ciò è dovuto al fatto che, per quanto riguarda quest’ultima, il maggior incremento si registra nel periodo 1906-1910 e uno assai minore nel periodo 1895-1906, periodo per il quale non dispo­ niamo dei dati relativi ai capitali investiti.

I tassi relativamente alti della produzione e dei capitali trovano ri­ scontro anche nel numero degli stabilimenti industriali e artigianali e nell’occupazione. Gli stabilimenti, sebbene diminuiscano da 2.617 a 2.253 fra il 1895 e il 1906, salgono a 5.453 nel 1910, registrando quindi un tasso d’incremento annuo del 3,1% , mentre l’occupazione conosce an- ch’essa un aumento: da 42.705 a 71.063 occupati fra il 1895 e il 1910, ossia un tasso annuo del 2,4% . Possiamo così notare che gli stabilimenti e l’occupazione hanno dei tassi d’incremento notevolmente inferiori a quelli che registrano la produzione e i capitali investiti.

Se analizziamo in primo luogo il rapporto fra produzione e stabili- menti, notiamo che la produzione media di ogni stabilimento e di 140.000 pesos di 6 d. oro nel 1895, di 230.000 pesos nel 1906 e di 190.000 pesos nel 1910 \ Questi valori stanno ad indicare che nel periodo fra il 1895 e il 1906 la produzione s’accresce essenzialmente attraverso un maggiore sfruttamento della capacità produttiva delle imprese, mentre l’incremento della produzione nel quadriennio seguente si ottenne soprattutto grazie all’aumento del numero delle imprese industriali.

II rapporto che possiamo stabilire, in secondo luogo, fra stabilimenti e capitali investiti ci mostra che fra il 1906 e il 1910 il capitale medio degli stabilimenti industriali diminuisce da 175.000 a 147.000 pesos di 3

3. Per ottenere questi valori si è semplicemente diviso il valore totale della

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6 d. oro 4. Osserviamo dunque che fra queste date l’azienda industriale media non solo produce meno, ma ha meno capitali investiti di quattro anni prima. Possiamo così notare che fra il 1906 e il 1910 si ebbe un fenomeno di proliferazione degli stabilimenti industriali e artigianali, mentre il periodo compreso fra il 1895 e il 1906 fu caratterizzato dal­ l’assorbimento, da parte delle aziende esistenti, dell’aumentata domanda interna di beni originati nel settore industriale e artigianale 5.

La situazione economica generale del paese dopo il 1906 sembra quindi favorevole all’espansione delle imprese industriali e artigianali medie e piccole: il terremoto del 1906, e quindi la necessità di ricostruire quanto le forze della natura avevano distrutto, è forse un elemento che può spiegare, in certa misura, questo improvviso aumento della produ­ zione, dei capitali e delle imprese industriali e artigiane. Non è improba­ bile che un forte stimolo all’attività industriale e artigianale provenga anche dall’accresduta incidenza di una politica economica più decisa­ mente protezionista 6 7.

Ci sembra però interessante sottolineare che il rapido incremento della produzione e dei capitali nell’industria e nell’artigianato è legato alle medie e piccole imprese — come dimostra lo scarso valore medio della produzione e dei capitali degli stabilimenti — il che c’indicherebbe che il grado d ’intensità capitalistica e l’introduzione di tecnologie avan­ zate non fecero nessun progresso in questo periodo, progresso che invece — stando sempre ai valori medi — sembrerebbe esserci stato nel periodo 1895-1906. Questa particolare caratteristica del settore industriale e ar­ tigianale durante il periodo 1906-1910 sembra indicarci che più che un vero e proprio sviluppo ci fu un ristagno dell’evoluzione strutturale.

Se osserviamo ora il rapporto fra produzione, capitali e occupazione, vediamo che fra il 1895 e il 1906 il valore medio prodotto da un addetto aumenta da 8.570 a 12.271 pesos di 6 d. oro, mentre fra il 1906 e il 1910 aumenta soltanto da 12.271 a 14.233 pesos di 6 d. oro \ Così, anche il valore medio prodotto dal singolo operaio sembrerebbe confer­ mare quanto accennato prima: grazie all’aumento della concentrazione industriale e all’apporto di nuove tecnologie nel periodo 1895-1906, l’imprenditore fu in grado d ’ottenere dalla mano d ’opera occupata un incremento notevole della sua produttività e potè quindi concedere un

4. Ottenuti dividendo i capitali per gli stabilimenti.

5. Abbiamo supposto che il fatturato totale sia uguale alla domanda, fatto questo non sempre reale, giacché potrebbe darsi che una parte del fatturato ri­ manga invenduto.

6. Cfr. Capitolo III, pp. 113-115.

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lieve aumento salariale senza che questo incidesse sul margine di profitto. A partire dal 1906 la produttività media dell’operaio industriale aumenta in misura minore che nel periodo precedente, mentre il suo salario no­ minale — che fra il 1895-1906 era passato da 1.327 a 1.385 pesos di 6 d. oro annui — aumenta da 1.385 a 1.453 pesos di 6 d. oro .

L’aumento del numero d ’imprese industriali e artigianali medie e piccole provocò una maggiore domanda di lavoro, il che constrinse gl im­ prenditori — data la scarsa offerta di mano d’opera qualificata — a reclu­ tare anche mano d’opera di provenienza rurale, costretta ad innurbarsi. Infatti la popolazione urbana, che nel 1895 rappresentava il 34% della popolazione totale, era salita al 38% nel 1907 \ Questo incremento della popolazione urbana, che possiamo definire lento, contribuisce a spiegare perché i salari coll’aumento del numero degli stabilimenti e della doman­ da di lavoro, tendono ad aumentare.

