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PROGETTO DI UNA POMPA MAGNETOIDRODINAMICA

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PROGETTO DI UNA POMPA MAGNETOIDRODINAMICA

8.1 Introduzione ed obiettivi

Nel capitolo 4, sono stati introdotti i dispositivi MEMS (microelectromechanical system), adatti ad essere utilizzati nel campo della microfluidica, ovvero quella branca della scienza che tratta fluidi caratterizzati da numeri di Reynolds molto bassi a causa delle limitate dimensioni del dispositivo che interagisce col fluido: la conseguenza più incisiva è che per numeri di Reynolds bassi le equazioni di Navier- Stokes possono essere linearizzate in quanto i termini inerziali sono trascurabili rispetto a quelli viscosi.

Un sistema di alimentazione per il FEEP a liquidi ionici, data la bassa portata di propellente e quindi le ridotte dimensioni dei condotti dell’alimentazione, dal serbatoio fino alla fessura di emissione, rappresenta un esempio di applicazione della microfluidica.

Componenti fondamentali come dispositivi di pompaggio della microfluidica sono

le micropompe, meccaniche e non, con le quali è possibile spostare quantità di fluido

molto basse; in particolare si è visto come tra queste la micropompa

magnetoidrodinamica presenta indubbi vantaggi su quelle meccaniche. Inoltre i

liquidi ionici sono dei buoni conduttori di elettricità, e questo è uno dei requisiti

principali richiesti per l’applicabilità della pompa magnetoidrodinamica come

sistema di pompaggio.

(2)

146

Tuttavia questi dispositivi utilizzano la tecnologia MEMS, la quale nasce come fusione della tecnologia dei circuiti integrati con quella micromeccanica, tra cui si distinguono quelle che sono le principali tecniche di fabbricazione in uso, come la microlavorazione di superficie (surface micromaching), la microlavorazione di volume (bulk micromaching) e le tecniche LIGA (Roentgen Lithography Galvanic Abformung).

Non disponendo presso i laboratori di Alta SpA della strumentazione adatta ad effettuare questo tipo di lavorazioni, si è deciso di dedicarsi allo sviluppo di una pompa MHD, non pensata come prototipo da integrare al sistema di alimentazione del propellente per il FEEP a liquidi ionici, bensì come dispositivo il cui scopo è quello di testare l’efficienza di questo meccanismo di pompaggio nei confronti dei liquidi ionici.

In particolare, il parametro principale che sarà scelto nel presente lavoro per stabilire le prestazioni della pompa MHD è il salto di pressione medio (generato lungo la lunghezza dell’elettrodo), per effetto della forza di Lorentz, che si esprime come:

o in maniera equivalente:

con

lung ezza elettrodo, altezza elettrodo,

alore di picco della densità di corrente nel liquido alore di picco campo magnetico

L’obietti o di questo capitolo è quello di progettare un dispositivo con il quale si possano effettuare dei test che permettano una misurazione effettiva del salto di pressione da confrontare con quello teorico e dato dalla (8.1).

L’idea è quella di arri are ad un modello di pompa MHD come quello rappresentato

in fig.8.1.

(3)

147

Fig. 8.1 Configurazione di base della pompa MHD.

In particolare si distinguono:

 un elettromagnete,

 un condotto rettangolare, d’ora in a anti c iamato condotto MHD

1

, che ha sia la funzione di ospitare l’EMI-BF

4

sia quella di contenere i due elettrodi necessari per la generazione di corrente,

 due tubi in vetro che permettono la stima della variazione di altezza del pelo libero del liquido.

Ovviamente a questi componenti va accoppiata tutta la circuiteria elettrica di comando che sarà descritta nel capitolo 9.

Il motivo principale che ha portato alla scelta di una configurazione come quella rappresentata in fig.8.1 deriva dalla semplicità con cui è possibile misurare l’aumento di pressione: all’equilibrio la forza di Lorentz iene perfettamente bilanciata dal peso della quantità di liquido spostata, da cui, attraverso un bilancio meccanico delle forze, si può risalire al salto di pressione generato dalla pompa MHD (questo argomento sarà trattato nel prossimo paragrafo).

1 In questo contesto con il termine “condotto MHD” non si intende solo il canale c e ospita il fluido, ma anche il

componente meccanico del quale è parte integrante.

(4)

148

L’espressione (8.1) è stata utilizzata come linea guida per la fase progettuale: si sono analizzati in dettaglio i termini che ivi compaiono, quindi campo magnetico e densità di corrente (o corrente), con il fine di stabilire quali sono le grandezze geometriche ed elettriche

2

da cui dipendono.

In questo modo, è stato possibile effettuare un dimensionamento che, tenendo conto dei vincoli economici, renda apprezzabile almeno dal punto di vista teorico l’effetto della forza di Lorentz.

Prima di procedere con il dimensionamento però, è doveroso a ere un’idea dell’ordine di grandezza del salto di pressione potenzialmente raggiungibile, sostituendo nella (8.1) i seguenti valori (da intendere per ora come riferimento):

,

alore medio stimato dalle pro e di corrente ,

da cui

e quindi l’innalzamento del liquido stimato si rica a utilizzando la seguente espressione (vedesi paragrafo seguente):

8.2 Modello per il calcolo del salto di pressione

Come accennato nel paragrafo precedente, il parametro che verrà preso in considerazione per valutare le prestazioni di questo sistema è il salto di pressione generato dalla pompa MHD.

2 Si intendono sia le grandezze elettriche relative al sistema EMI-BF4/elettrodi(voltaggio, frequenza ecc.) c e quelle relati e all’elettromagnete (corrente nella bobina, numero di spire ecc.).

(5)

149 Un dispositivo come quello presentato precedentemente, fig.8.1, permette una misurazione relati amente semplice dell’aumento di pressione, sfruttando l’equilibrio c e si instaura a regime tra la forza di gra ità e la forza di Lorentz.

In fig.8.2 è rappresentato un modello geometrico con cui si può schematizzare l’intero condotto contenente il liquido; i due tubi erticali sono comunicanti tra di loro per mezzo di un canale (fig.8.3), ai cui lati sono disposti gli elettrodi, lungo il quale si estende la pompa MHD.

