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Elementi per la sperimentazione di una analisi costi-benefici di alcune misure di politica attiva del lavoro cofinanziate da POR-FSE Marche

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Attività di valutazione in itinere del POR Marche FSE ob. 2 2007/2013 ATI Fondazione G.Brodolini – Istituto per la Ricerca Sociale

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Rapporto di Valutazione Tematica 2015

Elementi per la sperimentazione di una analisi costi-benefici di alcune misure di politica attiva del lavoro cofinanziate

da POR-FSE Marche 2007-13

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Attività di valutazione in itinere del POR Marche FSE ob. 2 2007/2013 ATI Fondazione G.Brodolini – Istituto per la Ricerca Sociale

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Sommario

1. Introduzione ... 3

1.1 Obiettivi ... 3

1.2 Il ruolo dell’ACB nel processo di programmazione e valutazione dei Fondi Strutturali ... 4

1.3 Focus dell’indagine... 5

2. La teoria e la pratica dell’ACB ... 6

2.1 L’ACB nell’economia del benessere ... 6

2.2 La disoccupazione nelle Marche ... 10

2.3 Le conseguenze della disoccupazione e le politiche attive del lavoro .... 14

2.3 Alcune esperienze pratiche ... 18

3. Lo schema di analisi adottato per le Marche ... 25

4. Le misure analizzate ... 30

4.1 la logica dell’intervento FSE sul mercato del lavoro ... 30

5. La determinazione dei parametri di costo necessari all’analisi ... 34

5.1 Il costo diretto e indiretto degli interventi FSE POR Marche ... 34

5.2 Il costo diretto e indiretto del personale di Regione e Enti Intermedi .. 38

6. Determinazione dei parametri per la valutazione dei benefici ... 39

6.1 L’indennità di disoccupazione nelle Marche ... 39

6.2 La retribuzione media per occupato ... 42

6.3 I costi di partecipazione al lavoro ... 43

6.4 Benefici derivanti da riduzione della criminalità ... 44

6.5 La riduzione della spesa sanitaria ... 45

6.6 I trasferimenti ... 45

7. Il beneficio sociale netto ... 47

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1. Introduzione

La valutazione tematica del POR FSE Marche 2007-2013 del 2015 ha per oggetto la sperimentazione delle tecniche di analisi costi-benefici ad alcuni interventi di politiche attive del lavoro co-finanziate dal FSE. Lo scopo è raccogliere gli elementi utili all’adozione di questa metodologia all’interno del processo di programmazione in un campo – le politiche attive del lavoro – in cui vi è poca esperienza di applicazione. Un tema decisivo per la programmazione è la scelta di strumenti di intervento efficaci in funzione del loro costo e della tipologia di destinatari. Una rivisitazione delle attuali conoscenze del rapporto tra benefici e costi degli interventi ordinari FSE e delle caratteristiche di bisogno dei destinatari (profilo di rischio) può allora essere utile, anche in via sperimentale, per far emergere non solo la parte di costi e benefici diretti – come avviene normalmente nella programmazione e nella valutazione – ma anche quelli indiretta.

1.1 Obiettivi

L’analisi costi-benefici (ACB) è uno schema sistematico per valutare progetti privati e pubblici dal punto di vista dell'interesse pubblico. Essa rappresenta il tentativo di identificare, misurare e confrontare i guadagni (benefici) e le perdite (costi) associati ad ogni azione che comporti la modificazione nella allocazione di risorse esistenti, attraverso il calcolo dei benefici sociali netti . Può essere usata per valutare la profittabilità da un punto di vista sociale di investimenti pubblici, oppure di programmi pubblici che comportino l’uso di risorse di natura corrente, quali gli investimenti in capitale umano, di contrasto alla povertà, per investimenti in capitale sociale, ecc.

Il ruolo dell'ACB è di fornire informazioni a chi deve decidere se realizzare o meno un progetto, in modo da capire se i benefici che ci si attende dal progetto superano i costi che debbono essere affrontati e dunque se il progetto è, dal punto di vista sociale, ammissibile. Un intervento pubblico si propone di cambiare lo stato delle cose e il ruolo dell'ACB è di misurare la differenza tra due ipotetici stati: una realtà con l’intervento e una senza.

La disponibilità di questa informazione consente anche un confronto relativo tra progetti di intervento. La comparazione comunque non va perseguita con l’obiettivo di efficienza tramite sostituzione dei progetti con rendimento minore al fine della massimizzazione dei benefici sociali. I progetti, infatti, non sono sempre fungibili tra loro, poiché i destinatari sono diversi. La scelta dei

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4 destinatari è legata ad un bisogno sociale che si ritiene prioritario affrontare e non può essere affidata alla preferenza verso chi è meno oneroso assistere.

1.2 Il ruolo dell’ACB nel processo di programmazione e valutazione dei Fondi Strutturali

L’ACB è usata di solito nella valutazione ex-ante di progetti di investimento infrastrutturale in campo ambientale, energetico, trasportistico e nell’adozione di politiche industriali. Più raro è l’uso nella valutazione ex post e in progetti di incentivi per l’occupazione, eccetto che in campo sanitario per gli interventi a supporto delle disabilità.

Per cofinanziare i maggiori progetti degli stati membri, la UE richiede una valutazione ex-ante che ne dimostri il valore attuale netto. Se il progetto genera entrate nette, il cofinanziamento è riproporzionato.

In base all’esperienza, si sa che non è facile stimare la domanda futura, lo sforamento dei costi, il periodo su cui calcolare i benefici. Per questo l’uso della ACB nella valutazione ex-post è utile per capire se le previsioni adottate prima dell’attuazione erano adeguate a sostenere la decisione di investimento. Lo scopo è capire le cause degli scostamenti circa il raggiungimento degli obiettivi, e se questi sono dovuti a fattori interni o esterni alla Regione e agli agenti coinvolti.

Il compito del valutatore è risolvere un problema di pianificazione in termini di un insieme di prezzi-ombra, sapendo che il disegno ottimale di incentivi è specifico per ogni regione, e dipende sia dalle priorità sociali che dal peso degli agenti regionali (amministratori, forze sociali, ecc). L’intervento del FSE avviene attraverso incentivi, bonus o fornitura di servizi reali (formazione, consulenza) per migliorare le probabilità di occupazione di una persona svantaggiata.

L’ACB permette di comprendere dove indirizzare gli sforzi per migliorare la qualità dei progetti, identificando le aree dove le previsioni erano più deboli. Per quanto complicato possa essere il prendere in considerazione tutti i fattori di costo o beneficio e la rispettiva intensità, l’analisi deve adottare un linguaggio trasparente e optare per la semplicità ogni qual volta è possibile, per consentire l’apprendimento reciproco e il miglioramento dei processi decisionali.

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5 1.3 Focus dell’indagine

Attraverso l’uso delle conoscenze accumulate nella programmazione POR 2007- 2013 sui costi unitari per progetto e sui tassi di successo per caratteristica del destinatario, si proverà a costruire un ordinamento delle politiche di intervento in base al loro beneficio sociale netto. Tale ordinamento si otterrà per ogni intervento confrontando due “stati della realtà”: CON e SENZA il progetto di intervento. Questo approccio “CON – SENZA” è il cuore dell’ACB e consente di sottolineare l’importante concetto di costo opportunità, ovvero il valore dell'output a cui si rinuncia effettuando l’intervento.