Il fatto essenziale, però, è che sia fra il 1895 e il 1906, sia fra il 1906 e il 1910, l’aumento dei salari non compensa in nessun caso l’aumento crescente del costo della vita. I prezzi interni, che fra il 1890 e il 1900 aumentano in media del 5% annuo, conoscono nel decennio seguente un aumento dell’8% annuo8 9 10 11. La mancanza di seri studi su prezzi e salari reali in questo periodo non ci permette che di concludere con una ipotesi: sia fra il 1895 e il 1906, sia fra il 1906 e il 1910 i salari nomi­ nali, pur mostrando una lievissima tendenza all’incremento, non sembrano,

in ogni caso, seguire lo stesso ritmo del processo inflazionistico in corso Le nostre informazioni relative alla massa salariale ci mostrano che questa conosce un incremento del 3,1% annuo fra il 1895 e il 1910. Fra queste due date, i salari totali pagati dalle diverse imprese industriali aumentano da 56,7 a 103,3 milioni di pesos di 6 d. oro, ossia quasi si raddoppiano, mentre il numero di salariati, non aumenta nella stessa misura. Il numero dei salariati rimane stazionario fra il 1895 e il 1906 (42.705 e 42.691) sale a 71.063 nel 1910, cioè non riesce a raddoppiare.

L’ultima componente dell’attività industriale e artigianale a cui vo­ gliamo fare riferimento è quella delle materie prime. Il valore di quelle d ’origine nazionale aumenta, fra il 1906 e il 1910, da 223,7 a 347,6 milioni di pesos di 6 d. oro, ossia del 9,2% annuo, mentre il valore di

8. Cfr. Appendice IV, pp. 174-175. ^ .

9. Cfr. C. Hurtado, Concentración de la Población, Santiago, 1966, p. 144.

10. Cfr. A. Hirschman, Journeys Toward Progress, New York, 1965, p. 216.

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quelle d ’origine estera aumenta da 74,3 a 181,1 milioni di pesos di 6 d. oro, ossia al tasso annuo del 19,5% . Si può rilevare, dunque, un maggiore aumento delle materie prime d ’origine estera, ma si deve tener presente che già nel 1906 il valore complessivo di quelle d’origine nazionale era tre volte più alto del valore di quelle d ’origine estera.

L’espansione delle materie prime d ’origine estera ci appare la logica conseguenza della restrizione che conoscono le importazioni in questo periodo, specialmente le importazioni di beni di consumo non durevole, a favore dell’importazione di beni di consumo durevoli, di capitale e materie prime. L’incremento delle materie prime d’origine estera utiliz­ zate nell’industria potrebbe sembrare quasi in contrapposizione con quello che può ritenersi il processo logico dello sviluppo industriale. Questo processo, partendo dal settore industriale — definito quindi settore dinamico — dovrebbe sviluppare la capacità produttiva degli altri settori, la quale si dovrebbe tradurre in pratica in un aumento della domanda di prodotti nazionali, permettendo così tanto l’imputazione all’interno del paese di una parte della produzione prima esportata, come un tasso maggiore d’incremento produttivo dei settori agricoli e minerari nazionali.

L’analisi della provenienza delle materie prime è un utile indicatore del grado d ’interiorizzazione dell’industria, ossia dei suoi effetti sullo sviluppo economico generale del paese. Siccome in questo periodo la suddetta interiorizzazione non si produsse, si potrebbe supporre, a titolo d’ipotesi, che se il processo di sviluppo industriale fra il 1895'*e il 1910 non fu in grado di agire come meccanismo dinamizzatore dello sviluppo economico, questo è dovuto specialmente al fatto che non era possibile ridurre drasticamente il livello quantitativo delle importazioni, senza che questa riduzione intaccasse il livello quantitativo dell’esportazione, prin­ cipale fonte del reddito nazionale. Si poteva tu tt’al più — nel quadro del sistema di dominazione imposto dall’esterno — favorire una riallocazione delle importazioni, riassetto che avrebbe trasferito il centro vitale delle importazioni dal settore dei beni di consumo non durevole a quello dei beni intermedi e di capitale. Questo processo — che analizziamo nei suoi particolari nel capitolo IV — era favorito d’altronde dalla profonda modificazione che subisce in questo periodo la struttura del commercio internazionale.

2. Lo sviluppo industriale e artigianale prima del 1893.

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Sulla base dei dati di cui disponiamo, riteniamo di poter affermare che certe industrie, o quanto meno dei grandi concentramenti artigianali, esistevano già prima del 1895, e questo fatto permette di comprendere in un certo qual senso il grado d ’evoluzione raggiunto da questo settore nel 1910.

L’analisi dell’evoluzione dell’industria e dell’artigianato prima del 1895, però, più che al desiderio di comprendere un’evoluzione economica sembra rispondere alla volontà di risalire ad ogni costo — e quindi con una certa petulanza storiografica — all’origine di questo fenomeno. Non l’avremmo certamente intrapresa, se non esistessero vari studi che trat­ tano l’argomento in modo inadeguato: alcuni fanno riferimento alla situa­ zione dell’industria utilizzando come indicatore della sua evoluzione lo sviluppo di qualche singola impresa industriale . Altri, specificamente dedicati all’industria cilena prima del 1920, utilizzano fonti non di natura statistica, bensì di natura qualitativa, quali, per esempio, i giornali di viaggio che — come è noto — in materia economica sono fonti scarsa­ mente sicure 12 13. Da questi studi si trae l’impressione che un certo svilup­ po industriale, o quanto meno artigianale si osservi a partire dal 1850. Questa stessa constatazione è suggerita dall’unica storia dell’industria cilena, saggio questo il cui vantaggio sugli studi precedentemente men­ zionati è quello di avere utilizzato delle fonti dirette, le quali però ven­ gono raramente citate 14.

Tutti questi studi hanno però il difetto di prendere per realtà quanti­ tative quelli che non sono altro che elementi qualitativi o esposti come tali. Infatti, per mostrare l’esistenza di un certo settore industriale si rifanno a dati quali la fondazione in un dato anno di una data industria. Risulta evidente che con questo metodo possono facilmente dimostrare quello che vogliono. Per ovviare a questi inconvenienti, abbiamo scelto i nostri dati in funzione del loro valore quantitativo.

Il censimento industriale del 1895 riporta l’anno di fondazione di un certo numero di stabilimenti. Quest’informazione, però, non è fornita a livello dei singoli settori industriali.

12. Cfr. A. Pinto Santa-Cruz, op. cit., p. 49 e specialmente J. C. Jobet, Ensayo Crítico del Desarrollo Económico-Social de Chile, Santiago, 1955, pp._ 94-95. Jobet sostiene che già verso il 1890 la borghesia industriale era in posizione di conflitto con gli altri gruppi sociali dominanti.

