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Gli effetti della cottura sugli alimenti

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Academic year: 2021

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Gli effetti della cottura suGli alimenti

In ogni alimento sottoposto al riscaldamento avvengono modificazioni esterne e interne più o meno importanti a seconda della tecnica di cottura applicata. Si descriveranno di seguito le diverse cotture degli alimenti soprat- tutto sotto il profilo scientifico, valutandone i meccanismi chimico-fisici che intervengono.

La cottura della carne

L’uomo è l’unico animale carnivoro che cuoce la carne che mangia. Anche se esistono delle preparazioni gastro- nomiche fatte con carne cruda (per esempio i carpacci), generalmente questo alimento viene sottoposto a diversi trattamenti termici per quattro ragioni fondamentali, cioè per rendere la carne:

più igienica;

più facile da masticare;

più facile da digerire;

più appetibile.

Fortunatamente, i motivi igienici oggi non sono preponderanti come qualche decina d’anni fa, quando la qualità delle carni era piuttosto scadente e bisognava cuocere bene la carne di maiale o di manzo per evitare il pericolo di pericolose parassitosi, quali le teniasi (verme solitario), le trichinosi o l’echinococcosi.

Reazioni chimico-fisiche che avvengono con la cottura della carne

Il fenomeno principale che si nota cuocendo la carne è la riduzione del suo volume e del suo peso. Questo fe- nomeno è dovuto alla coagulazione delle proteine muscolari che, denaturandosi, modificano la loro struttura e quindi si accorciano. La coagulazione delle fibre muscolari inizia a circa 40 °C e prosegue all’aumentare della temperatura. A 65/70 °C le fibre si compattano e diminuisce la loro capacità di trattenere l’acqua interna (come esempio possiamo pensare a uno strofinaccio bagnato che viene strizzato). Per questo motivo la carne cotta al sangue è più succulenta e “acquosa” di quella cruda. Sopra gli 80 °C la carne ha perso tutti i suoi liquidi e non trasuda più, apparendo dopo la cottura più asciutta di quella al sangue.

Termometro di controllo della temperatura della carne. Diversi gradi di cottura della carne, al sangue, media o ben cotta.

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CARNE

(fibre muscolari + collagene)

Le fibre muscolari tendono a coagulare, compattandosi ed

espellendo l’acqua interna.

Le fibre si spappolano e diventano asciutte.

Principali metodi per cuocere la carne

La griglia

Nella cottura alla griglia (o ai ferri) la carne va posta su una graticola molto vicina alla fonte di calore, costituita da braci di carbone, fiamma di gas o resistenza elettrica. Poiché le temperature che si raggiungono sono decisa- mente alte (1100/1600 °C), è indispensabile che lo spessore della carne che si vuol cucinare sia di pochi centi- metri, onde evitare che la superficie esterna cominci a carbonizzarsi prima che la parte interna sia cotta.

I tagli ricchi di connettivo sono poco adatti a questo tipo di cottura, in quanto il collagene interno non ha il tempo di raggiungere la temperatura sufficiente per diventare gelatina e quindi ammorbidirsi. La carne cotta alla griglia acquista un sapore del tutto particolare dovuto alle intense reazioni di Maillard che avvengono in superficie determinando la rosolatura.

Glossario

Rosolatura: tipo di cottura degli alimenti (specialmente carne) che, se effettuata ad alta temperatura, può determinare un essiccamento eccessivo della parte superficiale impedendone la cottura all’interno.

Gelatinizzare: ridurre allo stato di gelatina, ossia a una miscela proteica ottenuta per idrolisi dal collagene. Il termine gelatina indica, in generale, il brodo di carne o pesce raffreddato e solidificato mediante aggiunta di sostanze collose.

Il sapore della carne alla griglia

Il tipico gusto della carne alla griglia è dovuto anche ad altri due fattori: ai grassi che fondono sul braciere o sulla resi- stenza trasformandosi rapidamente in composti volatili, e al fumo della carbonella che investe la carne durante la cot- tura. A tal proposito è bene ricordare che il fumo ottenuto dalla combustione del carbone è composto da più di 200 componenti, tra i quali può esserci il famigerato benzopirene, noto cancerogeno, abbondante nel fumo ottenuto da una combustione incompleta di cellulosa e lignina.

