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NELLA DISTORSIONE DEL RACHIDE CERVICALE LA DIAGNOSI INIZIALE CONDIZIONA TUTTO L’ITER SUCCESSIVO

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DE MINIMIS CURAT PRAETOR Ed. Acomep, 1999

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NELLA DISTORSIONE DEL RACHIDE CERVICALE LA DIAGNOSI INIZIALE CONDIZIONA TUTTO L’ITER SUCCESSIVO

Prof. Antonio Farneti*

Questa breve introduzione trae spunto da uno degli ultimi scritti, dall’amico, prematuramente scomparso, avv. Gennaro Giannini: a commento di tre sentenze di taglio diverso su questo tema scritto “le micropermanenti sono come le zanzare: refrattarie a qualsiasi prevenzione” (Resp. Civ.

Prev. 63: 162-164, 1998).

In effetti, da oltre venti anni gli operatori medico legali s’interrogano sulla consistenza biologica, sulla fondatezza scientifica delle cosiddette micropermanenti, come tali intendendo così, almeno dovrebbe essere, modesti esiti di altrettanto lievi lesioni destinate a durare nel tempo, tali cioè da comportare un pregiudizio ancorché minimo alla cenestesi del soggetto per tutta la vita o per lo meno per un lungo periodo.

Fin dagli anni ’70, dal convegno di Abano terme, ci siamo confrontati su questo tema ed ancora oggi lo si affronta nel tentativo, forse vano, di porre dei paletti, di conferirgli una veste scientifica e non secondariamente, pressati dalle lagnanze delle compagnie assicurative, di contenerlo.

Si tratta di un fenomeno peraltro difficilmente arginabile perché sottende notevoli e diversificati interessi economici ed è un po’ connaturato all’endonismo della società in cui viviamo.

E’ inutile elencare tutti i motivi che hanno condotto all’attuale situazione, due però sono prevalenti e vanno ricordati: la diffusa consapevolezza, nel leso, di poter ottenere anche cifre modeste a fronte di lesioni lievi e che un tempo non inducevano a recarsi né ad un pronto soccorso né tanto meno dal medico legale; in secondo luogo l’enorme mole di lavoro professionale che in questi anni ha coinvolto i medici legali con la relativa ricaduta economica.

Chi ha ormai qualche anno di esperienza ricorda l’epoca in cui si discuteva delle sequele, vere o presunte, del trauma cranico brevemente e fugacemente commotivo (o non commotivo), della sindrome soggettiva del traumatizzato cranico; casistica pressoché scomparsa dal panorama medico legale e medico assicurativo e sostituita non però dal medico legale ma, nelle diagnosi di pronto soccorso, dalla distorsione cervicale.

Uno dei punti di riflessione è e resta quello della diagnosi clinica iniziale, divenuta così frequente, tale da non potersi negare a chi si presenta in un pronto soccorso segnalando un incidente stradale. Diagnosi iniziale che di regola condiziona tutto l’iter successivo. Diagnosi iniziale ben difficilmente contestabile o comunque verificabile a distanza e che altrettanto difficilmente è smentibile.

Infatti, l’improvviso infortunato, che non si reca in breve tempo al pronto soccorso, ma che in seguito si rivolge, per cure, al medico di fiducia ed a strutture private, è destinato ad incontrare serie difficoltà, anche a fronte di un quadro lesivo e menomativo di una certa entità, per farsi risarcire.

Da anni si susseguono incontri scientifici volti a precisare gli aspetti clinici della “vera”

distorsione cervicale e a tentare di fornire strumenti per accertarne sia l’effettivo ricorso, sia l’esistenza o meno di postumi permanenti.

La ricaduta nel concreto è molto scarsa per non dire nulla: vi è da parte di molti un’accettazione quasi fatalistica che un quid minimo, qualcosa a titolo di permanente, vada sempre riconosciuto.

