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2. La teoria e la pratica dell’ACB

2.1 L’ACB nell’economia del benessere

I calcoli di convenienza sociale sono un'applicazione pratica dell'economia del benessere, che consiste nell’approccio normativo allo studio delle preferenze sociali e si occupa di definire quale dovrebbe essere l’interesse collettivo o il bene pubblico1. Dato che un progetto pubblico è una variazione dell'offerta netta di servizi determinata dall'attività pubblica, se ne valuta la ammissibilità o utilità rispetto a progetti o programmi alternativi, tenendo conto dei benefici e dei costi. Le fasi di questa analisi sono simili a quelle di un operatore privato:

- Individuazione delle alternative, inclusa quella del non intervento;

- Conseguenze di ogni alternativa in termini fisici (input-output) nel periodo considerato;

- Valutazione dei costi e dei ricavi tenendo conto dei prezzi di mercato;

- Attualizzazione;

- Determinazione del tasso di rendimento atteso.

Mentre il privato si limita all’analisi finanziaria, l’operatore pubblico deve considerare anche le conseguenze dirette e indirette del progetto, e per questo

1N. Acocella, Fondamenti di Politica Economica, Carocci, Roma.4° ed., 2006

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7 di parla di analisi benefici costi e non semplicemente di ricavi costi. Pertanto le principali differenze tra l'analisi pubblica e quella di un'impresa privata derivano dalla considerazione degli effetti esterni, positivi e negativi, del progetto nonché dai benefici costi non misurabili. La regola generale per valutare i benefici costi è la disponibilità a pagare degli operatori. La valutazione dei beni dei servizi che scaturiscono dal progetto può basarsi sui prezzi di mercato se i mercati sono competitivi o tramite prezzi ombra (sociali). Nella valutazione dei beni e servizi non scambiati sul mercato è di particolare impegno quella della vita umana, della salute fisica e di quella psicologica.

Più precisamente, l'ACB è un processo di identificazione, misurazione e confronto dei benefici e dei costi sociali generati da un progetto di investimento o da un programma che comporti la modificazione nella allocazione di risorse esistenti2. In particolare, nell’economia pubblica, l’ACB si riferisce al calcolo dei benefici sociali netti che conseguono a una decisione pubblica che modifica l’allocazione delle risorse; ma è usata anche per valutare progetti privati in una prospettiva sociale.

Il costo del progetto è misurato dal suo costo opportunità: dal valore dei beni e servizi che avrebbero potuto essere prodotti con i fattori impiegati. Il ruolo dell'ACB è fornire informazioni a chi deve decidere se realizzare o meno un progetto, ovvero se i benefici che ci si attende dal progetto superano i costi che debbono essere affrontati e dunque se il progetto è, dal punto di vista sociale, ammissibile. Un progetto si propone di determinare un cambiamento rispetto a un problema e il ruolo dell'ACB è di misurare la differenza tra due ipotetici stati del mondo, con o senza il progetto.

Come si misurano i benefici addizionali ?

Il valore dell’output del progetto si misura da quanto i consumatori sono disponibili a pagare ai prezzi di mercato, se il progetto non ne sposta il livello. Se invece il progetto fa variare sensibilmente la quantità aggiuntiva di un bene o servizio, la disponibilità a pagare sarà più bassa del prezzo di mercato, a causa dell’andamento decrescente della curva di domanda. In questo caso i benefici per i consumatori sono misurati dall’area sotto la curva di domanda, ossia dalla variazione del surplus del consumatore.

2 Campbell H.F e Brown R.P.C., Benefit-Cost Analysis: Financial and Economic Appraisal using Spreadsheets, Cambridge University Press, 2003. Si ringrazia Paolo Silvestri per l’aiuto.

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Figura 1 Surplus del Consumatore e del Produttore

Inoltre dovrà essere individuato il beneficio netto per l'economia, che corrisponde alla somma del surplus netto del consumatore e a quella del produttore. Il beneficio netto del progetto è dato dalla differenza tra il valore dei benefici e il valore dei costi opportunità: si verifica dunque se l’attuazione del progetto produce un impiego migliore o peggiore di risorse rispetto al suo uso alternativo.