Glossario

Collagene: sostanza proteica fibrosa, costituente fondamentale della pelle, dei tendini, delle ossa e dei tessuti connettivi in generale, formata da un’alta percentuale di amminoacidi glicina, prolina e arginina Tessuto connettivo: denominazione che indica tessuti di diverso genere con funzioni di nutrimento e di sostegno (adiposo, cartilagineo, osseo).

Durante la cottura

Fino a 65 °C, il collagene rimane stabile (cottura al sangue). A 70-80 °C tende

ad ammorbidirsi.

È indispensabile trovare il giusto compromesso tra fibre

muscolari e collagene, per avere una carne tenera e non

asciutta.

Le carni povere di connettivo e di tessuto adiposo (venate

o marezzate) non devono essere sottoposte a cotture a secco con temperature elevate, ma bensì cotte in umido con temperature non

superiori i 100 °C.

Le carni ricche di connettivo vanno cotte per tempi più lunghi a temperature più alte.

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La frittura

La temperatura che si raggiunge con la frittura è generalmente alta e quindi è indicata soprattutto per tagli di piccolo spessore. È be- ne tuttavia non superare il punto di fumo dei grassi di cottura, per evitare il formarsi di sostanze di odore e sapore sgradevole. Bisogna poi abbassare la fiamma dopo il primo riscaldamento, dando il mo- do di rosolare la carne in superficie e permettere poi una cottura ideale, utilizzando il proprio sugo. La frittura, a ogni modo, arric- chisce la carne di grasso e risulta quindi poco adatta per chi soffre di disturbi gastrointestinali.

La cottura arrosto

Avviene generalmente nel forno, dove la trasmissione è per irraggia- mento o per convezione (corrente d’aria forzata). Generalmente la prima fase della cottura arrosto (rosolatura) si fa nel forno molto caldo (200-220 °C) dove la scottatura iniziale provoca la coagulazione delle proteine superficiali e la formazione di una crosta asciutta e saporita.

La temperatura alla quale arrostire la carne dipende dalla qualità del ta- glio usato. Infatti se si adoperano temperature vicino ai 180 °C, le fibre muscolari cuoceranno rapidamente, mentre il collagene non farà in tempo a gelatinizzarsi. In questi casi è meglio non impiegare tagli ric- chi di connettivo, per i quali è indicata la temperatura di 120-150 °C;

il tempo di cottura sarà più lungo (il doppio circa) ma la morbidezza e la succosità della carne saranno garantite.

La cottura del latte

Il riscaldamento eccessivo del latte può causare la perdita di im- portanti principi vitaminici, dovuti alla denaturazione delle loro complesse strutture molecolari (soprattutto la vitamina B1 e B2). I globuli di grasso, dispersi nella parte acquosa sotto forma di piccole

“micelle”, man mano che la temperatura cresce, aumentano la loro velocità e si riuniscono formando grosse particelle di grasso. Que- ste ultime, più leggere dell’acqua, affiorano lentamente a formare la panna superficiale. La pellicola sottile che si forma dopo aver bolli- to il latte è un complesso di caseina e calcio, dovuta all’evaporazio- ne di acqua alla superficie e dalla conseguente concentrazione di proteine in quel punto. L’eliminazione di questa pellicola diminu- isce il valore nutritivo del latte. Per evitare la formazione della pel- licola (quando si prepara una cioccolata, o delle salse o delle patate al latte) è sufficiente limitare l’evaporazione dell’acqua, coprendo il tegame con un coperchio o agitare il latte perché faccia la schiuma.

Durante il riscaldamento del latte può capitare che esso bruci facilmente, lasciando uno strato residuo sul fondo del recipiente di cottura. Questo fenomeno è dovuto alle micelle di caseina e alle proteine del siero che tendono a scendere verso il fondo del recipiente a causa della loro maggiore densità. La migliore soluzione è far bollire il latte a fuoco basso oppure a bagnomaria.

