A.E.
Astronomia Essenziale
Le magnitudini:
Il termine deriva dal latino magnitudo,inis (grandezza) ed è il modo con cui si misura la quantità di luce che ci giunge da un astro. Questa quantità dipende dalla luminosità (energia emessa per unita di tempo) dell'astro e dalla sua distanza. Il sole ci appare luminosissimo, mentre in realtà è una stella normale, soltanto perchè è estremamente vicino a noi. La stella più luminosa del cielo (dopo il Sole) è Sirio, ma ci sono moltissime stelle più luminose di Sirio che non ci appaiono tali perchè sono piu' lontane.
La luminosità apparente di un astro diminuisce secondo il quadrato della distanza ([1] e Fig.1).
L
4 d2=f
[1]
Fig. 1
f è detto flusso, perchè è un'energia per unità di tempo e superficie erg sec
−1cm
−2 .
In Fig. 1 la distanza (d) è indicata come
DL(distanza di luminosità).
La magnitudine apparente non è altro che un espressione in scala logaritmica del flusso scambiato di segno ([2]).
m=−2.5 log f cost [2]
Tanto piu' un astro ci appare luminoso tanto piu' piccolo sara' il valore della sua magnitudine apparente.
Perchè gli astronomi utilizzano le magnitudini ?
Ipparco di Nicea (190 120 a.C.) classificò tutte le stelle visibili ad occhio nudo utilizzando una scala che attribuiva alle più luminose la classe 1 e alle meno luminose la sesta. La classificazione di Ipparco si basava sulla risposta dell'occhio umano alla luce che segue una scala logaritmica . Nel 1856 Pogson formalizzò la classificazione di Ipparco con la relazione [2].
Dalla [2] discende che
m
1−m
2=−2.5 log f
1f
2[3] se abbiamo una sorgente luminosa di
magnitudine nota possiamo ricavare la magnitudine di una seconda sorgente misurando i flussi delle 2.
Inoltre dalla [3] vediamo che un rapporto di 100 nei flussi corrisponde ad una differenza di 5 magnitudini.Se inseriamo la [1] nella [3] otteniamo:
m
1−m
2=−2.5 log L
14 d
12L
24 d
22Pertanto se i due astri hanno la stessa distanza da [4] noi
m
1−m
2=−2.5 log L
1L
2[5]
Le magnitudini che sono legate al rapporto delle luminosità ([5]) e non a quello dei flussi (come nella [2]) sono le magnitudini assolute che si indicano con la lettera maiuscola (come nella [6])
M
1− M
2=−2.5 log L
1L
2[6]
Dal confronto fra la [5] e la [6] comprendiamo che quando due astri si trovano alla stessa distanza da noi allora la differenza di magnitudine apparente è uguale alla differenza di magnitudine assoluta.
Ma come definire la luminosità assoluta L ?
L è la luminosita' di una sorgente posta a 10 pc di distanza da noi. Per cui riprendendo la [4] e assumendo che la sorgente sia la stessa (stessa L) e cambi solo la distanza (in un
m−M =−2.5 log L 4 d
2L 4 10
2caso d nell'altro 10 pc), otteniamo la relazione ([7]) fra [7] magnitudine apparente , assoluta e distanza .
Dalla [7] si deriva facilmente l'espressione che viene detta modulo di distanza (mM) :
m− M=−5+ 5 log d
[8] da cui si vede che nota M e misurata m si può ricavare la distanza di un oggetto celeste.
Nella [8] la distanza è espressa in pc. è facile mostrare che il modulo di distanza per distanze espresse in Mpc vale m− M=25+ 5 log d [9] .
Parsec e Megaparsec :
Gli astronomi utilizzano il parsec 1 pc≃3×10
18cm. e il Megaparsec
1 Mpc=10
6pc≃3×10
24cm. come unità di misura delle distanze fra le stelle e fra le galassie. Esiste anche un'unità intermedia (il kiloparsec, kpc) che è appropriata per le dimensioni tipiche delle galassie (il diametro di una galassia “normale”, come la nostra misura 30 kpc).
La definizione di parsec discende da quella di parallasse trigonometrica.