Si fa ricorso ai prezzi di mercato quando esistono e quando i mercati funzionano bene. In molti casi tali prezzi non esistono o i mercati presentano delle distorsioni (il valore del tempo, il valore della vita umana e il valore dei beni intangibili). Si usano allora tecniche alternative per stimare i valori degli output e degli input. Una parte importante dell’ACB è proprio la ricerca di criteri che consentano di ricostruire correttamente le valutazioni dei benefici e dei costi quando manca la valutazione del mercato.

Per disporre di una misura sintetica dei benefici netti del progetto, tutti i valori debbono essere convertiti al tempo presente. Il Valore Attuale Netto (VAN ≥ 0) indica se i Benefici – Costi ≥ 0; esso tiene conto della distribuzione dei benefici e dei costi nel tempo, ponderati per l’appropriato tasso di sconto, che potrà essere di mercato o sociale, a seconda di come si ritiene corretto rappresentare le preferenze intertemporali della società.

Le risorse di una collettività sono limitate e debbono essere destinate agli interventi che procurano il massimo beneficio netto per la società (benefici

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9 sociali – costi sociali). L’ACB è una tecnica tipicamente finalizzata a confrontare l’efficienza di differenti alternative. In presenza di opzioni alternative è giudicata preferibile quella che procura maggiori benefici sociali netti. Dunque il punto di riferimento teorico è l’economia del benessere, con le relative implicazioni sul piano dell’efficienza e dell’equità.

L’analisi ACB può essere adottata prima della realizzazione di un progetto (Valutazione ex ante o appraisal), oppure dopo (Valutazione ex post o evaluation).

L’intervento pubblico si giustifica, nella prospettiva dell’economia del benessere, quando ci sono fallimenti del mercato. Ma in questo caso il calcolo dei costi e dei benefici di un’azione non può fare affidamento sui prezzi di mercato o perché i prezzi non esistono o perché sono fortemente distorti. Quindi il criterio di misurazione del cambiamento del benessere economico (Kaldor-Hicks) si basa sul fatto che il progetto migliora il benessere sociale se il beneficio netto che va a coloro che ci guadagnano supera il danno provocato a chi ci perde. Da questa considerazione ne consegue che l’ACB può essere anche accompagnata da una analisi degli effetti redistributivi, in cui si assegna un peso maggiore se il beneficio va a ceti sociali più svantaggiati.

In conclusione, è importante distinguere la prospettiva da cui viene svolta l’ACB:

− ACB DEL PROGETTO: tiene conto dei costi e benefici del progetto in sé ai prezzi esclusivamente di mercato e ne indica la sostenibilità finanziaria.

− ACB PRIVATA: tiene conto solo dei benefici e dei costi dei proprietari (azionisti), che influiscono sul profitto dell'impresa, e non considera possibili effetti esterni (come quelli di tipo ambientale o sociale sull'occupazione).

Nella ACB privata i costi sono comprensivi delle imposte.

− ACB EFFICIENTE: misura i Costi e i Benefici della società nel suo complesso, anche valutati ai prezzi non di mercato (ad esempio benefici per i disoccupati o costi per l’inquinamento).

− ACB SOCIALE: come la efficiente, ma riferita ad un gruppo più ristretto, che di volta in volta viene definito dallo sponsor della valutazione del progetto o dal decisore (gruppo di riferimento ). É il gruppo di individui dal cui punto di vista viene valutato il progetto, cioè le persone destinatarie del In questo caso specifico si tratta di inoccupati, disoccupati e imprese destinatarie di incentivi.

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10 2.2 La disoccupazione nelle Marche

Si rende necessario un breve richiamo alla dimensione della disoccupazione regionale. Nonostante un certo miglioramento del mercato del lavoro negli ultimi trimestri, la disoccupazione, specie di lungo periodo, rimane a livelli elevatissimi. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 13% in Italia, e circa il 10%

nelle Marche, dove 70mila persone sono in cerca di lavoro. La frazione di lavoratori disoccupati a lungo termine nelle Marche è pari al 5,8%: ogni 10 disoccupati, 6 lo sono da 12 mesi e oltre (in percentuale, erano la metà nel 2007). A questi andrebbero aggiunte le forze di lavoro potenziali, coloro che non hanno cercato lavoro ma che sarebbero disponibili ad accettarne uno entro due settimane o coloro che, pur avendo cercato lavoro nel mese precedente la rilevazione, non sono disponibili immediatamente. Si tratta di un ulteriore 8%

della forza di lavoro marchigiana, altre 57mila persone interessate ad un lavoro.

