• Non ci sono risultati.

La rettocolite ulcerosa: criteri di valutazione in ambito medico - legale previdenziale.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "La rettocolite ulcerosa: criteri di valutazione in ambito medico - legale previdenziale."

Copied!
17
0
0

Testo completo

(1)

La rettocolite ulcerosa: criteri di valutazione in ambito medico - legale previdenziale.

Porrone Angelo* - Calabrese Donatella** - Corrao Carmela Romana Natalina***

Riassunto

Gli AA si propongono, dopo aver trattato gli aspetti peculiari della patologia in oggetto, di delineare i criteri valutativi in Medicina legale previdenziale ai sensi della Legge 222 / 84.

L’interesse per questa malattia è derivato dalla varietà e dalla diversità dei quadri clinici che consentono di formulare giudizi di merito dettagliati a seconda delle forme morbose verificate e delle eventuali complicazioni sviluppatesi. Ne è scaturita una disamina sulle caratteristiche pleomorfe della patologia e spunti di valore critico attinenti le linee guida di valutazione in Medicina Legale riferiti ad una patologia, non proprio rara, che rappresenta una linea di confine nel variegato panorama delle malattie autoimmunitarie e di quelle definite del collageno.

Nell’occasione è stata altresì utilizzata a modello la tabellazione in materia operante nell’ambito dell’invalidità civile, traendone spunto per un parallelismo, e si è discusso anche il problema dell’idoneità lavorativa inerente la patologia in oggetto.

Introduzione

Epidemiologia ed eziologia

La RCU è una malattia caratterizzata da fenomeni flogistici ed emorragici localizzati prevalentemente nella mucosa e nella sottomucosa inizianti più spesso nel retto ed estendentesi oralmente in modo continuativo così da coinvolgere anche buona parte o tutto il colon.

La malattia ha un'evoluzione generalmente cronica, con frequenti fasi acute. (1)

Essa è più frequente fra i bianchi che nella popolazione nera e orientale con un’incidenza più elevata (da tre a sei volte) tra gli ebrei.

Entrambi i sessi sono ugualmente colpiti e negli USA l’incidenza della colite ulcerosa, compresa la proctite, è di circa 6 - 8 casi / 100.

L’esordio avviene generalmente tra i 15 e i 35 anni.

E’ stato suggerito che alla base della RCU vi sia una probabile ereditarietà unita a una spiccata componente ambientale (2).

L’eziologia è a tutt’oggi sconosciuta anche se essa è stata attribuita a fattori psicosomatici, infettivi e immunologici.

Un ruolo particolare viene attribuito, soprattutto per quanto riguarda la patogenesi e le implicazioni extracoliche, alla presenza degli immunocomplessi circolanti che risultano aumentati soprattutto nelle forme attive. Sembrerebbe anche implicata l’immunità cellulo - mediata, con riduzione dei linfociti T periferici (2).

Anche gravi stress emotivi sono stati associati alla comparsa della RCU.

L’ipotesi genetica è stata da taluni invocata seppure con risultati non sempre univoci (3).

Esiste infatti un’associazione tra R.C.U. e antigeni HLA - DR2, su base ereditaria, con alterazione della produzione di autoanticorpi anche in parenti sani di soggetti affetti dalla malattia,

* Specialista in Medicina del Lavoro, Isernia

** Medico Chirurgo, Isernia

*** Cattedra di Medicina del Lavoro, Università Roma

(2)

senza dimenticare che la stessa può precedere o accompagnare le varie fasi del LES. Tali anticorpi, del tipo IgG1 e IgG2, aumenterebbero a livello della mucosa nei casi di R.C.U.

Si ricorda che da oltre 30 anni è nota la presenza di autoanticorpi epiteliali e linfociti autoreattivi citotossici circolanti, ma il loro esatto ruolo è ancora sub - iudice. E’ altresì probabile che il danno iniziale non sia di tipo immunitario.

Complesso è poi il ruolo dell’immunità cellulo - mediata, essendo accertata l’attivazione policlonale delle cellule T e degli eventi a cascata successivi alla liberazione conseguente di citochine; il controllo di norma operato dai T suppressors sarebbe, comunque ridotto o alterato, ciò che spiegherebbe le molte analogie con il LES. L’amplificazione della risposta immunitaria sarebbe principalmente dovuta all’azione dei neutrofili, richiamati dal processo infiammatorio indotto dalla cascata di citochine prodotte, in fasi successive e in vari stadi, in conseguenza di un'attivazione iniziale dei linfociti T. I leucotrieni B4 prodotti dai neutrofili costituirebbero il principale fattore chemiotattico prodotto (5).

Sintomatologia e complicanze

L’esordio è vario, talora blando, con accentuazione progressiva dei disturbi nel corso di alcune settimane o mesi, talora acutissimo, con carattere di alta gravità fin dall’inizio.

Sintomi fondamentali sono:

• la diarrea mucosanguinolenta da 3 - 4 fino a oltre 20 scariche quotidiane;

• le crisi dolorose addominali di tipo crampiforme, che cessano con l’evacuazione, dovute prevalentemente alle alterazioni motorie del colon;

• la dolorabilità continua, sorda, profonda, prevalente nella fossa iliaca sn. dovuta alla flogosi della parete intestinale;

• spesso il tenesmo rettale (1).

All’esame obiettivo addominale si riscontra dolorabilità spesso intensa alla palpazione in corrispondenza delle fosse iliache, della linea ombelicale trasversa, della regione ipogastrica. Nella fossa iliaca sn. non è infrequente il riscontro di una massa disposta obliquamente a salsicciotto, vivamente dolente, che corrisponde al colon discendente e al sigma, dovuta tanto allo stato flogistico che alla contrattura spastica della parete.

La febbre è molto elevata , fino a 39° C , nelle forme acute.

Esistono, spesso, segni generali ad impronta disreattiva mesenchimopatica:

manifestazioni articolari, oculari e cutanee che ricordano la parentela della malattia con le altre forme autoimmunitarie del collagene (2).

Una manifestazione cutanea del tutto particolare è il pioderma gangrenoso che è comune anche ad altre patologie con deficit immunologici.

Relativamente ai quadri clinici, si distinguono, in genere:

• una forma remittente - recidivante, che riguarda il 95 % circa dei casi, in cui la poussée d’esordio dura solitamente poche settimane, con successiva più o meno spontanea remissione clinica completa, che può perdurare da settimane a mesi, cui possono seguire periodi di riesacerbazione anche gravi alternati a remissione clinica; in alcuni casi una grave recrudescenza della forma morbosa può evolvere con l’exitus, mentre, al contrario, una lunghissima remissione clinica può coincidere con la guarigione definitiva del soggetto (1) ;

• una forma cronica, in cui non si verifica mai la remissione clinica completa, e, a livello anatomo - patologico, si verifica la comparsa di iperplasia della mucosa e la formazione di pseudopolipi;

il decorso clinico è vario in funzione della lunghezza del I° attacco, della rapidità dell’evoluzione, della gravità della sintomatologia, dell’estensione del processo a tutto il colon e al retto, dell’età del paziente;

(3)

• una forma acuta che può costituire l’episodio iniziale ma, ancor più spesso una riesacerbazione della forma remittente, con 15 - 20 scariche quotidiane di materiale muco - ematico - purulento, di odore nauseabondo, che può assumere anche i connotati della forma acuta fulminante da megacolon tossico, in cui sono marcati i fenomeni di impegno generale, la febbre, la tachicardia, l’iniziale stato di schock, con ipotensione, la VES alta, l’anemia, l’ipoalbuminemia, l’ipopotassiemia; frequenti sono nausea, apatia o agitazione psichica, la confusione mentale; la prognosi è assai grave se non si interviene urgentemente (1).

Altri autori distinguono una forma acuta, una subacuta, una inizialmente subacuta poi subcontinua e continua, una cronica continua (15).

