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NAZIONALE CENTRALB-FIRENZE 807 BIBL. Digitized by Google

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(1)

BIBL.

NAZIONALE

CENTRALB-FIRENZE

807

21

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(2)
(3)

m W[

ZI X)

Vv

\JU.

SAGGIO

DIUNA NUOVA

ESPOSIZIONE DIDATTICA

DELLA DIVINA COMMEDIA

DANTE ALIGHIER

ITU

ODO

AEDO GRIMALDI

ProfessorenelGinnasioenelLiceodiTerni

I

DirettoreePreside.

Xequcsolutoririninnepresente*

studioso*disrendierudtvnintque do- rmi:dodhoc(dottiriiam postmortori monumenti*luteranno aosoquuntuv.

Oc.deoff. I.(.’up.XI.IV'.

•^vntaA/UVWWW"»^—

TERNI,

À STABILIMENTOTIPOGRAFICOTERNANO

Via dell'Orso N.14

vfe- crèr.

1870.

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)

DIINA NTOVA

ESPOSIZIONE DIDATTICA

DELLA

DIVINA

COMMEDIA

DI

DANTE ALIGHIERI

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0D0AED0 GRIMALDI

ProfessorenelGinnasioenelLiceodiTerni DirelloreePreside.

Xeqttfsolimi viciatquepresente*

studioso* discendierudiunt atquc du- certi;sed hoc idemetianipostmortem monumenti*Ulterovum assequnntuy.

TERNI,

STAMM.MKNTOTIPOGRAFICOTERNANO

Via(li'irOrsoN U 1870.

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A CHI LEGGERÀ

Ilo voluto rendere di pubblica ragione questo saggio di

una

mia esposizione della cantica delpurgatoriodantesco(fattagiàud-

ranno

scolastico 1860-61 nella città di Per- gola),

non mica

peraccattarmi lodedi

buono

e purgato scrittore, e,molto

meno, fama

di giudicioso e diligente critico;

ma

per

mo-

strare altrui ch’io noniste»ozioso;

come

forse talunoavrebbe osicrederebbediavere

buona

ragione di sospettare.

L'uomo

è natoalla fa- tica, sia pure asinina,

non

importa.

Lo

stare ozioso, o

come

altri direbbe,cole

mani

alla cintola, reputo iosia ilprimo e ilpiù perni- ciosopeccatodelgenere

umano,

eapportatore di piaghe fetideecancrenose. Albero che non frutta, al fuoco.

Ma

non è

mica

questa la

mia sola fatica.

0

bene o male, se bastassi alla spesa, avrei

un

pajo e più di volumi di coserelle scolasticheda stampare.

Le

quali,

poniamo

che non giovassero ad altro, gio-

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\crebbero e allo stampatore, che fa l’arte per campare;ea me,clicnesareisoddisfatto.

misidicachelesono cosefritteerifritte;

che a chi non le ha lette, son

nuove;

cchi le halette,

può

ancora

non

leggerle.

per questo

mi

farà torto;basta che non

mi

giu- dichial

nome

o al frontespizio,

come

sono usi moltidi fare,

massimamente

a’dì nostri, chela sapienza èa

buon

mercato,e isaggi non si trovano.

Vivetesani ed

amatemi, come

fo’ io.

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ESPOSIZIONE DELLA CANTICA

DEL

PURGATORIO

CANTO

I.

«Percorrermiglioracquaalzalevelo Ornai la navicella do!mio ingegno.

Chelasciadiotro amai-crudele.*

Con unabellissima allegoria,imitata ancoradal Monti,

ma

con più modestia,nella suaBasvilliana ovedice:

«Batteavoipiùsublimoaurapiùpura Lafarfallottadell'ingegno mio.

Lasciandolacittàdellasozzura,»

apreDante questa seconda sua Cantica dell’immenso Poema,

«Cuihanno postomanoocielootoma,* com’eglistessonedisse,e che Caveafattoper più anni macro. Egli dunque dice che, percorrere acquamigliore,cioèper parlaredicose

meno

aspre

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odolorose,menospaventoseeterribili,qualifurono quelle dell’inferno,la navicella del suo ingegno, che èquanto dire, egli medesimo col suo canto inspiratoglidal sublimesuo ingegno, alza ornaile vele (che òpropriodichisalpadal lidopercorrei- acqua),cioè,cominciauncantounpo’più sublime insiemee piùgaio:lasciando dietroasè (ossianon volendo piùparlare,nòdegnarediunguardo)

mar

sicrudele

,cioè,quantohascrittocon rimo aspre echioccedegliantichi spiriti dolenti,Chelase- conda morteciascun grida.

Edora chefaràil nostroDante? Dice che can- terà; ed ecco lasciata l’allegoria, ecominciatoa porrela protasi,o proposizione della sua novella cantica:

«Ecanteròiliquelsecondoregno Ovel'umanospiritosipurga Edisalirealcieldiventadegno.» Danteaveagià cantatodel regno della morte:

ora canteràd’unsecondo regno, ovele anime dei trapassatisono purgate per diventardegnedi salire alcielo

; inunaparola,cantato Dante deH’Infcrno, canteràoradelPurgatorio.Ilqualeegli vollechia- mareregno, o perchèlagiustizia di Dio, che,come disse lo stesso Dante,pertuttoimpera,haquivi ancorasuo seggio;o perchè(asomiglianza de’regni diquestomondo)regno si potevadirequelluogo, oveesistevano,e rettori e leggi, eimmensa,varia moltitudinediesseripensanti, ed estensionedisito nonmediocreeincerta guisa aspirazione di una moltitudine di enti razionali ad un medesimood unicofine-Dio.

Ma

cheavrà mai'egli Dante vo-

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lutointendere conquestiregnidicondanna,diespia- zione,edigloria.Qui è dovemicascal’asino,dicea colui. Lasciandostare lediverseipotesideidiversi espositori,a

me

pare che Dante,inunsecolopieno direligiosoconvincimento,nelqualeoltre alleferme e divulgate credenze, gli studii e le disquisizioni teologiche,nonerano materiaoprivilegiode’pochi chesiapplicavanoal culto,

ma

di pressoché tutti gliuominicolti,volessesimboleggiatirealmentel’In- l'erno,ilPurgatorio eil Paradiso, secondo il rito dellaReligioneCattolica,dove peramoreoper odio dipartecollocarecoloroda’quali egliolapatriaoil

mondo aveanoricevutobene o male, secondoilfine morale,

ma

piùdirettamente politico, da lui pro- postosi, nell’imprendere quest’operasuggeritagli forsedall’ esiguo.

si opponga che, secondo questaipotesi,s'incontrino alcune incocrenze, o se vogliasianche,assurdi;dacché enelle altre ipotesi nonso seneappaianomeno,eDante eraelavolea fardapoeta,eperò

« pictoribus,atqucpoeti*

«Quidtibetaudendisemprefutiaquapolestas.»

Ma

ciò siadettocomedi volo;chè noi più cheal- l’allegoriadelpoema,ciprefiggiamoditenerdietro a\Yestetica.Dantedunquecidicedivolere cantare di questo regno.

