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La distorsione del rachide cervicale in tamponamento di scarsa efficienza lesiva

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La distorsione del rachide cervicale in tamponamento di scarsa efficienza lesiva

Sandra Viola: distorsione del rachide cervicale in tamponamento di scarsa efficienza lesiva.

Prof. Alessandro Bucarelli*

Sulla sindrome da distorsione del rachide cervicale è stato scritto tutto e tutti hanno scritto, ma non potevo esimermi dallo stendere queste brevi note.

Non potendo aggiungere niente di nuovo mi limiterò a riassumere brevemente alcuni punti focali del problema.

E’ di indubbia rilevanza evidenziare una condizione oramai consolidata, che sta alla base delle frequenti e gravose istanze risarcitorie riguardo tale patologia, cioè che ad un tamponamento anche di scarsa efficienza lesiva consegue quasi obbligatoriamente un trauma distorsivo cervicale, non solo, ma qualunque dinamica traumatica che determini una manifestazione di tipo doloroso o disfunzionale a carico del collo, viene interpretata con troppa disinvoltura da parte di tanti medici, specialisti o no, come condizione per identificare la stessa patologia.

Allora è lecito ammettere che molte delle sindromi algiche, che vengono denunciate, possono essere accentuate, aggravate, addirittura simulate.

E’ ben noto infatti che la patologia in questione, è relegata essenzialmente ad un’irritazione miofasciale, a carico del collo, dovuta all’improvvisa, violenta, istintiva contrattura di detta sezione muscolare a mo’ di difesa, si può quindi ammettere che tale modalità lesiva si produce costantemente in innumerevoli dinamiche traumatiche, (ad es. negli autoscontri dei Luna Park, si verifica costantemente un ipermobilità del collo, del capo, con ampio scuotimento e sballottamento). Ciò nonostante, i colpi di frusta che vengono allegati e denunciati a seguito di detta dinamica sono rarissimi.

Appare chiaro come sia difficile, anche per gli esperti del settore, discernere la reale situazione di danno della mera simulazione, visto che al momento della visita l’infortunato presenta essenzialmente una sintomatologia soggettiva, senza un effettiva lesività organica, e molto spesso, ad una sommaria conoscenza della sintomatologia, aggiunge la conoscenza diretta dei sintomi e dei punti dolorosi (già accusati in precedente incidente stradale), e quindi li ripropone con maggiore intensità descrittiva ed espressiva.

Ma generalmente ad un perito esperto, non sfugge l’atteggiamento di forte sofferenza che mostra il simulatore: è sufficiente sfiorargli leggermente il collo perché lui contragga immediatamente tutta la muscolatura; in netto contrasto con la vera distrazione muscolare, ove il collo appare inizialmente mobile, ma si immobilizza solo nel momento in cui raggiunge il punto dell’escursione che stimola i ricettori miofasciali.

Egualmente importante è la ricostruzione della sintomatologia allegata dall’infortunato: la pressoché costante segnalazione di sintomatologia vertiginosa impone quindi differenziare se trattasi di vertigini oggettive o soggettive. Da un punto di vista sintomatologico, bisogna rilevare e precisare il rapporto del corpo e del capo nell’ambiente in cui si trovano, nonché la presenza di instabilità posizionali e possibili ipoacusie, oltre ad eventuali disturbi di natura neurovegetativa.

Nelle vertigini oggettive, il paziente avverte un movimento a direzione definita dell’ambiente che lo circonda (possiamo infatti, distinguere vertigini rotatorie, con rotazione in senso orario od antiorario, vertigini sul piano frontale, con senso di spostamento o di caduta, verso destra o verso sinistra, vertigini sul piano sagittale, con senso di spostamento o di caduta verso l’avanti o l’indietro, e vertigini sul piano verticale, con senso di sollevamento

* Ordinario Medicina Legale, Sassari

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per aria o di mancanza del terreno sotto i piedi). Questa errata informazione spaziale determina una perdita di equilibrio e caduta dal lato opposto alla direzione del movimento, come meccanismo compensatorio della alterata attività percettiva.

Inoltre, possono rilevarsi una concomitanza di sintomi quali nistagmo, acufeni e sordità, nonché turbe neurovegetative cospicue con nausea e vomito, sudorazioni profuse, vascocostrizioni.

Nelle forme soggettive, il paziente avverte, sia a riposo che durante il movimento, che il proprio corpo è in equilibrio instabile, oppure che si solleva da terra, oppure che oscilla, etc…, mentre l’ambiente esterno è immobile.

In questo tipo di vertigine la descrizione del movimento è imprecisa, mancando i sintomi concomitanti, in particolare il nistagmo; i fenomeni vegetativi possono risultare assenti o molto modesti.

Circa le pseudovertigini, la sintomatologia si caratterizza esclusivamente per lievissimi disturbi neurovegetativi, in particolar modo la nausea, non riscontrandosi il corredo sintomatologico tipico delle forme sopraesposte.

