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CRITERI DI DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE IN ONCOLOGIA E SUOI RIFLESSI SULL’ATTIVITÀ MEDICO-LEGALE PREVIDENZIALE

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CRITERI DI DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE IN ONCOLOGIA E SUOI RIFLESSI SULL’ATTIVITÀ

MEDICO-LEGALE PREVIDENZIALE

Dr. Angelo Porrone - Dr. Federico Cattani∗∗ - Dr. Lucia C. D’Acquarica∗∗∗

INTRODUZIONE

Il medico legale previdenziale è chiamato ad esprimere valutazione e giudizio nei riguardi di soggetti che chiedono una prestazione al proprio ente assicuratore, soggetti che solitamente si presentano a visita con una “diagnosi clinica” già compiutamente formulata, a iter diagnostico, terapeutico e prognostico già concluso.

Questa è la prassi: in tal caso il compito del medico legale consiste nel valutare l’incidenza che il complesso patologico ha sul singolo specifico soggetto in esame, esaminando se, quanto e per quanto tempo esso compromette la capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle sue attitudini (art. 1 Legge 222/84) o se ne abolisca permanentemente e del tutto ogni capacità lavorativa (art. 2 Legge 222/84) ai fini del riconoscimento del diritto a percepire l’assegno ordinario di invalidità oppure la pensione di inabilità.

Questa, dicevamo, è la norma, ma non è infrequente che l’assicurato giunga alla nostra osservazione quando ancora l’iter diagnostico non è concluso, per cui non si è ancora giunti ad una diagnosi di certezza: capita addirittura che l’assicurato presenti prima al medico legale che al suo stesso curante l’esito di alcuni accertamenti talora essenziali, dirimenti o addirittura conclusivi per la diagnosi di certezza!

Ed ancora, non è infrequente il riscontro, in sede di visita medico legale, di segni e/o sintomi di recente insorgenza, ancora non rilevati in altra sede, suggestivi per patologie misconosciute fino a quel momento sia all’assicurato che al suo curante.

Infine vi sono altri casi in cui, ad una rigorosa disamina sia delle manifestazioni cliniche che dell’iter diagnostico già esperito, possono rilevare chiare incongruenze tra questo, quelle e la conseguente diagnosi clinica formulata.

Dirigente medico legale 2° livello - Centro Medico Legale I.N.P.S., Frosinone

∗∗ Dirigente medico legale 2° livello -Coordinatore Centrale Area delle Invalidità– Direzione Generale I.N.P.S., Roma

∗∗∗ Dirigente medico legale 1° livello-Area delle Invalidità-Direzione Generale INPS, Roma

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Detto ciò ne deriva, ovviamente, che ogni medico legale deve sempre avere e tenere aggiornato il suo bagaglio culturale inerente la diagnostica clinica in tutte le sue sfaccettature incluse le possibilità terapeutiche che, influendo sull’evoluzione delle malattie, ne determinano il decorso, la prognosi, gli esiti stabilizzati e quindi più o meno invalidanti.

Ebbene, se ciò vale in ogni ambito medico legale e per tutte le patologie possibilmente invalidanti, in maggior misura è importante allorché ci si trovi ad esaminare un soggetto affetto da malattia neoplastica accertata o sospetta in ambito previdenziale.

In assenza di barèmes valutativi, non indicati dal Legislatore anche perché di scarso valore pratico dovendosi considerare non la malattia di per sé ma la riduzione della capacità lavorativa riferita in particolare alla sfera attitudinale del soggetto con o senza possibilità di reimpiego, in ambito Inps i criteri ed i protocolli di valutazione sono prevalentemente affidati alla ormai provata esperienza professionale dell’intero corpo sanitario.

In assenza, quindi, di regole codificate, di fatto è la conoscenza approfondita dei principali e più ricorrenti quadri morbosi, con particolare riguardo alla storia naturale ed evolutiva, che può rendere assai più agevole il compito del medico legale previdenziale.

In quest’ottica non ci sembra peregrino stilare alcune fondamentali raccomandazioni e linee guida, ovvero fare riferimento a fondamentali parametri clinici e diagnostici da valutare e considerare attentamente nel caso specifico della malattia neoplastica.

Lo scopo principale del nostro lavoro è quello di fornire idonei orientamenti diagnostico- valutativi, soprattutto validi indirizzi metodologici ed applicativi in senso clinico-prognostico, in rapporto allo spinoso problema della valutazione delle neoplasie, per la più corretta ed equa applicazione del disposto degli artt.1 e 2 della legge 222/84 ai fini della concessione delle relative provvidenze economiche.

Appare fondamentale conoscere i protocolli di indagine diagnostica e la metodologia applicativa inerenti la casistica oncologica di maggiore rilevanza clinica e medico legale.

Tra questi appaiono sicuramente complessi, sia per la difficoltà interpretativa dei dati sanitari che per la conseguente difficoltà valutativa, quelli inerenti le forme mielo e linfoproliferative croniche e quelli relativi alla malattia neoplastica metastatica.

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Per il medico legale è assai importante conoscerne alcune peculiarità e le frequenti novità scientifiche, proprie del settore, al fine di evitare di incorrere in erronee interpretazioni, anche di falsi positivi o negativi, ed arrivare, di conseguenza, ad affrettate o erronee conclusioni medico legali.

LA MALATTIA METASTATICA Metastasi cerebrali

Le sedi anatomiche più comunemente coinvolte da metastasi a livello cerebrale sono le meningi o le sedi parenchimali.

Gli aspetti clinici e diagnostici più peculiari sono da ritenersi, nell’ordine:

• La diagnosi differenziale, che riguarda tumori primitivi cerebrali, i gliomi maligni, i meningiomi e i linfomi primitivi cerebrali, malattie infettive, ascessi cerebrali piogenici, tubercolosi, micosi, toxoplasmosi, altre infezioni, specie virali, infarto o emorragia cerebrale, ematoma subdurale acuto e cronico, ecc.;

• I sintomi e i segni cerebrali metastatici, con prevalenza, nell’ordine, delle cefalee, sindromi focali, torpore e disturbi mentali, disturbi visivi, disturbi del linguaggio, emiparesi, deficit cognitivi, ipoestesia sensoriale monolaterale, atassia, afasia, ecc.;

• Le indagini radiodiagnostiche che vedono principalmente impiegate, nella valutazione diagnostica la TAC, senza e con m.d.c., la RMN, l’arteriografia; queste tecniche di immagine consentono di acquisire numerose informazioni diagnostiche delle quali le più importanti sono la localizzazione anatomica e le caratteristiche dimensionali e morfologiche della lesione espansiva cerebrale; il gadolinio-DTPA si presenta come il m.d.c. più sensibile per svelare la presenza di metastasi cerebrali; le metastasi parenchimali hanno forma sferoidale, con associata formazione di edema perilesionale, localizzate nella sostanza bianca cerebrale o nella sede che la congiunge con la grigia; la RMN e la TAC sono in grado di seguire perfettamente nel tempo la loro evoluzione;

• La biopsia stereotassica, non del tutto scevra da rischi, è in grado di tipizzare correttamente la neoplasia in atto, anche con il relativo grading;

• L’arteriografia è in grado di svelare il dettaglio della vascolarizzazione perilesionale, se normale o meno, ma anche l’origine di circoli collaterali o il grado di neovascolarizzazione;

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• Una unica metastasi cerebrale, localizzata in zone aggredibili chirurgicamente, sede fronto- parietale, od occipitale, può essere asportata con relativa facilità e il risultato terapeutico può essere molto buono, anche con lunghe sopravvivenze.