Fig. 8.2 Schematizzazione dell’intero condotto contenente il liquidi.

Fig. 8.3 Tratto di condotto lungo il quale si estende la pompa MHD.

Si suppone c e all’istante t

0

non ci sia nessuna corrente e nessun campo magnetico; il liquido è in una configurazione di equilibrio.

Ipotizzando ora di mettere in funzione la pompa MHD, il fluido tra gli elettrodi risentirà della forza di Lorentz e la sua dinamica sarà go ernata dall’equazione di quantità di moto (6.10) che per comodità si riscrive qui di seguito (si omette il termine in quanto è stato dimostrato essere trascurabile rispetto alla forza di Lorentz):

y

x z

x x+dx

x

I

B

D

L

(6)

150

Raggiunta la configurazione di equilibrio macroscopico, la (8.5) diventa:

da cui integrando lungo tutta la lunghezza L dell’elettrodo si può scri ere, ipotizzando una densità di corrente j uniforme e che i vettori e siano perfettamente perpendicolari

3

:

dove e sono i valori di pressione agli estremi degli elettrodi.

La (8.7) è stata ottenuta dall’equazione di bilancio di quantità di moto; si cerc erà ora di ottenere la stessa espressione utilizzando un approccio più “intuitivo”, andando a considerare il fluido da un punto di ista “microscopico”, come composto da tanti ioni positivi e negativi.

La forza di Lorentz che agisce su ogni ione di carica q e velocità u si scrive come:

Si fanno ora le seguenti ipotesi:

 gli ioni positivi e negativi possiedono carica singola q = e ,

 densità (per unità di volume) di ioni positivi uguale a quella di ioni negativi:

,

 gli ioni positivi e negativi possiedono lo stesso modulo di velocità , supposto uniforme tra i due elettrodi .

Si consideri ora il volumetto di fluido dV

1

= dx dy H (fig.8.4), con H che rappresenta l’altezza dell’elettrodo.

3 E’ stato comunque dimostrato con un’analisi degli ordini di grandezza c e

(7)

151

Fig. 8.4 Volumetto di fluido compreso tra i due elettrodi.

Se il volumetto è composto da p ioni positivi e p ioni negativi, la forza di Lorentz che agisce su di esso si esprime come la somma delle forze agenti sui singoli ioni:

da cui:

con

= numero di ioni per unità di volume.

La densità di corrente è esprimibile come

ed in base alle ipotesi fatte, risulta uniforme.

Utilizzando la (8.11), la (8.10) diviene:

dy

H

dx

D

elettrodo

(8)

152

Andando ad integrare lungo la direzione y (vedere fig.8.3) si ottiene la forza di Lorentz che agisce sul volume di fluido dV

2

= dx H D:

Integrando infine lungo tutta la lunghezza L (lunghezza elettrodo) si ottiene la forza agente sul volume di fluido compreso tra i due elettrodi:

Dividendo la (8.14) per la superficie trasversale ed effettuando il prodotto scalare tra il vettore densità di corrente ed il campo magnetico si ottiene il salto di pressione:

che coincide con la (8.7) ricavata con l’equazione di bilancio di quantità di moto.

Considerando ora la fig.8.5, raggiunta la condizione stazionaria, la forza di Lorentz bilancia perfettamente la forza peso della porzione di liquido corrispondente alla variazione di altezza dh.

Fig. 8.5

Configurazione del liquido dopo aver raggiunto una condizione di equilibrio.

Si può quindi scrivere:

dh

B

(9)

153 da cui

Se le grandezze in gioco sono alternate nel tempo (pompa MHD in configurazione A.C.) sono doverose alcune considerazioni.

Si suppone quindi, senza perdere di generalità, di avere una corrente e un campo magnetico entrambi variabili nel tempo:

con n e k versori rispettivamente degli assi y e z (fig.8.2 e 8.3).

Nella (8.18) la corrente non è un vettore, ma questa rappresentazione (che è tipica di un vettore) è utilizzata per mettere in evidenza che alla corrente può essere assegnato un verso, da cui dipende la direzione della forza di Lorentz.

Tra la corrente e la densità di corrente vale la seguente relazione:

Combinando le (8.14), (8.18) , (8.19) si ha:

La forza è periodica con una frequenza doppia rispetto a quella del campo elettrico e magnetico, diretta in ogni istante nello lo stesso verso se e solo se l’angolo è nullo o pari a 180

0

.

In fig.8.6 è rappresentato l’andamento qualitati o della forza di Lorentz con

( ; eccetto i punti in qui diventa nulla è sempre diretta nello stesso verso.

(10)

154

Fig. 8.6 Andamento qualitativo forza di Lorentz agente sul liquido con ϕ = 0, ϕ = 180.

A questo punto ha senso definire un valore medio della forza a cui è sottoposto l’intera porzione di fluido compreso tra i due elettrodi:

Il valore medio è massimo per ϕ = 0

0

e ϕ =180

0

che corrispondono ai casi in cui la forza è costantemente diretta nello stesso verso.

Sebbene la forza sia pulsante si può comunque pensare c e, all’aumentare della frequenza, il fluido risenta di una forza che può essere considerata costante e pari al valor medio dato dalla (8.21).

Il salto di pressione medio corrispondente si può esprimere come:

I termini che compongono la (8.22) sono tra di loro indipendenti; da notare come mettere in fase corrente e campo magnetico sia indispensabile ai fini di massimizzare il salto di pressione (medio) ottenibile (a parità di corrente e campo magnetico).

Utilizzando la (8.16) e la (8.22) si ottiene:

da cui

F

t

(11)

155

Da un punto di ista fisico, alcune considerazioni anno fatte riguardo l’influenza della frequenza sulla dinamica del fluido: il fluido essendo soggetto ad una forza pulsante, non raggiunge teoricamente una condizione di equilibrio quando la pompa MHD è attiva; in effetti, il liquido, e quindi i due menischi che saranno monitorati durante i test, subiscono in un breve transitorio uno spostamento iniziale proporzionale al valore medio della forza di Lorentz per poi oscillare intorno a questa posizione con ampiezza c e tende a di entare nulla all’aumentare della frequenza.