Glossario

Micella: particella colloidale formata da un aggregato di molecole relativamente piccole.

Caseina: sostanza semisolida del latte. Chimicamente è una proteina; contiene fosforo e calcio. Ha un alto valore alimentare, ma viene usata anche nella preparazione di prodotti industriali (es. colle, fibre tessili).

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La cottura delle uova

A prescindere dal tipo di cottura, il comportamento delle uova in cucina dipende essenzialmente dalla particolare struttura delle pro- teine presenti nell’uovo in gran quantità sotto forma di microscopici

“gomitoli”, ben separati l’uno dall’altro dall’acqua interna. Quando le uova vengono scaldate, il calore fa aprire i “gomitoli” proteici e le catene cominciano a svolgersi, avvicinandosi e legandosi tra loro. Al- la fine si forma una massa sola di proteine, in parte svolte e collegate tra loro in modo intricato imprigionate all’interno delle particelle d’acqua. L’uovo, quindi, da fluido diventa un solido opaco, più o meno duro a seconda dell’intensità dei legami che si formano tra le proteine e della quantità di acqua che esse trattengono.

Modificazioni delle proteine delle uova durante il riscaldamento

A B C

Gli effetti degli ingredienti aggiunti

A volte le uova vengono cucinate con altri ingredienti, per esempio zucchero e latte per fare creme, o anche semplicemente il sale per insaporirle. L’aggiunta di zucchero o di liquidi ha l’effetto di ritardare la coagulazione semplicemente perché essi si dispongono attorno alle proteine rendendo più difficile la loro aggregazione. Il sale e le sostanze acide danno invece il risultato opposto, in quanto favoriscono indirettamente il formarsi di forze d’attrazione tra i diversi gomitoli proteici.

La bollitura delle uova

Si tratta di immergere l’uovo in acqua calda per un tempo prestabi- lito a seconda del grado di cottura che si desidera. Seppur di facile esecuzione, durante la bollitura di un uovo bisogna porre attenzione a due fattori: il tempo di cottura e la temperatura dell’acqua (che do- vrebbe essere leggermente più bassa del punto di ebollizione).

Il tempo di cottura influisce notevolmente sul grado di consistenza dell’albume e del tuorlo e, di conseguenza, sulla digeribilità dell’uo- vo stesso. Le uova alla coque e quelle affogate lasciano lo stomaco più rapidamente che non le uova sode, mentre le uova crude transitano meno velocemente di quelle alla coque.

Per la cottura alla coque si fanno cuocere le uova da 3 a 5 minuti: si rassoda l’albume mentre il tuorlo resta liquido. Le uova sode devono cuocere invece per 20-25 minuti e, se la temperatura dell’acqua non supera 85 °C, l’albume rimane più morbido.

Le proteine dell’uovo sono catene ripiegate di aminoacidi (A). Quando vengono riscaldate, il movimento dei loro atomi aumenta provocando la rottura di alcuni legami, e le catene cominciano a svolgersi (B). Le proteine poi cominciano a formare legami tra loro. Se non viene portato troppo avanti, questo processo produce una struttura solida di lunghe molecole che contiene molte piccole parti di acqua (C).

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La cottura del pesce

La caratteristica peculiare della carne del pesce è la sua povertà in tessuto connettivo e, quindi, il suo inevitabile sfaldamento allorché venga cotta a lungo. Si deve tenere presente anche che una cottura prolungata ha come effetto quello di compattare le fibre muscolari (coagulazione termica), facendo perdere del liquido di cottura e rendendo la carne tigliosa e coriacea. Una rapida coagulazione superficiale, con poca perdita di liquidi interni, e un tempo sufficiente affinché anche l’interno cuocia in modo opportuno sono le condizioni necessarie per assaporare un pesce succulento e saporito.