Chi ha cercato di alzare steccati si è scontrato con la realtà rappresentata da molti consulenti d’ufficio che solo eccezionalmente concludono con una guarigione anche medico legale, cioè non riconoscendo postumi.

D’altro canto se si prescinde dai casi appositamente costruiti, se si escludono le pretestazioni, i falsi riferimenti causali, a fronte di ben documentate anche se modeste lesioni iniziali, non quindi

Collana Medico Giuridica DE MINIMIS CURAT PRAETOR

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solo per la distorsione cervicale, è arduo escludere che la soggettività, quando accettabile, non costituisca danno all’integrità psicofisica, non concretizzi cioè danno alla salute o biologico.

Esiti cicatriziali cutanei di una certa estensione, esiti attendibilmente dolorosi di 1 o 2 fratture costali anche composte, di valide distorsioni alla caviglia, di per sé giustificano assai sovente il riconoscimento di una micropermanente.

Problematico può essere motivare la sua inemendabilità, la permanenza, poiché la clinica ed anche l’esperienza medico legale ci insegnano in molti casi che la soggettività è destinata ad affievolirsi fino a scomparire.

Esistono strumenti per formulare una prognosi in ordine alla permanenza? L’id prelunque accidit è sufficiente per negare o per affermare la persistenza in futuro dei disturbi accusati dal leso?

Sono quesiti ai quali non è facile rispondere perché non abbiamo elementi clinici per motivare risposte attendibili e perché, forse, sommersi da una casistica rispettiva e monotona, cede la tensione che dovrebbe essere propria del metodo medico legale, viene meno quel rigore obiettivo che dovrebbe informare ogni nostra valutazione.

Combattere il dilagare dei microdanni, dei non sempre microrisarcimenti può anche significare una sensibile contrazione del lavoro professionale medico legale in tutti gli ambiti ed è quindi una battaglia non condivisa da tutti.

Non è certo un caso che convegni e riunioni cliniche e medico legali che affrontano questi temi, dove non sembra vi sia poi molto ancora da dire, sono affollatissimi! A dimostrazione che gran parte del lavoro medico legale di stima del danno a persona verte oggi sulle conseguenze, reali o presunte, di microlesioni.

Di fatto, molti di noi vivono questa realtà con rassegnazione; sembra quasi che questi temi nella realtà di ogni giorno siano affrontati convenzionalmente, cercando da parte di chi chiede di ottenere quanto più possibile, pur restando nella media di ciò che di regola è stimato per casi analoghi, e da parte di chi deve resistere cercando di concedere il meno possibile, di mercanteggiare quasi con un rito che per lo più è privo di qualsiasi base tecnico scientifica.

Non credo che il medico legale, pur riconoscendo alla nostra disciplina capacità critiche e di formazione logica che poche altre applicazioni mediche possiedono, abbia da solo gli strumenti idonei per provocare un cambiamento di rotta.

Questo sarebbe forse possibile se si introducessero altre modalità di approccio clinico fin dai primi momenti in sede di pronto soccorso, evitando di diagnosticare lesioni spesso inesistenti.

Sono quindi di fatto pessimista sulla possibilità che a breve termine si possa assistere ad un’inversione di tendenza: forse una drastica riduzione degli indennizzi perché è di ciò che si tratta e non di risarcimenti per micordanni, imposta per legge, potrebbe portare ad un miglioramento.

Ancora l’avv. Giannini, mi piace concludere con lui per ricordarne la memoria e la grande figura di giurista, nel breve commento citato all’inizio afferma: “L’unico strumento di contenimento citato nel fenomeno delle micropermanenti consiste nell’attribuire un risarcimento modesto”; continua citando le tabelle di seconda generazione del Tribunale di Milano definendole “incentivi a chiedere il ristoro di danni improbabili, se non addirittura scarsamente credibili”.

* Ordinario di medicina legale, Milano

Collana Medico Giuridica DE MINIMIS CURAT PRAETOR

ed. Acomep, 1999

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