In base ad un criterio topografico della manifestazioni morbose si possono distinguere:

1. una colite ulcerosa del colon distale che può essere una proctite, una proctosigmoidite e una colite del colon sinistro; la pancoloscopia può valutare l’estensione esatta della malattia; la prognosi è ovviamente migliore rispetto alla pancolite, essendo, in caso di proctite e sigmoidite favorevole nel 90 % dei casi; si è potuto accertare che il 75 % circa dei pazienti presenta una completa scomparsa della sintomatologia, il 15 % un sanguinamento rettale intermittente per un lungo periodo di tempo, senza ulteriori complicazioni, e il 10 % circa va incontro a una pancolite, di cui il 5 % entro i primi 5 anni e il restante entro i 10 anni. Dal 3 al 8 % circa dei casi deve ricorrere all’intervento chirurgico;

2. una colite ulcerosa che si può localizzare a vari livelli e in cui il sintomo predominante è l’emorraggia rettale, essendo meno evidenti le altre manifestazioni cliniche; nel 28 % dei casi ci può essere una proctite, nel 30 % una proctosigmoidite, in rari casi una colite del colon sinistro, 2 %, o del trasverso, nel 10 %, o una più estesa pancolite, nel 14 % dei casi circa, essendo i casi a localizzazione incerta almeno il 16 %; la localizzazione è comunque variamente associata, e anche il quadro clinico può risultare pleomorfo, con sintomatologia acuta fulminante, o subdola, cronico - recidivante, più o meno complicata da malnutrizione; nelle forme complicate da megacolon tossico la tachicardia può superare i 100 battiti al minuto, la leucocitosi i 10 - 12 mila elementi / mmc, l’albuminemia essere inferiore ai 3 g / l; in pazienti di vecchia data può comparire una colangite sclerosante per impegno del sistema epatobiliare; in pratica, solo un paziente su tre ha necessità di ricorrere a un intervento chirurgico, mentre un ruolo fondamentale assume la sorveglianza per la possibile comparsa di cancro del colon; le forme coliche e ileocoliche sconfinate si associano più frequentemente alla necessità di intervenire chirurgicamente, con tasso più elevato di recidive rispetto alle forme distali; la presenza di una fistola interna ileocolica si associa a un maggior rischio di reintervento (3).

Le possibili conseguenze, sul piano generale possono comprendere calo ponderale con ridotta massa muscolare, ritardo di crescita nei bambini, deficit elettrolitici, ipoalbuminemia, anemia, artrite e spondilite, steatosi epatica, epatite acuta, colelitiasi e colangiocarcinoma, quadri cutanei, con eritema nodoso, stomatite aftosa, irite, uveite o fenomeni tromboembolici, etc. (2).

Tra le complicanze si ricordano:

• il megacolon tossico si caratterizza per la distensione acuta del colon durante una poussée clinica per danno anatomico della tunica muscolare e del plesso di Auerbach ovvero per ipokalemia, con quadro sintomatologico di blocco del transito intestinale, distensione addominale, ipertimpanismo, mancanza o riduzione della persistalsi, grave stato di tossiemia, con possibilità di perforazione (15);

• la perforazione nella cui insorgenza svolge un ruolo non trascurabile, come già visto, un eventuale megacolon tossico;

• il carcinoma del colon osservato soprattutto nei casi di interessamento diffuso della mucosa (pancolite) e di lunga durata della malattia.

(4)

Tra le altre possibili complicanze si ricordano le stenosi, anche se rare, a livello prevalentemente del segmento prossimale dell’ampolla rettale, le emorragie massive, gli ascessi e fistole pericoliche e ischiorettali, le manifestazioni epatiche (ascessi, steatosi, epatite cronica attiva, colangite sclerosante) (15).

Diagnosi terapia

L’indagine anamnestica offre generalmente elementi sufficienti per sospettare la malattia, ma sono gli esami specialistici, radiologici, ed endoscopici che consentono di accertare la diagnosi.

L’esame radiologico diretto dell’addome può evidenziare una dilatazione del colon, molto spiccata nei casi di megacolon tossico, (all’interno del quale possono essere evidenziabili pseudopolipi e dentellature parietali) e, nei casi con perforazione, un pneumoperitoneo.

Il clisma opaco può mettere in evidenza alterazioni tipiche della malattia: perdita delle austrazioni, riduzione del calibro intestinale, irregolarità dei margini della parete del colon per la presenza di pseudopolipi, immagini di “ plus “, come conseguenza delle ulcerazioni, e talvolta di stenosi.

Si ricorda comunque che il clisma opaco è controindicato nel megacolon tossico, potendone causare la perforazione.

La colonscopia deve essere effettuata con molta cautela per l’estrema fragilità della parete intestinale; l’endoscopia, da effettuare comunque, consente di effettuare prelievi bioptici utili per la specifica diagnosi definitiva e per l’individuazione di una displasia grave o di un’eventuale cancerizzazione.

Il trattamento della colite ulcerosa è sicuramente condizionato dalla scarsa conoscenza della sua patogenesi.

Gli orientamenti generali della terapia tendono all’utilizzo dell’idrocortisone, 100 mg per via rettale, associato o meno a metilprednisolone, 20 mg per os e alla salazopirina, nella dose di 2 - 3 grammi / die, nelle forme acute lievi e moderate, oppure all’uso del solo metilprednisolone, alle dosi di 60 - 100 mg / die, nelle forme acute severe, valendo eguali criteri in caso di recidiva; a scopo profilattico si preferisce far uso della salazopirina, 2 - 3 gr. / die associta all’azatioprina (18).

Per la terapia chirurgica, viene consigliata la colectomia totale in caso di lesione precancerose o se la malattia dura da oltre 10 anni e la forma è estesa a tutto il colon, ovvero in caso di resistenza assoluta a ogni terapia medica, con necessità di incessanti ricoveri ospedalieri e limitazione della normale vita di relazione, o, infine, ancor più, in caso di megacolon tossico, suscettibile di recidiva di eguale intensità, e di forme acutissime con manifesti segni di perforazione; anche in caso di forme severe in cui non si ottenga alcun miglioramento, dopo aver instaurato una terapia intensiva di 5 giorni, si consiglia un adeguato trattamento chirurgico (18).

Oggi, pertanto, la terapia per la RCU può essere farmacologica e chirurgica. La prima, è esclusivamente antinfiammatoria o sintomatica. I farmaci maggiormente utilizzati comprendono gli aminosalicilati, i corticosteroidi e gli immunosoppressori.

1. Aminosalicilici

La sulfasalazina è stata il primo farmaco a mostrare evidenze sperimentali di efficacia per la colite ulcerosa. Era stata sintetizzata con lo scopo di ottenere un composto costituito da un antibiotico, la sulfopiridina , attaccato a un agente antinfiammatorio, 5 - ASA, ad azione sul tessuto connettivo delle articolazioni di pazienti affetti da colite ulcerosa, secondo l’ipotesi di una causa batterica comune.

La sulfasalazina si è dimostrata efficace per la maggior parte di pazienti con RCU lieve o quiescente (6).

2. Corticosteroidi

(5)

Le proprietà antinfiammatorie dei glucosteroidi sono state testate nella colite ulcerosa subito dopo l’impiego della sulfalazina determinando un miglioramento clinico, endoscopico e anatomopatologico più rapido rispetto ad essa dopo somministrazione topica, orale o parenterale o, a seguito del rilascio di glicocorticoidi endogeni dietro stimolazione con ACTH per via perenterale.

Si ricorda che nella prevenzione delle recidive gli steroidi possono indurre sequele tardive indesiderate (tra cui violente riacutizzazioni dopo sospensione del trattamento, emorragie digestive, etc) e che spesso i pazienti sviluppano resistenza o dipendenza agli steroidi con difficoltà a ridurre le dosi nonostante la terapia di mantenimento con aminosalicilati (6).

3. Immunosoppressori

L’efficacia e l’opportunità del loro impiego sono attualmente controverse e vi sono preoccupazioni circa il rischio di cancerogenesi a seguito di terapie a lungo termine in una patologia già di per sé precancerosa. E’ ben nota da tempo la validità a lungo termine dell’azatioprina come terapia di mantenimento anche se gli effetti positivi non sono rapidi ed è necessario prolungare il trattamento fino a sei mesi prima di poter effettuare una valutazione conclusiva dell’efficacia.