In realtà, considerando l’entità della forza di pompaggio in gioco, queste oscillazioni saranno praticamente assenti a meno che non si scelga una frequenza piuttosto bassa.

Questo è il motivo che porterà ad effettuare i test ad una frequenza non inferiore a circa 10Hz.

8.3 Dimensionamento dei componenti della pompa magnetoidrodinamica

8.3.1 Dimensionamento del condotto per il liquido

I requisiti a cui deve rispondere il condotto MHD sono i seguenti:

1) altezza ridotta al minimo per garantire un interferro più basso possibile (vedere il paragrafo 8.3.2.2),

2) ospitare una certa quantità di EMI-BF

4

attraverso cui far passare la corrente,

3) permettere il fissaggio di due elettrodi rettangolari che si estendono lungo

tutta la lunghezza del condotto stesso e di due tubi in vetro in corrispondenza

delle estremità,

(12)

156

4) sistema semplice dal punto di vista della realizzazione.

Si consideri la fig.8.7 che rappresenta, in via del tutto generica, una configurazione di base del condotto MHD. Le dimensioni principali da stabilire, ovvero che incidono sulle prestazioni della pompa magnetoidrodinamica (direttamente o indirettamente), sono quelle relative agli elettrodi:

- L = lunghezza degli elettrodi, - d = distanza tra gli elettrodi, - H = altezza degli elettrodi.

Fig. 8.7 Configurazione di base del condotto MHD.

In particolare, fra queste grandezze, solo la lunghezza L influisce direttamente sulle prestazioni della pompa MHD.

Per dimostrare ciò, si riporta innanzitutto l’espressione del salto di pressione medio offerto da una pompa magnetoidrodinamica:

d

L H

(13)

157 da cui si vede la diretta proporzionalità con la lung ezza dell’elettrodo.

Successivamente, riportando l’espressione della densità di corrente (capitolo 7):

con

superficie dell’elettrodo bagnata dal liquido,

potenziale applicato ai capi degli elettrodi,

capacità specifica del double layer,

è evidente c e l’unica grandezza geometrica c e influenza la (8.26) è la distanza d tra gli elettrodi; tuttavia, dalle prove di corrente effettuate sul liquido ionico EMI-BF

4

è emerso che il contributo capacitivo è di gran lunga predominante su quello resistivo, il ché consente di scrivere:

da cui

La (8.28) permette di concludere che la distanza tra gli elettrodi d non influenza in modo apprezzabile la densità di corrente; il suo valore potrebbe indirettamente influire sull’efficienza dell’elettromagnete

4

in quanto all’aumentare dello spessore aumenta la potenza dissipata per effetto delle correnti parassita nel nucleo ferromagnetico (paragrafo 8.325).

Infine, per quanto riguarda l’altezza H dell’elettrodo, questa non influisce direttamente sulle prestazioni della pompa MHD in termini di salto di pressione, ma deve comunque essere ridotta al minimo affinc é il traferro dell’elettromagnete sia il più piccolo possibile.

In base a quanto esposto, in riferimento alla fig.8.7 si sono stabilite le seguenti dimensioni:

4 Maggiore è la distanza tra gli elettrodi, maggiore è lo spessore dell’elettromagnete.

(14)

158

- - - .

Il materiale scelto per gli elettrodi è l’acciaio a causa della sua maggiore stabilità c imica dal punto di ista dell’elettrolisi nei confronti del liquido ionico EMI-BF

4

. E’ stato studiato un componente realizzato in due parti con altezza ridotta entro i limiti della tecnologia disponibile.

Una parte è costituita sostanzialmente da un parallelepipedo in PEEK (Polyether ether Ketone) opportunamente sagomato, sul quale è presente un vano di forma rettangolare che andrà ad ospitare il liquido e ai cui lati verranno incollati gli elettrodi.

Alle estremità di questo componente sono presenti dei fori per consentire il moto del liquido e per l’incollaggio dei due tubi in vetro.

L’altra pezzo consiste semplicemente di un coperchio.

8.3.1.1 Tavola geometrica

Di seguito sono illustrate le tavole geometriche di entrambe le parti costituenti il

condotto MHD.

(15)

159

Fig. 8.8 Tavola geometrica del condotto MHD (corpo superiore).

(16)

160

Fig. 8.9 Tavola geometrica del condotto MHD (coperchio).

La fig.8.10 illustra il condotto MHD con gli elettrodi in acciaio incollati lungo i lati ed i due fili c e andranno a portare l’alimentazione elettrica; il coperchio andrà successivamente a chiudere il condotto.

Fig. 8.10 Condotto MHD completo realizzato.

In fig.8.11, invece, è rappresentato il condotto MHD con anche i tubi i vetro.

(17)

161

Fig. 8.11 Condotto MHD comprensivo dei due tubi in vetro.

8.3.2 Dimensionamento dell’elettromagnete

In questa sezione iene affrontato il dimensionamento dell’elettromagnete, necessario per la generazione di un campo magnetico ariabile all’interno del liquido EMI-BF

4

.

In particolare, nei prossimi paragrafi si definisce inizialmente una potenziale geometria dell’elettromagnete in modo che soddisfi alcuni vincoli geometrici imposti dal condotto MHD, il cui dimensionamento è stato affrontato precedentemente. Sarà in seguito effettuata l’analisi del circuito magnetico equivalente relativo alla geometria scelta per stabilire quali siano i parametri geometrici ed anche elettrici (riguardanti la bobina) da cui dipende il campo magnetico nell’interferro; si analizzerà quindi il comportamento dal punto di vista elettrico della bobina in modo da poter in seguito accoppiare l’elettromagnete ad un circuito di comando opportuno.

Si verificherà anche che le perdite di potenza nel nucleo ferromagnetico relative alla geometria scelta siano modeste in confronto alla potenza elettrica richiesta per la generazione del campo magnetico desiderato.