Ma

troppo gli stava ancorfisso nella memorial’aspetto miserando di quel luogo d'ogni lucemulo,e rimbombavangli ancoraalleorec- chieisospiri, ipiatiti, gli alti guai,le diverse lingue,leorribili favelle,leparole di dolore,gli accentid’ira,levocialtee fioche,eil sordoru- moredell’Acherontccdella Stigia palude.Eperò

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avendocisulbelprincipioaccennatodivoler correre acquemigliori, esentitasicome mancarela possa, sirivolge alleMuse,ossia allasua poeticaimmagi- nazione,alsuo Genio,epregaclicl’ajutino,senonper altro,almenoperchèegli ègiàadesse devoto,quasi dica,pupillo, sottolaloro tutela cprotezione. Ei dunquechiedealleMuse,chechiamasante, siper cattivarsele,epelsacrosantoufficioch’esse ten- gono(odovrebbero almeno tenere) di riformarei

costumi colla dolcezza de’carmi, chiede,dico,clic gli facciano risorgere la mortapoesia:bellissima metafora chepersonifica la poesia,la quale, quasi fossomortadonnachiedealleMusela risuscitino;

volendo intendere fuordimetafora, cheil suo in- gegnoglidettiversinonlugubrietristicomequelli dell’inferno,co’qualiha dovuto cantaredegli spiriti mortiall’umanavita e allagrazia.

E

per indurre leMusealsuo desiderioloapostrofadicendodiesser giàtuttoloro:

«Maqui Lamoriapeosia risurga, OsanteMuso,poich'iovostrosono.»

Nòpretendoiogià,diceDante,clictuttev’ab- biateaofferireperme,

ma

solane vengaCalliope:

«EquiCalliopeaalquantosurpn.» Dante invoca precisamentecolei fra lenove,che valevapiùd’ognialtraadargli

mano

peralzare,come

\olea,levele dellasua navicella:dacché Calliopesi facevadagli antichipresiederea’versi eroicie gravi.

Ma

lastessaCalliope surga:ossiaaccresca alcun pocodellasua naturalevirtù (comeallorachecolle suesorellesiproposedivincereeconfonderedella

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loroarroganzalenovefigliediPierio,che la sfi-

daronoalcanto,cangiandoleinPiche‘apenadella loro presunzione,onde le Musen’ebbero il

nome

diPieridi):

«Seguitandoilmio canto eonquelsuono.

Di cuilePiche misoro sontiro Locolpotalche disperar perdono.»

Orcomesipuòresisterea tantaeloquenzadi{vi- role?

Come

voleteche CalliopeelealtreMuse,che pursondonne,noncorranoinajutodelPoeta, che le ha dette Sante; non basta:sueprotettrici; è poco: vittoriose della più bella vittoriache aves- sero essemairiportata,per la quale la lor fama dura,edureràquantoil

mondo

lontana?Vedete forza dieloquenza!

Ed

eccoinfattiilnostro Poeta, dalleMusesoccorso, sfoggiareunodique’tratti si belli,sisfolgoranti,chenonv’ha oroche li paghi.

Leggiamo:

«Dolcacolor d'orlentalzaffiro.

Ches'accoglieva nelserenoaspetto Dell’aerpuro, infino alprimogiro... »

Ma

soffermiamocidigrazia,evagheggiamoalcun poco questaterzina.Cheviparegli?Vi pare che

ilPoeta abbia attenutalasuapromessadi far ri- sorgerelamortapoesia?Vipare che abbia vinta l’aspettativa?Chedireni noi di questa terzina,se nonch’ellaè bella?Diuncertobellochesi com- prende,

ma

nonsisaesprimere;sigusta,

ma

non

sisa dire il perchè.Io per

me

direiche l’uscire cosiinaspettatamentedallerimeaspreechioccie a tal supremadolcezzadiversi;ladelicatura elafor- bitezza delconcetto, della frase, delleparole;laloro

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dolcocpianadisposizione;l’ordine insomina e la correlazionedelle parti coltutto,delconcettocolla tormaèquell’insieme che cisorprende, empien- docialtempoistessol’animod’una grata dolcezza.

Ma, perlastessaarmoniadelle parti col tutto,questa medesimaterzina non mostra ancoratutto il suo hello. Leggiamolaper un momento unita all’altra ehelasegue:

«Dolcecolor d'orl'cntalzaffiro, ('hes'accoglieva nelserenoaspetto Dell'aerpuro,infinoalprimogiro, Agliocchimieiricominciòdiletto,

Tostoeh'iousciifuor dell'auramorta, Chem'aveacontristatigliocchie’1petto.»

Come

inun quadrogliscurifannorilevaremag- giormenteichiari,e questisopra quelli spiccare;

rosiladolce melanconia della seconda terzinadà assai piùgranderisaltoallagajalietezza dellaprima;

inunaparola,larende amilledoppipiù bella,più piacente,piùpregevole.

ChiamatedunqueDante insoccorsoleMuse, os- siafattalasolitainvocazionecomuneatuttiiPoeti, ched’alteed eroiche materiesi prefiggonodi can- tare,viene all’assunto,dicendone che,nonappena fuuscitodell’auramorda,ossia delletenebredel- l’inferno(cheletenebre sonl’immaginedellamorte) laqualeauramorta,ossia le qualitenebreglioceano contristato(cioèoffesoofatta cattiva impressione) sigliocchi, esiilpetto;gliocchi, collaoscuritàe colfumo;ilpetto,coll’oppressione delrespiroa

mo-

tivodi quell'acr neroecrasso,cuineppurl’angelo nonpotevasoffrire,e piùporlapietà diqueidan-

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natispiriti,perlavistade' loroatrocitormenti(pei qualiegli sentiasi allostomaco quelcotalgroppo che noiproviamoalsuccedercidiqualchegravesinistro, edalloramassimamentecheciè negatodipiangere, e che parecitolga il respiro): non appena, dico, fu uscitoilPoetadi questo luogo, che agli occhi suoi, econseguentementeanchealpetto, ricomin- ciòdiletto;ossia;fu ricreato da un dolce colore d'orienlalzaffiro,valea direda unlietissimoaz- zurro(cheazzurra nel colore è lapreziosapietra orientalechiamata zaffiro), che s'accoglieva nel sereno aspettodell'acrpuroinfino alprimogiro;

cioè, dicuiappariaglitinta lavolta celeste fino all’ul- timo confinedelguardoumano. Dovenoiaquell’cc- cogliersi nel sereno aspetto, detto con tantasoa- vità,quantapiùnonpotrebbe esprimersi con altre [>arole.

Dante,com’è naturaledichiescedal bujo dove siastatolungo tempo,non iscorge a prima vista cheildolce coloredellavolta del cielo:

«Dolcecolor d'orientalzaffiro.»

E

buonperluiche ancorailsolenon eralevato, altrimentisarebbeben restatopiùciecodi quando andavapelbujo regno dellamorta gente,per la subitae forteimpressionede’fasciluminosisull’etere dellastancaedebile pupilla! Ma,poichéilsuo oc- chiosiassuefece alcun pocoallaluce,videche quel- l’azzurrinoammantodelcieloeraancor trapuntodi.

stelleche stavanosultramontare,e d’altrecheancor reggevanoallaluce,con cheTomainascentesole di- radavailfoscovelodellanotte.

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Ricreato chesi fu Dante nella bella vista del cielo,osservòche

*LobelpienQtadieadamarconforto FacevatuttoriderTorrente, Velandoipesci eh’eranoinsuascorta.»