Il ruolo dell’ACB è quello di mostrare al decision-maker se per un determinato intervento i benefici sono superiori ai costi; nonché chi riceve i benefici e chi sopporta i costi, contribuendo ad informare l’opinione pubblica e a dare sostanza al dibattito sulle scelte.

L'ACB può aiutare l’autorità di gestione a valutare progetti alternativi di spesa, ovvero quali progetti dovrebbero essere scelti sulla base dell'assunzione che l’Autorità di Gestione (AdG) abbia l'obiettivo di massimizzare il benessere sociale della collettività.

Il valutatore ha interagito con i decisori, contribuendo a chiarire la natura dell’intervento, i suoi obiettivi, le possibili alternative. La sperimentazione è avvenuta in collaborazione con AdG, sia per il reperimento delle informazioni necessarie, sia per il l’individuazione di quelle informazioni che – non disponibili – potrebbero a costi ragionevoli essere raccolte e migliorare il disegno di valutazione. Si è quindi costituito un team congiunto per la raccolta degli elementi necessari per l’analisi.

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2. La teoria e la pratica dell’ACB

In questo capitolo si riassumono le fonti da cui si è tratta la metodologia dell’analisi e le esperienze pratiche alla base delle scelte compiute in termini di parametri per la quantificazione dei benefici e dei costi. In questo modo si ritiene di conferire trasparenza al processo ACB, motivando i criteri adottati di fronte ai problemi caratterizzati da incertezza e consentendo ad AdG, qualora volesse reiterare l’analisi, di ripercorrerne i passaggi principali, integrando o migliorando le scelte adottate. Nel paragrafo 2.1 si richiamano i principi dell’economia del benessere, a cui l’ACB si riferisce. Il paragrafo 2.2 ricapitola la dimensione della disoccupazione nelle Marche. Il paragrafo 2.3 è dedicato alla discussione di quali siano il costo diretto e indiretto della disoccupazione e a quanto è noto a priori circa l’efficacia delle politiche attive del lavoro; in tal modo si può meglio inquadrare l’esperienza di Regione Marche, che in questi anni – oltre ad averle programmate anche in ambito FSE – ha poi cercato di valutarne l’impatto. Il paragrafo 2.4, infine, raccoglie le principali soluzioni e i risultati di alcune esperienze empiriche di ACB nel campo non infrastrutturale, ma dei programmi sociali.

2.1 L’ACB nell’economia del benessere

I calcoli di convenienza sociale sono un'applicazione pratica dell'economia del benessere, che consiste nell’approccio normativo allo studio delle preferenze sociali e si occupa di definire quale dovrebbe essere l’interesse collettivo o il bene pubblico1. Dato che un progetto pubblico è una variazione dell'offerta netta di servizi determinata dall'attività pubblica, se ne valuta la ammissibilità o utilità rispetto a progetti o programmi alternativi, tenendo conto dei benefici e dei costi. Le fasi di questa analisi sono simili a quelle di un operatore privato:

- Individuazione delle alternative, inclusa quella del non intervento;

- Conseguenze di ogni alternativa in termini fisici (input-output) nel periodo considerato;

- Valutazione dei costi e dei ricavi tenendo conto dei prezzi di mercato;

- Attualizzazione;

- Determinazione del tasso di rendimento atteso.

Mentre il privato si limita all’analisi finanziaria, l’operatore pubblico deve considerare anche le conseguenze dirette e indirette del progetto, e per questo

1N. Acocella, Fondamenti di Politica Economica, Carocci, Roma.4° ed., 2006

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7 di parla di analisi benefici costi e non semplicemente di ricavi costi. Pertanto le principali differenze tra l'analisi pubblica e quella di un'impresa privata derivano dalla considerazione degli effetti esterni, positivi e negativi, del progetto nonché dai benefici costi non misurabili. La regola generale per valutare i benefici costi è la disponibilità a pagare degli operatori. La valutazione dei beni dei servizi che scaturiscono dal progetto può basarsi sui prezzi di mercato se i mercati sono competitivi o tramite prezzi ombra (sociali). Nella valutazione dei beni e servizi non scambiati sul mercato è di particolare impegno quella della vita umana, della salute fisica e di quella psicologica.

Più precisamente, l'ACB è un processo di identificazione, misurazione e confronto dei benefici e dei costi sociali generati da un progetto di investimento o da un programma che comporti la modificazione nella allocazione di risorse esistenti2. In particolare, nell’economia pubblica, l’ACB si riferisce al calcolo dei benefici sociali netti che conseguono a una decisione pubblica che modifica l’allocazione delle risorse; ma è usata anche per valutare progetti privati in una prospettiva sociale.

Il costo del progetto è misurato dal suo costo opportunità: dal valore dei beni e servizi che avrebbero potuto essere prodotti con i fattori impiegati. Il ruolo dell'ACB è fornire informazioni a chi deve decidere se realizzare o meno un progetto, ovvero se i benefici che ci si attende dal progetto superano i costi che debbono essere affrontati e dunque se il progetto è, dal punto di vista sociale, ammissibile. Un progetto si propone di determinare un cambiamento rispetto a un problema e il ruolo dell'ACB è di misurare la differenza tra due ipotetici stati del mondo, con o senza il progetto.

Come si misurano i benefici addizionali ?

Il valore dell’output del progetto si misura da quanto i consumatori sono disponibili a pagare ai prezzi di mercato, se il progetto non ne sposta il livello. Se invece il progetto fa variare sensibilmente la quantità aggiuntiva di un bene o servizio, la disponibilità a pagare sarà più bassa del prezzo di mercato, a causa dell’andamento decrescente della curva di domanda. In questo caso i benefici per i consumatori sono misurati dall’area sotto la curva di domanda, ossia dalla variazione del surplus del consumatore.

2 Campbell H.F e Brown R.P.C., Benefit-Cost Analysis: Financial and Economic Appraisal using Spreadsheets, Cambridge University Press, 2003. Si ringrazia Paolo Silvestri per l’aiuto.

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Figura 1 Surplus del Consumatore e del Produttore

Inoltre dovrà essere individuato il beneficio netto per l'economia, che corrisponde alla somma del surplus netto del consumatore e a quella del produttore. Il beneficio netto del progetto è dato dalla differenza tra il valore dei benefici e il valore dei costi opportunità: si verifica dunque se l’attuazione del progetto produce un impiego migliore o peggiore di risorse rispetto al suo uso alternativo.

Si fa ricorso ai prezzi di mercato quando esistono e quando i mercati funzionano bene. In molti casi tali prezzi non esistono o i mercati presentano delle distorsioni (il valore del tempo, il valore della vita umana e il valore dei beni intangibili). Si usano allora tecniche alternative per stimare i valori degli output e degli input. Una parte importante dell’ACB è proprio la ricerca di criteri che consentano di ricostruire correttamente le valutazioni dei benefici e dei costi quando manca la valutazione del mercato.

Per disporre di una misura sintetica dei benefici netti del progetto, tutti i valori debbono essere convertiti al tempo presente. Il Valore Attuale Netto (VAN ≥ 0) indica se i Benefici – Costi ≥ 0; esso tiene conto della distribuzione dei benefici e dei costi nel tempo, ponderati per l’appropriato tasso di sconto, che potrà essere di mercato o sociale, a seconda di come si ritiene corretto rappresentare le preferenze intertemporali della società.