La durata dell’occupazione e della disoccupazione nelle Marche CO tra 2009 e 2014

Per avere un’idea della durata media dei rapporti di lavoro attribuibili alle politiche attive del lavoro regionali, si è interrogato il database regionale delle Comunicazioni Obbligatorie.

Dopo aver delimitato la finestra di osservazione alle comunicazioni attivate dal 2009 al 2014 compreso, si è ricostruita la sequenza degli episodi di lavoro di ogni lavoratore e la loro durata, eliminando tutte le registrazioni amministrative dovute a proroghe/trasformazioni e tutti gli episodi irrilevanti con durata pari a 0, 1, 2 giorni. Si tratta di 1,5milioni di episodi di avvio riferiti a 580mila persone, le quali hanno in media avuto quasi 3 episodi di lavoro nel periodo.

Il 25% dei contratti finisce entro due mesi; il 50% entro 5 mesi (linea rossa graf.1); il 75% entro 13,5 mesi.

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Graf. 1 Tasso di sopravvivenza nell’occupazione, Marche 2009-2014

Fonte: JobAgency,Regione Marche

Si è stimato il rischio di interruzione del lavoro (di inizio della disoccupazione) sia in modo non parametrico (stima Kaplan-Meier) sia semi-parametrico (regressione Cox). I risultati sono simili, anche se la regressione permette una precisione maggiore nell’attribuire la sopravvivenza alle caratteristiche della persona che non variano col tempo. Nella durata dell’occupazione si mostrano le stime non parametriche, e nella durata della disoccupazione i tassi di sopravvivenza stimati con la regressione.

Non ci sono forti differenze di genere nel rischio di incorrere in una interruzione (primo riquadro a sinistra graf.2), anche se l’uomo rischia lievemente meno della donna. L’istruzione allunga la durata media del periodo di lavoro e l’essere straniero comporta una maggiore probabilità di interrompere il lavoro. Ancor di più agisce l’età: le persone over 50 hanno una durata media molto più lunga. Ma quello che fa la differenza è il tipo di contratto a tempo indeterminato rispetto agli altri. Solo il 18% degli episodi ha contratti di questo tipo e la loro probabilità di sopravvivenza è tre volte più grande.

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

giorni di lavoro

Stima Kaplan-Meier di durata dell'occupazione

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Graf. 2 Stime Kaplan-Meier sulla durata dell’occupazione di chi ha avviato un lavoro nel periodo 2009-2014 nelle Marche

Ci si concentra quindi sui periodi di non lavoro delle stesse persone, considerando solo quelli più lunghi di sette giorni (si trascurano quelli inferiori, in quanto si tratta di aggiustamento frizionale della posizione lavorativa). L’età media è 35 anni e quella mediana 33 anni; la quota di persone in uscita (oltre 60 anni) è del 3% delle osservazioni; l’insieme delle teste di cui si osservano i movimenti è di 458mila, di cui 348mila risultavano in forza a fine 2014.

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

sex = F sex = M

Kaplan-Meier survival estimates

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

titstu2 = nessun titolo titstu2 = licenza elementare titstu2 = licenza media titstu2 = diploma titstu2 = laurea o + alto

Kaplan-Meier survival estimates

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

over50 = No over50 = Sì

Kaplan-Meier survival estimates

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

analysis time

temind = No temind = Sì

Kaplan-Meier survival estimates

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Graf. 3 Tasso di sopravvivenza nella disoccupazione. Marche 2009-2014

Nel 50% dei casi il periodo di disoccupazione è di 11 mesi (linea rossa graf.3). A fronte di un 25% di casi in cui il periodo è inferiore ai tre mesi, vi è un 25% di casi con disoccupazione superiore ai due anni. Per una parte dei lavoratori sembra quindi che l’entrata nella disoccupazione dopo un certo periodo comporti una permanenza più elevata.

La regressione Cox stima la probabilità di interrompere la disoccupazione. Per l’uomo questa probabilità è dell’8% minore che per la donna (quindi l’uomo permane di più in disoccupazione); per lo straniero è minore del 18%. Tale probabilità cresce al crescere del titolo di studio. Per quanto riguarda l’età, vediamo che la probabilità di uscire dalla disoccupazione cresce fino alla maturità (45 anni), poi riprende a scendere.