13. Cfr. J. F. Rippy e J. Pfeiffer, Notes on the Dawn of Manufacturing in Chile, « Hispanic American Historical Review », 1948, n. 2, pp. 292-303; J. Pfeif­

fer, Notes on the Heavy Equipment Industry in Chile: 1800-1930, « Hispanic Ame­

rican Historical Review », 1952, n. 1, pp. 139-144.

14. Cfr. O. Alvarez Andrews, Historia del Desarrollo Industrial de Chile,

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II. Data di fondazione degli stabilimenti industriali censiti nel 1895.

Anni Numero Percentuali

P rim a d el 1870 240 10

1870-1879 330 13,6

1880-1889 840 34,7

1890-1895 1.009 41,7

2.419 100

L’importanza della tabella I I consiste nel fatto che, partendo dalle industrie esistenti nel 1895, ci permette di risalire alla fondazione delle stesse. Da questa tabella osserviamo che il 10% delle industrie esistenti nel 1895 esisteva già prima del 1870 e che il 23,6% delle stesse esisteva prima del 1880.

Per il periodo anteriore al 1890 possiamo ricorrere alle serie, in verità incomplete, delle tasse. Infatti, ogni industria o impresa artigiana, come qualsiasi altro stabilimento commerciale, era tenuto a pagare una tassa — denominata patente — il cui importo era fìsso, senza distinzione fra industrie e commercio, né fra grandi, medi e piccoli stabilimenti. III. Stabilimenti industriali e artigianali. 1867-1887 (1887 — 100) 15.

Anni Numero Indici

1867 500 95,4 1870 525 100,1 1871 594 113,3 1872 644 122,8 1873 610 116,3 1874 683 130,3 1875 727 138,7 1876 660 125,9 1877 572 109,1 1878 591 112,7 1879 550 104,9 1880 717 136,8

15. Il numero degli stabilimenti fra il 1867 e il 1887 è stato ripubblicato nel Censo Industrial y Comercial, año 1937, edito dalla Dirección Generalde Esta­

dística y Censos. Gli stabilimenti riportati nella nostra tabella sono quelli che

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Anni Numero Indici 1881 589 112,3 1882 650 124 1883 689 131,4 1884 676 128,9 1885 646 123,2 1886 674 128,5 1887 524 100

Prima ancora di vedere la tabella I I I in se, e interessante stabilire alcune relazioni fra la tabella II e la tabella I II. La tabella I I mostra che nel 1895 sussistevano 330 industrie e stabilimenti artigiani fondati fra il 1870 e il 1879. Se osserviamo questo stesso periodo nella tabel­ la III, otteniamo che la media aritmetica delle industrie esistenti in que­ sto periodo è di 624. Constatiamo quindi che di queste 624 industrie, sussiste dopo quindici anni quasi la metà. Se ammettiamo dunque che la mortalità delle industrie e delle imprese artigiane sia del 50% , possiamo affermare che già nel decennio 1870-80 gli stabilimenti industriali e arti­ giani hanno la possibilità non solo di emergere ma anche di durare. È vero però che il discorso — come vedremo più avanti — non può essere valido a livello di tutti i settori industriali, giacché sino al 1887 predo­ mina in modo schiacciante un solo tipo d ’industria: quella alimentare. Ritorniamo ora alla tabella I I I . Notiamo in modo assai netto due cicli: il primo, che comprende dodici anni, e il secondo, che ne com­ prende otto. Il primo ciclo descrive una parabola che e ascendente sino al 1875, poiché l’indice passa da 95,4 a 138,7, e che tende poi alla diminuzione, giacché nel 1879 l’indice ridiscende a 104,9. La tendenza parabolica di questo periodo dodecennale si spiega se si tiene presente che l’evoluzione economica del paese — grazie agli alti prezzi dei suoi prodotti d ’esportazione — fu positiva fra gli anni 1866 e 1873, per poi risentire duramente la depressione economica mondiale che provocò un ribasso dei prezzi dei principali prodotti esportati del paese, fenomeno che finì per provocare un forte slittamento del valore del peso cileno Appare così molto chiaramente che anche a livello dei soli stabilimenti, la congiuntura economica generale del paese si ritrova alla base dell evo­ luzione dell’industria e dell’artigianato. La crisi economica provocò an­ che per il settore che abbiamo definito in senso lato industriale una stasi, un regresso.

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La ripresa che si osserva nel settore industriale a partire dal 1880 — e che si manterrà fino al 1886 — sembra che possa essere spiegata essenzialmente da due motivi: lo slittamento continuo del valore del peso cileno — conseguenza del deterioramento del commercio estero d’esportazione — , e lo scoppio della guerra detta del Pacifico. Come risultato di questa guerra, il Cile s’impossessò dei giacimenti di salnitro che si trovavano nei territori peruviani e boliviani. Generalmente è stato interpretato come una conseguenza di questa guerra lo sviluppo del set­ tore industriale, dimenticando altri fenomeni assai più significativi dal punto di vista economico, quali il commercio estero, lo slittamento della moneta, la tariffa doganale del 1878 che annuncia la ripresa del prote­ zionismo economico 17 18. La convergenza di questi tre fenomeni doveva necessariamente — nella corta durata — favorire la ripresa e il riemer­ gere delle imprese industriali e artigianali, le quali potevano approfittare del fatto che i prezzi interni, malgrado la svalutazione, non sarebbero aumentati nella stessa misura dei prezzi dei prodotti importati che, al contrario dei primi, dovevano necessariamente aumentare con lo stesso tasso con cui diminuiva il valore della moneta nazionale.

Dall’analisi precedente, sia per quanto riguarda il periodo prima del 1895, sia per quanto riguarda il periodo 1895-1910, si possono trarre alcune prime conclusioni.

Possiamo affermare che è fuori discussione che certe imprese indu­ striali e soprattutto artigianali esistono prima del 1895; si potrebbe affer­ mare che esse emergono fra il 1870 e il 1880, senza escludere che certe imprese artigiane possano apparire prima di questo decennio, sebbene si tratti — in tal caso — di un fenomeno qualitativo più che quantitativo. A conferma di quanto diciamo, disponiamo di una serie parziale delle imprese artigiane e industriali che cercarono di stabilirsi nel paese nel periodo compreso fra il 1840 e il 1855, serie che riproduciamo nella tabella IV.