Inoltre la posologia ideale non è stata stabilita con sicurezza, lasciando dubbi se la neutropenia sia necessaria per aumentare i vantaggi terapeutici.

L’estensione delle terapie immunosoppressorie per i trapianti e altre patologie autoimmuni ha indotto ad utilizzare la ciclosporina in pazienti con RCU. Mentre gli schemi di somministrazione orale e topica di ciclosporina in corso di malattia cronica attiva hanno fornito risultati controversi, la ciclosporina per via endovenosa ha avuto effetti positivi nelle malattie gravi e refrattarie (6).

Altre terapie

• Approcci nutrizionali : non è stata riscontrata alcuna tipologia dietetica (diete ipocaloriche, iperalimentazione con riposo nutritivo,etc) efficace nel trattamento della malattia;

• inibitori della 5 lipossigenasi: questi agenti sono stati sintetizzati successivamente al riconoscimento del leucotriene B4 come mediatore importante dell’infiammazione della mucosa.

Studi preliminari appaiono promettenti anche se il livello d’inibizione di LTB4 ottenuto fino ad ora non sembra sufficiente a limitare l’infiammazione;

• antibiotici: nella RCU in fase acuta non è stato dimostrato che gli antibiotici aumentino l’efficacia degli schemi antinfiammatori standard, anche se è stato segnalato che il metronidazolo ha effetti più positivi della sulfalazina nella terapia di mantenimento; la iosamicina ha fornito risultati discordanti in soggetti con colite in fase attiva e quiescente;

altri composti: sulla base delle osservazioni epidemiologiche nelle quali il fumo di sigaretta risultava protettivo nei confronti dello sviluppo della RCU, in virtù del riscontro di remissione clinica dopo che ex fumatori avevano ripreso a fumare, sono stati avviati studi sulla nicotina come trattameto potenziale. Attualmente è in corso di studio in sperimentazioni cliniche di fase precoce l’immunoterapia con un antagonista del recettore per l’interleuchina - 1 e con anticorpi anti CD4 e che una terapia endovenosa ha dimostrato qualche effetto pratico in alcuni pazienti (6).

Oltre che con la terapia farmacologica la RCU viene curata chirurgicamente mediante proctocolectomia e ileostomia o con colectomia e anastomosi ileo - anale , ove si decida di salvare lo sfintere rettale (6). Le indicazioni all’intervento chirurgico comprendono:

• le forme iperacute e quelle, ovviamente, soggette a cancro;

• le forme che non sono controllate efficacemente dalla terapia medica, causanti grave scadimento delle condizioni generali o complicanze emorragiche o generali;

• le forme con frequenti recidive;

(6)

• le forme dei bambini e degli adolescenti che comportano un ritardo della crescita e dello sviluppo;

• le forme di antica data che, biopsiate, dimostrano la presenza di displasia severa, all’istologia;

• le forme con megacolon tossico, quale emergenza chirurgica.

La presenza di ano preternaturale e l’impotenza secondaria costituiscono le più spiacevoli conseguenze nei trattamenti di proctocolectomia totale e ileostomia terminale, mentre lo sviluppo di possibile infiammazione dei monconi in più del 40 % dei casi rappresenta la complicanza maggiore in caso di anastomosi ileo - anale (4).

Nelle forme fulminanti o associate a megacolon tossico, che raramente si accompagnano a perforazione del retto, è possibile effettuare una colectomia totale senza proctectomia; talvolta occorre dirimere il dubbio terapeutico alla luce di un’emorragia massiva che parrebbe indicare la necessità anche di una proctectomia; il giudizio è eminentemente chirurgico, in base anche all’età, alle condizioni generali del paziente, all’aspetto del retto alla proctoscopia e alla maggiore o minore responsività alla terapia medica (7).

La colectomia totale con anastomosi ileorettale è preferita da molti chirurghi, specie quando il retto è solo minimamente colpito dalla malattia (7).

Circa la recidività della malattia si è potuto accertare che, dopo il primo attacco, tutte le forme hanno una notevole tendenza a recidivare entro il primo anno; ma, mentre le forme blande tendono a recidivare con eguale intensità, quelle severe, al I° attacco presentano una recidiva di eguale intensità nel 64 % dei casi entro il 4° anno, contro il 10 % di recidive severe entro tale termine delle forme lievi o moderate (7). Tali dati non si discostano di molto da quelli riportati in letteratura per altri paesi.

Prognosi

Con riferimento alla prognosi si ricorda che le malattie infiammatorie dell’intestino sono state favorevolmente condizionate dall’impiego dei corticosteroidi e della salazopirina, come pure dalle tecniche di supporto quali l’alimentazione parenterale.

Nella colite ulcerosa acuta questi provvedimenti terapeutici sono in grado d’indurre remissione della malattia in quasi il 90 % dei pazienti, mentre la mortalità è di circa il 5 %.

Fattori prognostici sfavorevoli sono, probabilmente l’interessamento globale del colon, l’esordio della malattia oltre i 60 anni di età e lo sviluppo di megacolon tossico.

La prognosi a lungo termine della colite ulcerosa cronica è di più difficile valutabilità per la natura variabile e intermittente della malattia che può essere condizionata altresì dai progressi terapeutici (19).

In linea di massima la prognosi è molto favorevole nella gran parte dei casi.

Tra l’altro il problema del carcinoma sviluppantesi nel contesto di una colite ulcerosa cronica di lunga durata rappresenta un importante fattore determinante sulla prognosi a lungo termine della colite ulcerosa (19).

E’ pertanto indicata una periodica sorveglianza con coloscopia e biopsie.

In ultima analisi, i criteri prognostici non sono perfettamente identificabili e definibili, avendo la malattia un andamento imprevedibile. Tra i parametri maggiormente utili si ricordano la gravità di ciascun attacco (17), l’estensione del coinvolgimento del colon e l’età del malato, così come verificato in letteratura.

In effetti esiste un parallelismo fra estensione della malattia e severità della forma morbosa (18).

Valutazioni medico - legali

In definitiva gli elementi discriminanti, ai fini della valutazione, circa la gravità della sintomatologia, da utilizzare quali parametri clinico-diagnostici finalizzati all’accertamento

(7)

dell’invalidità permanente, tanto che si tratti dell’Assegno Ordinario d’Invalidità (A.O.I.) che della Pensione Ordinaria d’Inabilità (P.O.I.) sono da ritenersi, essenzialmente:

1) durata e stabilizzazione delle fasi di acuzie, ovvero andamento clinico generale della forma morbosa, severità del quadro clinico ed emendabilità della patologia, deducibili in base a:

a) numero e gravità delle poussées della malattia la cui aggressività può essere essenzialmente valutata in funzione del numero delle scariche alvine giornaliere e della durata dell’episodio sintomatico perdurante, in genere, per poche settimane, 2-3 in prevalenza, e il cui prolungamento con il conseguente ritardo della remissione clinica, databile anche a molte settimane o mesi, deve far ritenere presuntivamente la patologia meno suscettibile di guarigione clinica, con notevole appesantimento prognostico in senso lato;

b) maggiore o minore responsività alle terapie mediche, in genere cortisoniche, all’uopo instaurate, valutabile in base alla rapidità della remissione clinica più o meno completa e quantificabile anche nella riduzione del numero e dell’entità delle evacuazioni quotidiane, con ripristino di accettabili condizioni fisiche e bioumorali generali, esemplificabili nella scomparsa dello stato febbrile, nell’abbassamento dei valori della VES, della leucocitosi, e nella limitazione delle emorragie e nella conseguente correzione più o meno rapida dell’anemia ipocromica nel contempo instauratasi, con ripristino di un sufficiente numero di GR/mm3 nel sangue, HB espressa in gr/dl, ematocrito, etc., nonché deducibili anche attraverso la normalizzazione della crasi ematica che è verificabile dalla conoscenza dei valori della protidemia, dell’albuminemia, dell’eventuale aumento della gammaglobulinemia, verosimilmente elevatasi per reazione flogistico-immunitaria, ciò che appare anche dall’esame del QPE, dal riequilibrio dello stato di idratazione, in precedenza carente, degli elettroliti ematici e in particolare della potassiemia, potendo al fine la prognosi risultare assai severa, anche se di rado, al punto da determinare delle fasi di aggravamento, prostrazione e di grave compromissione delle condizioni organiche generali, tali da risultare poi incompatibili con la sopravvivenza e da determinare sporadicamente l’exitus;

c) rapidità ed entità del recupero delle normali funzioni digestive ed escretorie del tubo digerente, con assenza di dolore e di altri sintomi concomitanti e presenza di feci più o meno formate nell’alvo;