Sesivolessestare collacomunedegli espositori.

Dante con questa terzina non avrebbe volutodir altro,senonche: videilpianetaVenere,che,es- sendo molto luminoso,nonsolorallegraval’oriente, ossiailluminava(chòlaluceèunacausadell’alle- grezza,equestadelriso),

ma

colsuo pennello ve- lava, ossia, fuor dimetafora, sopraffacevaalcunpoco la luce della costellazione de’ Pesci,che,sendoil solein Ariete,eranosortiinnanzid’essoa pocadi- stanzadal pianeta. Il quale pianeta Dantechiama bello,spiccandoincielosopratuttiglialtri;edice che confortaad

amare

perduemotivi:o perchèsotto il

nome

diVenere veniva dagli antichi significata laDeadegliamori

;o perchè, al tempo di Dante, ammettendosiancoral’influssode’pianeti sullo

mo-

raliazioni degliuomini,siriputavaquestoilpianeta cheinclinavagliuomini,sott’esso nati,all’amore.

Ma

èeglivero che qui Dante abbia voluto intendere per questobelpianeta.Venere?Iononloafferme- reidisicuro.Dacché a favorediquesta interpreta- zionenonmilitandoche quel solissimo aggiuntodi pianetache conforta ad

amare

,tutto il resto ci farebbe anzi credere questo pianetailmedesimoSole, chestaquasi per fugarel’oramatutinache fuggi

a

innanziincalzata dall’alba.TantopiùcheilSole,es- sendoin Ariete,aveaprecisamentei pesci insua scorta, ossia,dinanzi asè;ciò chenondicesi,se

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nonimpropriamente,delpianetaVenere.Négiova

il direche quiDante chiamiilSolePianela,aven- dolocosichiamato ancheallorachedisse:

«Guardaiinalto,evidilosuespallo Vestitogià do'raggi del pianeta.»

Ed

anchequell’aggiunto«chead

amar

conforta» I>otrebbe,sillogizzando, intendersi col Martiniassai propriodel Sole. «Laluce, dic’egli,ècagioneimme- diatadell’allegrezza,emediata o remota delriso.

Chi èlieto, tende ad espandersi: passione molto espansiva è Tamore; dunque il Sole conforta ad amare.»

Senzacontareche potrebbeforse sentiretroppo dell’ iperbolico l’espressione « faceva tutto rider l'oriente » applicata alpianetaVenere:dove,intesa pel Sole, stamoltoaproposito.

Ma

siacomesivoglia, quiloscopoprincipale diDanteè di farrisaltarele sue gustate delizie,tosto che uscìfuordell'aura morta;nellaqualeaveatantoelungamentesof- ferto,che or quasisembrachenonsipossasaziare dirimirareilcielo.

E

conunamaravigliosa,dolcis- simaforbitezza,dettocomevagheggiòlaluce del bel pianeta, eilriso d’oriente, eivelatipesci,soggiunge che: Sivolsea

mano

destra,eposementeall'altro polo,cioè,guardò ricercandoilpolo antartico;ed inciòfare,vide quattrostellenonvistemaifuor chealla

prima

gente:ossia,cheniun’altro fuorché laprimagenteavea maivedute.

Ma

qui,selavisto cibasti,abbiamo da dilucidare due cose:equali steHe quis’intendessero; e quali fossero coteste genti prime, acui solosene concessela vista.Alcuni ne fannounmistero; altriunpuntoascetico;chiuna

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profezia,e viadiscorrendo.La comunedegli esposi- toritieneche queste sienolequattrostelledelPolo Antartico,vedutesoltantoda

Adamo

edÈvanelPara- diso terrestre, finto dalnostroPoetanell'emisferoop- postoa questonostro.E, per convalidare questaloro asserzione, dicono che Dantediqueste quattrostelle, scoperteduesecoli dappoi da Amerigo Vospucei, avesse potuto attingere cognizione da quel Marco PoloVeneziano,ilquale navigòall'isoladi Giava, e diMadagascar,l’una aldi làdell’Indio orientali inAsia,l’altraall’estdelCapodi buona speranza in Affrica;epperóambedueoltrela linea equino- ziale.

E

ciòben esser potrebbe.

Ma

ilPortirelli,con- siderando quelterzetto diDantenell’ottavodelPur- gatorio,nelqualesifacosidiredaVirgilio:

« Le quattrociliarestelle, Chevedevi starnali, son di là basse.

Equeste sonsaliteov'eranquelle» crede d’avere abbastanzaforti ragioniper tenere, checotestoquattrostelle nominate da Dantenon sienoaltrimentiquellevicinissimealpolo, echedo- veanoesserea’suoi tempionninamenteignote,

ma

bensi quelle bellissime elucidissimoinformadicroce nella costellazione del Centauro

; lequali,

come

quelle che veggonsi accostandosi alla linea equi- noziale,sitrovanoriportatenel catalogodiTolomeo.

Edinprovadellasua asserzione porta:1.“laquasi impossibilitàcheDanteavesse potuto avere cognizione

riiquattrostelle,laprima voltanotatedue secoli dappoida Amerigo,e lafacilitàanzi d’avercogni- zionedellequattrodelCentauro:2.°ilnon tramon- tare delle stelle delpolo;mentrequi,adir diDante,

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tramonterebbero perdar luogoalle tre altre:3." l'es- serein realtàverissimoche, almedesimoluogo ove da

mane

scorgonsilequattro stelle del Centauro, sonodaseraletrealtrestelle,che trovansipreci- samenteinopposizionea quelledellacroce:e die- troquesto ilverso

<Nonvistomaifuorch'aliaprima ponte*

interpretadicendo;«

Non

vistemaifuorché a’primi coltivatorid’astronomia.» cioègliArabi,iFenici,i Caldei, gli Egizii ecc.,non essendosiinappressodai Greci edaiRomaniparlatochesullaloro lède.Ed 10ancora, (quando queste stelleda Dante in un idealee tutto suo fantastico luogo vedute,sivo- lesserointendere per reali) m’atterreiall’opinione del Portirelli;sepurenondubitassiche Dante,come inaltriluoghi,anzichéallarealtà,nonabbia voluto dar luogoallafantasia.

E

ben mi godol’animonel vedere,senza cheioinnanziilsapessi,comeanche

11Biagioli,nelsuoriputatocommento,tenga presso' a poco la mia opinione,che cioè queste quattro stellefosserofantastiche.Riportiamolesue parole:

« Ilprofetico spiritodi Dante ajutatofuin questa suadivinazionedalbisogno ch’ebbe,che quattro ap- punto fossero quelle stelle,nelle quali le quattro principalivirtùinCatonerisplendenti volleeviden- temente figurare.

E

dico e affermo che,se treo cinquefosseroquestestessevirtù,ditante stellesi sarebbe daluiquellacostellazioneimmaginata.Per- tanto quelprofeticospirito,diche vogliono chesia statoilPoetadotato,glisiniegadanoi resoluto. »

Ma

seguitiamolanostraesposizione.

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Dantedice,metaforicamenteecontuttagaiezza, cheilcicloparevagodere dilorfiammelle

,

inten- dendocheil cieloveniad’assai illuminato de’loro tremoli raggi;e poi,quasisospendendo ildiscorso, vien,percosìdire,rapitoda unaltropensiero; e apostrofando, dimostra con esclamazioneilsuo cor- doglioperchèilpoloArticononlepossegga.