Metastasi polmonari

Gli aspetti clinici e diagnostici più peculiari sono da ritenersi, nell’ordine, i seguenti:

• La disseminazione può essere emboligena ematogena per invasione dei capillari, o per contiguità bronchiale da masse mediastiniche tumorali, o per via linfatica;

• Il numero e la morfologia delle localizzazioni secondarie polmonari permettono di effettuare importanti considerazioni in rapporto all’eziologia delle metastasi polmonari; un nodulo solitario in un paziente con una nota neoplasia situata in sede extracellulare è da ritenersi un secondo tumore primitivo del cancro iniziale, con le caratteristiche di un carcinoma squamocellulare; ciò non accade quasi mai per i melanomi e i sarcomi; le sedi di predilezione riflettono la vascolarizzazione polmonare e riguardano, prevalentemente, le basi pomonari, essendo scarsa la predilezione per le zone laterali dei polmoni; fa eccezione il corioncarcinoma che, a causa della disseminazione trofoblastica si distribuisce posteriormente ai lobi superiori; le dimensioni delle metastasi sono, in genere, piuttosto ragguardevoli e verificabili anche alla semplice radiografia standard del torace, essendo anche correlate con la fase della storia naturale della malattia in cui vengono scoperte, e, virtualmente, nell’80-90 % dei casi si riscontrano nelle sedi periferiche esterne o, talvolta, in posizione subpleurica;

• Poiché la sede nell’85-90 % dei casi è periferica o subpleurica, le metastasi polmonari sono, per lo più, inizialmente, asintomatiche; il lento sviluppo della dispnea può essere dovuto ad ostruzione bronchiale o a diffusione pleurica; in rari casi si può avere una diffusione linfangitica; la comparsa di dolore deve far sospettare una lesione con rottura della pleura parietale;

• Sotto il profilo radiodiagnostico è da sottolineare che la maggior parte delle metastasi polmonari, indipendentemente dall’aspetto istologico, hanno un aspetto ovalare nodulare;

quindi, lesioni polmonari con un bordo irregolare, usualmente implicano un tumore primitivo polmonare o un’infezione, ma l’età avanzata della lesione, e/o un’espansione emorragica, possono favorire la comparsa contestuale di metastasi; una cavità polmonare ascessualizzata può capitare nel 5 % delle metastasi; possono anche essere presenti calcificazioni, prevalenti in

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caso di osteo e condrosarcoma o di sarcoma sinoviale, meno in caso di tumore tiroideo, ovarico, mucinoso gastrointestinale, mammario;

• Durante la sorveglianza sanitaria della fase di follow up di controllo occorre effettuare una radiografia standard in AP e laterale dei polmoni, per accertare, inizialmente e per le comparazioni successive la eventuale coesistenza di malattie benigne cardiopolmonari; la radiografia standard è atta a dimostrare la presenza di evidenti manifestazioni metastatiche, avendo un potere di risoluzione < cm 1,0;

• Una TAC ideale dovrebbe essere in grado di discernere anormalità e anomalie di qualsiasi genere, ma va debitamente intervallata (per evitare al paziente un’esagerata esposizione alle radiazioni); l’uso reale della TAC è cercare piccoli noduli e definire le loro caratteristiche naturali in un breve lasso di tempo; nella sorveglianza delle metastasi polmonari il problema è essenzialmente di operare una distinzione tra processi benigni e maligni; usualmente un nodulo benigno è statico, nel tempo, non palesando alcuna o scarsa tendenza all’accrescimento e tanto meno alla riduzione di calibro; delle TAC eseguite in modo seriale possono determinare la dinamica di accrescimento delle lesioni polmonari, specialmente in una popolazione omogenea di pazienti; i noduli possono essere classificati, così, come stabili, sviluppantesi, o ingranditi;

• Un’unica metastasi polmonare, ad es., da tumore mammario, in qualche caso è da ritenersi resecabile, con risultati apprezzabili.

Metastasi epatiche

Gli aspetti clinici e diagnostici più peculiari sono da ritenersi, nell’ordine:

• Tendono ad ingrandire facilmente, in base al tipo istologico di partenza, all’estensione del coinvolgimento epatico, allo stato fisiologico del parenchima epatico, alla propensione all’ingrandimento delle cellule tumorali;

• La mediana di sopravvivenza varia, a seconda degli autori da 3 a 24 mesi, ovvero dai 7 ai 15 mesi in uno studio di 983 casi;

• I tumori gastroenterici sono quelli più frequentemente implicati nella metastatizzazione secondaria epatica, per via ematogena;

• Per il monitoraggio dei parametri umorali, esistono vari markers tumorali ed enzimi epatici facilmente indagabili e la gran parte dei pazienti possono essere testati tramite le YGT, la fosfatasi alcalina, l’aspartato amino transferasi e il CEA; sono riportati valori di CEA elevati approssimativamente nel 90 % dei pazienti con metastasi di carcinomi colo-rettali, e molti autori

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hanno riscontrato una correlazione netta fra elevazione del CEA e prognosi; anche la bilirubinemia può consentire di monitorare lo stato della neoplasia; una iperbilirubinemia, con valori di 1,5-5 mg/ dl può essere associata con una mediana di sopravvivenza di 2,5 mesi, con un tasso di sopravvivenza del 7 % a un anno; anche l’elevazione della fosfatasemia alcalina è associata a bassa sopravvivenza, con mediana pari ancora a 2,5 mesi, comparata con i 9,2 mesi di quelli con valori normali;

• Ecografia, TAC, RMN e arteriografia, consentono di definire la localizzazione e l’estensione della malattia metastatica e sono di aiuto al chirurgo per pianificare gli interventi di resezione; la biopsia epatica ultrasuono-guidata è frequentemente usata per ottenere la diagnosi istopatologica; RMN e TAC possono essere usate nella ricerca e stadiazione di eventuali metastasi epatiche, con maggiore sensibilità e specificità per la TAC; molto autori, tuttavia, raccomandano l’uso della RMN nella valutazione iniziale delle lesioni epatiche per distinguere cisti benigne ed emangiomi dalle neoplasie maligne; ci sono, in questo caso molti vantaggi rispetto alle altre metodiche, per la possibilità dell’uso dei mezzi di contrasto e.v., per la capacità di distinguere tra tumori benigni e maligni con un alto grado di specificità (93 %) e di sensibilità (89 %)

• Un’unica metastasi epatica è suscettibile di resezione chirurgica, con alcuni risultati apprezzabili;

• In una casistica di 153 pazienti con metastasi epatiche, ben 118 riguardavano il cancro colorettale, 5 il tumore renale, 4 il tumore mammario, 2 il melanoma, 2 il tumore ovarico, ma è dimostrato che anche l’adenocarcinoma polmonare ha una particolare predilezione per le metastasi epatiche.