Le risorse di una collettività sono limitate e debbono essere destinate agli interventi che procurano il massimo beneficio netto per la società (benefici

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9 sociali – costi sociali). L’ACB è una tecnica tipicamente finalizzata a confrontare l’efficienza di differenti alternative. In presenza di opzioni alternative è giudicata preferibile quella che procura maggiori benefici sociali netti. Dunque il punto di riferimento teorico è l’economia del benessere, con le relative implicazioni sul piano dell’efficienza e dell’equità.

L’analisi ACB può essere adottata prima della realizzazione di un progetto (Valutazione ex ante o appraisal), oppure dopo (Valutazione ex post o evaluation).

L’intervento pubblico si giustifica, nella prospettiva dell’economia del benessere, quando ci sono fallimenti del mercato. Ma in questo caso il calcolo dei costi e dei benefici di un’azione non può fare affidamento sui prezzi di mercato o perché i prezzi non esistono o perché sono fortemente distorti. Quindi il criterio di misurazione del cambiamento del benessere economico (Kaldor-Hicks) si basa sul fatto che il progetto migliora il benessere sociale se il beneficio netto che va a coloro che ci guadagnano supera il danno provocato a chi ci perde. Da questa considerazione ne consegue che l’ACB può essere anche accompagnata da una analisi degli effetti redistributivi, in cui si assegna un peso maggiore se il beneficio va a ceti sociali più svantaggiati.

In conclusione, è importante distinguere la prospettiva da cui viene svolta l’ACB:

− ACB DEL PROGETTO: tiene conto dei costi e benefici del progetto in sé ai prezzi esclusivamente di mercato e ne indica la sostenibilità finanziaria.

− ACB PRIVATA: tiene conto solo dei benefici e dei costi dei proprietari (azionisti), che influiscono sul profitto dell'impresa, e non considera possibili effetti esterni (come quelli di tipo ambientale o sociale sull'occupazione).

Nella ACB privata i costi sono comprensivi delle imposte.

− ACB EFFICIENTE: misura i Costi e i Benefici della società nel suo complesso, anche valutati ai prezzi non di mercato (ad esempio benefici per i disoccupati o costi per l’inquinamento).

− ACB SOCIALE: come la efficiente, ma riferita ad un gruppo più ristretto, che di volta in volta viene definito dallo sponsor della valutazione del progetto o dal decisore (gruppo di riferimento ). É il gruppo di individui dal cui punto di vista viene valutato il progetto, cioè le persone destinatarie del In questo caso specifico si tratta di inoccupati, disoccupati e imprese destinatarie di incentivi.

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10 2.2 La disoccupazione nelle Marche

Si rende necessario un breve richiamo alla dimensione della disoccupazione regionale. Nonostante un certo miglioramento del mercato del lavoro negli ultimi trimestri, la disoccupazione, specie di lungo periodo, rimane a livelli elevatissimi. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 13% in Italia, e circa il 10%

nelle Marche, dove 70mila persone sono in cerca di lavoro. La frazione di lavoratori disoccupati a lungo termine nelle Marche è pari al 5,8%: ogni 10 disoccupati, 6 lo sono da 12 mesi e oltre (in percentuale, erano la metà nel 2007). A questi andrebbero aggiunte le forze di lavoro potenziali, coloro che non hanno cercato lavoro ma che sarebbero disponibili ad accettarne uno entro due settimane o coloro che, pur avendo cercato lavoro nel mese precedente la rilevazione, non sono disponibili immediatamente. Si tratta di un ulteriore 8%

della forza di lavoro marchigiana, altre 57mila persone interessate ad un lavoro.

La durata dell’occupazione e della disoccupazione nelle Marche CO tra 2009 e 2014

Per avere un’idea della durata media dei rapporti di lavoro attribuibili alle politiche attive del lavoro regionali, si è interrogato il database regionale delle Comunicazioni Obbligatorie.

Dopo aver delimitato la finestra di osservazione alle comunicazioni attivate dal 2009 al 2014 compreso, si è ricostruita la sequenza degli episodi di lavoro di ogni lavoratore e la loro durata, eliminando tutte le registrazioni amministrative dovute a proroghe/trasformazioni e tutti gli episodi irrilevanti con durata pari a 0, 1, 2 giorni. Si tratta di 1,5milioni di episodi di avvio riferiti a 580mila persone, le quali hanno in media avuto quasi 3 episodi di lavoro nel periodo.

Il 25% dei contratti finisce entro due mesi; il 50% entro 5 mesi (linea rossa graf.1); il 75% entro 13,5 mesi.

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Graf. 1 Tasso di sopravvivenza nell’occupazione, Marche 2009-2014

Fonte: JobAgency,Regione Marche

Si è stimato il rischio di interruzione del lavoro (di inizio della disoccupazione) sia in modo non parametrico (stima Kaplan-Meier) sia semi-parametrico (regressione Cox). I risultati sono simili, anche se la regressione permette una precisione maggiore nell’attribuire la sopravvivenza alle caratteristiche della persona che non variano col tempo. Nella durata dell’occupazione si mostrano le stime non parametriche, e nella durata della disoccupazione i tassi di sopravvivenza stimati con la regressione.

Non ci sono forti differenze di genere nel rischio di incorrere in una interruzione (primo riquadro a sinistra graf.2), anche se l’uomo rischia lievemente meno della donna. L’istruzione allunga la durata media del periodo di lavoro e l’essere straniero comporta una maggiore probabilità di interrompere il lavoro. Ancor di più agisce l’età: le persone over 50 hanno una durata media molto più lunga. Ma quello che fa la differenza è il tipo di contratto a tempo indeterminato rispetto agli altri. Solo il 18% degli episodi ha contratti di questo tipo e la loro probabilità di sopravvivenza è tre volte più grande.

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

giorni di lavoro

Stima Kaplan-Meier di durata dell'occupazione

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Graf. 2 Stime Kaplan-Meier sulla durata dell’occupazione di chi ha avviato un lavoro nel periodo 2009-2014 nelle Marche

Ci si concentra quindi sui periodi di non lavoro delle stesse persone, considerando solo quelli più lunghi di sette giorni (si trascurano quelli inferiori, in quanto si tratta di aggiustamento frizionale della posizione lavorativa). L’età media è 35 anni e quella mediana 33 anni; la quota di persone in uscita (oltre 60 anni) è del 3% delle osservazioni; l’insieme delle teste di cui si osservano i movimenti è di 458mila, di cui 348mila risultavano in forza a fine 2014.

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

sex = F sex = M

Kaplan-Meier survival estimates

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

titstu2 = nessun titolo titstu2 = licenza elementare titstu2 = licenza media titstu2 = diploma titstu2 = laurea o + alto

Kaplan-Meier survival estimates

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

over50 = No over50 = Sì

Kaplan-Meier survival estimates

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

temind = No temind = Sì

Kaplan-Meier survival estimates

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Graf. 3 Tasso di sopravvivenza nella disoccupazione. Marche 2009-2014

Nel 50% dei casi il periodo di disoccupazione è di 11 mesi (linea rossa graf.3). A fronte di un 25% di casi in cui il periodo è inferiore ai tre mesi, vi è un 25% di casi con disoccupazione superiore ai due anni. Per una parte dei lavoratori sembra quindi che l’entrata nella disoccupazione dopo un certo periodo comporti una permanenza più elevata.