Infine, saranno riportati i risultati di alcuni test preliminari effettuati con

l’elettromagnete; nello specifico, lo scopo di queste prove è quello di stabilire quanto

la teoria applicata per il calcolo del campo magnetico nell’interferro dia risultati

prossimi a quelli acquisiti.

(18)

162

8.3.2.1 Vincoli e geometria di riferimento

L’elettromagnete scelto come riferimento, da cui partire per il dimensionamento, è rappresentato in fig.8.12.

Le dimensioni sono state stabilite in base alle seguenti specifiche:

Fig. 8.12 Configurazione di base dell’elettromagnete.

1) altezza dell'interferro L

T

ridotta al minimo, nei limiti dell'altezza del condotto MHD. Osser ando l’espressione del campo magnetico (riportata più a anti) si osserva la sua inversa proporzionalità con la lunghezza dell'interferro, il che spiega il requisito di ridurre il più possibile il suo valore,

2) spessore T maggiore o uguale alla larghezza del condotto MHD; questo perché si vuole assicurare la presenza del campo magnetico in ogni punto del liquido compreso tra gli elettrodi,

L

T

W L

H

T

(19)

163 3) altezza H tale da consentire un avvolgimento con un numero di spire

sufficientemente elevato,

4) lunghezza L pari a quella degli elettrodi,

5) materiale ferromagnetico dolce (soft), ovvero con ciclo di isteresi ristretto, e quindi basso campo coercitivo, in modo da poter essere facilmente magnetizzabile e smagnetizzabile.

Un materiale che presenti un ciclo di isteresi il più ristretto possibile è fondamentale per altre due ragioni:

 perdite di isteresi magnetica limitate (vedere paragrafo 8.3.2.5),

 si consideri la curva di magnetizzazione [41] di un materiale ferromagnetico (fig.8.13), dove l’asse delle ascisse è direttamente proporzionale alla corrente circolante nella bobina, mentre l’asse delle ordinate rappresenta il campo magnetico. E’ e idente c e quando la corrente diventa nulla, il materiale rimane in uno stato magnetizzato a cui corrisponde un campo magnetico residuo B

r

(punto indicato con T in fig.8.13). Per portare il suo valore a zero occorre far circolare corrente nel verso opposto in maniera da arrivare al punto S dove B = 0;

.

vice ersa durante l’altra fase (quarto quadrante della curva di fig.8.13).

Ciò comporta che durante alcune finestre temporali, che corrispondono ai percorsi dei tratti di curva appartenente al secondo e quarto quadrante , la corrente circolante nella bobina e campo magnetico da essa generato sono discordi. Siccome durante i test con la pompa MHD l’idea è quella di controllare l’andamento del campo magnetico attraverso la misura della corrente, appare indispensabile che i due segnali siano il più possibile coincidenti.

Paragonando due materiali ferromagnetici, uno con ciclo di isteresi

largo, l’altro con ciclo di isteresi stretto (fig.8.14), il fenomeno sopra

enunciato diventa meno importante utilizzando il materiale con ciclo

di isteresi ristretto.

(20)

164

Fig. 8.13 Curva di magnetizzazione generica.

Fig. 8.14 Confronto tra curva di magnetizzazione di un materiale dolce (soft) e duro (hard).

Come si vedrà più avanti, l’altezza H, la larghezza W , la lunghezza L e lo spessore T non fanno parte dei parametri che determinano il valore del campo magnetico, ma entrano in gioco nel momento in cui si vanno a considerare le perdite nel nucleo ferromagnetico.

Considerando i vincoli sopra enunciati, in riferimento alla fig.8.12, si sono stabilite le seguenti dimensioni:

- ,

- ,

(21)

165 - ,

- (si vuole assicurare l’a olgimento di un numero di spire sufficientemente elevato per diversi valori di diametro del filo di rame smaltato),

-

Il materiale ferromagnetico utilizzato è il ferro puro ARMCO dato il ristretto ciclo di isteresi.

Facendo riferimento alla curva di magnetizzazione di un materiale ferromagnetico (fig.8.15), di seguito sono riportati i parametri magnetici principali:

Fig. 8.15 Curva di magnetizzazione tipica di un materiale dolce.

B

sat

H

c

H

c

(22)

166

campo coerciti o con [21]

dove

induzione magnetica o densità di flusso magnetico intensità di campo magnetico

permeabilità magnetica assoluta permeabilità magnetica relati a

permeabilità magnetica del uoto

8.3.2.2 Analisi del circuito magnetico equivalente

In fig.8.16 è rappresentato un modello bidimensionale dell’elettromagnete di fig.8.12 insieme al circuito magnetico equivalente.

Fig. 8.16 Modello bidimensionale dell’elettromagnete (sinistra) e circuito magnetico equivalente.

R

f

R

a

N I

Φ

I N

(23)

167 Le ipotesi che stanno alla base dell’applicabilità di questa teoria sono:

- lunghezza del traferro trascurabile rispetto alla lunghezza del rimanente circuito in ferro ARMCO; ciò implica che il flusso del campo magnetico Φ sia tutto contenuto nel circuito magnetico,

- si trascurano gli effetti di bordo, fringing effect, ovvero la deformazione delle linee di campo magnetico dovuta alla rifrazione nel passaggio ferro-aria [14]

che causano un aumento della sezione del circuito magnetico in questa zona (fig.8.17).

Fig. 8.17 Aumento della sezione del circuito magnetico in corrispondenza dell’interferro.

Avendo definito una geometria caratterizzata da:

lung ezza del traferro

lung ezza del tratto in ferro M O si ipotizza di essere nella condizione di poter applicare la teoria semplificata a cui si è accennato precedentemente.

La legge di Hopkinson, applicata al circuito magnetico di fig.8.15, caratterizzato da

un avvolgimento di numero di spire N e una corrente I, si scrive come [14]:

(24)

168

Φ

con

forza magnetomotrice flusso del campo magnetico

riluttanza

L’integrale espresso dalla (8.33) è calcolato lungo il percorso chiuso all’interno del circuito magnetico che comprende un tratto in ferro ARMCO (indicato con il pedice 1) ed un tratto in aria (indicato con il pedice 2) che rappresenta il traferro.