IV. Imprese stabilite fra il 1840 e il 1855 18.

Risultato positivo Risultato negativo Senza infor­ mazione Totale Imprese Industriali e Artigiane 10 13 8 31 Altre — — — 41 Totale — — — 72

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La tabella ci offre degli elementi interessanti: in primo luogo le im­ prese non industriali che introdussero nuove tecniche, specialmente quelle minerarie, sono più numerose delle artigiane e industriali. In secondo luo­ go, notiamo che su 31 imprese industriali soltanto 10, ossia il 32,3% ebbero risultati positivi, intendendo per tali quelle imprese di cui la fonte dice: « fait des pro grès », « faibles résultats, « heureux resultáis » e « progrès très lents ». L’alta percentuale di imprese che non sono riuscite a sopravvivere, il 41,9% , ci dà l’idea di come prima del 1870-80 fosse difficile emergere per le imprese industriali e artigiane, e ciò a causa di circostanze e meccanismi frenanti che analizzeremo più av an ti19.

Ci sembra opportuno, però, mettere in evidenza come quello che possiamo definire lo sviluppo industriale sia legato non solo all’evoluzione economica generale del paese, ma anche a quella che è la struttura del commercio internazionale, i cui meccanismi riescono, attraverso il com­ mercio estero, a raggiungere in profondità la base economica del paese. Questo sviluppo industriale non nasce — stando ai dati da noi analiz­ zati — in contrapposizione a quella che è la caratteristica dominante della struttura economica — ossia il fatto di essere un paese produttore di beni primari — , ma in forma complementare a questa caratteristica essenziale. Infatti, dato che il tasso d’incremento delle materie prime d’origine estera fra il 1906 e il 1910 è maggiore di quello delle materie prime d ’origine nazionale, si potrebbe provvisoriamente affermare che senza lo sviluppo del commercio d ’importazione — e quindi di quello d’esportazione — lo sviluppo industriale e artigianale cileno si sarebbe arrestato.

3. Lo Sviluppo industriale e artigianale fra il 1910 e il 1918.

Verso il 1910, la Società per lo Sviluppo Industriale affermava che l’evoluzione industriale cilena non era stata, malgrado i suoi sforzi, molto soddisfacente20. Improvvisamente, però, l’entusiasmo per l’in­ dustria sembra rinascere, in gran parte come conseguenza dello scoppio della prima guerra mondiale, che pose all’economia cilena nuovi e gravi problemi dovuti in gran parte alla riduzione del commercio estero e alla

19. Un saggio, di fonte governativa, diceva: « Producteur de matières_ pre- mières, le Chili retardera encore de plusieurs années son essor vers l’industrie: il suit en cela l’exemple des États-Unis, qui ne se sont livrés à l’industrie que depuis peu de temps »; Notice Statistique sur le Chili, Paris, 1879, p. 25.

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diminuzione del traffico navale21. Dopo lo sgomento iniziale, si passò poi a cercare di sfruttare la nuova situazione internazionale, che permise la ripresa dell’attività industriale e artigianale22. Contemporaneamente si sviluppò a livello imprenditoriale una forte pressione per ottenere dallo Stato l’appoggio alle industrie nate in questo periodo, affinché ga­ rantisse, una volta conclusa la guerra, la loro sopravvivenza “3.

Se ci siamo rifatti ai giudizi della Società per lo Sviluppo Industriale è col fine di potere rintracciare l’origine dei giudizi che videro nella prima guerra mondiale, e nelle forti spinte protezionistiche, la base dello sviluppo industriale e artigianale cileno fra il 1910-1918. In questo senso si è pronunciato Alvarez Andrews 24 25, e gli studi qualitativamente supe­ riori di Ballesteros e Davis e di Muñoz sembrerebbero dargli ragione; infatti secondo l’indice della produzione industriale elaborato da Balle- steros-Davis — con base 100 nel 1930 — , questa aumenta da 55,7 a 65,1 fra il 1910 e il 1918, mentre Muñoz sostiene — sempre in base ad elementi quantitativi — che il tasso d’incremento della produzione indu­ striale come conseguenza della prima guerra mondiale fu del 9% annuo "5. Appare dunque evidente, da questa nostra ricostruzione, che l’inter­ pretazione che dello sviluppo industriale del periodo 1910-18 è stata data dagli uomini di quel tempo, ha indubbiamente influito sulle ricerche storiche — scarse, in verità — che sono state consacrate all’industria.

21. « La guerra europea ha producido dentro de nuestra organización eco­ nomica graves y profundas perturbaciones: estamos, pues, en una crisis que no tiene semejante en nuestra vida nacional », Nuestra Situación Economicaf « Boletín de la Sociedad de Fomento Fabril », 1914, p. 739.

22. « Como la guerra se prolongara, muchas de las industrias ya establecidas han comenzado a amoldarse al nuevo estado de cosas, y así vemos que han empezado a desarrollarse algunas industrias con motivo de la falta de internación extranjera, debito a la escasez de fletes », La Experiencia Industrial, « Boletín de la Sociedad de Fomento Fabril », 1916, p. 151.

23. « Muchas industrias han empezado a desarrollarse entre nosotros con motivo de la falta de fletes producida por la guerra europea, pero una vez que ésta cese y que los países de Europa vuelvan a su situación normal, las industrias desarrolladas durante la guerra estarán llamadas a perecer, si no se toman medidas protectoras en su favor », Política Nacionalista, « Boletín de la Sociedad de Fomento Fabril », 1916, p. 459.

24. Cfr. O. álvarez Andrews, op. cit., pp. 187-188.

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Lo studio che noi faremo dello sviluppo dell’industria e dell’artigia- nato a livello globale pensiamo che possa offrirci nuovi e più ricchi ele­ menti per meglio comprendere in primo luogo i meccanismi che si tro­ vano alla base di questo sviluppo e, in secondo luogo, per inquadrare lo studio di questo singolo settore economico nello sviluppo generale del­ l’economia cilena.