La regressione Cox stima la probabilità di interrompere la disoccupazione. Per l’uomo questa probabilità è dell’8% minore che per la donna (quindi l’uomo permane di più in disoccupazione); per lo straniero è minore del 18%. Tale probabilità cresce al crescere del titolo di studio. Per quanto riguarda l’età, vediamo che la probabilità di uscire dalla disoccupazione cresce fino alla maturità (45 anni), poi riprende a scendere.

Table 1 Cox regression - Breslow method for ties

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

giorni di disoccupazione

Stima Kaplan-Meier della durata della disoccupazione

_t Haz. Ratio Std. Err. z

uomo 0.933 0.002 -28.58

Lic. elementare 1.060 0.009 7.18

licenza media 1.064 0.004 18.18

diploma 1.080 0.004 20.06

laurea o + alto 1.129 0.005 24.99

straniero 0.825 0.003 -58

19-24 1.420 0.014 34.45

25-34 1.501 0.015 40.39

35-44 1.634 0.016 48.77

45-54 1.552 0.016 43

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14 N. of subjects = 458213; N. of failures = 701601 ; Time at risk = 494218183;

N. of obs =1045365 Log likelihood = -8867632.1; LR chi2(13) =17050.34; Prob > chi2 = 0

Il quadro che emerge dall’analisi dei movimenti CO del periodo 2009-2014 sovrastima la permanenza nella disoccupazione rispetto alla media nazionale Istat di 22 mesi. Questo è d’altra parte ovvio, in quanto l’Istat si riferisce a tutti i lavoratori, mentre le CO riguardano i flussi (coloro che si sono spostati) e non gli stock; tali flussi inoltre coinvolgono in misura maggiore la parte più giovane della forza lavoro.

Inoltre l’Istat stima a livello nazionale che in un anno chi ha un lavoro lo mantiene nell’86% dei casi, e chi è disoccupato nel 24% trova lavoro.

Da questa breve analisi si possono trarre le grandezze fondamentali per l’ACB. In primo luogo, quanti mesi di lavoro attribuire ad un intervento FSE che ha avuto successo? Nelle Marche, guardando i flussi, la mediana è di 5 mesi e la media supera i due anni, poiché la durata è influenzata dal maggior peso dei contratti stabili. Adottiamo il criterio che l’impulso dell’intervento FSE vale 12 mesi di occupazione ad un salario medio, anche tenendo conto che in diversi esperimenti controfattuali tale impulso si affievolisce al passare del tempo. In secondo luogo, quale sarebbe la permanenza media nella disoccupazione in un mondo senza interventi FSE? In questo caso media e mediana sono pressoché uguali e sono oltre i due anni; conta anche il peso crescente dei disoccupati di lunga durata. Adottiamo il criterio che la riduzione di un disoccupato comporta benefici sociali (spese sanitarie, ecc) per 12-24 mesi.

2.3 Le conseguenze della disoccupazione e le politiche attive del lavoro In generale sappiamo che stare fuori dal lavoro per sei mesi o più è associato ad un benessere più basso sia per le persone che per le loro famiglie e per le loro comunità. Il disoccupato di lungo periodo tende a guadagnare meno anche quando trova un nuovo lavoro; tende ad avere una salute peggiore e figli con risultati scolastici peggiori. Le comunità con un'alta quota di disoccupati di lungo periodo tendono ad avere tassi di criminalità più elevati. Da qui i tentativi di misurare gli effetti e il costo della disoccupazione, specie di lungo termine, e la scelta di politiche attive per contrastarla.

55-66 1.160 0.013 13.5

65 o più 1.072 0.015 4.84

ND 1.048 0.013 3.72

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15 Dal paragrafo precedente rileviamo che un’analisi ACB che abbia come gruppo di riferimento i disoccupati o gli inoccupati deve essere capace di calcolare i benefici del contrasto alla disoccupazione non limitandosi ai prezzi di mercato, ma considerando anche i benefici indiretti per la comunità. Ma sappiamo anche che misurare gli effetti sociali della disoccupazione non è facile, poiché i disoccupati possono avere caratteristiche che contribuiscono alla loro disoccupazione; cioè la disoccupazione può essere associata alla povertà ma non è detto che ne sia la causa, quanto piuttosto un fenomeno risultante da un effetto di segmentazione. Un altro fattore complicante è l'ampiezza con cui l'associazione tra povertà e disoccupazione di lungo termine è radicata: dipende dall’involontaria perdita del lavoro di per sé o dalla quantità di tempo spesa per cercare un lavoro? Infine i problemi di salute, di gestione della famiglia e i risultati scolastici dei figli potrebbero essere influenzati dalla perdita di reddito associata alla disoccupazione e isolare gli effetti di reddito da quelli diretti della disoccupazione è difficile.

Dagli studi condotti in questo campo possiamo trarre indicazioni utili per l’ACB di queste politiche? Su questi aspetti fanno il punto una recente rassegna dell’Urban Institute di Washington3 e un recente articolo di World Bank che commenta altre ricerche recenti negli USA, in America Latina e in Europa4. La disoccupazione di lungo termine può influire sulla vita degli individui, delle famiglie e delle comunità anzitutto in modo diretto. Lontano dal lavoro la professionalità si riduce col passare del tempo, il che comporta che il disoccupato guadagnerà meno qualora riesca a trovare un nuovo lavoro.

L'assenza dal lavoro inoltre riduce il capitale sociale, la rete di contatti che rende più facile trovare un nuovo e buon lavoro, al punto che la disoccupazione può diventare uno stigma sociale. La gente infatti tende a pensare che se non lavori è colpa tua. Infine l'ansia dovuta allo stato di disoccupazione può influenzare la salute fisica e mentale, le dinamiche familiari e il benessere dei figli.

La disoccupazione di lungo termine può anche influenzare indirettamente i risultati. Durante la disoccupazione, il reddito della famiglia diminuisce e questo riduce la quantità e la qualità di beni e servizi che la famiglia può acquistare. I programmi di trasferimento fiscale possono aiutare a mitigare quelle

3 Urban Institute, “Consequences of Long-Term Unemployment”, Washington. 2013.

4 NBER Working Paper 20748. 2014. “Unemployment and Health Behaviors over the Business Cycle. A Longitudinal View.”

NBER Working Paper 19287. 2013. “Recessions, Healthy no More?.”

BMJ. 2013. “Impact of 2008 global economic crisis on suicide: time trend study in 54 countries.”

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16 conseguenze. Ma se la disoccupazione è una condizione condivisa in una determinata area, l'intera comunità può soffrire per l'aumento della domanda di servizi pubblici e la diminuzione della base fiscale, il che riduce la qualità delle scuole e dei servizi pubblici.

Identificare i meccanismi attraverso cui la disoccupazione agisce sugli individui, le famiglie e le comunità è complicato dal fatto che durante le recessioni la perdita di lavoro e i lunghi periodi di disoccupazione non sono eventi casuali: i lavoratori con caratteristiche meno vantaggiose tendono a rimanere fuori dal lavoro o sperimentano risultati peggiori nella nuova occupazione. Se questo effetto di selezione è importante, le differenze osservate tra disoccupati non sono date solo dalla durata del periodo.

Lo studio evidenzia i ragionevoli legami teorici che connettono la durata della disoccupazione al peggioramento dei risultati.