Nelle (8.32) e (8.33), rappresenta l’area della sezione del circuito magnetico attraverso cui si concatena il campo B; in particolare l’a er trascurato gli effetti di bordo implica che .

Sostituendo nella (8.33) i valori geometrici stabiliti si ottiene:

da cui

Essendo per il ferro ARMCO

,

la riluttanza del tratto in aria R

a

è predominante su quella del tratto in ferro R

f

.

La legge di Hopkinson può quindi essere riscritta come:

Φ da cui

dove il numero di spire e la corrente sono ancora da determinare.

(25)

169 Si osserva dalla (8.37) come il campo magnetico sia inversamente proporzionale all’altezza dell’interferro ; questa dipendenza giustifica il requisito di ridurre il più possibile l’altezza del condotto MHD il cui dimensionamento si è affrontato precedentemente.

Per stabilire comunque un ordine di grandezza di B potenzialmente raggiungibile, si sostituiscono nella (8.37) i seguenti valori di riferimento per la corrente ed il numero di spire:

da cui:

8.3.2.3 Configurazione dell’elettromagnete

Siccome effettuare l'avvolgimento del filo di rame smaltato intorno ad una sezione rettangolare risulta particolarmente scomodo e laborioso, è stato pensato di realizzare l'elettromagnete in più parti; in particolare si distinguono:

- tre colonne sulle quali saranno effettuati gli avvolgimenti,

- due “bracci a forma di L” serrabili alle estremità delle tre colonne tramite dei collegamenti filettati.

In fig.8.18 è rappresentato un modello CAD tridimensionale che mostra la nuova

configurazione dell’elettromagnete.

(26)

170

Fig. 8.18 Configurazione dell’elettromagnete per facilitare l’avvolgimento delle spire.

Il diametro d delle colonne sarà scelto in modo tale che la somme delle tre sezioni sia uguale alla sezione rettangolare del rimanente circuito magnetico.

Essendo in particolare:

,

ogni colonna avrà un raggio r tale da soddisfare alla seguente condizione:

da cui

La nuo a configurazione dell’elettromagnete aggiunge nuove variabili al problema.

Infatti, da un punto di vista elettrico, si è di fronte a più bobine che possono essere collegate in serie o in parallelo; dal punta di vista magnetico invece si hanno più flussi che vanno a sommarsi tra di loro:

in linea di principio, la non linearità della curva di magnetizzazione del ferro ARMCO impedisce di sommare i tre flussi come se fossero indipendenti tra di loro;

tuttavia, la prevalenza della riluttanza del tratto in aria rende il valore di campo

magnetico nell’interferro (8.37), almeno da un punto di vista analitico, indipendente

dalla permeabilità del materiale magnetizzato. In questo modo risulta lecita

(27)

171 l’operazione di somma dei tre flussi ed è quindi possibile trattare il problema come somma di tre problemi linearmente indipendenti, in ognuno dei quali l’a olgimento delle spire è effettuato su una singola colonna (in assenza delle altre due) come mostrato in fig.8.19.

Fig. 8.19 Elettromagnete con singolo avvolgimento.

Si applica quindi la legge di Hopkinson all’i-esimo problema:

Φ con i = 1, 2, 3

Si suppone

5

che i tre avvolgimenti siano attraversati dalla stessa corrente:

Sommando le (8.40) si ottiene:

Φ

da cui

5 Come si vedrà più avanti le tre bobine saranno collegate in serie.

(28)

172

Φ

con i tre flussi perfettamente in fase in quanto le bobine sono attraversate dalla stessa corrente.

In base alla (8.43), ci può ricondurre allo studio di un classico elettromagnete con numero di spire

, pari alla somma del numero di spire avvolte su ogni singola colonna, e riluttanza pari alla riluttanza dell’elettromagnete nella configurazione con singola colonna. Quindi:

con

sezione della singola colonna

Rimane comunque sempre valida la semplificazione per cui R

ai

R

fi

essendo

; di conseguenza l’espressione del campo magnetico nell’interferro per la nuova configurazione assume la seguente forma:

8.3.2.4 Analisi delle bobine dal punta di vista elettrico

Nell’espressione del campo magnetico (8.45), le variabili che dipendono dalle bobine sono il numero di spire N

tot

e la corrente I.

Per stabilire il legame che intercorre tra queste due quantità, è necessario analizzare il comportamento degli avvolgimenti dal punta di visto elettrico.

Si consideri il circuito di fig.8.20, che rappresenta la schematizzazione elettrica delle

bobine, le quali saranno collegate in serie in modo da garantire che tutti e tre i flussi

magnetici, generati da ognuna di esse, si sommino a prescindere dalla loro identicità

in termini di numero di spire.

(29)

173

Fig. 8.20 Circuito elettrico equivalente delle bobine.

In particolare si distingue la resistenza elettrica R del filo di rame smaltato in serie con l’induttanza L rappresentativa del comportamento indutti o dell’a olgimento.

Ai capi di questi elementi è applicata una differenza di potenziale V: in effetti, come si vedrà nel capitolo 9 in cui sarà trattata la circuiteria della pompa MHD, la corrente nelle bobine (e quindi il campo magnetico) verrà controllata dal voltaggio applicato ai suoi capi.

Nell'espressione (8.45) I ed N

tot

sono due incognite tra di loro dipendenti; infatti, considerando lo schema elettrico di fig.8.20 si ha:

con

resistenza elettrica dell a olgimento

induttanza

Nell’espressione (8.47),

ed S rappresentano rispettivamente lunghezza, resistività e sezione del filo di rame smaltato.

L R

(30)

174

Per determinare la costante di proporzionalità dell’induttanza, si parte innanzitutto dalla sua definizione [14]:

Φ dove Φ che il flusso magnetico concatenato con tutte le spire ed esprimibile come:

Φ

con

= sezione della singola colonna su cui è effettuato l’a olgimento.