V. Indici e tassi d’incremento dell’attività industriale e artigianale, 1910- 1918 (1918 = 100) 26. _____________________________ Anni Produ­ zione Capitali Materie nazio­ nali prime estere Salari Massa salariale Stabili-menti Occu­ pazione 1910 89,9 50 51,7 60,8 52,3 55,8 72,9 90,2 1911 86,4 57,4 51,9 67,8 52,5 58,9 76,5 94,7 1912 86,6 60,7 51,8 67,2 50 61,2 83,1 103,2 1913 96,4 44,4 46,6 50,6 56,5 65,8 104,7 107,5 1914 59,5 28,2 36 39,1 51,5 33,8 56,4 73,7 1915 70,1 45,8 48,3 43,7 67,6 48,4 89,6 76,7 1916 90,1 55,3 56,5 51,9 70,1 55,3 90,5 84 1917 128,1 86,5 83,9 74,6 89,6 80,6 110,8 92,3 1918 100 100 100 100 100 100 100 100 Tassi (%) 2,3 6,1 7,2 3,1 7,3 4,9 7 -0 ,6

Dall’osservazione d ’insieme degli indici del periodo 1910-1918 si possono estrarre alcuni primi elementi. Uno di questi riguarda i tassi d ’incremento i quali, malgrado le forti fluttuazioni a livello degli indici, sono tutti positivi. L’unica eccezione è il tasso dell’occupazione, che segna un decremento dello 0,6% annuo e le cui implicazioni dovranno essere analizzate. Un secondo elemento che attrae l’attenzione è che quasi tutti i nostri indicatori mostrano il crollo dell’indice fra il 1913-1914 e la sua ripresa a partire dal 1915. Soltanto i salari e gli stabilimenti non seguono questa tendenza.

È precisamente questa concordanza fra le diverse serie dell’attività complessiva dell’industria e dell’artigianato, che ci permette di dire che le statistiche dalle quali sono reperite le nostre informazioni hanno un grado di credibilità — che non possiamo stabilire quantitativamente — superiore a quanto si potrebbe oggi supporre.

Lasciando da parte il problema della credibilità delle statistiche in­ dustriali del periodo 1910-1918, esistono certi meccanismi che precisa­

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mente queste serie ci permettono di meglio comprendere. La nostra analisi dovrà partire prendendo in considerazione la serie che meglio riassume tutti gli altri aspetti dell’attività industriale e artigianale, cioè la serie della produzione.

In confronto a tutte le altre serie, esclusa quella dell’occupazione, la produzione industriale e artigianale è quella che conosce il minor tasso d’incremento, che è molto inferiore a quello registrato dai capitali inve­ stiti (2,3% per la produzione e 6,1% per i capitali). Tornando ad osser­ vare più da vicino gl’indici della produzione, notiamo che questa fra il 1910 e il 1912 accusa una tendenza al ristagno e al decremento, tendenza che non si osserva né a livello dell’occupazione, né a livello dei capitali investiti; queste due serie mostrano invece una tendenza all’incremento, che è maggiore per l’occupazione e minore per i capitali investiti. Gli anni che vanno dal 1913 al 1916 mostrano, a livello della produzione, una forte flessione — eccentuando però il 1913 — , poiché soltanto nel 1916 l’indice si riporta su valori simili a quelli di partenza, cioè quelli del 1910. Ma la flessione dell’indice della produzione appare comunque inferiore a quella dell’indice dell’occupazione, che soltanto nel 1917 si riporta su valori del 1910. Per quanto riguarda i capitali investiti, questi subiscono un’evoluzione simile a quella della produzione, giacché il loro indice mostra nel 1916 un valore simile a quello degli anni 1910-1912. VI. Indici della produzione industriale e artigianale, 1910-1918

(1918 = 100) 27.

Anni Industria Artigianato

1910 89,3 108,7 1911 86,0 96,8 1912 86,2 97,9 1913 96,3 100,5 1914 59,8 48,5 1915 70,4 61,9 1916 90,7 71 1917 128,4 117 1918 100 100 Tassi °/0 3,2 -1 ,5

Osserviamo nella tabella VI che mentre la produzione industriale conosce un incremento del 3,2% annuo, quella artigianale diminuisce

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dell’ 1,5% annuo. È appunto la contrazione della produzione artigianale quella che spiega il tasso annuo del 2,3% che abbiamo riscontrato nella tabella V. Questo diverso dinamismo della produzione artigianale viene adeguatamente segnalato a livello dei valori: infatti, nel periodo 1910- 1914 il valore della produzione artigianale rappresenta appena il 3,3% del valore globale, mentre nel periodo 1914-1918 non rappresenta che il 2,7% del valore globale. La scarsa importanza della produzione artigia­ nale a livello quantitativo appare così ovvia, che persino l’indice generale della produzione globale segue strettamente l’evoluzione della produzione industriale propriamente tale.

Il diverso comportamento della produzione artigianale e industriale si osserva nella tabella VI. Infatti, a prescindere dal fatto che la prima ha una tendenza alla riduzione e la seconda all’incremento, osserviamo che nella crisi del periodo 1913-1916, benché il punto di partenza per la pro­ duzione artigianale sia superiore a quello della produzione industriale (in­ dici di 100,5 e 96,3 rispettivamente nel 1913), nel momento più algido della crisi (nel 1914) la prima scende a 48,5 e la seconda a 59,8. G l’in­ dici mostrano inoltre che la ripresa della produzione industriale è assai più rapida di quella dell’artigianato.

È risaputo che nei momenti di crisi le imprese più deboli e quelle marginali tendono a scomparire; questo fenomeno si osserva abbastanza bene nella serie della produzione industriale e artigianale.

VII. Capitali, occupazione e stabilimenti industriali e artigianali. Indici (1918 = 100) 2\

Anni

Capitali Occupazione Stabilimenti

Ind. Artig. Totale Ind. Artig. Totale Ind. Artig. Totale

1910 49,5 75,5 50 — — 90,2 — ____ 72,9 1911 56,8 86,9 57,4 — — ■ 94,7 — — 76,5 1912 60,1 92,9 60,7 — — 103,2 — — 83,1 1913 44,1 62,8 44,4 — — 107,5 — — 104,7 1914 26,8 91,6 28,2 151,7 71 73,7 53,1 62 56,4 1915 45,2 72,9 45,8 90 81,6 76,7 92,1 85,4 89,6 1916 55,1 69,2 55,3 91 91,1 84 89 93,1 90,5 1917 86,1 106,1 86,5 120,6 89,5 92,3 119,1 97 110,8 1918 100 100 100 100 100 100 100 100 100 Tassi % 6,8 2,2 6,1 -8 ,3 9,9 -0 ,6 35,7 14,8 7

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Dall’analisi dei capitali investiti e dell’occupazione generata dal set­ tore industriale e artigianale, si possono trarre nuove considerazioni che ci aiuteranno a spiegare i meccanismi, per lo meno i più importanti, che sono alla base dell’andamento della produzione industriale e artigianale.