La parallasse trigonometrica:
è l'angolo (p nella Fig. 2) sotto cui da una stella si vede il semiasse maggiore dell'orbita della Terra attorno al Sole. Per misurarlo si acqusiscono due immagini della stella a 6
Fig. 2
mesi di distanza fra loro e si confronta la posizione della stella sulle due immagini in rapporto alle stelle “fisse” (stelle molto più lontane che ci appaiono ferme). L'angolo
1di cui si è spostata la stella diviso per due è la parallasse p.
Dalla Fig. 2 vediamo che 1 AU
d =sin p e nell' approssimazione dei piccoli angoli
sin p≃ ppertanto 1 AU
d = p [9] .
Dalla [9] risulta evidente che non potremo esprimere p in secondi di arco ma in radianti.
Se la nostra misura di p è in secondi dovremo dividerla per 206265
2ossia per il numero di secondi che sono in un radiante.
Dalla [9] otteniamo d=206265 AU
p [10] da cui si evince che una parallasse di 1”
corrisponde ad una distanza pari a 206265 AU .
La AU (Astronomical Unit, UA in italiano) vale 149 597 870.7 km, 206265 AU corrispondono quindi a
3.08×1012km, questa lunghezza è il parsec .
Il parsec è quindi la distanza alla quale il semiasse maggiore dell'orbita terrestre sottende un angolo di 1”.
Non ci sono stelle che abbiano parallasse maggiore o uguale a 1”. La piu' vicina a noi (Proxima Centauri) ha p = 0.768” e di conseguenza una distanza pari a 1.3 pc.
I colori delle stelle :
Ad un osservatore attento del cielo non sfugge che esistono stelle azzurre (per esempio la già citata Sirio) e rosse (per esempio Antares nello Scorpione o Betelgeuse in Orione).
Il colore delle stelle dipende dalla loro temperatura superficiale, le stelle più calde sono azzurre le più fredde rosse (vedi Fig. 3). L' 'emissione delle stelle è abbastanza ben assimilabile a quella di corpo nero e quindi misurare il colore di una stella equivale a
1 Ci si può chiedere come sia possibile misurare un angolo su un'immagine. Le immagini astronomiche sono dotate di scala ossia di una corrispondenza fra angoli e misura lineare
sull'immagine. Per esempio 10' ' mm−1 che signfica che ad un millimetro dell'immagine corrisponde una separazione angolare di 10 secondi di grado.
2
Tale numero risulta dalla proporzione 2: 360×3600=1 : x da cuix =360×3600
2π =206264.81≃206265
determinarne la temperatura superficiale.
La Fig. 4 mostra molto approssimativamente e non in scala (sopra a ciascuna stella) la curva corrispondente all''emissione di corpo nero. La regione ottica dello spettro
Fig. 3
Fig. 4
elettromagnetico e rappresentata dal piccolo arcobaleno. Misurare la quantità di luce emessa da una stella nel blu nel giallo e nel rosso equivale a ricostruire la
corrispondente emissione di corpo nero e di conseguenza derivarne la temperatura superficiale.
Per cui anche se abbiamo finora parlato genericamente di magnitudine, in realtà le magnitudini (apparenti e assolute ed anche i flussi e le luminosità ) si riferiscono sempre ad un determinato colore. Questo significa che non avrei dovuto scrivere genericamente m ma m
B mVm
Recc.
Il pedice indica la banda fotometrica entro cui si effettua la misura.
Il sistema fotometrico più noto ed utilizzato è l' UBV di Johnson e Morgan
(1953, ApJ 117, 313) esteso in seguito anche all R e I (Johnson, 1966 , ARAA 4, 193).
Una discussione dei sistemi fotometrici esula dallo scopo di queste note e comunque richiederebbe diverse pagine. Per rimanere all'essenziale : i sitemi fotometrici sono definiti dalla descrizione del sistema usato (telescopio, filtri, rivelatore e anche luogo di osservazione) e da un insieme di stelle standard che servono per “agganciare” le magnitudini strumentali a quelle vere.
Errori sulla misura delle magnitudini:
Le fonti di errore sono innumerevoli noi abbiamo trattato solo quella legata alla misura in senso stretto ossia alla capacita' di “sommare” il contributo di ciascun pixel dell'immagine su cui “è caduta” la luce della stella e sottrarre adeguatamente il contributo del cielo.