Uguagliando la (8.49) alla (8.50) e utilizzando l’espressione del campo magnetico (8.45), si ottiene:

da cui:

Essendo , ricordando l’espressione (8.34) della riluttanza del traferro, l’induttanza si scri e come:

Nel caso si dovesse utilizzare una sola colonna e quindi una sola bobina con un

numero di spire pari ad (paragrafo 8.3.2.7), le cose cambiano dal momento che a

parità di flusso, se diminuisce la sezione aumenta il campo magnetico; in questo caso

infatti si avrebbe che:

(31)

175

itornando all’espressione del campo magnetico (8.45), andando a sostituire la (8.46) e la (8.54) si ottiene:

Una volta scelto il diametro d del filo di rame, la resistenza elettrica R è esclusivamente funzione della lunghezza del filo, la quale a sua volta dipende dal numero degli avvolgimenti; di conseguenza, siccome la geometria è stata fissata, si può scrivere che:

Si cerca ora di trovare la relazione tra il numero di spire e la lunghezza del filo:

In riferimento alla fig.8.21, su ogni colonna di altezza H, un singolo strato di spire (che si estende lungo tutta la colonna) comprende un numero di avvolgimenti pari a:

(32)

176

Fig. 8.21 Bobina (sulla sinistra) e sezione della colonna in ferro ARMCO con due strati di spire di diametro d (sulla destra).

elati amente al primo strato dell’a olgimento, la lung ezza di una singola spira è pari a (ci si riferisce alla linea di mezzeria del filo per il calcolo della lunghezza):

Quando si avvolge il secondo strato, ogni spira ha una lunghezza pari a:

ll’a olgimento dell’n-esimo strato si ha:

R

d

(33)

177 Senza perdere di generalità, indicando con il numero di spire totale su ogni colonna, la lunghezza corrispondente del filo avvolto si esprime come

6

:

Risolvendo la serie si ottiene :

La lunghezza totale del filo di rame smaltato

è pari a tre volte la quantità espressa dalla dal momento che si hanno tre colonne con lo stesso numero di spire:

Ricordando l’espressione della resistenza elettrica del filo:

l’espressione del campo magnetico (8.55), dopo aver sostituito la (8.65) e la (8.63), diventa:

3

con

Nelle fig.8.22 sono riportate le superfici date dalla (8.66) per una frequenza ed un diametro del filo di rame rispettivamente pari a e . Nella stessa figura sono riportati anche i corrispondenti

6 Volendo essere rigorosi da un punta di ista matematico, a senso scri ere l’espressione (8.62) per indici della sommatoria esclusivamente interi; si ipotizza quindi che

(34)

178

grafici della corrente ottenute dalla (8.46) dopo aver sostituito rispettivamente le (8.65), (8.64), (8.63), (8.53).

Fig. 8.22 Superfici e con (grafici in alto) e . Frequenza pari a 30Hz.

Quello che emerge dai grafici di fig. 8.22 è che fissato il modulo del voltaggio applicato ai capi delle bobine e la frequenza f , per massimizzare il campo magnetico bisogna ridurre il numero di spire il che corrisponde ad un aumento di corrente

7

;

7Il caso limite corrisponde ad utilizzare una sola spira con la corrente che “tende ad infinito”.

(35)

179 sebbene i grafici di fig.822 si riferiscono ad una frequenza f pari a 30Hz, questo è un risultato valido per tutte le frequenze.

Questo è la filosofia che è stata adottata, come si vedrà più avanti, per la scelta del numero di spire totali.

8.3.2.5 Perdite nel nucleo ferromagnetico

In presenza di un campo magnetico variabile all’interno di un materiale elettricamente conduttivo, come per esempio il ferro ARMCO, hanno origine due tipi di fenomeni che sono la causa delle cosiddette power loss, responsabili di una riduzione dell’efficienza dell’elettromagnete; in particolare si anno:

1) perdite per effetto delle correnti parassita (Eddy current losses),

2) perdite legate al ciclo di isteresi del materiale (Hysteresis loss).

Le prime sono dovute alla presenza di correnti parassita nel nucleo di ferro ARMCO, interessato da un campo magnetico variabile. Questa è una conseguenza della legge dell’induzione di Faraday[14]: ogni qualvolta il flusso del campo magnetico concatenato con un circuito varia nel tempo si ha nel circuito una forza elettromotrice indotta data dall’opposto della deri ata del flusso rispetto al tempo; in questo modo si generano delle correnti all’interno del nucleo ferromagnetico c e, oltre a causare dissipazione di potenza sottoforma di calore nel materiale, danno origine ad un campo magnetico opposto a quello generato dalle bobine (legge di Lenz).

Per cercare di quantificare l’entità di queste perdite si consideri la lastra piana di

fig.8.23 con cui è lecito approssimare uno dei quattro lati dell’elettromagnete.

(36)

180

Fig. 8.23 Lastra piana con cui si approssima uno dei lati dell’elettromagnete.

Si ipotizzi che all’interno del materiale sia presente un campo magnetico uniforme e variabile con la seguente legge:

con k ersore dell’asse Z (fig.8.23).

Il flusso attraverso l’area delimitata dal rettangolo in tratteggio (fig.8.23) si esprime come:

j

(37)

181 Dalla legge di Faraday applicata al perimetro tratteggiato si ha:

Essendo , l’equazione (8.70) si può riscrivere come:

La potenza dissipata per effetto Joule nell’intera blocco di materiale si esprime come:

Andando a sostituire si ottiene:

La media temporale su un periodo pari a T = 2 / ω si scrive come:

dove andando a sostituire ed esprimendo le perdite per unità di

volume si ottiene:

La (8.75) mostra come le perdite per effetto delle correnti parassita siano proporzionali al quadrato della frequenza; questo è uno dei motivi per il quale durante i test non si andrà oltre un certo valore di frequenza.

Sempre dalla (8.75) si nota anche come le perdite per unità di volume aumentano

rispettivamente con il quadrato dello spessore dell’elettromagnete e del alore di

(38)

182

picco del campo magnetico, mentre sono inversamente proporzionali alla resistenza elettrica del materiale ferromagnetico utilizzato.

L’espressione (8.75) è valida per una lastra piana di spessore sottile rispetto alle dimensioni tras ersali; l’elettromagnete presenta tutta ia delle colonne cilindriche (sempre in materiale ARMCO) su cui è effettuato l’a olgimento, all’interno delle quali si manifesta lo stesso fenomeno descritto precedentemente per il caso di lastra piana.