Metastasi ossee

Gli aspetti clinici e diagnostici più peculiari sono da considerare, nell’ordine, i seguenti:

• La più comune sede di metastatizzazioni secondarie è costituita dal sistema scheletrico;

• Mammella, nel 73,1 %, e in via man mano decrescente, prostata, polmone, rene, retto, pancreas, stomaco, colon e ovaio sono da ritenersi le sedi metastatiche più ricorrenti;

• Riguardo alle sedi di localizzazione, la vertebra è coinvolta nel 69 % dei casi, la pelvi, nel 43 %, il femore, nel 25 %; l’estremità cefalica è assi meno coinvolta; le fratture patologiche capitano nel 9 % dei casi di metastasi ossee, essendo la maggior parte delle fratture patologiche localizzate al femore, all’omero o a entrambi; 4 diversi tipi di tumori assommano circa 80 % delle fratture e sono, la mammella, nel 53 % dei casi, il rene, nell’11 %, il polmone nell’8 % e la

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tiroide nel 5 %. Circa la sede vertebrale, le vertebre toraciche sembrano quelle maggiormente coinvolte a livello del corpo, con insorgenza di dolore irradiato al torace o alle estremità; a livello lombare da luogo ad un dolore sciatalgico; tutti i pazienti con scintigrafia ossea positiva, con sviluppo o meno di dolore scheletrico, dovrebbero, contestualmente, essere sottoposto a radiografia dell’area scintigraficamente positiva;

• Calcio sierico, fosforemia, fosfatasi alcalina e acida, CEA sono parametri di laboratorio che si elevano in occasione di metastatizzazione secondaria ossea; nessuno di essi comunque è da ritenersi specificamente predittivo di metastatizzazione ossea; l’ipercalcemia non è direttamente correlata con l’estensione della localizzazione ossea, anche se, comunque, pazienti con metastasi ossee presentano alti livelli di calcio sierico;

• La diagnosi è funzione del quadro clinico, dei risultati radiografici e della scintigrafia ossea, tutti molto caratteristici; l’aspetto a vertebra tarlata è tipico delle metastasi ossee mammarie; in caso di frattura patologica, specie lombare, per la coesistenza possibile di osteoporosi e non di presunta metastasi, è opportuno far eseguire una MOC per escludere eventuali metastasi;

• La conferma istopatologica è possibile con una semplice agobiopsia ossea in più sedi presumibilmente interessate;

• Malattie ematologiche maligne, mieloma, leucemia, linfoma, nonché la malattia ossea di Paget possono essere confuse, nell’adulto, con le metastasi ossee.

A margine di queste descrizioni va sottolineato il generale ma spiccato tropismo della malattia metastatica in funzione della sede d’origine, avendo ogni tumore, nella larga prevalenza dei casi, una o più classiche sedi di metastatizzazione secondaria in taluni organi o apparati, per cui vanno prese con molta cautela eventuali sedi anomale di ripetizioni secondarie.

Non meno cautela va posta nell’interpretare e nel valutare una eventuale malattia metastatica che presenti una staticità, sia anatomica che sintomatologia, datata molti anni.

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LE FORME LEUCEMICHE CRONICHE

Sono soprattutto le leucemie croniche quelle che spesso presentano maggiori difficoltà diagnostiche e si prestano ad essere confuse con vari quadri precancerosi o neoplastici, o sono di difficile valutazione, come nel caso della leucemia a cellule capellute o tricoleucemia, spesso confusa con la L.L.C. o non diagnosticata anche nella fase conclamata.

Ricordiamo intanto che una pancitopenia, con epatosplenomegalia deve subito far pensare ad una forma leucemica cronica.

Occorre, quindi ricercare e valorizzare i criteri diagnostici fondamentali, così riassumibili, a seconda delle diverse forme morbose linfo o mieloproliferative in atto:

Criteri diagnostici principali utilizzabili per la leucemia linfatica cronica (L.L.C):

• Presenza di epatosplenomegalia

• Linfocitosi > 5000 /micronlitro, protratta per almeno 4 settimane;

• Linfociti maturi, con non più del 55 % di cellule linfoidi immature o atipiche;

• Più del 30 % di linfociti nel midollo osseo;

• Cellule producenti un eccesso clonale di catene leggere kappa o lambda, con bassa densità di immunoglobuline di superficie e CD 5 positive;

• Accessorialmente, aumentati livelli delle beta 2 microglobuline..

Criteri diagnostici principali utilizzabili per la leucemia mieloide cronica (L.M.C.):

• E’ presente epatosplenomegalia

• moderata anemia normocitica e normocromica, anche se talvolta ci può essere eritrocitosi;

• Il numero di granulociti è sempre > 30.000/ micronlitro e, di solito, al momento della diagnosi, è compreso fra 100 mila e 300 mila, con granulociti normali per aspetto e funzioni;

• Il 50 % dei pazienti presenta trombocitosi, con valori anche > 1 milione /micronlitro, all’esordio della malattia; raro è il riscontro di piastrinopenia nelle fasi iniziali;

• iperuricemia ed iperuricuria, sia durante la terapia che in sua assenza;

• Il midollo osseo è marcatamente ipercellulare, a causa della marcata iperplasia della serie granulocitaria, con marcato incremento del rapporto leuco-eritroblastico; è presente una fibrosi midollare di entità variabile, normale appare la maturazione dei granulociti;

• È possibile individuare il Cromosoma Philadelphia nell’esame del midollo osseo, o anche, in presenza di elevata quota di mielociti maturi, nel sangue periferico;

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• Il riarrangiamento BCR-ABL può essere individuato con tecniche sensibili, ormai, ampiamente disponibili, quali il Southern blotting e la PCR;

• La fosfatasi alcalina leucocitaria è a livelli molto bassi.

Criteri diagnostici principali utilizzabili per la Leucemia mielomonocitica cronica:

• La CMML colpisce più spesso soggetti anziani, può essere presente splenomegalia, la cui entità tende ad aumentare con il progredire della malattia; rare sono, invece, l’epatomegalia e le linfoadenopatie; l’andamento clinico è cronico ingravescente, molto lento;

• I pazienti hanno, di solito, una monocitosi inspiegabile con granulocitosi e piastrinopenia;

• L’anemia è, di solito di modesta entità;

• Il numero delle piastrine, nella maggioranza dei pazienti, è leggermente diminuito, mentre è normale nel 15 % dei casi, e gravemente ridotto in un altro 15 %;

• Nella maggior parte dei casi si riscontra una leucocitosi compresa fra 11.000 e 50.000 / micronlitro, dovuta ad un aumentato numero sia dei granulociti che dei monociti, specie i primi;

talvolta è possibile osservare leucopenia; la morfologia dei leucociti è tipicamente indeterminata e anormale;

• solitamente si riscontrano livelli elevati di lisozima sierico;

• La fosfatasi alcalina leucocitaria è a livelli bassi, anche se meno che nella LMC.