2) storia clinica naturale e quadro nosologico realizzatosi, ossia sviluppo e progressione cronologica generale della patologia stessa, verificabili e valutabili attraverso la diversità delle forme cliniche instauratesi, dalla maggiore o minore efficacia delle cure prestate e dalla presenza di altri fattori, indicabili e riferibili nel modo seguente:

a) tipo di andamento remittente-recidivante, con fasi di intervallo libero da malattia interrotte da periodi di riacutizzazione, ognuno valutabile in base ai parametri clinico-diagnostici e laboratoristici espressi in precedenza, essendo elementi determinanti e discriminanti, di grande valore probante, ai fini dell’emissione del giudizio, l’esatta cronologia delle varie ricadute realizzatesi nel tempo, ossia la frequenza e la distanza fra i singoli episodi succedutesi, oltre alla prontezza e alla completezza dei recuperi funzionali intercorsi, il ripristino più o meno immediato delle funzioni fisiologiche e bioumorali globali parametrabili a corredo della valutazione della sintomatologia clinica, la necessità o meno di continuare ad effettuare terapie specifiche cortisoniche o di altro genere, di mantenimento, con oculata ponderazione di eventuali effetti iatrogeni nel frattempo determinatisi, l’asintomaticità od oligosintomaticità della malattia nei periodi intevallari o al contrario la presenza incostante di sintomi più o meno manifesti, dalle emorragie, all’anemia, alla discrasia ematica, al dimagrimento, alla presenza di astenia, diarrea, o altri disturbi concomitanti che senza far pensare ad un’autentica riaccensione possono far ritenere plausibile la persistenza del quadro morboso in evoluzione o lo scarso controllo della malattia; infine va contemplata l’eventualità favorevole della completa restitutio

(8)

ad integrum e della remissione clinica completa della patologia, sotto tutti i punti di vista funzionali, ponderali, umorali e sintomatologici eventualmente collegabili al processo morboso in atto, valutandosi il quadro complessivo in fase silente o completamente guarito in rapporto all’assenza stabile di fenomeni da lungo o lunghissimo tempo;

b) tipo di andamento cronico persistente, con la presenza dei classici aspetti anatomopatologici, tipo l’evidenza di pseudopolipi della mucosa colo-rettale e la reazione fibrosica consensuale, più o meno accentuata, forma clinica che prende le mosse, in genere, da un episodio di acuzie iniziale molto prolungato e la cui entità e gravità è testimoniata da un’evoluzione più o meno rapida della patologia, anche con possibilità di exitus, in prima istanza, dalla sintomatologia clinica più o meno accentuata, dall’estensione anatomica dell’interessamento a quasi tutto l’intestino crasso, con aspetti di panrettocolite, dall’età più o meno avanzata del paziente;

c) efficacia delle cure prestate con maggiore o minore refrattarietà alle terapie mediche e a tutti gli altri presidi farmacologici e non prescritti, per cui la malattia appare più o meno controllabile dai farmaci oppure necessita di terapie specifiche chirurgiche, individuate con le indicazioni riferite in precedenza, che possono essere più o meno demolitive e quindi funzionalmente rilevanti fino a richiedere interventi radicali come la proctocolectomia totale con ileostomia;

3) presenza di eventuali complicanze, loro gravità ed emendabilità, recupero funzionale successivo e valore prognostico generale delle stesse, ossia valutazione del modo con cui si iscrivono nella storiografia complessiva della malattia e loro significato clinico specifico;

4) esiti stabilizzati di ordine disfunzionale più o meno accertabili e quantificabili, potendosi conseguire nell’ordine:

a) guarigione clinica più o meno completa anche con perfetta restitutio ad integrum dopo un singolo esordio morboso o dopo pochi episodi sintomatologici, più o meno lievi e più o meno intervallati, della forma morbosa, restando molto lontano nel tempo il ricordo dell’ultima poussée e pur continuando il paziente a sottoporsi a periodici controlli clinici e strumentali atti a verificare l’avvenuta stabilizzazione della guarigione medesima;

b) remissione clinica stabile ma incompleta per la presenza di un lieve screzio funzionale e sintomatologico residuo, modesta alterazione e modificazione di alcuni dati laboratoristici e degli indici di flogosi testabili, per cui il paziente è ancora costretto a sottoporsi a terapie mediche di mantenimento che comunque consentono di controllare più o meno completamente lo stato di persistente malattia, , andandosi, comunque la stessa esaurendo lentamente ma progressivamente nel tempo, fino alla scomparsa o minimizzazione del quadro clinico, con esclusione nella fattispecie dell’ipotesi di prognosi infausta e mantenimento al contrario di condizioni cliniche generali oggettivamente accettabili del paziente stesso;

c) persistenza di quadri oligosintomatici, stabilizzatisi con miglioramento tangibile, ma solo dopo l’evenienza di episodi acuti, più o meno prolungati, accentuati e progressivi, e dopo un lungo periodo di resistenza alla terapia farmacologica che ha costretto il paziente a sottoporsi anche a terapie chirurgiche, oltre che mediche, per grave scadimento delle condizioni generali, complicanze emorragiche o generali, funzionali, discrasiche o metaboliche, oppure per la frequenza esasperante delle recidive, sempre più ingravescenti, ciò che lo ha poi costretto a subire interventi di emicolectomia o colectomia totale, ma con conservazione della funzione sfinterica rettale, laddove è quindi succeduto un buon ripristino delle funzioni globali e delle condizioni generali, in assenza di ulteriori e apprezzabili disordini e segni manifesti di malattia, testimoniati dall’assenza di successivi ricoveri e di cure incessanti e protratte nei riferimenti anamnestici patologici più o meno prossimi;

d) guarigione clinica completa ma solo dopo interventi altamente demolitivi di proctocolectomia totale, con istituzione di ileostomia terminale e discreto recupero metabolico e funzionale;

(9)

e) estrema severità della forma morbosa, con exitus più o meno rapido, evoluzione della sintomatologia ingravescente, repentino decadimento delle condizioni generali e metaboliche, quindi incompatibilità del mantenimento, a livelli accettabili, delle funzioni biologiche elementari e della compatibilità della sopravvivenza, oppure comparsa di gravissime complicanze come emorragie massive incontrollabili, megacolon tossico e perforazioni intestinali, con quadri peritonitici, o ancora ascessi con presenza di tramiti fistolosi e possibili schock settici secondari, tutte evenienze rarissimamente incontrollabili, nel caso della RCU con terapie medico-chirurgiche adeguate ed opportune ma pur sempre possibili, o ancora, evoluzione molto aggressiva della forma morbosa che non recede sintomatologicamente anche dopo interventi tempestivi e demolitivi ultraradicali, per cui la morte avviene più lentamente nel tempo, per le scadute condizioni generali di vita instauratesi, essendo l’evoluzione clinica, malgrado tutto, progressiva e inesorabile.

In realtà quasi sempre la stragrande maggioranza dei casi ascrivibili, circa il 95 % e oltre, palesa un’evoluzione che ricade, in prevalenza, entro le prime quattro classi di esiti così come riportato in precedenza, restando l’ultima ipotesi, prevista nel punto e), estremante rara, seppure verosimile, in virtù dei progressi conoscitive delle scienze biomediche, la cui connotazione è comunque verificabile facilmente in base all’andamento clinico generale progressivo e ingravescente, non altrimenti contrastabile e controllabile, denotato sempre dal notevole scadimento delle condizioni nutritive e metaboliche generali e dalla persistenza di una grave sintomatologia clinica caratterizzata da manifestazioni quali diarrea, emorragie, complicanze e poussées variamente combinate fra loro.