Anzitutto la diminuzione del reddito e quindi del consumo. Nei paesi anglofoni durante la recessione il reddito delle famiglie cade del 40% e più per la maggior parte dei disoccupati di lungo periodo. Nel 2011 i lavoratori disoccupati di lungo termine avevano doppia probabilità di essere poveri rispetto ai disoccupati con meno di sei mesi, e almeno quattro volte rispetto agli occupati. Le famiglie con un lavoratore disoccupato hanno consumi più bassi del 16% dopo sei mesi di disoccupazione e del 24% se il disoccupato è l'unico che lavora. I consumi calano meno del reddito in parte grazie a prestiti, al ricorso ai risparmi o al mancato pagamento delle rate del mutuo o dell'affitto. In secondo luogo, è ben documentato un effetto negativo sui salari successivi al periodo di disoccupazione. Il disoccupato che trova un nuovo lavoro guadagna dal 5 al 15%

in meno di un lavoratore dalle stesse caratteristiche che non ha perso il lavoro.

Non c'è grande differenza etnica o di genere. I lavoratori spiazzati dalle crisi industriali nei primi anni ‘80 soffrirono di una diminuzione del 30% dei loro salari, anche 15 -20 anni dopo le ristrutturazioni. Il salario di riserva – il livello minimo che un lavoratore è disposto ad accettare in cambio del lavoro - diminuisce nel tempo al crescere del bisogno dei lavoratori.

In terzo luogo, c’è differenza tra selezione (segmentazione) e screening. Col termine “selezione” ci si riferisce a differenze esistenti tra i lavoratori che perdono il loro lavoro, mentre col termine “screening” ci si riferisce agli imprenditori che osservano il disoccupato e da questo inducono che si tratta di un lavoratore meno produttivo. La selezione non riflette impatto causale mentre lo screening sì. Si dimostra anche che l'aumento della durata della

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17 disoccupazione causato da cambiamenti dell'indennità di disoccupazione abbassa l'offerta salariale degli imprenditori, ma non influisce sul salario di riserva dei lavoratori.

In quarto luogo, vi è il problema della diminuzione del capitale umano e del capitale sociale. La diminuzione dei salari non è dovuta solo a selezione o a screening, ma anche a perdite reali di produttività dovute al deprezzamento del capitale umano o sociale, specialmente se il mercato del lavoro si muove velocemente rispetto al tipo di lavori perduti. Purtroppo le ricerche che misurano il deprezzamento del capitale umano usano i salari come misura;

cosicché non si può distinguere tra l'effetto del capitale umano e gli altri fattori che influenzano i salari. Un anno fuori dal lavoro è associato ad una diminuzione di cinque punti percentuali della professionalità rispetto a chi continua a lavorare, ma questa stima non è molto robusta. C’è anche poca evidenza circa la perdita di capitale sociale. I programmi di formazione professionale hanno risultati misti sul fatto che l'addestramento sia strumento sufficiente per crescere i salari di occupazione. I programmi di occupazione sovvenzionata paiono funzionare meglio.

Per quanto riguarda l’impatto sulla salute mentale e fisica, le perdite di salute sono più grandi per coloro che sono già più cagionevoli. Non c'è grande evidenza di deterioramento della salute durante un periodo di disoccupazione se un disoccupato fa più esercizio, fuma e beve meno, perde peso. Invece le conseguenze sulla mortalità tra i colpiti da ristrutturazione aziendale sono forti e vanno dal 50 al 100% di aumento dei tassi di morte nell'anno che segue la ristrutturazione e dal 10 al 15% nei 20 anni successivi. Per un quarantenne ciò implica una diminuzione dell'aspettativa di vita da un anno a un anno e mezzo. In generale sembra che questo impatto sia dovuto alla diminuzione del reddito più che a un diretto impatto sulla salute, per cui il legame tra reddito e salute non è nettamente causale. Anche se l’impatto del reddito è sensibile: il lavoratore disoccupato rinuncia a visite e a cure diventate costose. Insomma in questo campo i risultati sono contrastanti: in alcuni casi la disoccupazione è correlata positivamente col benessere, in altri pare che la disoccupazione di lunga durata aumenti il tasso di suicidi, l'alcolismo e la malattia mentale. Teoricamente i legami sono chiari: al crescere delle difficoltà economiche l’incidenza dei disordini da ansietà aumenta e l'individuo precipita nella gerarchia sociale. Ma l'evidenza empirica con la salute mentale non è chiara.

Infine, l’impatto sulle comunità. Alti tassi di disoccupazione possono devastare le comunità locali, dato che la prospettiva di un reddito ridotto per tutta la vita

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18 induce a cambiamenti di comportamento e altera le relazioni sociali, poiché si vive in un ambiente popolato da altri disoccupati. Aumentano l'uso della pubblica assistenza e il tasso di criminalità. Oltre all'adozione di comportamenti che mettono a rischio la salute e la riduzione di investimenti in abitazioni, la disoccupazione di lungo periodo può indurre anche a cercare lavoro nel settore illegale.

In conclusione le ricerche mostrano che la perdita del lavoro può condurre a una perdita del reddito nel breve termine, a salari durevolmente più bassi e ad una salute mentale e fisica peggiore che comporta tassi di mortalità più elevati.

Inoltre la perdita di lavoro ostacola i progressi dei figli nell'istruzione. Il legame tra durata della disoccupazione e le conseguenze peggiori è più tenue. Salari e redditi più bassi sono associati con un lungo periodo di disoccupazione ma le ragioni della diminuzione dei guadagni non è chiara. C'è bisogno di distinguere tra spiegazioni in contrasto tra loro e in particolare si deve identificare più chiaramente se è la selezione-segmentazione o lo screening dell’imprenditore che è responsabile della diminuzione del salario di riserva e del capitale umano.

2.3 Alcune esperienze pratiche

Ad alcuni degli interrogativi precedenti si cerca di rispondere in via pratica da parte del Ministero del Lavoro inglese, che in modo sistematico valuta l’efficacia delle politiche del mercato del lavoro in termini fiscali5. Tali politiche hanno impatti importanti sull'economia e sulla società in generale, poiché riportare persone al lavoro può influire sulla salute, sull'autostima, sull'attività economica e sulla criminalità. Idealmente il governo vorrebbe finanziare le politiche che generano i maggiori benefici netti alla società ,tenendo conto di tutti i costi. La dimensione degli impatti di questi risultati più ampi è raramente misurata o raramente traducibile in valori monetari.

Lo schema base dell'analisi sociale dei costi benefici

Si compara l'impatto dei programmi di occupazione su individui e gruppi differenti nella società, pensati come agenti razionali che massimizzano l'utilità.

5 D. Fujiwara, The Department for Work and Pensions Social Cost-Benefit Analysis, DWP, London. WP n.86, 2010.

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19 La metrica per misurare l'impatto è in termini di cambiamenti nel benessere. Il primo passo è di derivare stime monetarie dell'impatto di una politica per tutti gli individui nella società, e verificare che alcuni saranno positivi ed altri negativi.

Semplificando, si può dire che la società è fatta dei due gruppi, il primo dei quali partecipa al programma mentre il secondo è formato da chi paga le tasse. La stima monetaria dell'impatto dovrebbe rappresentare l'intero guadagno netto di benessere rappresentato dal livello di surplus economico, più che da valori basati sui prezzi di mercato che potrebbero sottostimare l'impatto di una politica in termini di benessere. I guadagni e le perdite di surplus possono essere stimati dalla disponibilità individuale a pagare. La disponibilità a pagare è quanto un individuo pagherebbe per un bene un servizio. I risultati di molti programmi di occupazione sono allora il reddito, il pagamento di benefit con la riscossione di imposte. La stima dell'impatto dell'occupazione sulla criminalità e sulla salute saranno invece derivati usando prezzi di mercato e sono quindi una sottostima.