I tempi di cottura devono in ogni caso essere brevi e a tal proposito si può impiegare una regola empirica che prevede di misurare lo spessore massimo di un pesce e cuocerlo per 10 minuti ogni 2,5 centimetri. Questo cal- colo è valido per ogni tipo di cottura e ogni specie di pesce. Se si utilizza del pesce congelato, il tempo di cottura va raddoppiato.

Il colore verde del tuorlo nelle uova sode

Il colore verde-grigio che talvolta compare sulla superficie del tuorlo è dovuto a un composto innocuo a base di zol- fo e ferro (solfuro ferroso) che si forma solo per azione del calore. Durante il riscaldamento, infatti, lo zolfo presente nell’albume, origina dell’acido solfidrico, un gas dall’odore penetrante che si diffonde in tutte le direzioni e, quando arriva a contatto del tuorlo, si scontra con il ferro in esso contenuto formando, appunto, il solfuro di ferro colorato di verde. Per evitare il fenomeno bisogna evidentemente rendere minima la quantità di gas che raggiunge il tuorlo, raffreddando immediatamente le uova dopo la cottura, così da abbassare la pressione interna del gas. Anche pelare subito le uova aiuta ad allontanare il gas dal tuorlo.

SH S– – FeS

ione solfuro

Fe– –

ione ferroso

solfuro ferroso Albumina

Cottura dei pesCi in base al Contenuto di grassi Contenuto di grassi Cottura più indicata

pesci magri (<3% di lipidi) sono più adatti per una cottura a calore umido, in acqua, a vapore o tramite i grassi, che permettono di cuocere tutto il pesce senza asciugare e indurire le fibre muscolari, mantenendo una certa succosità.

pesci semigrassi e grassi (>3% di lipidi) è indicata la cottura a calore secco, arrosto o alla griglia, affinché i grassi interni possano fuoriuscire, lasciando tuttavia la carne succosa e tenera.

La lessatura

La cottura in acqua è particolarmente adatta ai pesci magri e non deve mai essere effettuata con acqua bollente, ma al sobbollire, onde evitare che il delicato tessuto muscolare dei pesci si sfaldi. L’impiego di acqua salata o l’ag- giunta di succo di limone ha come scopo quello di coagulare

rapidamente le proteine superficiali e mantenere una certa compattezza e succulenza al pesce (specie se tagliato in filetti o tranci).

La lessatura dei pesci provoca la perdita di vitamine e sali mi- nerali abbastanza consistente. Infatti la vitamina B6 può esse- re denaturata per il 50% circa e la vitamina B1 e PP per il 40 e 30% rispettivamente.

Per limitare al massimo la perdita di sostanze solubili nell’ac- qua di cottura è utile cuocere il pesce al vapore. Il calore penetra nell’alimento attraverso il vapore ed evita, quindi, la fuoriuscita di principi nutritivi dall’alimento stesso.

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Le cotture a secco

Le cotture che utilizzano calore secco (in forno, alla griglia, alla piastra) costituiscono un ottimo metodo di cot- tura, capace di risaltare il sapore delle carni dei pesci senza provocarne elevate perdite nutrizionali (tranne alcune vitamine termolabili). La cottura alla griglia e al forno provoca la coagulazione proteica superficiale e le numero- se reazioni di Maillard (caramellizzazione) che rendono particolarmente appetibili i pesci cotti in questi modi.

Anche la cottura al cartoccio (cuocere il pesce in forno dopo averlo avvolto in un foglio d’alluminio) rappresenta un ottimo metodo per preservare il sapore, l’aroma e la morbidezza delle carni. Ideale anche la cottura in forno in crosta di sale, che, oltre a evitare la perdita eccessiva di acqua (come per il cartoccio), consente di aromatizzare ottimamente il pesce.