0

sito settentrionale, ben tu, essendoprivato di rimirar quello stelle, se’comevedovo, chenon puòdeliziarsi nell’aspettodellasua caracompagna! l’oiseguitaa dire che,com’Egli fu partilo dallorosguardo, os- sia,comehisciòdimirarle,volgendosi

un

pocoal- Faltro polo,cioè al polo Artico, là onde il can'o giàera sparito, valeadire,ove già più nonve- deasil’Orsamaggiorechiamatail Carro diBoote, videpressodisèunvecchiodivenerabilissimoaspetto;

chè questo vuol Dantesignificarecon quellabellis- simaterzina:

«Vidipressodimeunvoglio solo Degnoditantareverenzainvista, Cliopiùnon deeapadrealcun figliuolo.»

Vedeteenergiadifrase! vedete poetica lingua!

vedeteoriginalitàDantesca!Chi avrebbe saputo più superlativamente edenergicamente esprimerelave- nerabilità dell’aspetto diunvecchio?Sonoquestive- ramentetrattidamaestro!

E

permostrarelecagioni che quelvegliorendeano venerando,ciquiconpo- che

ma

risentite tintecelodipingefacendone una sommariaprosopografia:

«Lungalabarbaodipoibiancomista Portavaa’suoicalglisomigliante, De'quaicadevaal|>ettodoppialista.»

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Voletevoi epitetipiùmisurati

;locuzionepiù viva;

parole più conte?

Non

vedetevoiquesto vecchione conlasua barbanonrapata,che pocoalloraavrebbe avutodimaestà;nontuttanera, chéavrebbeman- cato di venerabilità;

ma

lunga,

ma

mistadi pel bianco?

la dice grigia,a non offuscarelapurani- tidezza de’bianchipeli,che erano i più di quella maestosa barbaallaquale facea maravigliosoaccordo lalunga chioma, cheinduepartita, lucida e netta eadeaglidisopraalpetto.

già crediate che ciò sia tuttoclicrendessequell’aspetto tantovenerando;

che aciòconcorrevanoiraggidellequattro stelle, lequaliriflettendosu quella onesta faccialafregia- vanoditantolumech’ellapareaunsole:

*Liraggidellequattrolucisante Fregiava!!silasuafacciadilume Ch'io'1vede»come‘1solfossodamate.» Ilquale ultimo versoilBiagiolieilLombardiin- terpretanopiùletteralmente,

ma

conminor bellezza deltesto, «comeseilsole gli fosse stalodatanti.» Se nonche dovettealcertoDantesbigottirsi all’udire lavocediCatone,ilquale,guardianofedele diquei luoghi,alvederefarsiinnanzianime noncertoper quellidestinate,fattosituttofuococontr’esse,grida findalontano,dimandandochisono,econ che ar- dire,fuggital’eternaprigione, fosseroquavenute.

Tanto più che in ciò dire,movendoilvolto ela barbaripercossi,com’è giàdetto, dairaggidellequat- trostelle,parea che fulminassero. Bellissimaimma- ginedell’austeritàdell’integerrimoCatone,che, saldo allalegge,nonsilasciapor cosadelmondo smuo- ver daquella:

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Chisietevoi.diecontroilciecofiume

Fuggitoavetelaprigioneeterna?

Diss’oi,movendoquelleonestepiume.» Ilquale,pensato pure,chedasesolique’spiriti nonavrebbero potuto compiere operaditantoardire;

nèd’altrapartesofferendolasuamagnanimabile, ancor troppo accesaalvederleleggi violate,d’udire larisposta diquelli;sèguitaancoradimandandoche glipalesino chi sia stato l’ardito,cheloroabbiafatto diguida ed insegnatala strada,inquellaguisache additala lalucerna; dacché senz’esso si sarebbero confusifraletenebre eternedell’abisso:

«Chiv’ha guiditi?ochivifuIncorna Uscendofuor dellaprofondanotte.

Che sempre nerafalavalleinforna?»

IntantonascedubbioaCatone cheleleggi d’a- bissosieno infrante;echeilcielo,chepur esser do- vrebbene’suoi decreti inalterabile, abbia diversa- mente sancito, cangiando l’antiche norme; dap- poichégenteprescita venivaalle grotte di quelli spiriti, che sperati di venire quandochésia alle bealegenti.

«Sonleleggid’abisso cosirotte,

Oèmutatoincielnuovoconsiglio.

Chedannativeniteallemiegrotte?»

Ma

primad’andare innanzi,èd’uoporilevarela bella gradazione d’interrogazioni, con che Catone sfogalasua onestabileperl’infraziondelle leggi.

Dapprima, com’è naturalediehivedevenirnuova gente,domandachisieno: «Chisietevoi? »;esa- pendo benissimo Catoneche,per colà venire, do- veano averessiguadatoilcieco fanne,valeadire,

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lanegra palude d’Acheronte, epperò essere assai ardimentosi,soggiunge:

4 che controalciecofiume Fuggito avetelaprigionoeterna?

E

dicendociòconforza,

ma

insieme con posa- tezza, era per questoassai rilevanteilmoversit<ie faceanoleonesteinume,ossia la barba,checolla sua lunghezzaenitore,rendeano specchiodella se- vera dignitàdiCatone.Ilqualenonpotendosi per- suadere chequellidipersè, senzache alcuno li

avesseguidati,fosserocolà venuti; e desiderando dipunireinsiemconessichifuloroguida,ne fa ricerca,dicendo:«Chi v'ha guidati

ì

»Chegiàei ben s’avvisava dovesse essere assai espertodique' luoghid'ogni lucemuticolui,ilquale avesse po- tutocompiere le parti della lucerna,epperò sog- giunge:

4 ochivifulucerna

Vscendofuor dellaprofondanotte.

Che sempre nerafalavalleinferna?>

E

quasiindispettito diquellorofranco procedere, chedavaavederech’essifacesseroa fidanzacon lui;nèvedendocome, e con che diritto lo potes- serofare;sèguitadimandando,seleleggi d’abisso sienostateinfrante,oseilcieloabbiamutato con- sigliodiriceverea penitenza ancoidannati:

4Sonleleggid’abisso cosìrotte,

Oèmutatoincielnuovoconsiglio.

Chedannati venite allemiogrotte?

E

quilapassione,chequanto è piùforte,tanto è più breve,nonpermetteaCatonediproseguirepiù innanzi,tantopiùcheVirgilio, accortosi delsuo su-

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bifosdegno,colla prontezza delfulmine,cercando d’abbonacciarlaprocella,gliavea dinanzifattoin- ginocchiarDante,ilquale,mezzotrapaurosoeri- verente,fattoalpetto dellemani croce, stavasene gliocchibassie china la testa.

Ma

sentite come Dantecidipingequest’attoassaimeglio d’un Raf- faello:

«l.oducarnioaliormidièdipiglio, Kconparole,econmani,econ cenni Reverentimifu'legambee'1ciglio.»

VenganooraidetrattoridiDantecolleloro let- tereVirgilianeadirci,che in tuttoilpoemasono pochi,pochissimigliottimi terzetti!