Per derivare il vero cambiamento di benessere dobbiamo fare ipotesi riguardo il valore del denaro, quindi circa la forma della funzione di utilità. Di solito si assume che il valore del peso marginale sia uguale per tutte le persone, in modo che il rapporto tra costi benefici sia proprio la somma o la proporzione delle disponibilità a pagare. Un’utilità marginale decrescente del reddito implica che la valutazione del denaro di un individuo dipende dal suo livello iniziale di ricchezza o di reddito. Persone che appartengono a diversi livelli di reddito sperimentano impatti di benessere molto differenti dalle politiche. Il benessere reale può essere derivato usando misure relative di benessere e pensando ai risultati per differenti gruppi di reddito, cioè adottando pesi distributivi diversi per i gruppi interessati.

Quali impatti dovrebbero essere misurati?

Secondo il Dipartimento del Lavoro inglese, teoricamente dovrebbero essere misurati sia gli impatti di mercato primari (cambiamenti nel reddito, costi sul lavoro, perdita di tempo libero, effetti di equilibrio del mercato del lavoro, costo sociale del tesoro) sia quelli secondari (effetti del moltiplicatore sull'economia;

prodotto economico aumentato, impatto sulla salute e la criminalità).

Nel misurare questi più ampi impatti nell'analisi costi benefici è essenziale comprendere quali impatti sono veri cambiamenti di benessere e quali sono invece semplici trasferimenti. I puri trasferimenti non dovrebbero essere inseriti nell'analisi per evitare la doppia contabilità dei benefici. Alcuni costi possono diventare benefici per altre categorie sociali, ad esempio i costi di produzione, i

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20 costi di uscita dalla disoccupazione o i costi della criminalità. Ad esempio i costi per il viaggio e i costi per la cura dei bambini necessari per intraprendere il lavoro sono costi-opportunità, che però non vanno considerati come un trasferimento a beneficio di altri. Se i mercati dei beni come il viaggio o la cura dei bambini sono competitivi, la gente è pagata al valore del suo prodotto marginale e non deve essere inclusa in un'analisi dei costi benefici sociale.

La riduzione della criminalità a seguito di incrementi dell’occupazione non va contata come trasferimento per le vittime del crimine, ma riportata come un guadagno generale della società. Inoltre è dibattuto se tener conto degli effetti di moltiplicatore che i consumi dei nuovi occupati generano nell'economia: è difficile separare l'impatto degli effetti a catena che si traducono in veri aumenti di surplus da quelli che sono un semplice trasferimento di benefici e che dovrebbero essere esclusi. Perciò per evitare un doppio conteggio non includiamo effetti di moltiplicatore.

I criteri generali

- I mercati del lavoro sono imperfetti e soggetti a fallimenti. Al salario corrente ci sono persone che vorrebbero lavorare ma non riescono per asimmetrie informative, per la non corrispondenza tra domanda e offerta di professioni e per frizioni nella ricerca del lavoro.

- La disoccupazione è involontaria. Quindi se un programma per l'occupazione mette una persona in più al lavoro ciò implica un guadagno di surplus e va contato come benefit nello schema costi benefici.

- Non si sottrae la perdita di utilità dovuta alla rinuncia di tempo libero, perché il salario corrente è una sottostima del beneficio marginale del lavoro e quindi del surplus.

- Ogni riduzione di sussidi (disoccupazione) o ogni aumento delle tasse dovuto allo specifico aumento dell'occupazione dovrebbe essere riconosciuto come benefit ulteriore.

- Ci sono guadagni di surplus per gli imprenditori che assumono i disoccupati finché il beneficio marginale di assumere è più grande del costo (differenza tra la curva della domanda di lavoro e il livello del salario, indicatore del prodotto di mercato, area β in fig.1).

- poiché il mercato del lavoro non è in equilibrio, si può assumere che inserire disoccupati al lavoro non genera pressione dei salari verso il basso; perciò non si valutano cambiamenti di comportamento dei lavoratori già occupati (se il mercato del lavoro fosse in equilibrio, un

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21 aumento dell'offerta di lavoro avrebbe un effetto di aumentare il surplus per coloro che entrano e di ridurlo per quelli già occupati, i cui salari sarebbero spinti in basso).

- Non si contano come benefit i guadagni della criminalità.

I costi di partecipazione al lavoro.

Quando qualcuno si sposta dalla disoccupazione all’occupazione incontra costi addizionali inevitabili: il viaggio casa-lavoro e la cura dei bambini. Si tratta di costi opportunità. Dare un valore monetario a questi costi rende l'ACB più capace di catturare il beneficio netto. Si potrebbero adottare informazioni di indagini su quanto i lavoratori a basso reddito spendono per andare al lavoro. I costi di cura dei bambini sono sostenuti solo da coloro che hanno figli. La metodologia consiste nell'attribuire i costi per la cura dei bambini di differenti età (sopra i 10- 11 anni i costi sono trascurabili) e di differenti tipi di famiglie, moltiplicando questi costi per anno aggiuntivo di lavoro che risulta da un programma di impiego. In alcuni paesi i bambini fino ai cinque anni hanno diritto a crediti d'imposta o a tariffe agevolate. Questo riduce i costi addizionali dei genitori ma grazie un trasferimento dallo Stato. Questo trasferimento dovrebbe essere tenuto in conto.

Per i trasporti si prende l'indagine sulle forze di lavoro e si fa una media dei costi di pendolarismo auto-bus-treno per i lavoratori nel quintile più basso. I costi di avvio (attrezzature o abbigliamento) sono rari, mentre quelli di mensa non sono costi addizionali. L'incertezza derivante da dati indisponibili o imperfetti può essere fronteggiata incorporando un errore del 5% nell'analisi di sensibilità.

Tempo libero

Esso ha un valore positivo di difficile quantificazione : qual è il salario di riserva per questi lavoratori? Inoltre ha un valore positivo anche il tempo trascorso sul lavoro, oltre al salario percepito: l’uso del tempo strutturato, l’attività, i contatti sociali, gli scopi collettivi e lo status (vedi le considerazioni al paragrafo 2.2). Si tratta di benefici più larghi del salario. Su questo, la letteratura è incerta e quindi i costi di rinuncia al tempo libero non vengono inseriti nell’analisi.

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22 Impatto sulla salute

Le persone occupate in media sono più sane delle disoccupate. Non c'è certezza sulla direzione di causalità: è il lavoro che migliora la salute o la gente più sana è più probabile che si occupata?

Sono due i canali con cui viene misurata la relazione tra occupazione e salute: nel primo, l'occupazione fornisce l'accesso a cinque categorie di esperienza che sono importanti per l’equilibrio psicologico (vedi par.2.2). Nel secondo canale, l'aumento del reddito conduce a migliori stili di vita, a minori preoccupazioni monetarie e a migliore accesso ai servizi medici. Le due teorie misurano in modo diverso gli stessi aspetti e non possono essere sommate. La stima pratica di quest'impatto dell'occupazione sulla salute, come detto, si scontra con problemi di causalità inversa e con la valutazione dell'impatto in termini di salute.