Senza entrare nei dettagli analitici, in maniera del tutto simile a quanto fatto precedentemente, si può ricavare la seguente relazione che esprime la potenza elettrica dissipata per unità di olume all’interno di un cilindro di raggio r e resistività elettrica :

L’espressione (8.76) è del tutto analoga formalmente a quella relativa ad una lastra piana; si nota infatti un andamento quadratico con la frequenza e con il raggio della colonna.

La fig. 8.24 mostra il grafico relativo alle perdite di potenza

per effetto delle correnti parassita; questa cur a si riferisce alla geometria dell’elettromagnete in esame e ad un campo magnetico pari a 0.2 T che sarà il valore raggiunto durante i test con la pompa MHD.

Fig. 8.24 Curva rappresentativa delle perdite di potenza nel nucleo ferromagnetico dovute alle correnti parassita.

0 1 2 3 4 5 6 7 8

0 50 100 150

Ploss(W)

Frequenza (Hz)

B=0,2T

(39)

183 Per quanto riguarda l’altro tipo di perdite, indicate precedentemente con Hysteresis loss, sono sempre causate da campi magnetici variabili nel tempo, ma la loro origine risiede nell’andamento della curva di magnetizzazione dei materiali ferromagnetici.

Per spiegare più in dettaglio il fenomeno e cercare di quantificare queste perdite, si supponga di avere un materiale ferromagnetico di forma toroidale, di sezione , su cui sia stato effettuato un avvolgimento caratterizzato da N spire ai cui capi venga applicata una tensione V per mezzo di un generatore di tensione costante.

La corrente raggiunge partendo da zero, un valore di regime; in un istante generico, l’equazione del circuito elettrico equivalente si scrive come:

Il lavoro speso dal generatore di tensione nel tempo dt è dato da:

Il primo termine a secondo membro rappresenta l’energia dissipata per effetto Joule, mentre il secondo termine si può interpretare come la variazione di energia magnetica [39]: in effetti, dopo che la corrente raggiunge la condizione di regime, nel olume all’interno del toroide è presente un campo magnetico c e prima non c’era;

viceversa, se si apre il circuito attraverso un interruttore, la corrente torna a zero a spese dell’energia accumulata attra erso l’induttore e alla fine il campo magnetico scompare.

Il lavoro speso dal generatore di tensione per dar luogo al campo magnetico (per portarlo da zero al valore finale) si può esprimere come:

Essendo per un circuito magnetico toroidale:

il lavoro del generatore di tensione diventa

(40)

184 con

V = volume toroide = 2 Σ.

Il lavoro per unità di volume si può quindi esprimere come:

Andando ad utilizzare la seguente relazione:

la (8.82) diventa:

Supponendo ora c e l’a olgimento intorno al nucleo ferromagnetico sia soggetto ad una tensione alternata, durante un intero ciclo vale:

L’integrale dato dalla (8.85) rappresenta l’area racc iusa dalla cur a di magnetizzazione del materiale.

A causa della non linearità dei materiale ferromagnetici, i processi di magnetizzazione e smagnetizzazione non sono reversibili; questo significa che la quantità di l’energia accumulata per mezzo del comportamento indutti o dell’a olgimento a spese del generatore di tensione, non iene completamente restituita allo stesso durante il semiciclo inverso.

Di conseguenza il lavoro

per unità di volume, speso e non recuperato, è pari all’area del ciclo di isteresi c e caratterizza il materiale e si esprime come:

Nel caso del ferro ARMCO si ha che:

(41)

185

J

da cui per ottenere la potenza dissipata

, legata al ciclo di isteresi del materiale, basta moltiplicare per il volume del nucleo ferromagnetico e per la frequenza (fig.8.25).

Fig. 8.25 Curva rappresentativa delle perdite di potenza nel nucleo ferromagnetico legate al ciclo di isteresi del materiale.

8.3.2.6 Tavole geometriche dell’elettromagnete

Di seguito sono riportate le ta ole geometric e dei componenti dell’elettromagnete.

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4 1,6

0 50 100 150

Ploss2 (W)

Frequenza (Hz)

Serie1

(42)

186

Fig. 8.26 Componente dell’elettromagnete “a forma di L” in ferro ARMCO.

(43)

187

Fig. 8.27 Colonna dell’elettromagnete in ferro ARMCO

(44)

188

Fig. 8.28 Rivestimento in PEEK per facilitare l’avvolgimento del filo di rame smaltato.

8.3.2.7 Prova dell’elettromagnete con singola bobina

Una volta realizzati i componenti, per verificare quanto si discosta la teoria

semplificativa trattata precedentemente, si sono effettuati dei test preliminari

realizzando un avvolgimento provvisorio (fig.8.29).

(45)

189

Fig. 8.29 Elettromagnete con singola bobina.

L’a olgimento è caratterizzato da:

numero di spire

diametro del filo di rame smaltato resistenza elettrica del filo Dalla (8.54) si rica a l’induttanza L:

L’espressione del campo magnetico, utilizzata per fare un confronto con i valori sperimentali, si scrive come:

con

Le prove sono state effettuate per mezzo di un circuito amplificatore non invertente

realizzato con l’operazionale di potenza LM675 in retroazione negativa (fig.8.30).

(46)

190

Fig. 8.30 Circuito amplificatore non invertente con rapporto di amplificazione pari a 4.

La misurazione del campo magnetico è stata effettuata attraverso una sonda ad effetto Hall (fig.8.31).

Fig. 8.31 Sonda ad effetto Hall per la misurazione del campo magnetico nell’interferro.

(47)

191 Nel grafici di fig.8.32, 8.33 e 8.34 sono riportati i valori sperimentali del campo magnetico nel traferro, confrontati con quelli teorici ottenuti per mezzo della (8.88), in funzione della corrente circolante nella bobina ad una frequenza rispettivamente di 30 Hz, 50 Hz e 100Hz.

Fig. 8.32 Confronto tra la curva teorica e sperimentale rappresentative del campo magnetico nell’interferro (f=30Hz).