X

'abbiamollnora inbrevissimotrattotrovatiparecchida non temere

lafrustadegliaristarchi,nèilcrogiuolode’critici, lilquestoterzetto vi è la solitaoriginale espressione Dantesca;nèsòdavverochialtriavesse meglioe con più nettafrase potuto porci sott’occhiol’atto repentino insiemeeaffannatodiVirgilioper accen- nare a Dante che piegasse le ginocchiaeil capo, afinedicalmareinqualche

modo

coll’esterneap- parenzedisommissione l’iradi quell’austero,che ancoranon davacopiaalparlare.

Ma

quandovide porgimiildestrodipotere in- trodurreildiscorso,non pose teiiqlo in mezzo, e cosicominciò:Scusami, Catone,s’ioebbiardiredi porrepiedene’tuoiregni;

ma

sappi «Ch'ioda

me

nonvenni, »cioèsappichelamiavenutanon fu di mio purotalento:

«Donnascoso daloiol.porlicuipreghi Dollamia compagniacostilisovvenni.»

Vedeteartifiziodi eloquenza! Catone,laprima

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21

rosa,domanda«Chisietevoi ì»

Ma

Virgilio,corno jtotearisponderea questa interrogazione, senzacal- mare dapprimainqualche

modo

losdegnodilui?

SeVirgilio avessedetto: Signore,questi ò Dante personaancor viva;iosonoVirgilio:avrebbeforse accesa vieppiùlasua santabile,egliavrebbefatto replicare:

ma

dunque, infelici'!comeosasteprofa- nare cotestiluoghi? Ritorna,ritorna, o mortale, lassù nelmondo;etuvannea bereleondediCu-

cito.

Ma

Virgilioinnanzidispiegare

«Hi loro comiizion, eoiu'ulla è vera.»

dopodettoche dasénon venne;soggiunge:

Una

donna(ilche

commuove

assai più che se avesse dettounangelo) scese dicielo(e qui Catone do- vetteforseaggrottare ed inarcareleciglia),perlo cui preghiere io finalmente m’indussi a farla da compagnoeguida acostui,accennandoDanteelio tuttorastavaginocchioni.Bellissimoquadro!Catone che austeroinvistadivideglisguardifraVirgilio eDante:Virgilioche con lasinistra al petto ac- cennaconladrittaDanto;ilquale allasua volta staginocchionisenza ardiredipur levaregliocchi.

InCatonepoibellissimocontrastod’affetti.Ei dovette purdire fra sé:

#setantocalsca unadonnaceleste di costui,chelastrinseacalare di cielo negli abissi;

nò basta;

ma

a spendere lunghe ereiterate pre- ghiere per ismuovere quell'ombra a sovvenirlodella sua compagnia,debbepur essereglipersonad'alto affare.

E

ilpensareallasua grandezza,eilveder- iosicosi umiliatoa’suoi piedi,non dovetteeglimuo- vere quell’animo, cnmechòchiamato da Orazio

,

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atroce« Atrocem

animum

Calcinisi»

E

cosifu.

E

bendiquestoaccortosi Virgilio,nonallunga parole discusa;

ma

incomincia a rispondere per Alo alle interrogazioni di Catone.

E

seguitando, glidice:

Ma, dacchéétuovolere,cioè,dacchétuvuoi,che piùsispieghi

«Dinostra condizion.coni'ellaèvera,»

ossia,chenoitidiciamochisiamoveramente;non può esserech’ionontene compiaccia:

«Esser non puoto'1mioch'a tesinicglii.*

Osservate energia,elaconica novità di espres- sione! Ordunque,

«Questinonvidemail'ultimasera;»

modo veramentepoeticoper dire: Questi èarcar

vitto.Inaltrimoltissimimodiespresse Dante questo stessopensiero,e notevole, fragli altri,èpurquello:

«Emangia,obee,odorme,ovestopanni:»

ma

sappich’eivivea miracolo:

*Clièperlasua(bilialefusipresso,*

cioè,fucosivicinoa vederel'ultimasei'aossia,la morte,che,bastavaun momento,e piùnonsarebbe stato;e questovuoldireilverso:

«Che molto poco tempoavolger era.»

Ma, che vuoleglisignificare con ciò Virgilioì Diqualfolliaparla?V’hafragliespositori,chise ne passa senzadircelo;e sonodiquelli,che spie- ganolecosechiare,elasciano nel lorobujoleoscure:

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v'hachi,non attenendosi chealsensoinorale,spiega questaterzina con dire;che Dante, comequegli cheavea la testa d'ervor piena, fosse vicino a perdere l’eternasalute,se,rientrato in se stesso colla considerazione dellepeneriservate nell’ altra vitaa’malvagi,nonavessefatto senno unavolta.

Ma

perchèvorremofareilpoveroDantesiempio,e alpuntodidisperaresalvezza,senzaunattomira- colosodellagrazia?Perchènon vorremoanzipren- derelapiù ovvia interpretazionee la più letterale? Chi per pococonsiderilevicendedella vitadiDante, non può nonvedere,amiocredere,ilsensodique- steparole.Dante,finoall’età di trentaquattr’anni, visse,senonbeato, alcertonontonto infelice,che lacostanza dell’animo suo dovesse punto alterarsi.

Ma

nel trentacinquesimo anno eletto a Priore cd accettatalacarica,nonebbe più pace;finchénel- l’anno1302,mentretrovavasiin

Roma

come am- basciadore presso il pontefice Bonifacio Vili,per piegarlo cd indurlo a consigli di moderazione e dipace,nulla di sètemendo,glisiordironoinFi- renzeinsidiosetrame.

E

(siccomenarraunoscrit- toredellasuavita)nonancoraerasi egli partito di colàcheilpopolazzo Fiorentinoglicorseacasa,e diedeilguastoallerobe sue;eCantede’Gabrielli d’Agobbio,

uomo

crudeledi parte Guelfa,fattoal- loraPodestàdiFirenze,locitò;e,incontumacia, locondannòallamultodilireottomilaeadueanni d’esilio.

contentodiciò,d’india pochi mesi, con un’altrasentenza crudelissima,condannòDante con altriquattordici Fiorentini,venendoeglinoallemani delComune,ad esserebruciati vivi.-Ilveniredun-

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<|ueilaDanteaerettalalacarica diPriore;più. Tes- sersiassuntol’impegnodifarbeneallasua ingrata patria in quell’ultima ambasceria,senza punto av- vedersidell’insidiecheglieranotese,fu lasolenne, solennissimafolliadaessoper toccadi Virgilio in- dicata inquestaterzina;follia, che l’avrebbeinfatti condottoin toccaallamorte,senonglifossegiunta innanzinotizia delsuo pericolo;e dietro a questo non avesse intrapreso l’allegorico viaggio dei tre regni,collascortadiVirgilio;elio équantodire, non avesse cominciatoilpellegrinaggiodelsuoesilio colconforto DELLAPOESIA.

Ma

seguitiamo:

«Siconnodissi,fuimandato ad osso Porluicampare,cnonc'ora altravia.

Clioquesta,perlaqualeiomi son mosso.»

Gli espositori delsensomorale seguitano adire:

Non

c’ò altraviadisalvazionea chi uscìfilmdelia verace strada,clicilpensareseriamenteleverità eterne,lo, prendendo il senso letterale, continuo dicendo;Che a campareDante dalla morte, non c’era altraviache quelladell’esilio,porlaqualeil

poetasi era giàmesso.

