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28 Gennaio 2018 Dollaro e yen, ancora una volta il duello degli scorsi 30 anni.

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28 Gennaio 2018 – Dollaro e yen, ancora una volta il duello degli scorsi 30 anni.

Euro a 1.2428 contro dollaro e 135.12 contro yen. Dollaro/yen 108.73, yen/euro 135.12. Oro 1,349.12, rame 7043, indice GSCI 463.45, greggio 66.14. T-Bond 148.75, rendimento 2.91%. Euribor tre mesi -0.32%, Bund 159.79, rendimento 0.63%. Dow Jones 26617. Milano 23857. Indice Banche tedesche 70.64.

No, non era colpa dello "shutdown" [vedi analisi del 21 gennaio]. Non da solo. Le cause man mano evocate dai commentatori per spiegare il tonfo dei titoli di Stato americani (che continua, accennando a estendersi a quelli europei) si stanno accumulando e integrando:

* sullo sfondo c'è il rialzo dei tassi ufficiali (sì, certo, ma non basta - e non controlla il problema),

* recentemente era stata tirata in ballo prima la Cina (sì, la questione esiste),

* adesso il "protezionismo" di Trump (sì, certo: perché tira in ballo la Cina e il Giappone, e perché mette il dollaro al centro dell'attenzione come possibile "arma" per fare pressione sui concorrenti).

* E sì, certo, l'impatto sul debito americano dello stimolo fiscale.

Ma... vogliamo parlare del punto principale, quello intorno al quale tutti si aggirano guardinghi in punta di piedi?

I tassi di mercato scendono quando i capitali sono abbondanti, e viceversa.

Se quando i capitali sono scarsi i tassi vengono tenuti troppo bassi (2009/2018), i capitali disponibili vengono allocati male e quindi distrutti.

A quel punto la richiesta di rendimenti da parte del mercato aumenta in modo molto più netto.

Infine: se quel "troppo bassi", quella violazione dei segnali del mercato, avviene a causa di una complicità fra banche e Stati indebitati, la sfiducia dei mercati, e il rischio di incidenti finanziari, aumenta ancora il premio di rischio e quindi i tassi di mercato.

QUESTO è il problema che sta facendo scendere i bond. Da un anno e mezzo (i T-Bond quotavano 170 nell'estate 2016, siano a 148 e hanno appena cominciato a scendere), non da tre settimane.

IN CHE MODO l'indebitamento pubblico e privato americano sia collegato al tema del commercio internazionale, è anch'esso noto. Anzi, è così noto e

"ovvio" che gli economisti gli avevano dato un nome, "Bretton Woods 2". Un Paese indebitato e importatore di merci (USA) compra la merce di un Paese esportatore (Cina), la paga con la propria moneta inflazionandola, e la Cina reinveste in gran parte quei dollari in titoli di Stato americano, finanziando così il proprio cliente e creando uno sbocco perpetuo ai propri prodotti, in un circuito infinito.

Il "circuito" non è "infinito" proprio per niente (si tratta di un modello keynesiano molto banale): i soldi non "girano" e basta. Il modo in cui vengono investiti, il luogo e i settori in cui vengono impiegati per finanziare la produzione, non sono indifferenti. Gli Stati Uniti hanno quindi già vissuto una crisi (2008) da "troppi soldi facili", e la Cina ha visto la propria crescita rallentare (quasi dimezzarsi) per quella che i commentatori faticano a chiamare con il suo nome: cattiva allocazione di capitali (una serie di bolle immobiliari, sulle quali si sono concentrate le Autorità cinesi, è solo parte del problema).

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Tutto questo, ossia il tema "Cina", inoltre, va discusso senza dimenticarsi che accanto alla Cina, e prima della Cina, e in termini molto simili a quelli della Cina, tutto questo lo abbiamo vissuto già 30 anni fa nelle dinamiche tra USA e Giappone.

Il pretesto che i mercati hanno voluto prendere in questi giorni per continuare a vendere bond è direttamente legato a questi temi: dieci gironi fa era "colpa di Trump" a causa direttamente del tema "bilancio pubblico", stavolta invece i commentatori preferiscono l'angolazione

"Cina, dollaro e commercio internazionale".

A scatenare le vendite su dollaro e bond è stata un'uscita del Segretario al Tesoro USA, Mnuchin, che ha suggerito ai congressisti di Davos un

"interesse" americano a un dollaro competitivo (debole). Il dollaro ha toccato minimi a 1.25 contro euro (quindi, toccando un allarme ribassista vero e proprio, sul quale abbiamo piazzato coperture), prima di essere fermato da una completa smentita di Trump. Completa? Mah... Poi è andato a Davos anche lui, e non ha più parlato dell'argomento. E questo ha fatto sospettare che il disaccordo fra Trump e Mnuchin non sia totale.

Poi si è aggiunto un altro intervento "verbale" importante: quello del banchiere centrale giapponese, Kuroda, che alla stessa platea di Davos ha detto che "intravede la fine della lunghissima deflazione giapponese" (e quelli hanno capito "e quindi potrà alzare i tassi". Come se lo yen non fosse salito per trent'anni a tassi zero).