Criteri diagnostici principali utilizzabili per la Leucemia tricoleucocitica cronica:

• Il rapporto di incidenza M/F è 5/1, la malattia è rara prima dei 50 anni;

• Astenia ed affaticabilità sono i sintomi di esordio nel 40 % dei casi;

• Nell’80 % dei pazienti ci sono anemia e piastrinopenia, ovvero pancitopenia; nel 60 % si verifica leucopenia nel 20 % aumento delle cellule capellute nel sangue periferico, con leucocitosi e neutropenia assoluta;

• I tests di funzionalità epatica e renale sono alterati solo nel 10-20 % dei casi e, ancora, nel 20 % dei casi si riscontra ipergammaglobulinemia policlonale o ipogammaglobulinemia;

• La diagnosi viene posta grazie all’osservazione delle cellule patognomoniche nel sangue periferico o nel midollo osseo, che però appare fibroso ed offre difficoltà tecniche all’esecuzione del puntato e della biopsia osteomidollare; tali cellule capellute sono caratterizzate da sottili proiezioni citoplasmatiche digitiformi sulla loro superficie, simili a capelli e da nuclei rotondi, eccentrici, con cromatina spongiosa;

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• La microscopia a contrasto di fase con coloranti sopravitali, nei preparati a fresco è molto utile per riconoscere le tipiche cellule capellute;

• Le cellule capellute hanno una forte attività fosfatasica acida che resiste all’inibizione con acido tartarico allo 0.05 %;

• L’aspirato midollare spesso da luogo alla cosiddetta punctio sicca che non consente di esaminare il midollo stesso; la biopsia osteomidollare mostra, invece, una caratteristica disposizione lassa e spugnosa delle cellule, anche quando la sostituzione del midollo rosso ad opera delle cellule capellute è estesa;

• La milza è l’organo più intensamente infiltrato nella HLC, con caratteristico rivestimento dei seni o pseudoseni da cellule capellute, con aspetto di unica lesione vascolare;

• È presente epato ma soprattutto splenomegalia, con milza di peso > anche di kg 4 o più, per cui un quadro di pancitopenia marcata + splenomegalia e in assenza di linfocitosi all’emocromo deve suscitare più di un sospetto di leucemia a tricoleucociti; la splenectomia, in questi casi, può essere risolutiva per buona parte dei sintomi e può fare rientrare pressoché nella norma l’emocromo .

Criteri diagnostici principali utilizzabili per la sindrome mielodisplastica o anemia refrattaria:

• Sono forme idiopatiche preleucemiche con alto rischio di sviluppare una LMA;

• L’emopoiesi inefficace e lenumerose altre anomalie sono dovute ad alterazioni delle cellule staminali;

• Colpiscono di solito persone di età > 50 anni e di sesso maschile;

• I pazienti sono asintomatici o presentano sintomi aspecifici legati all’anemia che comunque è di grado per lo più lieve;

• Le diverse citopenie, che, di solito comprendono anche l’anemia, possono persistere per mesi o anni, pressoché inalterate;

• Nel sangue periferico: in genere si osservano citopenie periferiche in presenza di midollo osseo normo o ipercellulare; è presente anemia e reticolocitopenia da eritropoiesi inefficace; aniso poichilocitosi, punteggiature basofile, macrocitosi, popolazioni eritrocitarie dimorfe in presenza di sideroblasti ad anello; trombocitopenia;

• Nel midollo osseo: iperplasia o ipoplasia eritroide, sideroblasti ad anello, maturazione megaloblastoide, con multinuclearità, frammentazione dei nuclei, anomalie citoplasmatiche, sono da ritenersi aspetti di riscontro assai frequente; iperplasia granulocitaria con granulazioni

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ridotte o anormali nei precursori dei neutrofili, con aumentato numero di blasti; ridotto numero dei megacariociti, micromegacariociti, megacariociti con singolo nucleo di grandi dimensioni

• La percentuale di blasti nel midollo osseo varia da una quota < del 5 % nelle comuni anemie refrattarie, ad una quota dal 5 al 20 % nella anemie refrattarie con eccesso di blasti (AREB) fino a salire ancora nelle AREB T, forme con eccesso di blasti in trasformazione (in non rari casi si può addirittura, erroneamente, porre diagnosi di leucemia mieloide acuta in fase blastica);

• L’assenza di epatosplenomegalia, una lieve anemia non ingravescente, la asintomaticità, sono tutti aspetti che depongono quasi sicuramente per una forma mielodisplastica.

Per i casi fino qui esposti, ma in generale per tutti i soggetti affetti da malattia neoplastica, il grado di disfunzionalità e soprattutto la prognosi appaiono elementi discriminanti ai fini dell’accoglimento o della reiezione delle due principali prestazioni previdenziali.

In via del tutto orientativa, come già abbiamo avuto modo di segnalare in altra occasione, si potrebbe ritenere che i soggetti affetti da neoplasie a prognosi buona o discreta, ovvero con previsioni di sopravvivenza superiori al 60% non dovrebbero, in genere, necessitare del riconoscimento di nessuna prestazione previdenziale, così come anche quelli con malattia a prognosi tra il 60 ed il 40 % di sopravvivenza , ben trattati in modo radicale, se al momento della valutazione si trovano in fase di prolungato intervallo libero da malattia, avendo già concluso il follow up previsto dal protocollo.

Sono da ritenersi invece invalidi, almeno per tutto l’intero follow up di controllo, i soggetti affetti da neoplasie a percentuali di sopravvivenza inferiori al 60%; se poi per la patologia tumorale si hanno stime di sopravvivenza inferiori al 40% i soggetti sono da considerarsi comunque invalidi, eventualmente inabili se ancora in follow up o portatori di rilevanti esiti disfunzionale (in casi eccezionali con revisione a distanza di un tempo non inferiore al follow up).

Sarà poi opportuno orientarsi per la concessione della pensione di inabilità, indipendentemente dall’apparente performance status al momento della valutazione, ai soggetti affetti da neoplasie a prognosi prevedibilmente infausta a tempi brevi e medi (sopravvivenza prevista inferiore al 20%), oppure con malattia persistente loco-regionale, in evoluzione più o meno rapida, come pure in tutti i casi in cui vi sia una recidiva o una diffusione metastatica non più suscettibili di ulteriori terapie di salvataggio.