Table 1 Cox regression - Breslow method for ties

0.000.250.500.751.00

0 500 1000 1500 2000

giorni di disoccupazione

Stima Kaplan-Meier della durata della disoccupazione

_t Haz. Ratio Std. Err. z

uomo 0.933 0.002 -28.58

Lic. elementare 1.060 0.009 7.18

licenza media 1.064 0.004 18.18

diploma 1.080 0.004 20.06

laurea o + alto 1.129 0.005 24.99

straniero 0.825 0.003 -58

19-24 1.420 0.014 34.45

25-34 1.501 0.015 40.39

35-44 1.634 0.016 48.77

45-54 1.552 0.016 43

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14 N. of subjects = 458213; N. of failures = 701601 ; Time at risk = 494218183;

N. of obs =1045365 Log likelihood = -8867632.1; LR chi2(13) =17050.34; Prob > chi2 = 0

Il quadro che emerge dall’analisi dei movimenti CO del periodo 2009-2014 sovrastima la permanenza nella disoccupazione rispetto alla media nazionale Istat di 22 mesi. Questo è d’altra parte ovvio, in quanto l’Istat si riferisce a tutti i lavoratori, mentre le CO riguardano i flussi (coloro che si sono spostati) e non gli stock; tali flussi inoltre coinvolgono in misura maggiore la parte più giovane della forza lavoro.

Inoltre l’Istat stima a livello nazionale che in un anno chi ha un lavoro lo mantiene nell’86% dei casi, e chi è disoccupato nel 24% trova lavoro.

Da questa breve analisi si possono trarre le grandezze fondamentali per l’ACB. In primo luogo, quanti mesi di lavoro attribuire ad un intervento FSE che ha avuto successo? Nelle Marche, guardando i flussi, la mediana è di 5 mesi e la media supera i due anni, poiché la durata è influenzata dal maggior peso dei contratti stabili. Adottiamo il criterio che l’impulso dell’intervento FSE vale 12 mesi di occupazione ad un salario medio, anche tenendo conto che in diversi esperimenti controfattuali tale impulso si affievolisce al passare del tempo. In secondo luogo, quale sarebbe la permanenza media nella disoccupazione in un mondo senza interventi FSE? In questo caso media e mediana sono pressoché uguali e sono oltre i due anni; conta anche il peso crescente dei disoccupati di lunga durata. Adottiamo il criterio che la riduzione di un disoccupato comporta benefici sociali (spese sanitarie, ecc) per 12-24 mesi.

2.3 Le conseguenze della disoccupazione e le politiche attive del lavoro In generale sappiamo che stare fuori dal lavoro per sei mesi o più è associato ad un benessere più basso sia per le persone che per le loro famiglie e per le loro comunità. Il disoccupato di lungo periodo tende a guadagnare meno anche quando trova un nuovo lavoro; tende ad avere una salute peggiore e figli con risultati scolastici peggiori. Le comunità con un'alta quota di disoccupati di lungo periodo tendono ad avere tassi di criminalità più elevati. Da qui i tentativi di misurare gli effetti e il costo della disoccupazione, specie di lungo termine, e la scelta di politiche attive per contrastarla.

55-66 1.160 0.013 13.5

65 o più 1.072 0.015 4.84

ND 1.048 0.013 3.72

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15 Dal paragrafo precedente rileviamo che un’analisi ACB che abbia come gruppo di riferimento i disoccupati o gli inoccupati deve essere capace di calcolare i benefici del contrasto alla disoccupazione non limitandosi ai prezzi di mercato, ma considerando anche i benefici indiretti per la comunità. Ma sappiamo anche che misurare gli effetti sociali della disoccupazione non è facile, poiché i disoccupati possono avere caratteristiche che contribuiscono alla loro disoccupazione; cioè la disoccupazione può essere associata alla povertà ma non è detto che ne sia la causa, quanto piuttosto un fenomeno risultante da un effetto di segmentazione. Un altro fattore complicante è l'ampiezza con cui l'associazione tra povertà e disoccupazione di lungo termine è radicata: dipende dall’involontaria perdita del lavoro di per sé o dalla quantità di tempo spesa per cercare un lavoro? Infine i problemi di salute, di gestione della famiglia e i risultati scolastici dei figli potrebbero essere influenzati dalla perdita di reddito associata alla disoccupazione e isolare gli effetti di reddito da quelli diretti della disoccupazione è difficile.