La cottura nei grassi

Il pesce fritto è una delle preparazioni più apprezzate da chi consuma questo alimento. È una tecnica applicata soprattutto per i pesci magri, tagliati in filetti. L’aspetto dietetico negativo legato a questo metodo di cottura sta nell’aumento anche considerevole (fino al 10%) del contenuto di grasso della preparazione. Un’operazione pre- liminare indispensabile è quella dell’infarinatura dei pesci prima della frittura. La pelle dei pesci, infatti, è rivestita di una sostanza mucoide che impedisce al pesce di diventare croccante durante la cottura. L’amido della farina a contatto con l’olio caldo tende subito a destrinizzare e caramellizzare formando una crosta croccante e appetibi- le che limita inoltre l’assorbimento del grasso da parte delle carni.

La cottura delle verdure

Il motivo fondamentale perché la verdura viene cotta è quello di ammorbidire la cellulosa, che costituisce la struttura portante dei vegetali. Il riscaldamento in ogni caso rende i vegetali più sicuri e commestibili, grazie all’eliminazione, per esempio, di alcune so- stanze dannose come gli alcaloidi o i cianogeni presenti nelle pa- tate e nei legumi. Anche il gusto dei vegetali viene intensificato ed esaltato dalla cottura: molte sostanze aromatiche volatili, presenti nei vacuoli, vengono liberate dall’azione termica, risultando così maggiormente avvertibili. Bisogna però tenere presente che una cottura troppo prolungata rischia di far perdere completamente queste sostanze, impoverendo il sapore complessivo della prepa- razione.

La perdita di consistenza

Le verdure mentre cuociono diventano sempre più tenere e solo perdendo parte della loro consistenza possono poi essere definite commestibili. La perdita del turgore iniziale è dovuta all’azione del calore che indebolisce le pareti cellulari ed elimina una parte dell’acqua interna. Se però la cottura è troppo prolungata il rischio è quello di rammollire in modo eccessivo le verdure rendendole flaccide e avvizzite.

Per quanto riguarda la lessatura può essere utile ricordare che il pH dell’acqua influenza la consistenza del ve- getale. Infatti le fibre vegetali sono più solubili in acqua alcalina e le pectine invece si sciolgono meglio se il pH è meno di 4 o più di 4,5. Le verdure si spappolano più rapidamente, quindi, se l’acqua è basica, mentre riman- gono più sode se cotte in acqua neutra o acidula. L’uso del limone o dell’aceto come acidificanti mantiene la consistenza della verdura, ma modifica, anche sensibilmente, il sapore della verdura e, se questa è verde, anche il colore.

Glossario

pH: grandezza che esprime la concentrazione di ioni idrogeno di una soluzione, ossia la sua acidità. Il termine deriva dal francese “pouvoir hydrogène” cioè “potere d’idrogeno”.

Alcalinità: stato chimico che identifica un ambiente opposto all’acidità. Alcaline sono le sostanze che liberano ioni idrossido in soluzione acquosa (OH), come la soda caustica o l’idrossido di ammonio.

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La cottura dei legumi

I semi dei legumi in genere sono molto secchi e la bollitura è sicuramente il metodo migliore per indebolire le pareti esterne e gelatinizzare l’amido interno. È bene ricordare che la durezza dell’acqua di cottura influenza il grado di consistenza dei semi, in quanto il calcio e il magnesio, abbondanti nelle acque dure, si combinano con la cellulosa, determinando un ulteriore indurimento delle strutture cellulari. In questi casi si può alcalinizzare l’acqua di ammollo aggiungendo del bicarbonato, senza esagerare (max 3 g per chilo di legumi) onde evitare che lo spappolamento eccessivo delle pareti cellulari provochi la fuoriuscita, e, la conseguente perdita, di vitamine, amido, proteine e sali minerali.

La cottura della pasta e del riso

I cibi amidacei sono decisamente la fonte energetica primaria e la loro utilizzazione da parte dell’organismo prevede che i granuli d’amido vengano opportunamente scissi in composti più semplici, i monosaccaridi. Queste reazioni demolitive, compiute dagli enzimi digestivi della saliva e dei succhi intestinali, avvengono efficacemente solo se l’amido si trova in uno stato di rigonfiamento molto spinto, oppure se viene scisso direttamente in fase di cottura.