L'evidenza suggerisce un effetto positivo dell'occupazione sulla salute ma la sua misurazione in termini monetari è problematica per l'ACB. Gli indicatori soggettivi di salute non hanno una accettabile scala di conversione in termini monetari. Il tasso di mortalità non è soggetto a cambiamenti con l'occupazione.

L'uso dei servizi medici si presta meglio alla monetizzazione, ma non c'è evidenza che il ricorso al medico di base cambi per la gente disoccupata. Oxford Economics stima che i disoccupati abbiano una spesa medica doppia degli occupati ma non è chiara la causalità. Altri studi controfattuali in Danimarca confermano questa percentuale.

Perciò il Ministero del Lavoro inglese assume che il passaggio dalla disoccupazione all'occupazione riduca il ricorso al medico di base e i costi medici del 33%. La spesa media annua in Inghilterra per persone in età di lavoro era nel 2009 di £ 1200 e il ribaltamento pro-quota per disoccupato (che ha una spesa sanitaria più alta) era di 1540 sterline, il cui 33%, corrispondente a 508 sterline, rappresentava la quota di minor costo sanitario nell’avviare al lavoro un disoccupato. Ovviamente per un lavoratore diversamente abile tale quota sarebbe ancora maggiore e pari al doppio.

L’impatto sui tassi di criminalità

Non c'è evidenza empirica che la disoccupazione influisca positivamente sul crimine, mentre c'è una relazione tra il reddito e il crimine e chiaramente esiste un rapporto tra occupazione e reddito. L'evidenza empirica in UK dice che il reddito e il crimine sono collegati negativamente, soprattutto per i gruppi a basso reddito: per i giovani tra 17-23 anni che hanno abbandonato le scuole

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23 risulta che un aumento del 10% del salario riduce la probabilità di commettere crimini in percentuale dal 3% al 6% a seconda degli studi.

Il costo dei crimini contro la proprietà in Inghilterra è circa di 18 miliardi di sterline e viene parametrato rispetto alla quota dei reati commessi da disoccupati o inattivi (51%); il risultato viene poi ripartito tra uomini (81%) e donne disoccupate che commettono crimini, distinguendo tra giovani sotto i 25 anni e persone oltre i 25 anni. Questi parametri vengono poi moltiplicati per ogni disoccupato avviato grazie al programma e rappresentano il beneficio sociale in termini di riduzione dei costi di giustizia. Per dare una idea, di tratta di 5mila sterline per un giovane maschio con meno di 25 anni e di 2600 sterline per un uomo sopra i 25 anni.

Effetti di equilibrio nel mercato del lavoro

Sono sostanzialmente:

- Effetti di sostituzione dal lato dell'offerta. Aumentando la professionalità o aumentando il numero di chi cerca lavoro o l'intensità di ricerca, i programmi di impiego possono aumentare la competizione per i lavori disponibili. Quindi i partecipanti al programma potrebbero finire in lavori occupati dai non partecipanti. I lavoratori sostituiti potrebbero diventare disoccupati o accettare salari più bassi, quindi i benefici dei programmi di occupazione per la società nel suo insieme sarebbero meno dei benefici ricevuti dai partecipanti al programma. La forza di quest'impatto dipende dal numero di posti di lavoro disponibili. Se in un mercato ristretto (molti posti vacanti rispetto a chi cerca) gli effetti di sostituzione sarebbero bassi; ma se i mercati del lavoro fossero ampi allora il costo di sostituzione potrebbe essere sostanzioso. Quindi tali costi sono significativi soprattutto durante grandi rivolgimenti economici. Tali effetti di sostituzione contano solo nel breve termine poiché quando l'economia si espande essi diminuiscono nel tempo.

- Effetti di sostituzione dal lato della domanda. I programmi di impiego pubblico o i programmi che pagano sovvenzioni agli imprenditori che assumono hanno un impatto simile di sostituzione. I lavoratori obiettivo possono essere assunti al posto di quelli che non costituiscono un obiettivo del programma e che quindi diventano più costosi.

- Effetti di spiazzamento. Avvengono quando un programma sovvenziona certe industrie che possono espandersi a spese dei competitori.

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24 - Effetti sui salari di equilibrio. Le politiche che hanno largo impatto sull'offerta di lavoro possono abbassare l'equilibrio dei salari con due possibili conseguenze: salari più bassi possono aumentare la domanda di lavoro; i lavoratori che sono occupati nello stesso mercato del lavoro dei partecipanti al programma possono ricevere salari più bassi. Ma in pratica i programmi di occupazione è improbabile che abbiano un effettivo impatto sui salari, dato che chi partecipa in media entra in lavori pagati poco e i gruppi obiettivo tendono a essere piccoli rispetto al mercato del lavoro.

L'evidenza empirica.

Gli effetti di sostituzione sono stati stimati con tre approcci: indagini in cui agli imprenditori viene chiesto se il lavoro effettuato dai partecipanti sarebbe stato fatto anche senza il programma; studi macroeconomici che stimano la relazione tra occupazione e dimensione del programma; modelli di equilibrio generale. Le stime degli effetti di sostituzione variano grandemente per periodo e localizzazione arrivando da essere più grandi del 50% il che significa che ogni assunzione addizionale dovrebbe essere considerata per il 50%. I programmi dal lato della domanda (sovvenzioni all'impresa) hanno effetti di sostituzione più larghi di quelli dal lato dell'offerta. Il test di sensitività dovrebbe provare effetti di sostituzione del 45% per i programmi basati sulla domanda, del 20% per quelli basati sull'offerta. In sostanza l'effetto di sostituzione riduce il livello di lavoro aggiuntivo per ogni occupato grazie al programma.

Deadweight loss (perdita di efficienza). Si tratta della riduzione dell'efficienza economica che proviene dal trasferire risorse del settore privato a quello pubblico tramite la tassazione. La gente sarà disponibile a lavorare finché il salario che riceve è più alto o uguale al valore del tempo libero a cui avrebbe rinunciato per lavorare. La tassazione, aumentando i prezzi che la gente paga e diminuendo i salari che riceve, aggiusta il comportamento delle persone. In particolare le tasse sul reddito riducono la paga netta e questo spinge verso il basso la quantità di lavoro offerta. Se non ci fossero tasse sul reddito le persone deciderebbero di lavorare di più, il che farebbe aumentare il prodotto e il loro benessere individuale. La perdita di efficienza è misurata di solito come percentuale degli introiti fiscali raccolti. Una perdita di efficienza del 20%

significa che per ogni euro raccolto in tasse c'è una perdita che vale € 0,20 in termini di diminuzione del surplus dovuto a distorsione di comportamento. Un programma che è finanziato attraverso tasse addizionali aumenta la perdita di efficienza. Come si applica ciò ai programmi per l'occupazione? Essi sono

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25 finanziati dal Tesoro e producono costi fiscali. Il governo inglese calcola intorno al 25% la perdita di efficienza nell'analisi di sensitività nei programmi per disabili.

La Nuova Zelanda raccomanda un valore del 20% se il programma è pubblico e di dimensione significativa. Questo significa che il costo della spesa pubblica dovrebbe essere moltiplicato di 1.20 per dare la vera misura del costo sociale. Il governo australiano raccomanda un valore del 25%. Il Tesoro inglese usa una stima del 20% di perdita di efficienza solo nell'analisi di sensitività, ma non include questa perdita dei risultati dell'analisi costi benefici centrale.