Dagli studi condotti in questo campo possiamo trarre indicazioni utili per l’ACB di queste politiche? Su questi aspetti fanno il punto una recente rassegna dell’Urban Institute di Washington3 e un recente articolo di World Bank che commenta altre ricerche recenti negli USA, in America Latina e in Europa4. La disoccupazione di lungo termine può influire sulla vita degli individui, delle famiglie e delle comunità anzitutto in modo diretto. Lontano dal lavoro la professionalità si riduce col passare del tempo, il che comporta che il disoccupato guadagnerà meno qualora riesca a trovare un nuovo lavoro.

L'assenza dal lavoro inoltre riduce il capitale sociale, la rete di contatti che rende più facile trovare un nuovo e buon lavoro, al punto che la disoccupazione può diventare uno stigma sociale. La gente infatti tende a pensare che se non lavori è colpa tua. Infine l'ansia dovuta allo stato di disoccupazione può influenzare la salute fisica e mentale, le dinamiche familiari e il benessere dei figli.

La disoccupazione di lungo termine può anche influenzare indirettamente i risultati. Durante la disoccupazione, il reddito della famiglia diminuisce e questo riduce la quantità e la qualità di beni e servizi che la famiglia può acquistare. I programmi di trasferimento fiscale possono aiutare a mitigare quelle

3 Urban Institute, “Consequences of Long-Term Unemployment”, Washington. 2013.

4 NBER Working Paper 20748. 2014. “Unemployment and Health Behaviors over the Business Cycle. A Longitudinal View.”

NBER Working Paper 19287. 2013. “Recessions, Healthy no More?.”

BMJ. 2013. “Impact of 2008 global economic crisis on suicide: time trend study in 54 countries.”

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16 conseguenze. Ma se la disoccupazione è una condizione condivisa in una determinata area, l'intera comunità può soffrire per l'aumento della domanda di servizi pubblici e la diminuzione della base fiscale, il che riduce la qualità delle scuole e dei servizi pubblici.

Identificare i meccanismi attraverso cui la disoccupazione agisce sugli individui, le famiglie e le comunità è complicato dal fatto che durante le recessioni la perdita di lavoro e i lunghi periodi di disoccupazione non sono eventi casuali: i lavoratori con caratteristiche meno vantaggiose tendono a rimanere fuori dal lavoro o sperimentano risultati peggiori nella nuova occupazione. Se questo effetto di selezione è importante, le differenze osservate tra disoccupati non sono date solo dalla durata del periodo.

Lo studio evidenzia i ragionevoli legami teorici che connettono la durata della disoccupazione al peggioramento dei risultati.

Anzitutto la diminuzione del reddito e quindi del consumo. Nei paesi anglofoni durante la recessione il reddito delle famiglie cade del 40% e più per la maggior parte dei disoccupati di lungo periodo. Nel 2011 i lavoratori disoccupati di lungo termine avevano doppia probabilità di essere poveri rispetto ai disoccupati con meno di sei mesi, e almeno quattro volte rispetto agli occupati. Le famiglie con un lavoratore disoccupato hanno consumi più bassi del 16% dopo sei mesi di disoccupazione e del 24% se il disoccupato è l'unico che lavora. I consumi calano meno del reddito in parte grazie a prestiti, al ricorso ai risparmi o al mancato pagamento delle rate del mutuo o dell'affitto. In secondo luogo, è ben documentato un effetto negativo sui salari successivi al periodo di disoccupazione. Il disoccupato che trova un nuovo lavoro guadagna dal 5 al 15%

in meno di un lavoratore dalle stesse caratteristiche che non ha perso il lavoro.

Non c'è grande differenza etnica o di genere. I lavoratori spiazzati dalle crisi industriali nei primi anni ‘80 soffrirono di una diminuzione del 30% dei loro salari, anche 15 -20 anni dopo le ristrutturazioni. Il salario di riserva – il livello minimo che un lavoratore è disposto ad accettare in cambio del lavoro - diminuisce nel tempo al crescere del bisogno dei lavoratori.

In terzo luogo, c’è differenza tra selezione (segmentazione) e screening. Col termine “selezione” ci si riferisce a differenze esistenti tra i lavoratori che perdono il loro lavoro, mentre col termine “screening” ci si riferisce agli

In terzo luogo, c’è differenza tra selezione (segmentazione) e screening. Col termine “selezione” ci si riferisce a differenze esistenti tra i lavoratori che perdono il loro lavoro, mentre col termine “screening” ci si riferisce agli