A quel punto anche lo yen ha cominciato a esercitare pressione sul dollaro (ma come: se il Giappone sta reflazionando... lo yen dovrebbe scendere, no?).

E a me, questo, importa molto.

Perché conferma un tema (possibile forza dello yen in uno scenario globale di stretta del credito) che seguo da tempo.

E perché quel tema è strettamente legato alla "questione cinese" [vedi sopra].

Insomma: un dollaro che cala, ma cede contro uno yen forte, mentre i tassi americani salgono, non è un "dollaro facile", un dollaro inflazionato e abbondante, foriero di stimolo monetario.

Può essere un segnale in direzione decisamente opposta.

Andiamo a vedere se c'è qualche conferma a questo sospetto?

Il dollaro perde contro euro, yen e semidollari, ma i semidollari [moneta inflazionista/euforica] perdono contro franco svizzero, cioè una moneta difensiva/deflattiva [australia/svizzero perde quasi il 2% in settimana].

Banche e Borsa giapponese frenano. Lo yen sale contro oro - "reflazione", un tubo. I bond giapponesi sono gli unici che non scendono - "reflazione", un tubo.

Il franco svizzero sale nettamente anche contro l'euro (+1.38% a 1.1615), dopo che per tutta la settimana l'euro si era pavoneggiato come la "moneta forte contro dollaro" (incidentalmente, perde anche contro sterlina e yen).

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E i tassi dei titoli di Stato sono saliti in tutto il Mondo (tranne in Giappone), non solo negli USA.

Insomma, è un dollaro debole ma non è un dollaro abbondante, "facile".

Abbinato a tassi in rialzo.

Quali sono le conseguenze di scenario, teoriche?

E quali quelle pratiche, operative?

Le conseguenze di scenario sono, che ho forti dubbi che il calo del dollaro sia alimentato da disponibilità di moneta e di credito.

E che, quindi, sia precursore di rialzi dell'oro, delle materie prime, e che sia duraturo.

Ci sono due possibilità:

che il calo del dollaro sia di breve durata, e che in un lungo e ampio ciclo rialzista dei tassi il dollaro torni costoso, scarso, quindi forte, in uno scenario deflattivo.

Oppure che i mercati stiano prendendo male il ribasso dei bond americani, e che decidano di aprire un contenzioso sulla credibilità fiscale e monetaria (quindi anche finanziaria) americana.

Cioè: vendere bond americani e insieme a essi vendere dollari.

Nel primo caso, basterebbe mantenere le posizioni sul dollaro e aspettare.

Ma nel secondo caso, l'eventualità di una fase di crisi acuta sul debito americano (paventata per anni da commentatori anche seri - oltre che da catastrofisti eurofanatici o libertari di estrazione accademica) effettivamente aprirebbe la strada a un ribasso del dollaro.

In quest'ultimo caso, cioè nel caso di un discredito della finanza pubblica americana, e conseguente attacco di panico sul mercato dei titoli di Stato, voi comprereste la moneta... di chi?

Spagna?

Italia?

Della Germania che vede ancora le proprie banche piazzate ai minimi storici, e che fa pressioni sulla BCE per vedere salire più rapidamente i tassi, venendo però frustrata?

Vendo dollari, mettiamo, per comprare... euro? Euro che perdono in una settimana contro franco svizzero quanto hanno guadagnato contro dollaro?

C'è una crisi sul debito, compro la valuta di un grande e fragile debitore? Di un'area-euro che una crisi sui titoli di Stato precipiterebbe nella lite fratricida?

Io, strategicamente, penso che venderei dollari per comprare casomai la valuta di un creditore.

Yuan cinesi?

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Operativamente poco accessibili, quindi poco graditi dalla speculazione.

Un succedaneo dello yuan? Una valuta della zona, di un grande esportatore che sia anche un grande creditore degli USA?

La valuta di qualcuno che, come i Cinesi, ha una valanga di titoli di Stato USA che, in una crisi, potrebbe vendere rimpatriando valuta?

Yen?

No? Sì, dai.

Quindi, in sintesi:

il dollaro si indebolisce contro tutto lo scenario fino a livelli che segnalano una possibile mini-crisi quantomeno a breve termine, sostenendo Borse e materie prime, mentre però i tassi globali salgono e i titoli di Stato scendono, con particolare evidenza in America.

Se il calo del dollaro è effettivamente dovuto a un attacco di sfiducia sulla capacità americana di servire il debito, esso potrà estendersi.

Solo in uno scenario del genere il calo del dollaro rappresenta un rischio di lungo termine,

e in quel caso il rischio si estenderebbe rapidamente ai Paesi debitori (emergenti, area-euro).

Ancora: in quel caso, non farei gran scommesse sulla tenuta delle Borse e del commercio internazionale, quindi anche delle materie prime.

Quindi procedo così:

* operando da area-euro, ho protetto le posizioni in dollari acquistando dei put dollaro sulle basi 1.23 e 1.25.