Si ritiene utile, a questo punto, richiamare alcune definizioni riportate nella Legge 222 / 84 che disciplina la normativa vigente in ambito previdenziale I.N.P.S..

In base all’art. 1 della suddetta legge:

“ Si considera invalido ... l’assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo. “

L’Assegno Ordinario d’Invalidità è soggetto per legge a revisione dopo ogni triennio, per due trienni, fino alla eventuale concessione definitiva, all’atto della seconda visita di revisione ( 13 ).

In base, invece, all’art. 2 della suddetta legge:

“ Si considera inabile.... l’assicurato o il titolare di assegno d’invalidità... il quale a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. “

Anche la Pensione Ordinaria di Inabilità è soggetta all’istituto della revisione ogni tre anni, per due trienni consecutivi, con le stesse modalità vigenti per l’Assegno.

In pratica la riduzione di oltre 2 / 3 della capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle attitudini, va intesa nel senso che il soggetto ha perso grandemente la propria attitudine lavorativa, non di tipo generico o ultragenerico, né di tipo specifico o ultraspecifico, ma più semplicemente quella attinente alle proprie mansioni lavorative e a quelle potenziali e ipotizzabili, che potrebbero consentirgli una stabile riqualificazione professionale, in base al proprio curriculum formativo e lavorativo, alle proprie doti di esperienza, alla propria cultura ed età (11).

L’attributo di “ permanenza “ si riferisce al fatto che la malattia è di durata indeterminata, per cui non si può presupporre il divenire della stessa né ipotizzare in tempi brevi la sua guarigione clinica (14).

L’inabilità si riferisce alla perdita completa di ogni attitudine lavorativa del soggetto preso in esame, ovvero all’impossibilità di esplicare ogni genere di capacità lavorativa genericamente considerata (12).

A motivo di ciò è stata impropriamente talvolta definita una sorta di superinvalidità.

Essendo già stato questo argomento affrontato, in altre sedi, in modo ampio e circostanziato, si ritiene utile, in questa sede delinearne semplicemente gli aspetti essenziali.

(10)

Nel primo caso illustrato, pertanto, dopo aver concesso l’assegno di invalidità per un triennio, dal 1989 in poi, si può anche ipotizzare il provvedimento di revoca all’atto della prima revisione, data la stabilizzazione della sintomatologia clinica, mentre nel secondo, operato ma con ileostomia esterna e presenza di ano preternaturale l’assegno va senz’altro mantenuto indefinitamente.

In particolare, comunque, la valutazione funzionale delle patologie dell’apparato digerente può essere espressa, data la mancanza di idonea tabellazione in ambito I.N.P.S., per similitudine, in senso medico - legale, in accordo con il disposto del Decreto del Ministero della sanità, datato 5 febbraio 1992 e pubblicato sul Suppl. Ord. alla G.U. n. 47 del 26 febbraio 1992, tuttora vigente nell’ambito delle invalidità civili, avente per argomento “Approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali d’invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti”, attraverso 4 differenti livelli d’invalidità permanente che corrispondono a 4 gradi progressivi di gravità (16).

Pur trattandosi di un arbitrio teorico, essendo il più delle volte una forzatura voler catalogare una determinata malattia in un ristretto ambito di eventualità, questo tipo di tabellazione, in uso per l’invalidità civile riferita all’apparato digerente consente un'immediata possibilità di inquadramento dei diversi stati patologici specifici, rapportandoli alle loro conseguenze disfunzionali, così da disporre di un modello di valutazione di agevole applicabilità (17).

In questa sede si cercherà di operare un parallelo fra i quadri morbosi rappresentabili nell’ambito della RCU e i disturbi di tipo disfunzionale, più o meno gravi ascrivibili alla malattia, tentando di tracciare e di evidenziare le possibili correlazioni fra le forme cliniche riconosciute, o le eventuali complicanze e i livelli di gravità e impegno funzionale di apparato e di ordine generale imputabili alla fenomenologia della suddetta malattia.

In ambito medico legale assicurativo previdenziale è di fondamentale importanza, in assenza di manifestazioni persistenti di malattia, valutare la possibile progressione della patologia esprimendola come rischio percentuale rispetto alla totalità dei casi clinici della malattia, allo scopo di evidenziare (come più volte ribadito da alcune sentenze della Cassazione, relative, ad es.

all’invalidità per i tumori della mammella, in merito all’esigenza di accordare l’assegno d’invalidità, in assenza di sintomatologia clinica, solo in rapporto al lavoro ritenuto usurante) non già l’esistenza di una minima residua e aleatoria possibilità di peggioramento della sintomatologia clinica nel futuro, ma la concreta e verosimile circostanza di una ripresa della stessa, con le relative conseguenze prognostiche, in funzione dell’attività lavorativa espletata.

In altre parole, concordemente con la dottrina medico - legale, va verificata l’eventualità di danno futuro in relazione alla menzionata patologia, quindi vanno quantificate e discusse le reali possibilità di guarigione, stazionarietà, progressione ed exitus a distanza, formulando così un giudizio globale e concreto sulla patologia descritta, in termini di prognosi quoad vitam e quoad valetitudinem (10).

Pertanto nei casi in cui l’impegno funzionale di organi o apparati non sia tale da farne derivare un pregiudizio sostanziale alla capacità lavorativa del soggetto può tuttavia essere considerato lavoro usurante, in grado cioè di peggiorare notevolmente la sintomatologia clinica, ove esista un’accertata possibilità di accelerazione e progressione del quadro clinico - morboso con grave pregiudizio e nocumento della salute del predetto lavoratore, determinata dalla tipologia ed entità del carico di lavoro sia fisico che psichico.

Nel caso specifico della RCU va quindi formulato un giudizio di massima sulla confacenza o meno dell’attività lavorativa espletata in rapporto alla complessa patogenesi della malattia medesima influenzabile (10), come è noto, da fattori psicologici scatenanti.

Vanno perciò considerati tutti gli aspetti clinico - sintomatologici della forma morbosa, evidenziandone e sintetizzandone gli elementi più probanti ai fini del giudizio d’invalidità.

Considerando, pertanto, i predetti 4 livelli di gravità crescente in cui possono essere “ stadiati” i diversi stati evolutivi della malattia in oggetto, la relativa classificazione è la seguente.

(11)

I Classe

La malattia determina alterazioni lievi della funzione tali da provocare disturbi dolorosi saltuari, da richiedere trattamento farmacologico non continuativo e stabilizzazione del peso corporeo convenzionale (rilevato dalle tabelle facenti riferimento al sesso e alla statura) su valori ottimali.

In caso di trattamento chirurgico non debbono essere residuati disturbi funzionali o disordini del transito.

In questi casi la valutazione percentuale dell’invalidità permanente è rapportabile ad un valore di circa il 10 - 20 % secondo le tabellazioni più accreditate (16).

Una siffatta situazione corrisponde alle forme cliniche di RCU lievi o moderate, sulla base non semplicemente del numero delle evacuazioni ma anche:

1. dall’assenza di episodi in un lasso di tempo ragionevole, da sei mesi e oltre, o di rari episodi completamente risoltisi con adeguata terapia medica;

2. dall’assenza di impegno funzionale residuo, o di una sua lievissima e trascurabile permanenza;

3. dalla inesistenza o mancata necessità di presidi farmacologici in quanto superflui o accessori;

4. dalla pressoché completa normalità delle funzioni dell’apparato digerente nonché assenza di segni clinici e bioumorali (emocromo con formula, IgG e immunocomplessi circolanti, QPE).