Il periodo che si estende fra il 1910 e il 1913 e che vede la stagna­ zione della produzione industriale e artigiana, ci sembra iscriversi in una tendenza precedente: quella del periodo 1906-1910 che abbiamo già analizzata. Questo ristagno della produzione appare vincolato alle carat­ teristiche strutturali dell’economia cilena, piuttosto che alle caratteristiche della congiuntura. Infatti si può osservare il vano tentativo imprendito­ riale di lottare, con un aumento dei capitali investiti, dell’occupazione e delle imprese, contro questa tendenza al ristagno.

Quanto ai capitali, osserviamo che fra il 1910 e il 1912 l’indice si muove da 49,5 a 60,1 per l’industria e da 75,5 a 92,9 per l’artigianato, tendenza diversa quindi da quella osservata per la produzione. L’incre­ mento degli investimenti è spalleggiato da un incremento altrettanto notevole dell’occupazione, il cui indice si muove da 90,2 a 107,5 fra il

1910 e il 1913.

Uno dei motivi per i quali l’azione imprenditoriale, che puntava al rialzo, non si concretò è forse da ricercarsi nel fatto che essa non si orientò verso il potenziamento delle imprese esistenti, ma frantumò il suo sforzo in una proliferazione di nuovi stabilimenti. Infatti, l’indice degli stabilimenti industriali passa nel periodo 1910-1913 da 72,9 a 104,7. Sembra inoltre che l’azione imprenditoriale mirante al rialzo non solo si concentrò nella creazione di nuove unità produttive industriali, ma favorì specialmente — come sembra indicare il maggiore incremento dell’indice dei capitali investiti — l’espansione del settore artigianale creando delle unità troppo deboli per poter sopravvivere alla crisi. Se osserviamo che in questo periodo 1910-1913 gli stabilimenti aumentano da 5.453 a 7.831, ossia di 2.378 unità, e che i capitali investiti aumen­ tano da 749,6 a 909,9 milioni di pesos di 6 d. oro, ossia di 160,3 milioni, ne potremmo dedurre che il capitale medio di ogni nuova impresa è ap­ pena di 60.000 pesos di 6 d. oro; tale cifra, però, deve essere notevol­ mente superiore a quella effettiva, poiché non tiene conto dell’aumento dei capitali investiti nelle industrie preesistenti.

Il ritorno al livello del 1913 non si produce che nel 1916 per la produzione industriale e nel 1917 per quella artigianale.

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eie-menti stanno ad indicare fino a che punto la produzione industriale è vincolata alla congiuntura economica generale del paese.

Alla base della crisi della produzione industriale e artigianale troviamo la riduzione del capitale investito, il cui indice passa da 60,1 a 44,1 per l’industria e da 92,9 a 62,8 per l’artigianato fra il 1912 e il 1913. La flessione dell’indice appare quindi più forte per l’artigianato che per l’industria. La contrazione dei capitali investiti, per quanto riguarda l’industria non si arresta nel 1913 ma continua anche nel 1914: l’indice scende infatti a 26,8; per l’artigianato invece, l’indice ritorna al livello del 1912 (92,9). La forte flessione che conoscono i capitali investiti li fece dimezzare: fra il 1910 e il 1914, essi diminuiscono da 725,7 a 393,5 milioni di pesos di 6 d. oro. Questa così forte riduzione, che in pratica avvenne nel giro di due anni, può darci un’idea — più d ’ogni altro indicatore — del vero grado d ’evoluzione strutturale raggiunta dal set­ tore industriale.

Se teniamo presente che il grado di sviluppo industriale in un’econo­ mia relativamente evoluta si misura non solo sulla base dell’intensità delle unità di capitale impiegato ma inoltre dal fatto che ogni spinta innova­ trice porta i capitali fissi ad acquisire un peso maggiore sul totale dei capitali investiti, il fatto che in due anni i capitali totali investiti nell’in­ dustria, e quindi anche quelli fissi, possano dimezzarsi sta ad indicarci che negli impianti predominano i capitali variabili e quelli fissi facilmente smobilitabili. Il grado d’evoluzione tecnica dell’industria appare dunque assai « primitivo », non solo in confronto al grado d ’evoluzione raggiunto dalle grandi potenze industriali — fatto questo che sarebbe tanto ovvio da non meritare un’analisi — , ma anche in rapporto cogli altri settori economici. Da questo deduciamo, come logica conseguenza, che nel 1914- 1915, ossia dopo quasi un ventennio di sviluppo industriale documenta­ bile, le caratteristiche strutturali di quest’ultimo non sono evolute, riman­ gono immutate.

La radicale diminuzione dei capitali investiti, intervenuta fra il 1913- 1914, fece scomparire quasi la metà delle imprese industriali e artigianali, il cui numero diminuisce da 7.831 a 4.220. Malgrado la carenza d’in­ formazione per il 1913 riguardo alla divisione dei 7.831 stabilimenti fra industria e artigianato, partendo dalle informazioni disponibili per il 1914 possiamo supporre che la crisi abbia colpito più fortemente gli stabilimenti industriali che non quelli artigianali. Nel 1914 infatti, men­ tre l’indice per i primi è di 53,1, per i secondi è di 62.

