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NAZIONALE CENTRALE-FIRENZE BIBL. tgitized by

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(1)

BIBL. NAZIONALE CENTRALE-FIRENZE

157

20

(2)

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(3)

SONETTO

ni

PETRARCA

CON

L ESPOSIZIONE.

Vengali quantifìlosolìfurmai Adirdiciò:tutteleviefienbasse:

Kquest’unavedremoalzarsiavolo.

\

FIRENZE.

BARBÈRA, BIANCHI E COME.

1858.

(4)

Vii tute,onor,bellezza,altogemile, Dolciparoleaibeiramim’hangiunto, Ove soavementeilcors’invesca.

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(5)

CORTESE AMICO LETTORE.

«

H

epepiacuiitemei, ture deciet reputila plaeebil.»

Non essendo convenevol cosa qui in oggi pubbli- care L esposizione di alcune rime di Francesco Pe- trarca, che scrissi, or ora è T anno, desidero dartene almeno un’ idea in questo Sonetto puramente lettera- rio tramandando altrove

la

stampa di quelle, ove la storia vi tiene argomento.

Piacciati, gentil mio lettore, intrattenerti meco qualche minuto ripensando come

l’

eletta nostra clas- sica ed armonica lingua abbia e carattere e genio tutto semplice e bello ritenendo

il

sublime nel largo e forte concetto, non già nella vana risuonanza delle pa- role

:

onde credo un gravissimo errore

il

considerarla inferiore ad altre; eh’ anzi ancor è tanto lor superiore, che diffìcilmente possiamo noi medesimi studiosi di

lei

senza una particolare attenzione maneggiarla. Che

sia,

qual’

io la

dico, cel dimostrò in prima Dante con

la

novella sua epica, poi Petrarca con

la

nuova

lirica,

ed

in fine Boccaccio con

la

non mai udita eloquenza, dalle

(6)

cui mani uscì e divina e maggiore di tutte superando pure

la

greca e

la

latina, che

gli

fu madre e sorella. Se

in oggi non par

tale,

ò colpa nostra e della nostra cor- rotta natura, perchè non sappiamo, nè possiamo farla trionfare. Sono

gli

uomini grandi, che illustrano, e

danno celebrità alle favelle, non già queste a quelli. Se

le

nostre educazioni sono

fallaci, lo

devono pur essere

i

nostri intendimenti. Ciò, che dico

dell’

idioma, dicasi in simil guisa della Nazione sotto l’influenza moderna Le lingue e

le

nazioni sono vergini e madri feconde, ed attendono sempre nuovi sposi per partorire por-

tenti.

Or quando ancor non

ci

vergogneremo

d’

andar- cene elemosinando vocaboli da’ Provenzali, da’ Fran-

cesi, da’ Barbari, e da tutto quello, che, se esiste,

lo

deve al nostro sangue ?

Vivi

felice,

ed in questa abbiti letizia degna del tuo cuore, e delle tue nobili speranze, avvegnaché

la

Fortuna se ne sia buona e fedele amica più che mai

alla leale e franca natura.

Firenze, 1

novembre

1858.

Tuo

devot."10

Paolo Garelli.

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(7)

SONETTO

v

Pien di quella ineffabile dolcezza,

Che

del bel viso Irassen gli occhi miei

Nel

dì,

che

volentier chiusi gli avrei,

Per non mirar giammai minor

bellezza;

Lassai quel, eh'i’

più bramo; ed ho

avvezza.

La mente

a

contemplar

sola costei,

Ch’

altro

non vede

; e ciò,

che non

ò Tei,

Già per

antica

usanza

odia e disprezza.

In

una

valle

chiusa d'ogni

intorno,

Ch’

è rifrigerio de’sospir miei lassi,

Giunsi

sol

con Amor, pensoso

e tardo.

* Ivi

non donne, ma fontane

e sassi,

E

l’

immagine trovo

di

quel

giorno,

Che

I

pensier mio

figura

ovunqu’

io sguardi.