Ciononostante, ai fini pratici, la direzionalità della vertigine non risulta, comunque, essere un parametro valido per la definizione topografica e specifica della lesione responsabile del quadro clinico riferito.

Più importanti, invece, sono altri due elementi: l’andamento temporale della vertigine e l’insieme dei sintomi che ad essa si accompagnano.

Anzitutto la vertigine vestibolare vera non si accompagna mai a turbe della coscienza, siano queste rappresentate da lipotimie, da obnubilamenti, da stati confusionali, potendo risultare sia oggettiva che soggettiva, in funzione del livello topografico di insorgenza della lesione, come indicato precedentemente.

Anche la direzione della vertigine può essere estremamente varia.

Quindi, nell’indagine diagnostica, è necessario stabilire l’esordio, la durata, il carattere evolutivo delle manifestazioni vertiginose o pseudovertiginose.

Infatti, l’esordio, nelle forme oggettive, è solitamente graduale e progressivo; al contrario è variabile, ovverosia improvviso o graduale, nelle pseudovertigini, in dipendenza del substrato patologico che ne è causa.

Per quanto riguarda la durata dell’attacco vertiginoso, questo è brevissimo nelle pseudovertigini, mentre è variabile da qualche minuto o qualche ora di più, nelle vertigini, sia soggettive che oggettive, con caratteristica di subcontinuità nelle forme centrali e di tipo “a crisi” nelle forme periferiche.

Il terzo elemento, ovvero l’evoluzione, risulta essere a carattere ricorrente, seppur con intervalli liberi, in entrambi i tipi di vertigini, mentre è solitamente a carattere transitorio (solo rarissimamente persistente) nelle pseudovertigini.

Quindi, dopo una corretta indagine anamnestica, l’esame obiettivo deve essere integrato e completato dall’esecuzione di alcuni test clinici, quale la prova di Romberg (che permette di riscontrare anche alterazioni del tono muscolare), la marcia cieca, la prova galvanica, la prova calorica, e da esami strumentali, quali la nistagmografia, i potenziali evocati visivi e uditivi, TAC e RMN.

Di notevole rilevanza in questa patologia, assumono i controlli specialistici, che possono dimostrare la mancanza di una concreta alterazione funzionale; a tal proposito è bene ricordare, che devono essere ben chiari i limiti dell’indagine radiografica, la quale deve servire solamente a discriminare i casi di lesione fratturativa cervicale, semplice o complessa, associata alla pura e semplice distorsione; visto la facilità con cui si possono compiere degli errori valutativi in conseguenza di proiezioni RX non corrette.

Appare chiaro come l’unico presidio valutativo in grado di accertare la reale situazione di danno alla persona, sia l’applicazione rigorosa dei criteri di riferimento etiologico e causale, il cui uso accorto e ponderato, consente di ritenere più o meno attendibili, se non dimostrabili con probabile certezza, alcuni disturbi in rapporto con la lesività denunciata.

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Il I° elemento, costitutivo di tale criterio valutativo, è l’esame critico delle certificazioni mediche.

E’ noto che le Certificazioni Ospedaliere, sono atti pubblici dotati di fede privilegiata e contestabili nella loro veridicità solo con querela di falso, ma ciò nonostante in diverse occasioni è lecito avanzare dei dubbi, (soprattutto quando la dinamica dell’evento, renda poco o nulla attendibile la lesione attestata) per errori di accertamento, di diagnosi legata a frettolosità, negligenza e superficialità. A tal proposito è opportuno ricordare l’art. 31 del Cod.

Deont., che obbliga alla veridicità e alla obiettivazione dei dati rilevati sul paziente, per cui non può ritenersi esaustivo un certificato, se non completo del quadro clinico rilevato dal medico; al contrario, troppo spesso si rilevano certificati attestanti esclusivamente una sintomatologia soggettiva senza una benché minima descrizione del quadro clinico rilevato alla vista.

E’ chiaro dunque, che tali certificazioni vanno disattese, a maggior ragione quanto a seguito delle indagini tecnico strumentali, non viene documentata una effettiva compromissione funzionale, per contro anche l’assenza di qualsiasi ulteriore indagine è di per sé eloquente per rendere meno compatibile il quadro lesivo inizialmente con soggettività dichiarata.

Il II° elemento, è l’attenta valutazione del quadro clinico. Infatti la finalità interpretativa è quella di evidenziare un concreto danno alla persona nella sua effettiva stabilizzazione, poiché il danno risarcibile o indennizzabile (quantomeno prevedibilmente), non può essere suscettibile di future modificazioni. Il suddetto danno alla persona deve essere quindi rilevato obiettivamente, e non solo supposto in base alle segnalazioni soggettive allegate dal periziando.

Ma quello che appare con certezza, l’aspetto tecnico più rilevante (ai fini del riconoscimento del diritto risarcitorio) è l’effettivo riconoscimento del nesso di casualità materiale tre il quadro sintomatologico e disfunzionale, constatato sulla persona in esame ed il fatto traumatico di riferimento.