Ma

inquesta dolorosavia, lasciatechelafervida biledel fiero Ghibellino si sfoghicontroa’suoi sconoscenti cittadini,e vili a indegninemici;lasciatechelasuaMusagli notia ditotuttalagenteria,che impastatane’vizi,e briaca delsanguedegliodicivili,portalatroppo benme- ritatapenadelleproprieribalderie,epagainsieme

ilfio dell’ipocrisiae del tradimento. Però Dante nonéancorafuor disperanzadi rimpatriare una volta:crede chelaveritàabbia finalmente atrion- fare: e ammette ne’suoi concittadiniun. benché

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tarilo,ravvedimento.

Ed

ecco perchè Virgilio,clic tutteindovinalevoglie delnostro Poeta,dopo aver mostrataluituttalagenteria,dicea Catone, che ora intendemostrarquelli spiriti,chepurgan sé sottolasuabalìa,ossia sottola sua autorità.

Ma

comepotrebbe Virgilioridireper quantiperiglinel suo dolorosoesiliopassato,daquanteprocelle sbat- tuto abbiatino colà condottoFaffidatoglieroe?

E

però segue: Impossìbile,nonché lunga cosa, saria a dirti coni' io rito tratto; Inastiti intendere, che senza divina scortanonte l'avreipotutoquamenare

a

vederlie

ad

udirti:

<ConnoJ’hotrattosarialungo adirti.

Dall'altoscendovirtùeliom'njuta Conducerlo avederti eaudirti.»

Ma,dacchégliévenuto,fach’eglisia il bene arrivato;esappi,per tuanorma,ch’egli

«Libertàvacorcando, clfèsicara Comosa chiperleivitarifiuta.»

« Veralibertà,dice ilMartini,nonpuò averla cheilgiusto.Ilpeccatoreé schiavo.Quandosipento vacercandolibertà.»

Ma

pigliandoilsensoletterale, erapur vero che Danteandavaintraccia di libertà;

diquellalibertàche, comediceun non menodotto che a

me

caroscrittore,avendo suavita nel vero esuoterminenel bene,rivendicasselapatriasua dallapressionetirannica;ridonandoad essal’antico amoredelgiustoolaesattaconoscenzadelvero;

aluigliantichidiritti,de’qualiunaingiustacon- danna, onde era stato vittima innocente, avealo spogliato.Questa ideadi libertàera quella chetutto inebriavaeportavafuoridiséquel divino spirilo

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(liDante: questa eral’oggettode’suoi eterni sospiri;

questalosco[»odituttequantelesueoperazioni,e dituttiquantiisuoi consigli.Pertanto,dice Virgilio clicDantevaintraccia dilibertà, a conservare od ottenerelaquale,pare ancorpocoilsacritìciodella vita.

E

qui,peraccattivarsiancor meglio l’animodi Catone,prosegue:e,se ciò siavero,

«Tu'1saielionontifu)ierleiamara InUticalamorto,ovolasciasti Lavastoelioalgransaràchiara.»

Eratantol’amorediDante per questa libertà, chequisilasciacometraportare,asserendoenfàtica- menteperboccadiVirgilio,che Catone,uccisosiper affrancarsi dallaCesarea tirannide(che tanto signifi- canoleparole:nontifuperlei

amara

inUticala morte)avrà la sua veste,ossia la corporeasua salma,algrandi,cioè, al didell’universale giudizio, assaichiara

,ossia,risplendentissimadi gloria.Ne’

quali detti èmaravigliosamentedipinto l’eccesso della passione, enongiàfattal’apologiàdel suicidio,come talunimalamenteinterpretarono.

Ma

Catoneaveapur chiesto,seleleggid’abissofossero rotteoavesseil cielocangiatodiconsiglio.

E

peròVirgiliorisponde:

chegliedittieterninoneran guastiperloro,ossia, perlalorovenutacolà;ene adduce a motivol’essere Dante ancorvivo,edegli fuori della balia diMinosse:

«Nousongliedittieternipernoiguasti, Chequestivive eMinosmenonlega.» Anzi(equinotascaltrezza di oratore, che,ad ottenerel’intento,saall’uopotastarelamolladegli affetti)sappich’iosonodelcerchioove songlioc- chicastidellatua Marzia:

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«Manondel cerchio,ove songliocchicasti

Di Marziatua *

PoveraMarzia!Bastaguardarneilsoloatteggia- mentoperconoscerneipalpitidelcuore,iqualitutti sonoancora ateconsacrati;nèaltroparchecerchi, nè preghi,senonchetulatenga pertua, e tale laconsideriancora:

« che’nvistaancortiprega Osantopettoeho pertua la togni.» Però, quand’altrononti

muova

a nostro riguardo, muovatil’amor suo:lasciaci andare per li sette regnidiquelleanime,

«Cliopurgalisotto latuabalia.»

E

siicerto chedisibelfavoretisaprò gradoegra- ziaa segnodaportare alei,quandoritornerò,unvivo salutodatuaparte,facendodi telepiùbelle Iodi;se purenonisdegnicheinquel bassoluogo d’anime non perdute,nèsalve,sifaccia dite,osantopetto,men- zione.Vedetemagnifica perorazione cheèquesta!

SebbeneinquestodiscorsoiliVirgilioveggoanzitutte lepartid’unacompleta orazione.Leggiamoloadisteso:

«Posciarisi>ostìlui:damenon venni;

Donnasceso dalcicl,perlicuipreghi Dellamia compagniacostuisovvenni.

Ma, dacchéètuo volerchepiùsispieghi Dinostra condizion, coni ella è vera.

Esser non puote’1mioeli'atesinieghi.»

Etleccol’esordiocontuttee trelesuedoti.Pro-

-cucciaVattenzionecolleparole:da

me

non tenni (eper ordinedichi?):Donnascesedaldel(e chi mail)per li cuiprieghi (una donna celeste ohe pregat).Neldiesi fastradapurealla docilità, cioè

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aldisporrein modoglianimida lasciarsi persua- dere.Laqualedocilitàaccrescecolsoggiungere:

Ma

dacchéètuovolerechepiusi spieghi di nostra condizione.Finalmentesiacquistabenevolenzacol promettere cheegliparleràilvero:Dinostra con- dizion confettaèvera,e colmostrarsigentile:esser nonpuote’lmiocheatesinieghi.Seguitiamo:

«Questinonridomail'ultimasera, Maperlasuafollialefusipresso, Che molto poco temi» a volgerera.

Sironfiodissi,fuimandato adesso Perluicampare; o non ceraaltravia, Che questa perlaquale iomi son messo.

Mostrataholuitutta lagenteria, Kd orointendomostrarquellispirti Chepurgalisotto latuabalia.»

Fin quilanarrazioneconlorichiestedotidella verità,dellabrevitàe della chiarezza. Poisegue:

«Com'iol'hotrattosarialungo adirti;

Dall'altoscendovirtùchem’ajuta Conducerloa vederti e audirti.

Ortipiacciagradirlasua venuta:

Libertàvacercando, ch'ècara, Comesa chiperleivita rifiuta.

Tu’lsaichenontifuperleiamara InL’ticalamorte,ovelasciasti Lavesto ch’aigransaràchiara.