Pieno di quella ineffabile dolcezza, che gli occhi miei trasseno del viso bello nel di, che gli aerei chiusi

per non mirare giammai

bellezzu

minore

; lassai quello,cheio

più bramo;

ed ho la

mente avvezza a

con-

templar

costei sola, sicché

non

vede altro; eciò, che

non

è lei, odia giu e disprezza

per usanza

antica. Pensoso e tardo giunsi solo

con Amore

in

una

valle chiusad‘ogni intorno, cheèrefrigerio dei sospirimieilassi.

Ivi

non

trovo donne,

ma

fontaneesassi, e l’

immagine

diquel giorno, che

il

mio

pensiero figura

ovunque

iosguardo.

ti

(8)

— 6 —

Nelle

opere

del Pelrarca

non

vi

sono

errori; primo,

perchè con gran

genio era al pari

adorno

di

gran

dottrina; secondo,

perché ebbe

tutta l'agiatezza indispensabile per far

bene

:

i ALui fortunafusempreserena.»

La

sua indole ed il

suo

stile fu

veramente

« Magnanimo,gentil,costante, elargo.»

In questo Sonetto pieno

d’un

affetto

incomparabile maestosamente

dimostra,

dopo d’aver

goduta la

compagnia

dell’amata sua

donna,

desi- derare ed

amare

di ritirarsi inque’luoghi,

che

già la videro,e le furo intorno.

«So questo nonèAmor,nonsoebesia.»

l'iendiquellaineffabiledolcezza.

— Con

quali accenti si possa

me-

glio

esprimere

ilperfetto piacere dell’animaela letiziadel

cuore non

si

può

dire. Il pieno

dimostra

assai il possessoprolungato dell’amata per- sona, edé Paddietlivo verbale,

che

regge il sesto di materia.

Che

delbelviso trassengliocchi miei.

Il

segno

del

secondo

per il

sesto. Tutti i grandi scrittori ad

esempio

dei trecentisti e quattrocenti-

sti,guidati dal sillogismo della lingua, ossia della sintassi,

permutarono

a piacere i segni dei rapporti volgari.Ilche èobliquo di trasseno poetica-

mente

pertrassero.

Nel di, che volentier chiusigli avrei.

Dal dì, dal principio, che

la vidi,

« Milletrecento ventisetteappunto

Sul’oraprimaildisestod’aprile Nellabirintoinlrai;nèveggio, ond'esca.»

Che, nel quale. Chiudere gli occhi, perifrasi. Inciso,

come

il seguente, di causa.

Che

arte di dilatare

concisamente

tutte le idee,

che non

la- sciano nulla a desiderare!

Nell’amore

del Poeta eravi alcun

che

di straordinario e divino.

Dopo un

periodo d’anni nell’oraegiorno

medesimo

la fortunata

Donna

se ne dispartiva:

« 1/ora prim' era, c’ldisestod’aprile,

Chegiàmistrinse;edor,lasso,misciolse. »

Tanto

si gentile ecortese

amore durò

anni

ventuno sempre

puro ecasto;

« Sai,che’nmilletrecentoquarantotto

Ildisesto d’aprile,inl'oraprima.

Delcorpouscioquell'animabeata.«

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(9)

— 7 —

Per non mirar giammai minor

bellezza;

L’uomo

nel

colmo

della

sua

feliciti),se cade, odial'esistenza;

chè

lecose minori

non

si

amano

;

« Sec

rem

virtùt,cumtemeiexcidit Curaireponideierioribu».»

Lassai quel, eh'i’più

bramo

; ed hosi avvezza.

Il

verbo

lassare

esprime

affaticare estancare dal latinolasso, as, avi,atum,are.Il

Mastro

lini lo

confonde con

laxo,as,avi,atum, are; e riporta questo verso per

esempio. Che

il Petrarca1’adoprasse a caso

non

posso credere. Inogni

modo però

sta bene.