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PROTOCOLLI DI INDAGINE DIAGNOSTICA E METODOLOGIA APPLICATIVA RIGUARDO ALLA CASISTICA ONCOLOGICA DI MAGGIORE RILEVANZA CLINICA E MEDICO LEGALE

Allo scopo dunque di affinare la nostra preparazione per poter dare valutazioni e giudizi medico legali corretti ed equi ( diligenza, perizia e prudenza devono infatti essere alla base di ogni professione medica, compresa quella medico legale), ricordiamoci che all’atto della visita appare prioritario assumere e conoscere:

1. un’anamnesi approfondita, circa le modalità di esordio della patologia neoplastica, per raffrontarla con la storia clinica naturale del tumore in atto, e per valutare il peso prognostico di uno stadio, ad esempio, già inizialmente avanzato;

2. l’oncotipo derivativo della neoplasia, ossia l’istotipo del tessuto di origine, ciò che in gergo si chiama tipizzazione istologica della neoplasia, della quale occorre conoscere le caratteristiche istopatologiche essenziali tanto di carattere macroscopico che microscopico, le dimensioni, le caratteristiche architetturali, la sede, la simmetria, le forme e il grado dell’infiltrazione neoplastica, con il riconoscimento certo della malignità intrinseca delle cellule neoplastiche, con il grading, la presenza o meno di altri elementi cellulari di accompagno, il tipo e il grado del coinvolgimento dei linfonodi e di altri tessuti eventualmente esaminati, l’identificazione della sottoforma neoplatica (laddove necessario, vedi LNH), talora corredabile anche accertamenti di tipo immunoistochimico, per studiare meglio gli epitopi cellulari;

3. lo stadio chirurgico ed anatomopatologico della neoplasia in atto, sia secondo la classificazione TNM sia in base alla classificazione in Stadi I-IV°, ovvero secondo le classificazioni adottate per quel tipo di neoplasia, stadiazione che va opportunamente ricavata, identificata ed accertata, nel caso non infrequente in cui non sia stata espressamente indicata sulla documentazione sanitaria agli atti, onde ricavarne preziosi elementi prognostici relativi alle stime di sopravvivenza;

4. la localizzazione di sede, in quanto essa appare un elemento distintivo essenziale non solo e non tanto sotto il profilo prognostico, che spesso varia rispetto a tale parametro, ma, in special modo rispetto alla certezza della formulazione diagnostica, in quanto una localizzazione anomala o del tutto inattesa, anche nell’ambito dello stesso organo od apparato deve portare ad un serio confronto critico di tutti gli elementi clinico diagnostici a disposizione per accertarne la congruenza;

5. la confacenza e radicalità, delle terapie medico-chirurghiche all’uopo messe in atto, onde valutarne l’efficacia e l’impatto clinico-prognostico, ovvero il grado di emendabilità della

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malattia neoplastica in atto; in tal guisa assume un’importanza davvero fondamentale la data di un eventuale intervento chirurgico di tipo radicale, ovvero la data della fine di ogni tipo di trattamento, anche di tipo adiuvante, da cui calcolare l’inizio del follow up di controllo;

6. l’esito degli accertamenti diagnostici strumentali, specie radiodiagnostici, eseguiti prima di un eventuale intervento chirurgico o a varia distanza di tempo dalle terapie, durante il follow up di controllo, per individuare lo stadio radiologico o per confermare l’esistenza di un intervallo libero o di una eventuale persistenza o ripresa loco-regionale o a distanza della malattia neoplastica;

7. non ultime, le caratteristiche intrinseche della storia naturale della patologia tumorale, indispensabili per la conferma diagnostica, la conoscenza prognostica, la reale possibilità di recidive e/o di progressione di malattia;

8. presenza o meno di altra patologia benigna, che possa indurre una confusione diagnostica;

9. la durata complessiva della malattia neoplastica che, in presunta fase persistente o stazionaria, se esageratamente lunga, in assenza dell’attesa progressione, deve far porre seri dubbi sulla reale fondatezza diagnostica.

Questa metodologia d’indagine, che è essenziale in ogni singola fattispecie di malattia neoplastica, assume un particolare rilievo in due situazioni cliniche che si prestano spesso ad affrettate conclusioni, per le loro specifiche peculiarità diagnostico-differenziali: si tratta, in particolare delle forme leucemiche croniche, ovvero più in generale mielo e linfoproliferative, e della malattia metastatica polmonare, epatica, ossea e cerebrale di cui abbiamo trattato in precedenza.

Nel caso delle emo-oncopatie, soprattutto in forma cronica, che maggiormente si prestano ad un’incerta classificazione nosografica e diagnostica, appare opportuno verificare:

♦ età di insorgenza e sesso;

♦ modalità di esordio clinico, ossia sintomi e segni di esordio della presunta malattia cronica linfoproliferativa, onde valutare conformità o difformità, in base ai dati della letteratura specifica del settore, con la storia naturale;

♦ presenza e grado della leucocitosi o linfocitosi o monocitosi e loro andamento nel tempo, spontaneo o dopo effettuazione di terapie antiblastiche specifiche e/o interferoniche, onde verificare nel tempo, la eventuale remissione clinica parziale o completa, rapportata alle attese, in genere sconfortanti anche dopo terapia;

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♦ presenza o meno di epatosplenomegalia e linfoadenopatie verificate sia con E.O. che tramite accertamenti ecografici e/o radiodiagnostici, in considerazione del fatto che la loro persistente assenza deve quantomeno far sospettare l’assenza di una vera leucemia cronica, atteso che la splenomegalia è presente in circa il 95 % delle LMC e in oltre la metà dei casi è molto evidente;

♦ comparsa successiva o meno di linfoadenopatie, nel corso del tempo, laddove la localizzazione alle stazioni linfonodali appare crocevia ineludibile della totalità delle forme linfoproliferative croniche, anche di quelle inizialmente extralinfatiche o parenchimali (in qualche caso, si deve magari sospettare la presenza, in costanza di sintomatologia clinica obiettivabile, di forme morbose idiopatiche benigne);

♦ comparsa di alterazioni ematologiche consensuali, anemia, piastrinopenia o trombocitosi, anch’esse espressive, se presenti ed ingravescenti, di leucemia cronica in atto;

♦ comparsa di alterazioni dismieloematopoietiche, in una sospetta malattia mieloproliferativa, e lieve persistente quadro anemico refrattario, è assai tipica delle cosiddette anemie refrattarie croniche, se, pur in presenza di una quota eccessiva di blasti, si confermi l’assenza di epatosplenolinfomegalia.