La corretta frittura delle patate

Il modo migliore per fare delle patatine fritte è quello di cuocerle in due tempi: prima a bassa temperatura (circa 160 °C) e poi a temperatura più alta (circa 190 °C).

Infatti, se la temperatura è subito troppo alta, la parte più esterna delle patate tende a rosolare prima che l’interno sia cotto adeguatamente; se invece si opera a temperature inferiori la cottura dura troppo a lungo e le patate assorbo- no molto olio e cuociono eccessivamente all’interno.

Cuocendole in due tempi si rimedia a questi inconvenienti.

La prima fase, a circa 160 °C, fa diventare molli le patate, gelatinizzando i granuli d’amido; poi si fanno raffreddare a temperatura ambiente in modo da formare una sorta di patina d’amido gelatinizzata in superficie. In seguito que- ste patate “precotte” vengono sottoposte alla seconda frittura a temperatura più alta, fino a che la parte esterna

non cominci a dorare. In questa seconda fase l’assorbimento dell’olio è ostacolato dal gel di amido che si trova all’esterno della pa- tata. Il vantaggio di questa doppia frittura delle patatine è ovviamente condizionato dalla loro forma: se i tuberi vengono tagliati a fettine sottili (tipo patatine fritte industriali) allora lo spessore della patata è talmente esiguo da rendere superfluo fare due cotture separate.

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A secco

Una volta raggiunti i 160 °C, l’amido comincia a destrinizzare, cioè a rompersi in catene più piccole, provo- cando un netto imbrunimento del co- lore, una intensificazione degli aromi e un generale miglioramento della di- geribilità.

In acqua

1a fase

L’amido, immerso in acqua fredda, assorbe circa il 25% dell’acqua.

2a fase

Quando la temperatura dell’acqua raggiunge i 65 - 70 °C, i granuli si rigonfiano, cambiando forma e passando nel liquido i componenti più solubili, come l’amilosio.

3a fase

Aumentando ulteriormente la tempe- ratura il granulo tende a rompersi, ri- versando nell’acqua tutto l’amilosio e l’amilopectina contenuta, che forma un composto colloidale (salda d’amido).

CAloRE

gRANuli di Amido NAtivi iN ACquA gRANuli di Amido RigoNfiAti

Cottura della pasta

La pasta secca, cioè confezionata solo con grano duro, deve essere cotta al punto giusto, “al dente”, cioè in mo- do completo, ma ancora un po’ resistente alla masticazione. Durante la cottura, la pasta aumenta il suo peso, in quanto assorbe una certa quantità d’acqua. La quantità di liquido assorbito varia a seconda del tipo di pasta usato (qualità del grano, formato della pasta, presenza delle uova e via dicendo). In media il rapporto pasta cotta/pasta cruda è di 1:2,5, vale a dire che da 80 g di pasta cruda si ottengono circa 200 g di prodotto cotto. L’esatto tempo di cottura della pasta è un fattore del tutto soggettivo che viene valutato tramite l’assaggio frequente durante la cottura. Non prolungare troppo il riscaldamento della pasta significa anche limitare le perdite di fosforo e di vi-

CottuRA dEll’Amido

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Cottura del riso

Per cuocere il riso si possono utilizzare due sistemi: la bollitura in acqua e la cottura al sobbollore, sempre con acqua o brodo. Nel primo caso si ottiene il riso bollito, che durante la cottura (simile a quella della pasta) assorbe una quantità d’acqua che varia a seconda del tipo di riso utilizzato. Il riso bollito risulta particolarmente digeribi- le, in quanto i granuli rigonfi di amido sono generalmente di piccole dimensioni e quindi facilmente attaccabili dagli enzimi digestivi.

La cottura al sobbollore nel brodo si utilizza invece nella preparazione dei risotti, che a cottura ultimata de- vono aver assorbito oltre all’acqua anche una certa quantità di grasso di condimento (generalmente burro). Se viene usato del riso parboiled la consistenza dei chicchi rimane elevata, mantenendoli integri e ben separabili tra loro. Il tempo di cottura del riso dipende molto dal tipo di riso impiegato.

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