«Manonsiruppealme»ogni vel,quando Solaituoidetti,tepresente, accolsi,

» Dir piùnonosailnostroamorcantando'1 Tecoera'Icor; a

me

gliocchi raccolsi;

Dici6,comed'iniqua parte, duetti;

Se'Imeglioe’1piùtidiedi,e I

mon

titolsi:

Nòpensi che,perchètitossertolti Benmille volte, e piùdimille e mille Renduti,econpleiade atefurvólti.*

Si confronti questa nobilissima confessione della

consumazione

d'

amore con

quelladi

Francesca da

Rimini,e si

deduca.

Ritornando

al

verbo

lassare,dico

che

Petrarca 1'

adoperasse

invece di lasciare:

Lassareilvelooper sole operombra,

Elassarleghirlande eiverdi panni,«

«Nèper novafigurailprimoalloro

Seppilassar »

, «Che milassòde'suoicolor dipinta;» eLassaidi

me

lamiglior parte addietro,»

Lassando,comesuol,

me

Freddo smalto. -

ElassiIspagnadietroallesuespalle. >

«Lassandol'erba,elefontane, eifaggi-»

Nel participio però fu

sempre

usato nelsuo vero significalo. Quel, eh'i'più

bramo

èlacircuizionedellasua

Donna,

poichénel

seguente

verso usa il

pronome

Costei.

La

mente a contemplarsola costei.

Vi è il

gerundio

dei Latini,

ad

videndum. Si servi delP addieltivo sola

lusingando

assai il

sentimento

dell’adorata persona,

avvegnaché

escluda

da

seogni e

qualunque

altra

donna.

Il si dell’antecedente verso

ha

perrelativo il che del

seguente

elegantemente

e di

maggior

forzadel sicché.

(10)

Chialtro non vede; e ciò, che

non

è lei.

— Gran

lite per

questo

la.

Egli èquarto caso retto dalla preposizionesottintesa intorno,

siccome

ap- parisce dallo sviluppo delle terzine. 1 poeti

hanno

la libertà di tacere,

non

solo le preposizioni,

ma

le

medesime

congiunzionie

come

e

quando

ed

ove

lor piace. Il

verbo

essere

non può mai

farsi transitivo, e per sua natura

segna

l'esistenza del predicato nel soggetto. Chi lo fa tran- sitivoerrad’assai, forse perchè,

quando

gli par tale,

non vede

la con-

cordanza

deirinfluito,

che

sisciogliealcongiuntivo.

Quando

il

quarto

caso nel

verbo

essere

non

è rettoda preposizione, loè dalla similitudine con- giuntiva come,

che

per

zeuma

spessosi tace,

o

da altre particelle. Il no- stroPoeta in

grammatica

ed in tuttociò,

che

appartiene alle lettere,

ne sapeva certamente mollo

di più dei

moderni

nasuti e sesquipedali critici magistrali. Mi

fanno

ridere, allorché se

ne vanno parlando

di lingue, e vogliono darci a

credere

essere

due

le sintassi dellenostre; e la latina e la volgare

seguono

la

medesima

legge

con

segui modificati,

che

il di- videre l’una dall’altra èla

gran

fonie della nostra ignoranza,

oude

pure

si

deturpa

il bello dell’oratoria e della filosofìa. Io usai

similmente

col

verbo

essere questo quarto caso retto dalla

medesima

preposizione nel- l’Ode all’Italico

Monarca

Vittorio

Emanuelle

II

dicendo:

« Del Patriziato nobile L'altabandiera è Te. »

Bisogna esseretondi,

come

l’OdiGiotto, per

non vedere

ilsoggetlo prin- cipale in Costei, e l’accessorio in Lei; in casodiverso

sarebbe una

«*ie-

desima

sostanza.

Giàdissi in

una

delle notealla prefazionedi questimiei

cotnmenli quanto

fosse larga e gentile ai Poeti la

madre

Natura, percui

vivono

in

una

particolare ed eletta posizionedistinta,

onde

il lorointelletto

rompe

la sbarra dei sensi

comuni,

e

nobilmente

si slancia nell’essere infinito

vagheggiando

nel vero l’alta idea inlelletiuale Platonica. Essi tutto ve- dono, lutto sentono, tutto concepiscono, e nelle loro esposizioni, ol- tre l'uso della sintassi letteraria sotto la guida della ragione,

usano

la filosofica. Nei

gran

Poeti bisogna

dunque ayerlire

i concelti,

come

le parole.