Nonsongliodittieternipernoiguasti, Chequestivive,eMinosmenonlega;

Masondelcerchio,ove songliocchi casti DiMarziatua,cho'nvistaancortiprega,

0santo petto,cho portua la tegni.

Perlosuoamore adunque anoitipiega;

Lasciane andar perlituo’sottoregni:

(ìrazierijxirteròditealei, Sed'essermentovatolaggiù degni.»

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il»

Edeccola perorazioneanimata dalla mozione dogliaffetti,eeonchinsa conunapatetica ecom- moventepreghiera motivata da una prolessi,che serve insiemedi rispostaadunadelledimande di Catone. Ortipiaccia gradirlasua venuta;eper- chè?Perchèlibertàvacercando.

E

tuche per essa ti sobbarcasti volentieri alla morte,sai quantoè cara;nè vorrai perciò impedirnealtrui l’acquisto.

miobbiettare chetu,rigidoesecutoredelle leggi, nontilasceraiindurregiammaidaqualsiasiargo- mento adinfrangerle,chègliedittieterninonson pei'noi guasti;

ma

questivive,eMinos

me

non lega;cioèMinosse giudicedell’infernonon mi dannò anessun grado o cerchiodi esso.(Vedi lo stesso DantealCanto V.dell’Inf.vers.G1112).Senonche Virgilioparlavaa Catone, cheèquantodire,atale, chenonpoteadi leggieri venir preso alle arti dell’Eloquenza.Ilquale,avvedutosichesi cercava piegarlopiùperforza d’affettoche d’argomenti,si fa cosipianamentea rispondere, senzamostrarsi puntocommossoe quasi crollandoilcapo:

«Marzia!...Piacquetantoapriiocchimiei, Mentrech’iofuilà,dissegliallora.

Che quantegrazie volledame,fei.

Or chedidalmal fiumo dimora, Piùmuover non mipuò,perquellalegge Chefattafuquand'iomen’usciifuora.>

Checuore,poveroVirgilio!Egliavea dovuto ben darsia credereunacompletavittoriasull’animodi Catone, facendo atal uopo giuocare la molla del suoben notoamoreper Marzia.

Ma

come si sarà rimaso,quandointesedaluirispondersiche Marzia,

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laquale tantopiacqueagliocchisuoi,mentreche fu dilà,cioè,mentrevisse,performachelefece (piantebuonegrazie potèella mai desiderare, or che dilà,dal mal freme, ossia, di là dall’Ache- rontedimorava,nonlopoteva più muovere’a far nulla perlei?

E

molto piùudendoneilgiustomo- tivo

, qual’era lalegge stabilita dal Cielo (con- forme a quel detto del Vangelo«Inter nos et vos,maonum Cahos firmatumest»),quand'eglise uscì fuora,ossia,quand’eglidisua

mano

sprigionò dalsuo corpolospiritobramosodilibertà.

PureCatone, che era andato tacitamente rumi- nandotutteleparoledi Virgilio,senza lasciarsene alcunasfuggire,seguitò:

«Masodonnadotcieltimuovoerogge, Comotudi'nonc’èniestierlusinga.»

Ossia,seèvero, cometu dici,che una donna scesadicielotifé’intraprendere questo viaggio

«(Donnascoso dalciel,porlicuipregili.

Dellamia comjiagniacostuisovvenni);»

eseèpur vero che questadonnaliregga,ossia, tiguidi,t’ajuti

«(Dall'altoscendevirtùchem'ajuta);»

achemistaiorasolleticando collelusinghe,ossia, con unmistodiesagerate lodi edi preghiere,di ossequii,e ditenerezze?Credituforse che ancor quaggiù,siccomelassù nelmondo,valganoigrat- fa-orecchielemelate parole ad ottenerequalsiasi piùdifficileintento?Bentu t’inganni: chè,dove tace l’affetto,severa e freddadominalaragione.Epperó è assai,chetu michieggo l’entratanel mio set-

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_

;ìJ

templice regno (ossiapeisottocerchi ilei Purga- torio)a

nome

ilicelestedonna, icuidesideri del»- l>ono per

me

essere comandi.

Va

dunque; anzi, andateambedue:

ma

tu avvertidi ricingerelaco- stuifrontediungiuncoschietto (cheè quantodire, diungiunco senzafoglie,cnonsenzanodi,come espongonoalcuni;dacchéigiunchi,se rarohanno lefoglie,nonhanno,ch’iomisappia,mainodi; se purenonsiscambi giunco con giunco);equestotu faraiinsegnodisincera umiltà. Gli laverai pure

ilviso,che moltomi sembrasudicioe tinto; ebada chesiabennetto,chemalsiconverrebbe presen- tarsicolvolto nebulato dellapiù piccola macchia avantialprimocustode cheincontrerai,ch'èdiquei diParadiso,ossia,che èunangelo.Ilqual discorso diCatone potrebbeinterpretarsi cosi:Finqui,o Vir- gilio,iltuoDantesiétrovatonelfinferno(aFirenze) traimalvagiconcittadini, mettitori dimale.artie di scandali; e però,cedendoallanaturadiAdamo,si èlasciato trasportare da sdegno,comechè giusto, eccessivo,alimentandoforsesegreti odii erancori controisuoi cordialinemici.

Ma

ora bisognabene che svesta Fanticoscoglio,che dimentichi le pas- saterivalità,chedepongaognisinistraprevenzione, efacciasischiettoe purocome unfanciullo;perché l'occhio soi'pn'so(Falcunanebbia,ossia,l'intelletto offuscatodi qualsiasipassione(che nebbie perlo appuntosisoglionoda’ loroeffetti chiamarle pas- sioni)malgiudicherebbedicoloroda’qualisiattende alcun beneoravvedimento: chéil maledileggeri siavvisa;

ma

ilbene olebuoneintenzionisiascon- dono. Leggiamo:

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«Vadunqui),«faeliocostuiricinga l)'ungiuncoschietto,e cheglilaviilviso.

Sì ch’ognisuciduine quindi stinga:

Che nonsiconverria, l'occhio sorpriso D'alcunanebbia,andardavanti alprimo Ministro, ch’è diquei diParadiso.»

Ma

quipotea dire Virgilio:

E

dovetroverò io egiunchiedacquaafarequanto tudi’?

E

Catone, quantoprimaaustero,altrettantooracortese,pre- vienetaledimanda, e,presoVirgilioper inano,e accennatoaditountalluogo,guarda,glidico,

«Quest'isolottaintornoadimo adimo Laggiù,colà,dovelabattel'onda, Portado’giunchisovra'1mollelimo.»

Ohbellissima pittura!Ohevidenza maravigliosa!

Ohazionestupenda!

E

bene a ragione Dantevolle intitolatoil suo poema« Commedia»dacch’ella è invero unacontinua e viva azionedrammatica.

Ma

seguitiamo:

«Null'altrapiantachefacessefronda, 0indurasse, vipioteavervita.

Perocchéallepercossenonseconda.»

ossia non è arrendevole alle percosse dei flutti,

quando ilmareèunpo’grosso,e dital maniera

sischianta.Lungoil lidodelburrascosomaredella vita,chinonsi prestapieghevolecome ilgiunco, Uniscecomelaquercia.(Biagioli).Fattoche avrete quantovidissi,nonritornatequassù:

ma

ilsoleche ornai sorgesull’orizzonte, viadditeràcol suolume, qualsia lapiùlieve,ossia,lamenoripida salitadel monte. Cosìdetto,senza aspettare cheiduePoeti glirendessero graziedicotantasua umanità,sparì loro dagli occhi.Beldocumentoinvero,eche collima

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con quellodelvulgato adagio:

Fa

bene,e scoidatene.