In pratica si tratta per lo più di assicurati che si presentano al gabinetto diagnostico dopo un ricovero e una diagnosi circostanziata di RCU, che non manifestano ormai più sintomi clinici o li presentano in forma del tutto larvata e trascurabile, che rispondono pienamente alle terapie mediche all’uopo instaurate, o non praticano già da tempo alcuna terapia, che si recano periodicamente a controllo clinico presso la struttura che li ha inizialmente ospitati e curati, o che solo di rado si ricoverano, e la cui prognosi è da ritenersi a tutti gli effetti favorevole.

Pur nella convinzione che la gravità dell’episodio iniziale non è l’unico fattore prognostico considerabile, è pur sempre vero che un esordio clinico blando è contrassegno di una condizione morbosa non particolarmente aggressiva e molto più suscettibile di guarigione clinica completa.

In ogni caso quindi le forme lievi o moderate vanno senz’altro considerate a prognosi molto favorevole.

Forme lievi o moderate

Valutazione Medico - Legale: 10 - 15 %

Giudizio M / L: orientativamente, non inabile, non invalido, tanto che si tratti di attività manuali che di tipo intellettuale e sedentario.

II Classe

La malattia determina alterazioni funzionali causa di disturbi dolorosi non continui, trattamento medicamentoso non continuativo, perdita del peso sino al 10 % del peso convenzionale, saltuari disordini del transito intestinale.

Si tratta, pressappoco delle forme mensionate in precedenza, in cui si siano verificati sporadiche alterazioni dell’alvo o persistano temporanei e incostanti segni della malattia, ma ancora pienamente controllabili dalla terapia farmacologica, associati talora a lieve residuo impegno funzionale ( 16 ).

Difficile è isolare nosologicamente tali forme morbose al punto da distinguerle chiaramente dalle precedenti, trattandosi per lo più di quadri lievemente più conclamati rispetto ai precedenti, con qualche disturbo sintomatico ancora evidenziabile, qualche episodio diarroico ricorrente che sporadicamente interrompono una sintomatologia pressoché silente e, in ogni caso, non

(12)

contraddistinta da vere riprese acute e persistenti della malattia, al punto da richiedere solo di rado un ricovero e mai per lungo tempo.

Il trattamento farmacologico può anche essere consistente, ma mai per lunghi periodi di tempo.

Forme lievi o moderate persistenti

Valutazione Medico - Legale: 25 - 35 %

Giudizio M / L: orientativamente non inabile, non invalido così come formulato in precedenza.

III Classe

Si ha alterazione grave della funzione digestiva, con disturbi dolorosi molto frequenti e il paziente è sotto trattamento medicamentoso continuato e dieta costante; si ha perdita di peso tra il 10 e il 20 % del valore convenzionale, spesso anemia e presenza di apprezzabili disordini del transito. Apprezzabili sono le ripercussioni socio - lavorative (17).

Si tratta delle forme cronico - recidivanti, (caratterizzate da proctorragia, lieve anemia ipocromica e modesto calo ponderale) ricorrenti, con possibile necessità di ospedalizzazione.

L’opportunità di trattamento chirurgico non viene generalmente posta in considerazione dall’assicurato e le manifestazioni cliniche ad andamento oscillante, sono ritenute sufficientemente responsive alla terapia medica.

Nella fattispecie si riscontrano, quindi, forme croniche o cronico - recidivanti di lieve - media gravità, con rare riesacerbazioni, sporadici ricoveri ospedalieri, in genere non superiori a 15 - 20 giorni di degenza, necessità di lunghi periodi di terapia ma con risposta clinica positiva, e, soprattutto, mancanza di una vera indicazione oggettiva al trattamento chirurgico; possono evidenziarsi modeste alterazioni ematologiche, lieve perdita di peso, ripercussioni sulla vita socio - lavorativa del soggetto che lo costringono a periodiche assenze per malattia, senza tuttavia affrancarlo dall’attività lavorativa in modo permanente (17).

Valutazione Medico - Legale: 41 - 50 %

Giudizio M / L: orientativamente, non invalido, non inabile, se trattasi di attività sedentarie, invalido per un triennio, con revisione, se trattasi di attività manuali.

NB: In taluni casi, anche quando si tratti di attività che presuppongono carichi di lavoro di grado medio-leggero l’entità delle turbe digestive, la concomitanza con altri quadri patologici, l’età dell’assicurato e condizioni di deperimento organico comportare un giudizio medico - legale più flessibile, con la concessione di almeno un assegno d’invalidità per il triennio successivo alla domanda con facoltà di rivedere il giudizio a distanza di tempo, in funzione del decorso clinico e del miglioramento o meno della sintomatologia clinica.

IV Classe

Si tratta di alterazioni gravissime della funzione digestiva, con disturbi dolorosi e trattamento medicamentoso continuativo ma non completamente efficace, perdita di peso superiore al 20 % del convenzionale, anemia, gravi e costanti disordini del transito intestinale (16).

Significative sono le limitazioni in ambito socio - lavorativo.

Sono ascrivibili a questa classe tutte le seguenti forme cliniche, complesse:

1. le varietà poco o affatto responsive alla terapia medica, per le quali è quindi da considerarsi elettivo l’intervento chirurgico;

(13)

2. tutte le complicanze gravi, specie le emorragie profuse, la displasia o cancro, lo sviluppo di megacolon tossico, etc.;

3. tutte le varietà considerate normalmente a prognosi sfavorevole, quali quelle con aspetti di pancolite, quelle sviluppate in età superiore ai 60 anni, quelle caratterizzate dalla presenza di megacolon tossico, etc., nelle quali l’impegno funzionale del tubo digerente sia evidente e molto grave;

4. tutte le forme chirurgiche della RCU, sia quelle con risparmio della funzione sfinterica, e per le quali sia prevedibile una buona prognosi, che quelle con presenza di ileostomia esterna (ano preternaturale) (17).

In tutti i casi:

Valutazione Medico legale: 61 - 70 %.

Il giudizio medico legale è diversificato secondo i casi. In linea di massima, in attesa che le condizioni generali del paziente, sottoposto ad intervento chirurgico conservativo dello sfintere anale, migliorino e laddove ancora persistano segni generali della malattia, grave deperimento organico, con calo ponderale superiore al 20 % e le indagini bioumorali accreditino ancora segni evidenti di alterazione della crasi ematica, del QPE, con aumentata presenza in circolo di complessi immuni e dia altri marker immunologici di malattia oppure si siano sviluppati sintomi sistemici, artrite, irite, etc., non escluse vere e proprie malattie del collagene tipo LES, il giudizio definitivo medico - legale sarà:

Giudizio M / L: orientativamente, invalido con revisione al triennio, non inabile, per ogni tipo di attività.

Dopo tre anni, ove si accerti una remissione clinica più o meno completa e un recupero accettabile della funzionalità digestiva, in assenza di manifestazioni sistemiche e di segni di anemia, la forma è da considerarsi a tutti gli effetti regredita alle classi anatomo - funzionali e medico - legali più basse e, dunque, non più passibile dei provvedimenti previdenziali previsti; in tal caso il giudizio sarà:

Giudizio M / L: orientativamente, non invalido, non inabile.

Ovviamente, persistendo o aggravandosi i sintomi predetti, la conferma dell’Assegno Ordinario d’Invalidità è d’obbligo.

Nel caso in cui la remissione clinica del quadro e il recupero generale siano quasi immediati, a puro scopo cautelativo, dal momento che non è supponibile l’effettivo decorso nel tempo della malattia, è preferibile concedere l’assegno per il primo triennio, in attesa di stabilizzazione clinica della malattia; allo scopo vanno, in questo caso ben ponderati i marker immunologici e flogistici della malattia.

In realtà, ferma restando la concessione cautelativa dell’assegno per tre anni e quindi la considerazione che dopo tre anni la reiezione della prestazione può avvenire con apparente maggiore tranquillità e facilità, è possibile negare la concessione della prestazione, con provvedimento di revoca per Motivazione “ B “, applicabile in caso di miglioramento clinico e prognostico della forma morbosa, nei casi che appaiono particolarmente favorevoli.