Fig. 8.33 Confronto tra la curva teorica e sperimentale rappresentative del campo magnetico nell’interferro (f=50Hz).

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6

0 1 2 3

B (T)

Corrente (A)

f=30Hz

Teorico Sperimentale

0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 0,4

0 0,5 1 1,5 2

B (T)

Corrente (A)

f = 50 Hz

teorico sperimentale

(48)

192

Fig. 8.34 Confronto tra la curva teorica e sperimentale rappresentative del campo magnetico nell’interferro (f=100Hz).

Si osserva come i valori di campo magnetico misurati siano inferiori rispetto a quelli calcolati con la teoria dei circuiti magnetici.

Questo perché la teoria applicata trascura due fenomeni:

- la deviazione delle linee di campo magnetico nel passaggio ferro-aria,

- la presenza delle correnti parassita che si generano nel nucleo ferromagnetico e che vanno a generare un campo magnetico opposto a quello prodotto dall’a olgimento.

Per capire quale dei due contribuisce maggiormente alla riduzione del campo magnetico rispetto ai valori teorici, si sono svolte prove a tensione costante, eliminando in questo modo almeno le correnti parassita.

0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25

0 0,5 1

B (T)

Corrente (A) f = 100 Hz

teorico sperimentale

(49)

193

Fig. 8.35 Circuito elettrico equivalente relativo alle prove a tensione costante.

Nella seguente figura, è riportata la curva rappresentativa dei valori sperimentali del campo magnetico, confrontati con quelli teorici, in funzione della corrente circolante nell’a olgimento.

Fig. 8.36 Confronto a tensione costante tra la curva teorica e sperimentale rappresentative del campo magnetico nell’interferro.

0

0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 0,4

0 0,5 1 1,5 2

B (T)

Corrente (A)

Tensione costante

teorico sperimentale

(50)

194

L’andamento della cur a sperimentale indica chiaramente una saturazione del ferro ARMCO (B

SAT

≈ ) in corrispondenza della colonna su cui è stato effettuato l’a olgimento: qui in effetti la superficie attraversata dal campo è circa un terzo della superficie rettangolare del rimanente circuito magnetico.

Andando comunque a confrontare a parità di corrente i valori di campo magnetico a tensione costante e a tensione alternata (fig.8.37), si osserva una riduzione di B nel secondo caso per effetto delle correnti parassita a cui si accennava precedentemente.

Considerando però l’espressione del campo magnetico:

si vede come a parità di corrente e di numero di spire, indipendentemente della frequenza, i valori di campo magnetico dovrebbero essere identici; tuttavia la (8.90) non tiene conto delle correnti parassita che hanno origine esclusivamente per tensioni alternate e che sono proporzionali alla frequenza.

Ciò è quello che si osserva in fig.8.38, in cui sono confrontati i valori di campo magnetico in funzione della corrente per diverse frequenze; si vede come all’aumentare di quest’ultima il campo magnetico diminuisce a parità di corrente circolante nella bobina.

Fig. 8.37 Confronto tra i valori sperimentali di campo magnetico a tensione costante ed alternata (f=50Hz).

0 0,01 0,02 0,03 0,04 0,05 0,06 0,07 0,08 0,09 0,1

0 0,5 1 1,5 2

B (T)

Corrente (A)

tensione costante tensione alternata

(51)

195

Fig. 8.38 Confronto tra i valori sperimentali di campo magnetico a diverse frequenze.

Di seguito sono riportati i risultati ottenuti con il software FEMM 4.2 (Finite Element Method Magnetics), per mezzo del quale si possono risolvere problemi relativi a geometrie piane o assialsimmetriche; non appartenendo la geometria di interesse ne all’una ne all’altra categoria, si è cercato di approssimare il circuito magnetico con una geometria di forma rettangolare, con uno dei quattro lati (rappresentativo della colonna su cui è stato effettuato l’a olgimento) avente uno spessore pari ad un terzo lo spessore degli altri lati.

La fig.8.39 rappresenta la simulazione FEMM applicata alla geometria sopra descritta con un avvolgimento formato da 700 spire e attraversato da una corrente di circa 2 A. Si può osservare come i risultati confermano un raggiungimento delle condizioni di saturazione in corrispondenza del lato ristretto dell’elettromagnete.

0 0,01 0,02 0,03 0,04 0,05 0,06 0,07 0,08 0,09

0 0,5 1 1,5 2

B (T)

I (A)

30Hz f=50Hz 100Hz

(52)

196

Fig. 8.39 Risultati simulazione FEMM con N=700, I = 2A.

Fig. 8.40 Grafico rappresentativo del campo magnetico in funzione ottenuto dalla simulazione FEMM.

Fig. 8.41 Andamento delle linee di campo magnetico nell’interferro.

(53)

197

Fig. 8.42 Grafico rappresentativo del campo magnetico nell’interferro.

In conclusione, quello che emerge dall’analisi del confronto tra risultati teorici e sperimentali, relati i all’elettromagnete con singola bobina, è che la teoria basata sulla risoluzione del circuito magnetico equivalente (applicando la legge di Hopkinson) , la quale necessita di alcune assunzioni che apparentemente sembrano essere soddisfatte per il caso in esame, non può essere applicata per effettuare una stima preliminare dell’andamento del campo magnetico nell’interferro al variare del numero di spire c e rimane l’ultima quantità da stabilire.

Tuttavia, restano comunque valide le considerazioni fatte alla fine del paragrafo 8.3.2.4 riguardo la tendenza, ai fini del raggiungimento di un campo magnetico maggiore, ad un aumento di corrente rispetto che ad un incremento del numero di spire.

Per questo motivo si è scelto di avvolgere sulle altre due colonne un numero di spire inferiore, in particolare 500.

Il collegamento in serie delle bobine assicura che i tre flussi magnetici generati da ognuna di esse siano perfettamente in fase tra di loro, indipendentemente dal numero di spire.

In fig.8.43 è riportata una foto dell’elettromagnete completo.

Fig. 8.43 Elettromagnete con le tre bobine collegate in serie.

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