Per tale motivo è utile che le Compagnie di assicurazione forniscano tutti gli elementi tecnici necessari al fine di identificare l’esatta dinamica del fatto traumatico, la gravità dello stesso e soprattutto le conseguenze di dannosità ai mezzi interessati dall’incidente in questione.

E’ noto infatti che un utilissimo parametro di riferimento per valutare l’energia che viene scaricata sui passeggeri, occupanti il mezzo investito, è l’accelerazione (espressa in m/sec2) del mezzo investitore rispetto al danneggiato; parametro questo ricavabile dalla velocità differenziale tra i due mezzi e dalla velocità d’urto del mezzo tamponante. E’ possibile calcolare l’accelerazione che può acquisire il capo dell’infortunato (in G. di gravità e radianti al secondo) e rapportarla ai gradi di tollerabilità fisiologica (ricordo a tal proposito gli studi di Martinez e Garzia, di Hirsh e Ommaya): per memoria, ricordo che rispetto alla tollerabilità massima di accelerazione per il capo (80 G), nella media dei tamponamenti che si verificano in ambiente urbano, ove la velocità di tamponamento (tenuto conto della frequente azione di frenata prima dell’urto) oscillano tra i 10 e 25 Km/h, l’accelerazione è tra lo 0,50 e l’1,20 G.

E’ opportuno inoltre ribadire che la “Giurisprudenza” ha più volte considerato l’inattendibilità di valutazioni medico-legali, non esaustivamente dimostrati come nesso di causalità materiale, a iniziare da una sentenza emessa dal Tribunale di Genova nell’88, in cui venne disattesa la valutazione del C.T.U., sulla permanenza di un danno permanente alla persona, perché la valutazione peritale era basata essenzialmente su una sintomatologia soggettiva riferita dal periziando, mentre i dati circostanziali relativi al danneggiamento dell’auto tamponata dimostravano che l’urto era stato di lieve entità.

Un ultima breve considerazione sulle reali valutazioni medico-legali per quanto attiene al periodo di inabilità assoluta temporanea (ITT) o danno biologico temporaneo, s’intende una temporanea incapacità funzionale che coinvolge dunque vari organi ed apparati

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dell’organismo umano, è chiaro che configurare una compromissione di uno o più di queste funzioni causa di una lesione così limitata, appare perlomeno assai dubbiosa.

Si ritiene pertanto, che valutazioni di detta “temporanea capacità funzionale” possano essere accettate per tempi brevissimi, mentre non è in alcun modo accettabile una documentata prolungata immobilizzazione anche mediante collare se non vi è precisa documentazione di una grave compromissione funzionale e sistematica o quantomeno di riferimento alle funzioni principali connesse con l’impossibilità di svolgere le ordinarie occupazioni della vita quotidiana. Analogamente non può sussistere l’approvazione per una certificazione di un lungo periodo di riabilitazione motoria, se non è documentata contemporaneamente la condizione di compromissione funzionale specifica, con accurata obiettiva descrizione della condizione menomativa.

Inoltre anche per la ITP non possono essere accettati periodi che vadano al di là di quelli previsti dai comuni protocolli riabilitativi per lesioni così limitate.

E’ vero altresì che è comunque preferibile valutare un periodo di ITP anche piuttosto prolungato che riconoscere un danno alla persona di natura permanente se non univocamente e obiettivamente identificale. Per semplice riferimento ricordo un recente lavoro, apparso su Lancet (3/5/96), ad opera di alcuni neurologi norvegesi che hanno esaminato gli esiti di tamponamenti (anche lontani nel tempo) in Lituania, dove le assicurazioni contro le lesioni personali sono ancora una rarità e dove perciò gli automobilisti non hanno moventi finanziari per lamentare dolori e invalidità in conseguenza di un incidente. I ricercatori hanno confrontato i disturbi cronici di circa 200 persone coinvolte in tamponamenti di varia gravità con quelli di altrettanti controlli ben selezionati.

Alcuni risultati: dolore al collo nel 35 per cento degli incidentati e nel 33 dei controlli;

cefalea nel 53 e nel 50 per cento rispettivamente, e così via, senza alcuna differenza significativa.

Infine va ribadito che la liquidazione in denaro delle micropermanenti è per cosi dire pura, priva delle interferenze determinate dalle ipotesi di lucro cessante e dalle eventualità di danno morale coesistente, proprio in relazione alla scarsa incidenza lucrativa del soggetto così come di nullo valore deve intendersi l’incidenza dell’effettivo danno non patrimoniale.

Non va dimenticato, che salvo casi, eccezionali la valutazione del danno deve essere commisurata in poche unità, così come è indicato nelle tabelle di riferimento (detta sindrome è ampiamente e correttamente tabellata dall’ANIA e INAIL), con i parametri massimi che devono essere riferiti ai casi in cui vi sia una concreta alterazione dell’architettura rachidea, con postumi di pregressa lussazione, di frattura ossea, di effettiva compromissione discale traumatica etc.

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