Sono, al contrario, Invalidi senza ulteriore Revisione, tutti quelli che, dopo intervento chirurgico radicale siano portatori di ano preternaturale, rappresentando la perdita della funzione sfinterica sicuramente un gravissimo handicap.

Diversi sono i casi in cui sia verosimilmente prevedibile l’exitus a più o meno breve scadenza (5-10 % circa delle eventualità secondo le casistiche attuali più accreditate). Si tratta di pazienti anziani o molto defedati, con rilevanti manifestazioni generali, forte anemizzazione, al di sotto,

(14)

indicativamente dei 2.000.000 di GR e con Hb tra 6 g / l e 8 g / l, con elevato numero di scariche giornaliere, febbre, etc., resistenti alle terapie. Sono persone ospedalizzate o operate ma con grave rischio di vita, alle quali, cautelativamente si può concedere la Pensione Ordinaria d’Inabilità per 1 anno, sulla base di un ipotetico miglioramento futuro delle condizioni cliniche. La necessità di ricovero in reparti di terapia intensiva e/o l’alterazione dei principali parametri biologici di sopravvivenza, (emocromo, crasi ematica, peso, funzionalità renale e cardio - respiratoria, etc,), nonché la presenza di febbre e di stato stuporoso, esprimeranno la gravità del quadro clinico, che impone la concessione, dunque, del miglior provvedimento previdenziale medico-legale prevedibile.

In caso di superamento della fase critica, saranno da ritenersi valide tutte le altre osservazioni espresse in precedenza.

Non costituiscono comunque di per sé condizione inabilitante, e nemmeno invalidante i fattori prognosticamente sfavorevoli, quali l’età avanzata, la presenza di megacolon tossico, la pancolite ulcerosa, se le suddette complicanze rispondono più o meno bene alle terapie medico-chirurgiche., In realtà la formulazione del giudizio medico-legale deve necessariamente scaturire da una ponderata e integrata connessione e valutazione di tre fondamentali aspetti:

• le condizioni cliniche generali del paziente;

• la sua rispondenza alle terapie attuate;

• la conoscenza del decorso e della storia clinica naturale della malattia;

• gli esiti.

La valutazione, inoltre, va effettuata di volta in volta, per ogni singolo assicurato considerato.

Resta, in ogni caso, valido il principio per cui, ad ogni revisione, va attuata una stima e un equo bilancio della situazione clinica generale del paziente in rapporto alla possibile collocazione nelle classi valutative di competenza.

Il giudizio di idoneità al lavoro in caso di rcu

Un ultimo non trascurabile aspetto riguarda il giudizio d’idoneità al lavoro degli assicurati affetti da tale infermità, giudizio che spetta, comunque, al medico - competente aziendale, anche alla luce del disposto del recente D.Leg.vo 626 / 94 e D.Leg.vo 242 / 96. Il giudizio va sempre riferito al lavoro specifico che non deve esporre il prestatore d’opera ad un rischio superiore alla media specifica della stessa categoria lavorativa d’appartenenza e quindi in definitiva non deve determinare un peggioramento delle condizioni individuali di salute antecedente. Si possono allo scopo distinguere:

1. soggetti con malattia in atto;

2. soggetti senza malattia in atto ma portatori d’invalidità inabilitante a tutte le attività lavorative fra cui si ricordano i soggetti affetti da magrezza patologica, gli oligofrenici di alto grado o con senilità precoce, quelli con grave obesità, etc., oppure i portatori di gravi handicap, con visus notevolmente ridotto e campo visivo particolarmente ristretto, e/o con deambulazione molto difficoltosa al punto da necessitare costantemente e bilateralmente di appoggio;

3. individui normali a tutti gli effetti (9).

Ovviamente queste due ultime categorie poco interessano ai fini della presente trattazione.

Riferendosi, invece, alla prima categoria è possibile operare un'ulteriore distinzione riguardo alle malattie inabilitanti a tutte le attività lavorative; sono infatti malattie da considerare tali:

• la tbc polmonare in fase attiva;

• la febbre continua o subcontinua recidivante;

• le malattie con storia clinica naturale progressiva, quali il mieloma multiplo, la sclerosi multipla, il M. di Parkinson, etc.;

(15)

• le malattie letali per le quali è verosimilmente prevedibile la morte a più o meno lunga scadenza, quali i tumori;

• le malattie ad andamento cronico e con considerevole deterioramento delle condizioni biologiche, quali, ad es., le collagenopatie nelle forme gravi;

• le malattie intrinsecamente gravi, come le gravi nevrosi e psicosi;

• le affezioni cardiorespiratorie gravi, in grado di subire peggioramento anche dopo sforzi fisici modesti;

• le malattie che necessitano di ripetute e più o meno prolungate degenze, in occasione di episodi di recrudescenza della forma morbosa, che risultano intervallati da periodi di benessere, quali, ad esempio, l’epilessia con attacchi ripetuti, le forme gravi di diabete, le poussèes della spondilite anchilosante, della gotta, etc. (9); di questo gruppo farebbe parte, per l’appunto, la RCU.

Tutte le forme di R.C.U. lievi o moderate, appartenenti alle classi I e II, devono ritenersi, ad eccezione dei limitati periodi di recrudescenza, pienamente compatibili con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa.

Anche le forme di media entità, con modeste e fugaci turbe ematologiche e ponderali, oligosintomatiche e quasi completamente controllabili dalle terapie mediche, sono da ritenere nella maggioranza dei casi non ostative al pieno svolgimento di qualsiasi attività lavorativa.

Le forme chirurgiche della RCU sono quelle che possono potenzialmente dare adito a qualche dubbio. A tal proposito vanno necessariamente distinti i quadri con buon recupero funzionale e non.

I primi consentono una sufficiente attività lavorativa, per la quale si può considerare l’idoneità almeno parziale e quindi tale da richiedere eventualmente l’opzione per un lavoro preferibilmente di tipo medio o leggero, che non richieda l’effettuazione di prestazioni fisiche potenzialmente usuranti.

I secondi invece sono verosimilmente compatibili con carichi di lavoro molto leggeri o con lavori totalmente sedentari, comportando una persistente riduzione della capacità lavorativa.

Compatibili con l’espletamento, di soli lavori sedentari, sono i casi di ileostomia con ano preternaturale, sempre che le condizioni generali del paziente non siano particolarmente compromesse dal punto di vista generale e la funzionalità digestiva sia discreta.

Tutto ciò vale anche in considerazione della compatibilità del mantenimento del posto di lavoro con l’erogazione dell’Assegno Ordinario d’Invalidità.

Per tutte le forme estreme, per le quali, sulla base alla situazione clinica del soggetto, si prevede la concessione della Pensione d’Inabilità, il problema all’atto pratico non si pone se non per una eventuale riassunzione in caso di notevole miglioramento delle condizioni cliniche generali.

A proposito del concetto di idoneità lavorativa, non sempre di facile valutazione, si ritiene utile richiamare alcune definizioni MEDICO-LEGALI che esprimono aspetti di per sé apparentemente sovrapponibili e spesso facilmente confusi.

Essendo noto che la “validità” indica una condizione di integrità meramente biologica e “la capacità ” quell’insieme di attitudini specifiche e particolare preparazione ad esse connessa, ritenuto che per “abilità” si intende la presenza di speciali, particolari disposizioni attitudinali del soggetto, il concetto di “idoneità” si riferisce ad una situazione assimilabile come intermedia fra le qualificazioni di validità e capacità (8).

In altre parole l’idoneità sostanzialmente ingloba, in un’accezione unica, queste due condizioni.

Infatti la validità del soggetto è la dote indispensabile per conseguire, con il dovuto addestramento, la capacità ad espletare l’attività lavorativa e poi, in un auspicabile crescendo, l’abilità a svolgere una specifica mansione lavorativa (8).

L’idoneità lavorativa viene giudicata in sede di visite preventive e periodiche attraverso le quali si esplica la sorveglianza sanitaria svolta dal medico competente (art. 16 e 17 D.Lg.vo 626/94).