La Fig. 5 mostra la procedura che si segue per misurare le magnitudini quando il campo non è troppo denso di stelle (come nel caso di Fig. 6 che rappresenta un ammasso globulare). La procedura illustrata in Fig. 5 prende il nome di magnitudine di apertura: si
“sommano” i contributi di tutti i punti contenuti all'interno del primo cerchio (Signal
Fig. 5
Fig. 6
Circle), poi quelli all'interno del Reference Annulus. Da questi ultimi si deriva il valore medio del fondo cielo che andrà sottratto ad ogni singolo punto del Signal Circle. Il motivo di questa sottrazione è semplice: devo ottenere la misura del flusso che arriva dalla stella e che è “contaminato” dalla presenza del segnale che proviene dal fondo del cielo. Il Gap mi serve per escludere una zona in cui il segnale del cielo potrebbe essere contaminato da quello della stella. La dimensione del Signal Circle deve essere tale da comprendere completamente quella della stella.
Se il campo è troppo denso di stelle (Fig. 6) non è possibile fare magnitudine di apertura (ci sarebbero sempre delle stelle nel Reference Annulus) e si deve “fittare” il profilo di luminosità della stella con una curva (una specie di gaussiana) o più curve (se le stelle sono molto vicine fra loro si deve fittare una curva multipla a più componenti) e a ricavare il flusso facendo l'integrale dell'area sotto la curva.
Fig. 7
La Fig. 7 mostra mezzo profilo radiale di una stella (i punti) e il fit di una specie
3di mezza gaussiana ad esso.
Sull'asse x è la distanza in pixel dal centro della stella, sull'asse y l'intensità luminosa corrispondente.
Dalla Fig. 7 si vede che se si volesse fare magnitudine di apertura su questa stella si dovrebbe utilizzare un Signal Circle di raggio pari a 7.
Per determinare il valore del cielo di Fig. 6 si dovrà campionare l'immagine in diversi punti (privi di stelle) o fare l'istogramma della distribuzione delle intensità luminose e prenderne la moda
43
la curva che si chiama PSF Point Spread Function è una gaussiana con le ali un pò più alte.4 anche nella Fig. 6 c'è piu' cielo che stelle e quindi la moda rappresenta il valore “medio”del cielo.
Le relazioni di scala delle galassie:
Sono relazioni che legano quantità la cui misura dipende dalla distanza con quantità la cui misura non dipende dalla distanza. È evidente l'importanza di tali relazioni: una volta che siano state stabilite con buona accuratezza permettono di ricavare direttamente la distanza.
La prima relazione di scala fu trovata da Faber & Jackson nel 1976 (ApJ 204, 668) sotto forma di una legge di potenza che legava la luminosità in banda B delle galassie ellittiche alla loro dispersione di velocità interna . L
B∝
04[11] .
La misura di
LBdipende dalla distanza (cfr. [1]) quella di
0no. Per ricavare la relazione Faber e Jackson si servirono di una ventina di ellittiche di cui avevano determinato la luminosità con altri metodi.
L'anno successivo Tully & Fisher (A&A 54, 661) trovarono una relazione simile fra la Magnitudine assoluta fotografica (simile alla M
B) e la larghezza della riga a 21 cm dell'idrogeno neutro delle galassie a spirali.
Dieci anni dopo due gruppi di ricercatori (Dressler et al. 1987 ApJ 313, 42 ; Djorgovsky &
Davis 1987, ApJ 313, 5) trovarono indipendentemente una relazione di scala piu' generale per le galassie ellittiche fra 3 quantita' :
e, Ree
0. La relazione è detta piano fondamentale (FP) poichè le ellittiche si distribuiscono lungo un piano in uno spazio definito da
e, log R
ee
0. ( R
eè il raggio efficace ossia la distanza dal centro entro cui è contenuta meta' della luce totale emessa dalla galassia,
eè la brillanza
5entro R
e). Anche nel caso del FP la brillanza è riferita ad una banda specifica (B all'origine ma in seguito il FP è stato studiato anche in altre bande.
La misura di
0si ottiene attraverso l'allargamento delle righe di assorbimento presenti nello spettro delle galassie ellittiche.
Fig. 8
Fig. 9
5 La brillanza è una misura logaritimica del flusso emesso per unita' di superficie