Per quanto attiene alla malattia metastatica secondaria ad un tumore solido trattato in modo radicale, alcuni dati clinico-anamnestici appaiono dirimenti:

♦ la comparsa, in genere, di sintomi di accompagno d’organo e/o di apparato;

♦ l’evoluzione più o meno rapida della malattia metastatica, per cui, dopo un lasso di tempo abbastanza lungo, intorno ai 12 mesi, è già lecito dubitare di questa ipotesi;

♦ lo stadio iniziale della neoplasia, l’epoca di primitiva comparsa della stessa e la data del primo intervento chirurgico radicale eseguito, confrontati con epoca di comparsa delle presunte metastasi in rapporto al follow up, (durante o dopo la sua fine) per cui in caso di neoplasia iniziale in stadio molto basso, e/o in assenza iniziale di localizzazioni secondarie linfonodali, in un tumore di per sé poco o punto metastatizzante, già a follow up di controllo superato, è ancora lecito dubitare che si tratti effettivamente di una metastasi a distanza;

♦ le caratteristiche metastatizzanti della malattia neoplastica primitiva nel senso che ogni tipo di tumore maligno può dare tipicamente metastasi in un certo apparato od organo, mostrando uno spiccato tropismo di sede (come i tumori del retto-colon per il fegato; le neoplasie mammarie per i corpi vertebrali e le ossa o per il fegato e il polmone; il melanoma per il cervello ma anche per il fegato; i tumori gastrici ancora per il fegato ecc) per cui, in caso di sede anomala della presunta metastasi, appare opportuno approfondire le indagini;

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♦ la rilevazione di taluni markers tumorali e parametri bioumorali che hanno la naturale tendenza ad elevarsi specie in caso di recidiva metastatica (come l’elevazione del CEA e dell’alfafetoproteina in caso di metastasi epatica da tumore del colon retto, anche se non ha di valore assoluto;

♦ l’eventuale tipizzazione bioptica di lesioni secondarie metastatiche a distanza;

♦ la comparsa, dopo iniziale riscontro di presunte metastasi alla TC o RMI, anche nelle radiografie standard, laddove il potere di risoluzione delle stesse è < cm 1. Il semplice controllo, quindi, con radiogrammi standard si rivela un ottimo metodo per evidenziare le metastasi già di dimensioni ragguardevoli o, comunque, progredite nel tempo;

♦ le condizioni generali obiettive del soggetto esaminato, non restando l’organismo dello stesso paziente, in genere, indifferente di fronte al tumultuoso divenire della presunta malattia neoplastica sistemica in atto, se non in una primissima fase iniziale, assistendosi, poi, inderogabilmente ad un profondo ed ineluttabile scadimento progressivo delle condizioni generali del paziente affetto.

E’ bene ribadire che elementi distintivi di sede, in senso diagnostico-clinico, riguardo alla malattia metastatica secondaria, appaiono

per le metastasi epatiche:

♦ fenomeni compressivi che danno luogo a colestasi biliare, con elevazione dei rispettivi parametri bioumorali (fosfatasi alcalina, colesterolemia, gammaGT, ecc.) fino ad arrivare all’aumento della biliribinemia tot. e frazionata, oltre alla predetta elevazione dei markers tumorali specifici;

♦ dolore sordo all’ipocondrio destro, nelle forme più avanzate, seguite, magari da ittero franco in caso di massiva invasione;

♦ TC ed RMI sono dirimenti nel distinguere forme steatosiche, angiomi ed adenomi dalle tipiche lesioni secondarie epatiche, anche valutabili per il loro caratteristico aspetto e modo di manifestarsi e per l’andamento, nel tempo, se statico (benigne) o ingravescente (maligne);

per le metastasi polmonari:

♦ Comparsa di multiple lesioni ai campi basali e medi polmonari, con aspetto tipicamente rotondeggiante;

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♦ Comparsa delle stesse manifestazioni nodulari alla radiografia standard del torace, in doppia proiezione, per lesioni > cm 1, osservabili anche a distanza di tempo dopo preliminare esame TC del torace;

♦ Tipica evolitività delle manifestazioni secondarie polmonari nel tempo, in senso accrescitivo, per cui la loro eventuale staticità e stabilità non è espressiva di malattia metastatica polmonare;

per le metastasi ossee:

♦ Comparsa di sintomatologia dolorosa tenebrante nei settori ossei apparentemente colpiti; in caso di tumore mammario aspetto di vertebra tarlata, coinvolgimento di più corpi vertebrali, aspetti per lo più misti, osteolitici ed osteoaddensanti concomitanti, possibili, ancorché rare, fratture patologiche; in caso di cancro prostatico, comparsa in più sedi ossee;

♦ Aumento della calcemia, della fosfatasi alcalina, vero parametro di riferimento, per il monitoraggio della malattia metastatica ossea, della fosfatemia, della calciuria, idrossiprolinuria e fosfaturia, elevazione dei markers tumorali, in modo consensuale;

♦ Verifica TC e RMI, indagini che confermano la presenza di eventuali lesioni ripetitive sostitutive secondarie a livello osseo, specie vertebrale;

per le metastasi cerebrali:

♦ Segni clinici di ipertensione endocranica, stato soporoso del soggetto, grave ottundimento del sensorio, segni focali, eventuali crisi epilettiche consensuali;

♦ TC, RMI o angioTC, estremamente espressive di tipiche lesioni espansive cerebrali anche per la possibilità, in caso di un’unica manifestazione aggredibile chirurgicamente, anche di ampia escissione;

♦ Asintomaticità, monomorfismo, mancanza di evolutività sono aspetti per lo più tipici di eventuali lesioni benigne preesistenti.

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RUOLO DELLA PET IN ONCOLOGIA

Molto utile si è rivelato, negli ultimi tempi, in alternativa all’utilizzo delle più comuni tecniche radiodiagnostiche, l’utilizzo della metodica PET nell’accertamento della reale esistenza di una presunta malattia metastatica, prima durante e soprattutto dopo l’esecuzione di una terapia o di un intervento chirurgico con finalità radicale, ossia nel corso del follow up di controllo di neoplasie solide.

La tomografia ad emissione di positroni (PET) è una indagine diagnostica di medicina nucleare di introduzione piuttosto recente, anche se in realtà già nota agli studiosi da diverso tempo.

E’ stata, pertanto valutata l’utilità della PET in talune neoplasie, con FDG (fluoro-deossi- glucosio, un marker metabolico che si concentra nelle cellule maligne) già per la stadiazione radiologica preliminare. Così, nella stadiazione delle neoplasie esofagee, in una casistica di pazienti sottoposti alla PET e alle indagini convenzionali (TAC ed ecografia) per confronto, la PET ha rilevato la presenza del tumore con una sensibilità pari al 95%, mentre in un numero circoscritto di pazienti, pari al 15%, ha documentato la presenza di metastasi che erano invece sfuggite alla TAC e all’ecografia, e nel 7%, la PET ha permesso di escludere la presenza di lesioni metastatiche, che apparivano, quindi, come dei falsi positivi di TAC ed ecografia.

Il limite principale di tale metodica è la scarsa disponibilità, essendone dotati solo pochissimi centri ospedalieri in Italia (10 contro i 100 già attivi in Germania).

E’ indubitabile che la diagnostica per immagini ha ottenuto negli ultimi 20-30 anni continui e stupefacenti progressi: dalle prime radiografie, alla TAC, alle scintigrafie planari e tomografiche (SPET), alla Risonanza Magnetica.

La PET rappresenta una tecnica di imaging diagnostico che ha la capacità, unica nel suo genere, di produrre immagini relative alle funzioni e al metabolismo corporeo: essa produce immagini di processi biochimici e fisiologici, permettendo la comprensione sia del funzionamento normale che patologico degli stessi organi.

Vengono utilizzati isotopi radioattivi che sono i costituenti base dei substrati biologici:

carbonio, ossigeno, azoto e fluoro, essi sono appositamente prodotti da un macchinario chiamato ciclotrone ed emettono positroni.