Già per antica

usanza

odiaedisprezza.

Giàè

avverbio

di

tempo

trascorso,e forse

anche

difuturo.

Credo

anzi significare e I’

uno

e l’altro insieme.

Quanto sono

belle

due

azioni

consumate

nel

medesimo tempo!

Odiare e deprezzare,

hanno

un’espressione,

che non

lascia nulla a de- siderare. Cosi

pure

più sotto: pensoso etardo.

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(11)

9 —

In

una

valle chiusa d’ogni intorno.

Perifrasi. Ogni,

mi

pare es- sere

un

belloaddiettivo del

suo nome

intorno,

che

quisignifica giro o luogo, e perciò ilPoetagli diedeil

segno

del sesto da. Alcuni il direb-

bero modo

avverbiale. Chiusa, è parte attributiva.

Questa

Valle fu

veramente

la più nobile, e la più celebre della terra;

«Soloalmondopaese almofelice, Verdirive, fioriteombrosepiagge, Voipossedete,ediopiango Imiobene;«

perchè ancora

il

sommo

Nostro se l’elesse per

sua

propria patria fug-

gendo

costante il suolo toscano,

dove par non

potereallignare le

gene-

rosee

buone

piante civili;

Perritrovar,oveilcor lassoappoggi, FuggodalmionatiodolceaereTosco: »

Pur

troppo coincidecol DivinoAlighieri,

onde

questa bella nostra pro- vincia

non ne

sale in

grand'onore.

C/i’è refrigerio de’sospir miei lassi.

Refrigerio per conforto.

Ecco una seconda

volta in questo

medesimo

Sonetto il

verbo

lassare nel suo

vero

significato.

Giunsisolcon

Amor,

pensoso etardo.

Solo per solamente,

oppure

addiettivo,

come

quello di

Dante

:ed iosoluno.

Questo

ultimo

modo mi

piace più, se si considera

che Amore

è tropodi

metonimia, che

sta per

amare,

o

amando.

Il carattere degl’innamorati è

propriamente

pensie- roso e tardo

ad

eseguire,

perchè

teme,e

perchè dove non

è la

persona amala

di nulla gli

preme. Questa medesima

idea

vaga

e si bella fu dal Poeta ripetuta:

«Cosìvoricercando’ognicontrada Ov’iolavidi;csoltu,chem'affliggi,

Amor,vienmeco,cmostrimi,ond’iovada,n

Ivi

non

donne,

ma

fontane e sassi.

— Ecco con che

dignità si reg-

gono

i

componimenti. Ecco come

s’inalzanoi soggetti.

Queste sono

idee vere,grandi ed infiammanti.

Che impressione

sul

cuore

di

Laura!

quale affetto

non

vi

dovè

ridestare?

La

fedeltà è molla potente per

muovere

il

cuore

delle gentili

matrone.

Bellissima antitesi.

E

l'

immagine

trovo di quel giorno.

— Con

slancioPindarico

immor-

tala la dolcezza delfortunato giorno,

ch'ebbe

a

godere

della vista e della

compagnia

di

Madonna

Laura.

(12)

1

1

Che

’lpensier

mio

figuraovunqu’io sguardi

Che, è obliquo.

Que-

ste son chiuse

che non

lasciano

da

desiderare di più.

Ovunque

Egli si volga a riguardare in quel paese,eh’era intornodi Laura, Egli ve la ri- trova,

come

in quel felice giorno

memorando,

perilquale

entusiasmato generò

l'

Ode

« Chiare, fresche, e dolciacque,»

edin

modo

tutto particolare e

veramente

divino la stanza

« Da’ beirami scendea: »

ond’

ebbe

in fine a

concludere

ed a manifestare

apertamente cantando

al

mondo

lutto il tenero

amoroso

risentito diletto dell’eletta

rimembran-

za

con

gli aurei versi

> « Daindi inqua mipiace

Quest’erbasi,eh*altrovenon hopace.»

*

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