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conto della nuova popolazione attiva che in circostanze non critiche veniva assorbita dal settore industriale e artigianale. Questi 25.000 nuovi disoccupati non furono riassorbiti una volta superata la crisi. Os­ serviamo infatti che nemmeno nel 1918, in un momento di rinnovato sviluppo dell’industria, il livello dell’occupazione ritorna ad essere quello del 1913. Secondo il censimento del 1920, la popolazione attiva è di 1,4 milioni e quindi — grosso modo — i 25.000 disoccupati rappresentano quasi il 2% della popolazione attiva. È facile immaginare — data la si­ tuazione creatasi come conseguenza della crisi — il grado di sfruttamento di questa mano d ’opera: ancora nel 1920 non esistono i contratti collet­ tivi di lavoro ma soltanto accordi individuali, che nella stragrande mag­ gioranza erano stipulati verbalmente28. Va rilevato il fatto — di cui il Morris non fa nessuna menzione — che questi tipi di contratti di lavoro stipulati a parola sono analoghi a quelli che prevalgono nelle campagne e dello stesso tipo, in essenza, in uso per la mano d’opera agricola o mineraria nel tardo x v m secolo 29 30.

Ritroviamo così che gli elementi nuovi, « moderni », che potrebbero essere stati introdotti dall’industria nascente si risolvono in nulla: nem­ meno in questo settore l’industria riesce, ancora nel 1914, a discostarsi dai modelli ereditati dalla struttura economica del paese che è prevalente­ mente agraria nelle sue caratteristiche più profonde e mineraria nelle sue punte più avanzate.

A partire dal 1915 la produzione industriale e artigianale riprende a crescere: già nel 1916 riesce a recuperare il livello precedente alla crisi, e la stessa tendenza si riscontra a livello dei capitali investiti nel settore industriale; diversa è l’evoluzione dei capitali investiti nel settore arti­ gianale i quali, fra il 1914 e il 1916, sono in diminuzione (l’indice passa da 91,6 a 69,2), per riprendere e superare nel 1917 il livello precedente alla crisi (l’indice passa da 69,2 a 106,1 fra il 1916 e il 1917). Più rapi­ damente dell’industria, l’artigianato riesce a riassorbire gli effetti della crisi.

Se dall’indice dei capitali passiamo al numero delle imprese, osser­ viamo che fra il 1914 e il 1918 quelle del settore industriale aumentano con un tasso del 35,7% annuo, mentre quelle del settore artigianale lo fanno soltanto con un tasso del 14,8% annuo. Dal confronto fra gl’indici

29. Cfr. J. O. Morris, Elites, Intellectuals and Consensus, Ithaca, 1966,

pp. 95-96.

30. Per il secolo xvm, M. Góngora, Orìgen de los « Inquilinos », Santiago,

1960, pp. 83-104; per il primo terzo del secolo xx, G. McBride, Chile: Land

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della produzione, dei capitali investiti e del numero degli stabilimenti sembra di poter trarre una prima conclusione, e cioè che lo sviluppo dell’attività industriale fra il 1914 e il 1918 si realizzò attraverso la carat­ teristica strutturale dell’aumento delle unità produttive più che attraverso il potenziamento delle unità produttive preesistenti. Infatti, se si osserva l’evoluzione degl’indici degli stabilimenti, della produzione e dei capitali, si rimane colpiti dalla loro concordanza.

A livello dell’occupazione generata dalla fase d ’ascesa la tendenza è decisamente tu tt’altra: infatti, l’occupazione del settore industriale mostra un tasso decrescente dell’8,3% annuo, e sebbene l’artigianato registri invece un incremento annuo del 9,9% , questo non basterà a riportare l’occupazione al livello raggiunto nell’anno precedente la crisi.

L’interpretazione dell’indice dell’occupazione industriale può farsi più adeguatamente, se ai dati disponibili nella tabella V II aggiungiamo quelli relativi all’occupazione degli impiegati.

V ili. Occupazione industriale e artigianale. Indici (1918 — 100) 31.

Anni

Industria Artigianato

Totale

Impiegati Operai Artigiani

1910 _ — — 90,2 1911 — —■ — 94,7 1912 — — — 103,2 1913 82,3 123,2 — 107,5 1914 68,6 69,3 112,2 73,7 1915 84 71,4 107,4 76,7 1916 109,2 77,5 104,5 84 1917 98,3 87,7 118,4 92,3 1918 100 100 100 100 Tassi 1910-18 % -0 ,6 Tassi 1913-18 % 9,6 9,9 8,3 '

Fra il 1910 e i l 1918 l’indice tende — come abbiamo detto preceden­ temente — alla riduzione. All’interno di questa tendenza generale, che sembra toccare quasi tutte le categorie di lavoratori, possiamo però notare che il gruppo meno colpito è quello degli artigiani: infatti, fra il 1914 e il 1917, l’indice passa da 112,2 a 118,4. Va però notato che il settore

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artigianale dava occupazione nel 1917 soltanto a 8.909 persone, su un totale di 72. 753, e aveva quindi scarsa incidenza sulla domanda di lavoro.

Più significativo è seguire l’evoluzione che mostra l’indice dell’occu­ pazione degli operai industriali, che rappresentano quasi i tre quarti degli occupati totali. Questa evoluzione è fortemente negativa, giacché nel 1918 l’indice non aveva ancora recuperato il livello del 1913, anno in cui gli operai industriali erano quasi 70.000 (tenendo conto che nella cifra totale fornita dal censimento, 77.486, un 10% erano probabilmente artigiani), mentre nel 1918 erano 62.732.

Se riallacciamo quanto abbiamo detto degli operai del settore indu­ striale al fatto precedentemente mostrato — che lo sviluppo industriale si fece essenzialmente attraverso la creazione di nuove unità produt­ tive — , dovremmo trarre una conclusione paradossale: anziché aumen­ tare, come sarebbe logico attendersi, il numero medio degli addetti degli stabilimenti industriali, nel corso di questo quinquennio, tende a dimi­ nuire. Se dividiamo il numero degli operai addetti all’industria per le unità produttive, notiamo infatti che il numero medio di addetti era di 10 nel 1914 e di 8 nel 1918. Lo stesso fenomeno, ossia la diminuzione di addetti per unità produttiva, è riscontrabile a livello dell’occupazione impiegatizia.

Prima di concludere quest’analisi dell’occupazione, vorremmo ancora una volta soffermarci sugli anni più critici. Nel 1913 — anno precedente alla crisi — , l’indice dell’occupazione è di 123,2 per gli operai e di 82,3 per gl’impiegati; una volta avvenuta la crisi, il primo indice si riduce a 69,3 e il secondo a 68,2. Da questi dati si potrebbe concludere che la disoccupazione, durante la crisi, fu assai più forte per gli operai industriali, a causa dei licenziamenti massicci che fecero ridurre del 40% l’effettivo operaio, mentre l’effettivo degli impiegati si ridusse del 20% . Questo diverso comportamento dell’occupazione a livello degli operai e degli impiegati durante la crisi sembra indicare che, malgrado il calo produttivo, la struttura di distribuzione assicurata in gran parte dal personale impiega­ tizio fu in gran misura salvaguardato, forse in attesa del superamento della crisi.