Le visite mediche, preventive e periodiche, costituiscono pertanto strumenti fondamentali ai fini del giudizio d’idoneità, avendo lo scopo di accertare che le condizioni di salute del soggetto siano compatibili con lo svolgimento della propria attività lavorativa.

(16)

All’atto pratico, ai fini della realizzazione del giudizio, si valutano:

1. la validità del soggetto nella sua globalità anche con l’ausilio di esami strumentali, oltre che su base clinico-anamnestica; tale valutazione riguarda tutti gli organi ed apparati, dei quali va verificata l’integrità funzionale o sue eventuali riduzioni;

2. la capacità di lavoro (orientativamente quella residua) del soggetto, non generica, ma riferita alla sua attività lavorativa, ovvero all’insieme delle attività similari esplicabili in funzione dello stato di salute; nell’ambito della medicina del lavoro, è compito del medico competente accertare se il lavoratore è idoneo ad effettuare una specifica mansione e qualora questa si riveli non più consona, per le mutate condizioni di salute del lavoratore, formulare un giudizio di non idoneità o di idoneità parziale o, in alcuni casi attuare di concerto con il datore di lavoro un programma di riadattamento e riqualificazione del dipendente, adibendolo a lavori a lui più pertinenti come carico.

Pertanto l’idoneità non può essere considerata in senso generico, altrimenti finirebbe per coincidere con la validità, ed è quindi per definizione “specifica”, ovvero da rapportare ad una ben precisa collocazione lavorativa (10).

Non potendo l’idoneità essere universale, unica e generica per lo svolgimento di qualsiasi attività, essa deve riguardare al tempo stesso il grado di validità e il profilo delle mansioni specifiche. Essa contiene dunque un’ulteriore caratteristica, rappresentata da quella particolare propensione a svolgere una determinata attività, ossia la capacità, che in una ulteriore “escalation”

diventa particolare perizia o abilità (8).

Mentre la validità è un’attitudine intrinseca del soggetto e inerente il suo stato di salute oggettivo, la capacità, esplicandosi in una ben specifica attività, va ritenuta un fattore estrinseco (8).

Se il soggetto è perfettamente valido sarà potenzialmente idoneo a qualsiasi attività lavorativa.

Importanza particolare riveste il caso dei soggetti ipovalidi, per i quali l’accertamento dell’idoneità al lavoro richiede l’attenta valutazione dell’entità delle residue energie lavorative al fine di stimare se l’espletamento di mansioni specifiche risulta per essi pregiudizievole e usurante.

Se quindi, è compito della Medicina del Lavoro esprimere un giudizio d’idoneità del lavoratore alla mansione specifica, alla Medicina Legale Previdenziale spetta quello di formulare una equa valutazione della sua capacità lavorativa residua in occupazioni confacenti alle attitudini, ossia esprimere un giudizio circostanziato su tutte le possibili idoneità e capacità verificabili nell’insieme delle attività lavorative teoricamente esplicabili dal soggetto in esame (12).

Con particolare riferimento alla patologia oggetto della presente trattazione si richiama l’attenzione essenzialmente sulla necessità di considerare due aspetti:

• la valutazione corretta della storia clinica del soggetto al fine di stimare gli aspetti prognostici a breve e lunga scadenza;

• la necessità d’inquadrare, alla luce delle valutazioni precedenti, l’esatto stadio in cui si trova il paziente nonché la possibilità di trattamenti in grado di migliorarne eventualmente le condizioni.

Ciò presuppone l’approfondimento delle conoscenze relative tanto all’eziopatogenesi della patologia in oggetto quanto all’evoluzione dei protocolli terapeutici specifici, in modo da renderne più completo e organico l’inquadramento nosografico e più precise e puntuali le valutazioni medico-legali e lavorative inerenti.

(17)

BIBLIOGRAFIA

1) Colombo, Paletto e al.- Trattato di chirurgia - Edizioni Minerva Medica, 1993, 1226 - 1236.

2) Harrison’s - Principles of Internal Medicine - McGraw - Hill Libri Italia, 1992, 1701 - 1717.

3) La Clinica Medica del Nord America - Simposio sulle Malattie Infiammatorie dell’Intestino - Coordinatore: D.H. Winship - Piccin Editore Padova, 14, 1982, 32 - 34, 56 - 62, 91 - 100, 105 - 112

4) D.A Macfarlane, L.P. Thomas - Textbook of surgery - Longman Group LTD., 1972, 298 - 301.

5) F. Shanahan - La patogenesi della colite ulcerosa - The Lancet Edizione Italiana, 11, 1994, 84 - 88.

6) S.B. Hanauer - La terapia medica della colite ulcerosa - The Lancet Edizione Italiana, 11, 1994, 89 - 95.

7) G. A. Lanfranchi, C. Brignola e al. - Aspetti clinici e prognostici della colite ulcerosa cronica - Recenti progressi in medicina, 66, 1979, 77 - 86.

8) D. Rodriguez - E. Croce - M. Montisci - L’Idoneità al lavoro. Riflessioni Medico - Legali - Difesa Sociale - N. 3 - Maggio - Giugno 1991 - Pagg. 155 - 182.

9) R. Pellegrini - Trattato di Medicina Legale e delle Assicurazioni - Casa Editrice Cedam, Padova, 1967, 44 - 50.

10) G. Iacovelli - Legge 12 Giugno 1984, N. 222: i profili Medico - Legali - Previdenza Sociale, 4- 5, 1984, 1373 - 1386.

11) G. Vidoni - Spunti interpretativi della Legge N. 222 - Previdenza Sociale, 2, 1985, 469 - 476.

12) F. Antoniotti - L’invalidità pensionabile nella Legge N. 222 del 12 Giugno 1984 - Previdenza Sociale, N. 2 ,1985, 465 - 468.

13) F. Marchese - Assegno Ordinario d’Invalidità ( Art. 1 legge 12 / 6 / 84 N. 222 ). Aspetti Medico - Legali e criteri interpretativi - Rivista italiana di Medicina Legale, XIII, 1991, 735 - 752.

14) P. Zangani - La nuova disciplina dell’invalidità pensionabile. Aspetti Medico - Legali - Previdenza Sociale, 2, 1985, 477 - 486.

15) U. Teodori e al.: Trattato di Medicina Interna - Società Editrice Universo, Roma, 1990, Volume III°, 1873 - 1878.

16) F. Mainenti - Guida pratica alla valutazione medico - legale dell’invalidità permanente - Editrice Medica Salernitana, 1994, 1 - 9, 159.

17) C. Scorretti - Handicap e invalidità civile - Liviana Medicina editr., Napoli, 1993, 210.

18) L. Gallone - Patologia Chirurgica - Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1971, 1350 - 1357.

19) G. Labò - Progressi in Gastroenterologia - Piccin Editore, Padova, 1984, 393 - 414.

Riferimenti

Documenti correlati

Nella disamina medico-legale di tali alterazioni è importante studiare sia la modalità traumatica, perché essa può facilmente collegarsi ad una determinata lesione, sia la

• Ecografia, TAC, RMN e arteriografia, consentono di definire la localizzazione e l’estensione della malattia metastatica e sono di aiuto al chirurgo per pianificare gli interventi

In conclusione la cartella clinica (ospedaliera o redatta in casa di cura convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale o meno) rappresenta dunque una documentazione

ni affetti e al deficit funzionale evidenziabile; ciò dovrebbe quasi sempre dirimere i dubbi sull’inabilità temporanea riferita al soggetto in esame sebbene, in taluni casi, il

In altri ambiti la valutazione medico-legale delle amputazioni degli arti rappresenta, addirittura una pura formalità, trattandosi di menomazioni tabellarmente

Le malattie vascolari occupano uno spazio rilevante, sia per la frequenza che per la gravità delle manifestazioni cliniche, nell’ambito della patologia umana. In particolare

L’iperdistensione violenta dei muscoli flessori del collo provocata dal tamponamento può determinare distorsione del rachide cervicale,. che a sua volta può associarsi

In sette casi vi vi è è stato accoglimento del nesso di causalit stato accoglimento del nesso di causalit à, anche se in quattro di questi à , anche se in quattro di questi solo