I traccianti utilizzati hanno lo scopo precipuo di mimare substrati naturali come zuccheri, acqua, proteine, ossigeno e diverse centinaia di altre sostanze che si trovano normalmente nella materia vivente.

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Le immagini PET appaiono come misurazioni di quantità assolute di tracciante in una regione del corpo, ciò che permette di misurare la velocità del metabolismo regionale, il flusso sanguigno, la velocità di sintesi proteica e i livelli di altri processi biologici.

Il tracciante di più comune impiego è un analogo del glucosio, che rappresenta notoriamente la principale fonte di energia per quasi tutte le cellule dell’organismo.

Si può ben affermare che oggi oltre l’80 % degli esami PET riguarda principalmente lo studio dei tumori, avendo le cellule neoplastiche tipicamente un metabolismo incrementato e una più rapida proliferazione; questo consente di ottenere immagini, dopo iniezione di FDG, che documentano le aree di aumentato metabolismo del glucosio da parte delle cellule tumorali rispetto a quelle normali, sia a livello della sede primitiva della neoplasia che delle eventuali metastasi a distanza.

Proprio in rapporto a queste fondamentali caratteristiche la PET si sta rapidamente diffondendo come metodica di fondamentale importanza in oncologia, in particolare nella diagnosi, nel follow-up e nella definizione dello stadio, principalmente delle neoplasie polmonari, nonché nella diagnosi differenziale dei noduli solitari del polmone e nella valutazione dei piccoli linfonodi mediastinici evidenziati alla TAC, quindi in fase di studio preoperatorio della neoplasia.

Essa si sta anche affermando come metodica principe per la valutazione delle eventuali recidive del carcinoma del colon-retto, testimoniate o ipotizzate, ad es., da markers tumorali elevati e TAC negativa.

Brillanti si rivelano anche i risultati conseguiti nella diagnosi di metastasi nel tumore della mammella ed in particolare ai linfonodi ascellari, nonché nella valutazione dei linfomi e dei melanomi, nella diagnostica di lesioni neoplastiche urogenitali, della pelvi e di altro genere.

In considerazione della sua alta sensibilità e specificità, la PET sta così consentendo di cambiare i protocolli di valutazione della malattia neoplastica permettendo non solo significativi risparmi economici ma soprattutto migliorando la qualità di vita dei malati. Oltre a consentire rapide ed opportune misure terapeutiche, come una chemioterapia o un intervento chirurgico mirato e più conservativo, già a distanza di qualche settimana dall’inizio di una eventuale terapia, la PET consente di sapere se questa ha avuto successo e se è opportuno continuarla, evitando, così, laddove subito ritenuta inopportuna, eventuali gravi effetti collaterali.

Da ultimo vale la pena di ricordare, a puro titolo di completezza, che la PET si è rivelata assi utile non solo in campo oncologico, applicazione, peraltro, piuttosto recente, ma anche in cardiologia neurologia e psichiatria.

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La PET-TC nasce dalla fusione di PET e TC e consente di avere contestualmente il dato funzionale e l'immagine anatomica corrispondente, senza possibilità di errore di localizzazione, essendo le due indagini eseguite contemporaneamente e automaticamente, in modo integrato, con medesimi tempi di registrazione e, pertanto, messe in esatta corrispondenza spaziale, in mdo da realizzare, così, un'immagine di fusione, una "fusion imaging".

Il valore predittivo positivo per malignità della PET-CT supera il 90%, in caso di captazione del FDG.

La specifìcità, seppur elevata, dipende dall’esistenza di malattie granulomatose polmonari, tipo TBC, sarcoidosi ecc.capaci di dare falsi positivi.

Altrettanto elevato è anche il valore predittivo negativo della PET-TAC, per lesioni che non captano FDG e che si possono tranquillamente seguire nel tempo, senza necessità di ulteriori approfondimenti, con un’efficacia diagnotica equiparabile all'agoaspirato ma, sicuramente, con minori rischi.

Con la stessa tecnica d’indagine è possibile ottenere risultati egualmente positivi in caso di masse sospette pancreatiche e surrenaliche.

Va sottolineato che le neoplasie per le quali la PET-CT è maggiormente importante, ai fini della pianificazione terapeutica sono da ritenersi, essenzialmente:

• carcinoma mammario, per la valutazione della compromissione dei linfonodi ascellari e mediastinici e ai fini del riscontro di una recidiva locale, specie in presenza di protesi;

• carcinoma polmonare, ai fini della decisione circa l'operabilità

• carcinoma del colon-retto, riguardo alla valutazione dell’operabilità iniziale, e, quindi, della stadiazione pre chirurgica

• Melanoma maligno, a scopo di stadiazione nelle forme profonde, a maggior rischio di diffusione locale e a distanza e al fine di verificare l’esistenza di metastasi a distanza nei classici organi bersaglio;

• Linfomi maligni con iniziale sede addominale, tipo le forme extralinfonodali non Hodgkin, dove trova maggiori indicazioni rispetto alla tradizionale scintigrafia con Gallio 67.

Un'altra importante indicazione riguarda una verifica nei casi in cui, all’aumento dei marcatori tumorali, non si rileva imaging radiologico positivo per recidiva, specie in caso di:

• aumento del CEA nel Ca del colon-retto

• aumento del CA 15-3 nel Ca mammario, specie nel sospetto di recidiva locale

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• aumento dei markers nel Ca midollare della tiroide

• aumento della tireoglobulina e negatività allo Iodio 131 nel Ca differenziato della tiroide

• aumento dei marcatori nel Ca ovarico e nelle neoplasie germinali del testicolo.

Nel complesso la PET-CT incide sul cambiamento del successivo iter terapeutico in oltre il 40% dei casi.

Assai importante è anche la sua applicazione nella ricerca del tumore primitivo occulto in presenza di metastasi, specie linfonodali, a partenza ignota: si è riscontrata una sensibilità media pari al 50%, ma molto più elevata quando la neoplasia riguarda il distretto testa-collo (ad es.

neoplasie maligne del rinofaringe).

L'esame PET-CT può rappresentare il metodo migliore per valutare l'efficacia della terapia medica-chirurgica instaurata ai fini della ristadiazione e per il monitoraggio della terapia. Permette, infatti, di valutare l'efficacia della chemioterapia soprattutto nei tumori dei distretti testa- collo,mammella, polmone, linfomi e melanomi avanzati.

Notevole è la affidabilità della tecnica nella diagnosi differenziale tra recidiva e esiti cicatriziali, specie in caso di carcinomi polmonari, del colon-retto e cerebrali.

In considerazione dell'elevato costo del test e della sua ridotta disponibilità su scala nazionale è necessaria una precisa definizione degli attuali criteri di accesso alla metodica.