Si potrebbe anche pensare, però, che il diverso comportamento di­ penda dal potere contrattuale degli impiegati che, malgrado l’inesistenza di contratti collettivi di lavoro, era maggiore di quello degli operai, e fosse in grado di bloccare, in certa misura, i licenziamenti. Pensiamo però che sia più accettabile la prima ipotesi, poiché verso il 1920 non esistevano ancora sindacati d ’impiegati d ’industria; questo elemento fa in gran parte cadere la seconda ipotesi, anche ammettendo che l’organiz­ zazione degli impiegati all’interno di ogni singola impresa sia riuscita

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3-— malgrado l’inesistenza di veri e propri sindacati 3-— ad avere un certo potere contrattuale32 33.

IX. Salari e massa salariale. Indici (1918 = 100) 33.

Anni

Salari Massa salariale

Imp. Operai Artig. Totale Imp. Operai Artig. Totale

1910 ____ ___ — 52,3 — — — 55,8 1911 — — — 52,5 — — — 58,9 1912 — — — 50 — —■ — 61,2 1913 56,5 — — 56,5 46,7 — — 65,8 1914 58 — — 51,5 36,8 — —■ 33,8 1915 76,9 67,6 43,7 67,6 64,9 48,4 47,1 48,4 1916 47,2 70,1 65,2 70,1 51,8 55,3 68,4 55,3 1917 83,9 89,6 89,3 89,6 82,9 80,6 106,3 80,6 1918 100 100 100 100 100 100 100 100 Tassi % 12 10,8 21,7 7,3 13,6 33 28,2 4,9

Cerchiamo ora, partendo da indicatori come i salari e la massa dei salari, di comprendere meglio la realtà che si trova alla base dell’occupa­ zione precedentemente analizzata.

Fra il 1910 e il 1918 la massa salariale mostra una tendenza all’au­ mento: il tasso annuo d’incremento è del 7,3% . L’incremento si delinea bene soltanto dopo il 1914-15, mentre per gli anni precedenti la ten­ denza è decisamente stagnante. Se confrontiamo l’indice dei salari con quello dell’occupazione, ci rendiamo conto che essi non hanno la stessa tendenza. Appare in forma evidente che i salari non conoscono, fra il 1913 e il 1914, quella forte diminuzione che si registra invece per l’oc­ cupazione. Possiamo inoltre osservare che fra il 1910 e il 1913, mentre l’occupazione mostra una tendenza all’aumento, i salari rimangono sta­ gnanti, e che durante il periodo di ripresa 1915-1918, quando i salari quasi raddoppiano, l ’occupazione non riesce a ritrovare il livello raggiunto prima della crisi. Quanto abbiamo detto per il periodo 1915-18 è valido, in linea di massima, tanto per gli operai quanto per gli artigiani, mentre una tendenza alla maggiore occupazione e all’aumento dello stipendio si registra per gl’impiegati del settore industriale.

32. Cfr. M. Poblete Troncoso, Labor Organizations in Chile, « Bulletin of

thè United States Bureau of Labor Statistics », 1921, n. 461, passim; O. Alvarez

Andrews, op. cit., pp. 223-225.

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Se dai salari passiamo alla massa salariale, osserviamo che la tendenza fra il 1910 e il 1913 è simile a quella dell’occupazione. Questo mostre­ rebbe che esiste una concordanza fra le serie dell’occupazione, dei salari e della massa salariale, nel senso che l’aumento dell’occupazione si tra­ dusse in un aumento della massa salariale, e poiché quest’ultima non fu maggiore del primo ne derivò un ristagno dei salari.

Quando sopravviene la crisi del 1913-1914, benché l’occupazione e la massa salariale accusino una forte diminuzione (l’indice della massa sala­ riale diminuisce da 65,8 a 33,8 e quella dell’occupazione totale da 107,5 a 73,7), i salari degli operai industriali conoscono al contrario una dimi­ nuzione lieve (l’indice diminuisce da 56,6 e 51,5) mentre aumentano gli stipendi degli impiegati (l’indice aumenta da 56,5 a 58).

Sulla base di questi elementi, si potrebbe pensare che nel momento della crisi il ceto imprenditoriale dovette procedere ad una scelta: dimi­ nuire l’occupazione attraverso una serie di licenziamenti, oppure dimi­ nuire i salari e gli stipendi. Qualsiasi scelta avessero fatto, gl’imprenditori avrebbero raggiunto lo stesso scopo: diminuire le spese d ’esercizio attra­ verso una drastica riduzione della massa salariale. Se la riduzione fosse avvenuta attraverso la diminuzione dei salari e degli stipendi il ceto im­ prenditoriale avrebbe pauperizzato ancora di più la già proletarizzata mano d ’opera industriale, riuscendo però a conservare la totalità o la quasi totalità della medesima. Il fatto che si sia optato, invece, per la riduzione drastica dell’occupazione, sembrerebbe indicare che gl’impren­ ditori industriali seguono una politica occupazionale diversa da quella generale caratteristica del paese, ripudiando così uno dei tratti fondamen­ tali della società agraria del paese. Nel settore agrario, infatti, anche nei momenti di crisi, il latifondista — Vhacendado — non licenzia massic­ ciamente la sua mano d ’opera servile: la conserva, aumentandone però gli obblighi di lavoro.

Questo aspetto di « modernità » che sembra caratterizzare l’industria, e che contrasta con l’arretratezza generale del paese, sembra dovuto a due fattori: in primo luogo, al fatto che i criteri di rendimento e di produt­ tività — malgrado la struttura generale signorile — sono assai più pres­ santi per l’industria che per l’agricoltura; in secondo luogo, al fatto che il salario era quello strettamente necessario alla sussistenza del lavoratore e della sua famiglia. Non tenere conto di queste caratteristiche significhe­ rebbe non comprendere i tratti dominanti della struttura industriale.

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