Serve a coprire le posizioni export o creditorie verso dollaro.

Ritengo che a lungo/lunghissimo termine non ci siano ancora indicazioni di un recupero dell'euro contro dollaro.

* Invece, per i portafogli d'investimento, gestione di tesoreria o speculazione, preferisco spostare le posizioni dal dollaro allo yen (restando comunque fuori dall'euro), se nei prossimi giorni il dollaro intaccherà anche 108.

Il segnale definitivo di ribasso del dollaro sarà a 105.

Può anche essere utile, in alternativa, acquistare dei put dollaro 105 a breve scadenza (venti giorni).

Ma a parte questo, non cambio ancora la mia valutazione su Borse e commodities.

Se lo scenario di "stretta del credito e dollaro forte", di per sé deflattivo, dovesse diventare uno scenario di "yen forte e difficoltà a finanziarsi perfino per gli USA", gli asset (Borse e commodities) che sono stati rispettivamente gonfiati e sostenuti da attese di una "reflazione Trump", si ridimensionerebbero decisamente.

Mantengo ovviamente la raccomandazione ribassista sui titoli di Stato USA [con avvertimento su possibili rimbalzi a breve e breve/medio. Diciamo che

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una leggera correzione delle Borse, che sostenesse i bond, in questo momento farebbe comodo sia alla Politica sia agli operatori professionali.

In questi giorni è circolato un paper bancario che ipotizza spostamenti di posizioni da parte dei fondi pensione, "dalla Borsa sopravvalutata verso i Bond sottovalutati". Cosmesi, al di là di sussultini di qualche settimana].

Sto valutando l'apertura di posizioni ribassiste sui bond europei. I Bund tedeschi sotto 158 mi stuzzicherebbero.

Possibile aggiornamento in settimana su questo punto, se la situazione globale dei bond dovesse peggiorare dopo la piccola tregua di fine settimana.

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Per chiudere, una rapida rassegna dei prezzi principali:

Titoli di Stato globali (indicatore dei tassi d'interesse di mercato):

T-Bond americani [30 anni] +0.13% a 148.75, rendimento 2.91%; attenzione all'allarme di 148;

T-Note americane [2 anni], invariate a 106.66, rendimento 2.12%;

Gilt inglesi -0.78% a 122.63, rendimento 1.44%;

Bund tedeschi -0.54% a 159.79, rendimento 0.63%;

OAT francesi -0.53% a 153.73, rendimento 0.91%;

BTP italiani -0.32% a 136.30, rendimento 2.01%;

Bonos spagnoli -0.33% a 123, rendimento 1.41%;

JGB giapponesi invariati a 150.36, rendimento 0.08%.

Materie prime:

indice GSCI della materie prime +2.9% a 463.45, greggio +4.37% 66.14,

metano +10.03% a 3.51, rame +0.63% a 7043, nickel +7.41% a 13619, alluminio +1.53% a 2253, zinco +2.33% a 3520,

acciaio cinese -0.56% a 3938, noli: +8.36% a 1219.

Monete

Dollar index -1.66% a 89.07, sfonda l'allarme rosso di 91; 88/85 sarebbero segnali di netto ribasso del dollaro. Questo indice tuttavia è pesantemente influenzato da dollaro/yen [vedi sopra].

Dollaro/yen -1.84% a 108.73: avvicina 108 (segnale rialzista per lo yen, con piena conferma a 105).

Dollaro/euro -1.69% a 1.2428; sfiora 1.25 che lo frena da anni, passa nettamente 1.22/1.23 dove abbiamo predisposto coperture a breve termine;

Sterlina/dollaro +2.09% a 1.4148, in deciso recupero, mentre sterlina/euro (+0.41% a 0.8782) avvicina livelli (0.88/0.85) che potrebbero iniziare un rimbalzo.

Australiano +1.38% a 0.8105; passa 0.80 dando un allarme da "dollaro debole". Perde però seccamente contro svizzero. Non ha gran forza specifica.

Canadese +1.49% a 1.2307;

Rand sudafricano +2.54% a 11.89; real brasiliano +1.5% a 3.148;

Yuan cinese 6.328:"forte";

won coreano +0.19% a 1,064.01: alto ma non si rafforza ulteriormente.

Borse

Borse generaliste:

Dow Jones +2.09% a 26617,

Francoforte -0.70% a 13340, eh... compriamo euro? Mah...

Londra -0.84% a 7666, Brasile +5.31% a 85531,

Tokyo -0.74% a 23632, lo "yen forte" si fa sentire, e vedi sotto le Banche,

Cina: Shanghai +2.01% a 3558.

Banche:

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Germania (+2.17% a 70.64), Europa (+1.18% a 190.50), Inghilterra (-0.32% a 166) America (+2.19% a 501.29),

Fondi immobiliari USA (+1.7% a 344.88), restano in preallarme intorno a 345/335,

Giappone (-1.00% a 270.49), Italia (+0.45% a 23857).

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