Tali indicazioni, recepite dalle società scientifiche e con ampio consenso della letteratura, sono:

Neoplasie del polmone, per la diagnosi differenziale con noduli polmonari solitari di dimensioni pari o superiore ad 1 cm. ai fini della stadiazione del parametro N e del parametro M, eccetto il cervello, e in casi di carcinoma polmonare giudicato potenzialmente operabile con le metodiche diagnostiche tradizionali; fra le altre indicazioni si ricordano anche l’eventuale ristadiazione del carcinoma polmonare già trattato e considerato, ancora potenzialmente operabile con le metodiche diagnostiche tradizionali e , soprattutto, la sospetta recidiva neoplastica non confermata con le metodiche diagnostiche tradizionali;

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Neoplasie dell’esofago, per la stadiazione del parametro N e del parametro M escluso il cervello, in casi di carcinoma esofageo giudicato potenzialmente operabile con le metodiche diagnostiche tradizionali.

Neoplasie del colon-retto, ai fini della ristadiazione in casi di sospetta recidiva neoplastica, con innalzamento dei biomarcatori circolanti senza o con dubbio corrispettivo morfologico alla TC o RM, ovvero per dirimere il quesito diagnostico di presunte localizzazioni a distanza; in tal senso trova, quindi indicazione la stadiazione nei casi con lesioni metastatiche potenzialmente operabili.

Neoplasie del distretto cervico-facciale, sempre per la stadiazione del parametro N in caso di dubbio sorto sulla base delle metodiche diagnostiche tradizionali, ovvero per lo studio della malattia residua dopo intervento chirurgico e/o radio e chemioterapia; una buona indicazione è anche l’eventuale diagnosi della recidiva neoplastica, ovvero l’indagine di metastasi linfonodali del collo, con focus primitivo occulto, non svelato con la diagnostica radiologica standard;

Melanoma, come detto, per la stadiazione nei casi con lesioni metastatiche potenzialmente operabili e per la ristadiazione, in caso di ipotetica diagnosi di recidiva o metastasi durante follow- up nei casi ad alto rischio (pT3 o pT4);

Linfomi di Hodgkin, ai fini della stadiazione della malattia e per il monitoraggio della risposta alla terapia primaria, ovvero per valutazione della malattia minima residua dopo trattamento di prima linea; indicata è anche per l’eventuale ristadiazione in caso di recidiva;

Linfomi non Hodgkin, per casi ad alta o intermedia malignità, come marcatore precoce della risposta alla chemioterapia primaria e per la valutazione della malattia minima residua dopo trattamento di prima linea, ovvero, in casi ad alta o intermedia malignità, a scopo di stadiazione;

Neoplasie della tiroide, per la ristadiazione in casi con elevati livelli di tireoglobulina, ma con lesioni negative al radioiodio per l’identificazione delle recidive;

Neoplasie cerebrali (gliomi), per la diagnosi differenziale tra recidiva neoplastica o esito di trattamento (necrosi post-radioterapica) nei gliomi ad alto grado di malignità;

Neoplasie della mammella, per la ristadiazione in casi di sospetta recidiva neoplastica, con innalzamento dei biomarcatori circolanti senza corrispettivo morfologico con le metodiche diagnostiche tradizionali;

Tumori delle cellule germinali, per lo studio della risposta precoce al trattamento, per la valutazione della malattia minima residua dopo chemioterapia, ovvero per la ristadiazione in casi di sospetta recidiva neoplastica con innalzamento dei biomarcatori circolanti senza corrispettivo morfologico alla TC o RM;

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Neoplasie ad istogenesi mesenchimale (Sarcomi), per la stadiazione della malattia dopo chirurgia primaria e per la valutazione delle indicazioni e modalità dei trattamenti adiuvanti.

Oltre alla PET-TC. sono allo studio nuovi traccianti molecolari, come substrati di trasportatori, ligandi recettoriali, anticorpi, peptidi, farmaci e oligonucleotidi.

Nuovi scenari riguardano gli stretti rapporti tra la Medicina Nucleare e la ricerca di base, in particolare per l'Imaging dell' apoptosi, dell' espressione genica, delle vie di trasduzione dei segnali e della neoangiogenesi, che stanno evolvendo dalla fase sperimentale all'applicazione clinica.

CONCLUSIONI

Il problema della valutazione ai fini previdenziali, volta ad esprimere un giudizio medico legale di merito nei confronti di assicurati affetti da patologia neoplastica, appare complesso e articolato in rapporto alle difficoltà legate alle peculiarità intrinseche delle singole forme tumorali ed alle loro diverse modalità di esordio.

Come dettato anche dalla giurisprudenza corrente, sono molti gli aspetti da considerare

Cass., sez. lav., 24-03-2001, n. 4293.

Nel caso in cui si debba valutare, in relazione alla disciplina sulla pensione di inabilità e l'assegno di invalidità, l'eventuale incidenza invalidante di una malattia tumorale, è necessario, in considerazione anche dell'evoluzione verificatasi nella diagnosi e nella cura di tali malattie, un'adeguata considerazione di tutti gli elementi che possano avere direttamente o indirettamente concreto rilievo rispetto ai requisiti delle prestazioni richieste, quali il prevedibile andamento della malattia, la probabilità di guarigione o di esito infausto, i riflessi psicologici, la natura delle cure necessarie, l'incidenza sulla efficienza del soggetto della situazione in atto e in evoluzione nonché delle cure, e, viceversa, l'eventuale incidenza negativa dell'attività lavorativa sull'andamento della malattia e sulla possibilità di sottoporsi alle cure necessarie (nella specie il giudice di merito aveva dichiarato il diritto all'assegno di invalidità sulla base del rilievo che l'assicurata, sottoposta a due interventi chirurgici per asportazione di formazioni neoplastiche alla mammella, non poteva ritenersi guarita ed esente da rischio di metastasi, dato che non risultavano essere stati esplorati i linfonodi regionali né eseguiti i recettori ormonali; la suprema corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, perché non era stato chiarito se le indagini in questione, o altre equivalenti,

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potevano tuttora essere effettuate, e non erano stati compiuti gli accertamenti e le valutazioni di cui al riportato principio).

E’ quindi necessario conoscere ed analizzare, oltre che gli elementi obiettivi, anche quelli diagnostico-strumentali e prognostici che rilevano dalla documentazione sanitaria prodotta, o da quella, all’uopo, acquisibile, come pure si possono effettuare altri accertamenti presso i Centri Medico Legali. E’ importante anche verificare l’efficacia e la protocollarità della terapia, sapere se di tipo radicale o palliativo, ovvero se è possibile utilizzare ulteriori e più vantaggiose cure specifiche, in pratica conoscere a fondo il grado di emendabilità della malattia medesima, e ciò è imprescindibile dallo studio ed identificazione della fase di trattamento o di follow up in cui si trova il soggetto al momento della visita e dalla correttezza della stadiazione del tumore medesimo dopo l’eventuale intervento chirurgico subito. Ci riferiamo, in definitiva, alla completezza, puntualità e rispondenza dell’indagine clinico diagnostico prognostica compiuta ai fini della disamina critica di tutti i possibili parametri di riferimento disponibili e quindi all’analisi ed al rigorismo obiettivo, patrimonio culturale di ogni buon medico legale.

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