I moltiplicatori nell’analisi costi-benefici

Il moltiplicatore economico quantifica la spesa aggiuntiva che i nuovi occupati grazie al programma inducono nell’economia. I consumi grazie al reddito aggiuntivo sono a loro volta guadagni per le imprese fornitrici di beni, che grazie alla variazione della domanda aumentano investimenti e domanda di beni intermedi e cosi via. Si tende a distinguerlo dal moltiplicatore keynesiano, che agisce a catena come sopra, ma viene applicato all’intera spesa del programma e non solo alla spesa generata dai nuovi occupati grazie al programma.

Il moltiplicatore a livello regionale è stimato storicamente tra 1.3-1.6 a seconda della apertura dell’economia regionale (più l’economia è aperta, meno vale il moltiplicatore, data la componente di importazioni). Si tratta comunque, alla luce degli ultimi studi IMF, di un moltiplicatore sovrastimato rispetto al funzionamento odierno delle economie. Ma poiché questo effetto moltiplicativo potrebbe esserci per qualsiasi uso alternativo dei fondi, possiamo ignorarlo. Si tratta di un effetto secondario di mercato che non dà origine a benefici netti.

Si sono esaminate diverse esperienze concrete che a grandi linee seguono le linee di analisi e le soluzioni riassunte nel capitolo e in particolare nelle linee guida del Ministero del Lavoro inglese, per cui a queste linee guida si ci riferirà nella applicazione dell’analisi ad alcuni interventi FSE della Regione Marche; i capitoli successivi cercheranno di illustrare come applicarne le indicazioni.

3. Lo schema di analisi adottato per le Marche

Lo schema dell’analisi è relativamente semplice da comprendere. La difficoltà principale sta però nell’individuazione dei parametri necessari a quantificare costi e benefici, al fine di non fornire informazioni irrealistiche e/o inutili.

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Figura 1 La struttura dell'analisi costi benefici applicata ai programmi per l'occupazione

Il primo passo è effettuare l’analisi costi-efficacia ACE, in cui si punta ad ottenere una misura fisica di risultato (ad es. il numero degli occupati generati dall’intervento) senza preoccuparsi di monetizzare tale risultato in termini di beneficio per la società e beneficio fiscale. Si tratta di uno step intermedio dell’analisi che fornisce una informazione in sé rilevante, ovvero la comparabilità di misure tra loro differenti. In pratica, conoscendo il costo totale degli interventi e rapportandolo all’unità di efficacia (in questo caso l’effetto del programma, dato dal numero netto di occupati) si può costruire una prima misura capace di comparare diversi interventi. Poiché l’AdG Marche ha richiesto al valutatore indipendente la misurazione dell’effetto di molti interventi (formazione e work- experience, creazione di impresa, aiuti alle assunzioni ecc), la conoscenza del risultato permette un confronto tra diverse misure a parità di costo.

Rispetto a questo primo obiettivo dell’analisi, l’ACB – come accennato nell’introduzione – punta a individuare i benefici netti di un intervento, esprimendo i benefici totali non in unità di efficienza ma in valore in euro.

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27 La fasi dell’analisi sono sintetizzate di seguito6:

a. Descrizione dello status quo. Qual è lo stato del mondo in assenza del programma? Si devono considerare i costi e benefici che sarebbero avvenuti senza alcuna azione. In questo caso si comparano tra loro interventi diversi.

b. Decidere l’ambito dei costi e benefici da considerare: quelli dei gruppi coinvolti e quelli della società; l’ambito temporale, che deve essere ovviamente più ristretto di quello considerato per progetti di infrastrutture: trattandosi dell’impulso di una politica attiva, forse l’arco temporale può essere limitato ai sette anni in cui si sono svolte le attività, controllando con le Comunicazioni Obbigatorie la durata dell’occupazione. Infine il livello geografico; esso va limitato alla Regione Marche, un ambito che consente di escludere gli effetti fiscali generali (tasse riscosse a livello nazionale) ma anche di tener conto degli effetti di spillover delle politiche.

c. Identificare le categorie di costi e di benefici, anche se non tutte possono essere definite con certezza:

i. Costi e benefici reali (euro risparmiati, vite salvate, tempo e qualità della vita) vs. trasferimenti (guadagni che sono compensati da altre perdite)

ii. Costi e benefici diretti vs indiretti

iii. Costi e benefici tangibili (occupati) e intangibili (il valore dell’ambiente o della comunità)

iv. Costi e benefici finanziari (voucher o borse pagate) vs.

sociali (effetti dell’intervento)

d. Monetizzare i costi. In questa fase si dovrà chiarire la natura dei costi- benefici, cioè come questi sono misurati: se si tratta di informazioni da budget del programma; se sono costi-opportunità; se costi di capitale, quale deprezzamento; se si tratta di sunk-costs (ricerca e sviluppo), di costi indiretti o sociali, ecc.

e. Quantificare e monetizzare i benefici. Le misure di efficacia devono consentire la comparazione tra interventi diversi, e qui si dovrebbe adottare la capacità di promuovere occupazione. Contano solo gli occupati attribuibili al programma, cioè l’effetto casuale del programma sullo status quo. Da questo punto di vista aiutano gli esperimenti controfattuali indicati dall’AdG al valutatore negli ultimi anni. Il problema è la monetizzazione di tali benefici, in cui si incontrano diversi problemi:

6 Rielaborazione tratta da J. Wholey, H.Hatry, K.Newcomer, Handbook of Practical Program Evaluation. Wiley&Sons, S.Francisco,2010.

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28 i. non si può ricorrere direttamente ai prezzi di mercato,

ma a prezzi ombra

ii. i costi risparmiati sono spesso un beneficio: se un occupato a seguito del programma era in carico ai servizi sociali, ciò determina un risparmio in altri programmi iii. tempo risparmiato: il tasso di salario riflette il valore di

un’ora di tempo di un individuo

iv. l’aumento della produttività dovrebbe riflettersi in un aumento dei profitti e dei salari

v. le tasse sono un trasferimento per cui i benefici del governo sono una perdita degli individui che pagano e di solito non si considerano.

vi. Problema della reazione a catena: se si valutano molto i benefici indiretti (ma non i costi indiretti) ogni progetto può ottenere un impatto positivo. Vanno individuati solo quelli più significativi.

f. Attualizzare costi e benefici per ottenere il valore attuale. Il denaro ha un costo opportunità che nella programmazione non incide ma di cui va tenuto conto; anche se negli ultimi anni l’inflazione è stata sotto controllo e quasi irrilevante, il costo-opportunità del denaro mantiene una forte rilevanza causa presenza di sofferenze e carenza di credito. Di solito si usa comunque un tasso di sconto sociale attorno al 3%-5%. La formula del VAN è ∑

( ) − ∑

( ) .In questo rapporto ci si fermerà all’analisi costo-efficacia, senza scontare la somma dei costi e benefici.

g. Impostare l’analisi di sensitività. Le principali assunzioni dell’analisi devono essere sottoposte alla verifica alternativa di variazione dei loro valori.

h. Fornire raccomandazioni. I risultati, illustrati con semplicità e trasparenza, dovranno tener conto non solo della somma dei costi e benefici ma anche – se vi sono – delle forti conseguenze redistributive del programma (chi beneficia e chi paga), specialmente se è coinvolta la popolazione a basso reddito.

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