Dante chetinoa quel punto erastatoginocchioni, silevòsu; ctuttoancoracompresodi soggezione etimorenonardisceproferirparola;

ma

solo,guar- dando ilsuoDucacon occhio che ben dicea: Si- gnormio, orem'haitumenatoi,sistringe a’panui di lui:

«Cosìsparì;al iosumilevai Senzaparlare,otuttomiritrassi AlDuca mio,efiliocchialuidrizzai.» Se poesiaèfìngereeritrarre lanatura,chinon giudicherà questa terzina perfettamente poeticaiAl- lora Virgilio,pertoglierea Dante ogni ragiondiso- spetto,gliprende a dire: Figliuol...

Ma

digrazia, guardatecomeconunasolaparolaDantesilàlare daVirgilioun’intieraorazione. Un’idea associatadi figliuoloò padre; di padre è amoree tenerezza pe’nati suoi;diamoreetenerezzaperiglinoli,è stu- diodel lorobene,della lorofelicità.

Ma

seDante a Virgilio era figliuolo; se Virgilio padre, non ha tòrse colla solaparola Figliuolo rassicuratoogniti-

moredilui, dileguatogli ogni sospetto?

E

queste nonsonbellezze?

E

nonèquestafilosofìadelpar- lare?Figliuolo,diceaDanteVirgilio,seguiimici passi.Mezzopiù efficacead eliminarlapaura nel cuorealtruiè farsivedereaffrontareilprimoipe- ricolosio dubbipassi;peròVirgilio, dopo detto a DanteFigliuolo,nonsegue già Vienne meco",

ma

bensì: vienmi appresso, che io, io stesso anderò innanzi, facendoti strada.Sev’haperiglioalcuno,il jiadremetteràlavita pelsuofigliuolo, e lui farà salvo. Volgiamociindietro",diqua[tanniche que-

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stapianura dichinia'suoitermini bassi;ossia,si

vadadolcementeabbassandoallariva delmare: se- guimi,enonperitarti.

Ed

ecco un’altra diquelle soliteterzine,che sonogemme, quint’essenza del gusto;ascoltatela:

«L'albavinceràl'oramattutina Chefufrgìn'nnanzi,sichedilontano Conobbiiltremolardellamarina.»

IlPoetaavea giàdetto tuttoil bello delcielo per l’estreme punte de’raggi solari che comincia- vanoa diradareilfoltodelletenebre notturne;ed orachel’albaaveavinto l’oramattutina (che èil

punto dell’aurorapiù vicino alla notte),sarebbeforse sembrata soverchialadescrizionediunnuovorider d’oriente. Però, com’era piùnaturale,guardando DanteYisoletta,laggiù colàdovela batteronda,

jKjtòdiscernerepelnascentesoleilvagotremolar dellamarina,ecavar quindiuna nuovaepellegrina bellezza. Vedetemaestroch’egli è Dante,e come sascegliere effettodaeffetto,aggiunto da aggiunto!

Chi èamantedel bellodellanaturanonavrà certo trasandatodi deliziarsinella vista del solnascente, quando, rifrangendoisuoi roridi raggi sulletre- moloondedelmareincalma, questo gareggiacolla vaghezzadel cieloin notteserena, imitando e vin- cendoilbalenardellestelle. Oh comesiespandeil

cuoreailunatalvista!

Come

si sublima il pen- siero!

Come

giganteggialaragione! Laqualetra- scendendoilimiti,chelehaimposto natura,esclama ammirata:OhDio! - Detto che ebbeVirgilioaDante cheloseguisse,si poseroentrambiper lo solingo piano,cioè,perlasolitariavia,comechiritorna in

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:r>

sullastradasmarrita, dovefinchénon giunge,gli

sembranopassigittati,estudiaperconseguenzail

cammino.

*Noi anilavam perlosolingo piano.

Com'uomchetorna alla .smarritastrada.

Choinfinoad essalipar' iròinvano.»

Danteèpienodisimilitudini tratte dallanatura, lequali,inciascunochebenleusa,dimostrano,al dirdei dotti,molta acutezza e feracitàd’ingegno.

Cosiandando,come furono a un luogo ombroso, oveperòlarugiada, sottraendosi ai raggi solari, resistepiùlungamenteallaforza di quelli, pugna col sole, epperó,pocosidirada, cioè poco si di- legua;Virgiliopose soavemente,ossia,leggermente lesuepalmesull’erbetta;

«Quandi»noifummodoveInrugiada Pugliacolsolo,opor essero in parte Oveadorezza,pocosidirada;

Ambolomaniinsull'erbettasparto Soavementeilmio maestroposo.»

E

Dante, accortosi di suarte, vale a dire,«li

quantoVirgiliointendevadi fare, glipresentòlesue guancelagrimose,cioè,dove erano scorseassai la- grime spremuteglidal fumo dell’inferno, e dalla compassionedique’ dannati(ossia daidolori dell’esilio edaamarerimembranze);epertalguisafunetto:

«Ond'iochefuiaccortodisu'arte, Porsi vèrluileguance lagrimose;

Quivimifecetutto discoverto Quelcolorchel'infernominascose.*

Intendi il naturale colore dell’animo di Dante,vólto egentilezza,a nobiltà,acaritàdipatria,

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adamoredibene, eclicF ingratitudinede’suoicon- cittadini e laperversitàdegliuominigli avevano

•adombrato, vuoicollelordeesalazionide’ loro mali costumi, vuoicollenebbiedellepassioniacceselinai- mentenelcuoredell’esuleinnocente.Dopociò,ven- neroin sullidodeserto,inquellidolecuiacquenon videromainavigar alcuno,chejtoifossopotutori- tornarvivo.Essendoquellalamarinaove approda- vanol’animodeitrapassatichesiandavano a far belle,ènaturaleche poscia nessunopiù sia ritornato almondo.Se pure per quella parola l'òm(chemale qui s’acconccrebbe a significare gli umanispiriti chedisgiuntidal corjio,nonpotino,senonimpro- priamente, chiamarsi uomini)nonsivogliaalludere adUlisse,cometengono alcunicommentatori,se- condolafinzione diDantedelnaufragio di Ulisse in queste medesimo acque (Canto

XXVI.

dell’In-

ferno);ciòch’iodubitoa credere: tenendo per più naturaleilmio primosupposto; tanto piùche qui leparole

Vom

che sembrami potersi pigliare pel sempliceChi:

*Venimmopoiinsullito«lisorto.

Cliemai nonvillenavipar suoacquo T’oin,olio«liritornarsiaposcia sporto.

Quivimicinse,sicomealtruipiacque »

ossia,comepiacquea Catoneclicne indettò Vir- gilio,cuivolendoDante imitareinquc’vcrsidelVI.

Libro dcll’Encidc(ovede’rami d'orodellaselvada offrireindonoa Proserpinadice:

« Primo

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visonondeficitalter Aitreus,etsimili fromlescitvirgometallo).p

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