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SIMULAZIONE DI UN CASO CONCRETO SANDRA VIOLA: DISTORSIONE DEL RACHIDE CERVICALE IN TAMPONAMENTO AUTOMOBILISTICO DI SCARSA EFFICIENZA LESIVA

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SIMULAZIONE DI UN CASO CONCRETO

SANDRA VIOLA: DISTORSIONE DEL RACHIDE CERVICALE IN TAMPONAMENTO AUTOMOBILISTICO DI SCARSA

EFFICIENZA LESIVA

Prof. Domenico Vasapollo*

Il giorno 20 settembre 1997, alle ore 9,30, Sandra Viola, di anni 60 casalinga, era trasportata sul sedile anteriore dell’autovettura Fiat Croma, targata AB 357 DJ, di proprietà e condotta dal Sig.

Mario Rossi. Mentre tale l’auto si trovava ferma ad un semaforo che segnalava il rosso, tra Via del Vento e Via delle Chimere, la Croma veniva tamponata da una BMW 520, targata AX 228 HB, di proprietà e condotta dal Sig. Pinco Pallino.

La Croma ha riportato danni alla parte centro destra del paraurti posteriore e, anche se al momento non visibili, al sottostante fascione posteriore ed alla staffa di destra.

Per la riparazione di tali danni materiali il Sig. Rossi ha dovuto pagare la somma di Lire 1.000.000, oltre ad IVA, giusta fattura 120/97.

L’attrice ha riportato lesioni: lamentando dolore a livello del rachide cervicale, viene portata immediatamente ad un vicino Pronto soccorso, ove il sanitario di turno, dopo esami radiografici, diagnostica un trauma distorsivo del rachide cervicale a “ colpo di frusta”, prescrivendo l’uso di collare di Schanz per 15 giorni, terapia farmacologica a base di miriolassanti ed antiflogistici. Viene dimessa con prognosi di pari durata (15 giorni). Da segnalare che il controllo radiografico, pur escludendo la presenza di lesioni fratturative, evidenzia la rettilineizzazione della colonna cervicale, unitamente a diffusi e marcati segni di artrosi dei corpi vertebrali.

Allo scadere di detto periodo (15 giorni) la paziente si reca dal curante abituale, il quale, riscontrando la persistenza di un quadro doloroso con limitazione funzionale della colonna cervicale, proroga la prognosi di 10 giorni, prescrivendo, inoltre, la rimozione graduale del collare, nonché una terapia fisica a base di ionofresi e diadinamiche, trattamento, questo, regolarmente eseguito.

Successivamente, essendo insorta una sintomatologia caratterizzata da vertigini e brachialgia sinistra con parestesie in territorio di ulnare, la Sig.ra Viola si reca nuovamente dal curante, il quale proroga la prognosi di altri 10 giorni, consigliando, altresì, l’effettuazione di visita specialistica ortopedica ed esame O.R.L.

L’ortopedico riscontra contrattura della muscolatura paravertebrale e del trapezio sinistro, nonché la limitazione funzionale della colonna cervicale. Inoltre, consiglia l’effettuazione di un esame elettromiografico (e.m.g.), che, peraltro, non evidenzia alterazioni patologiche.

Al riscontro O.R.L., invece, l’esame cocleo-vestibolare, mette in evidenza iperreflessia labirintistica sinistra.

Al termine di questi accertamenti, l’attrice si reca nuovamente dal curante abituale, il quale concede altri 10 giorni di prognosi, al termine dei quali il caso è considerato stabilizzato.

Al riscontro medico legale, effettuato dopo oltre 6 mesi dal trauma, la perizianda ha lamentato persistente dolore cervicale prevalente a sinistra, cefalea nucale, saltuaria sindrome vertiginosa ai bruschi movimenti del capo, parestesie in territori di ulnare a sinistra, limitazione funzionale del rachide. L’esame obiettivo ha confermato l’ipertono muscolare e la limitazione funzionale.

Il danno subito dalla perizianda è stato così valutato:

* Professore Associato Medicina Legale, Bologna

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ITT: giorni 20 ITP: giorni 25

IP: danno biologico 6%

Considerazioni medico legali

Il caso in esame è sovrapponibile a tanti altri in cui, dopo un tamponamento automobilistico, la vittima denuncia una lesione al rachide cervicale. In genere, non sussistono dubbi sulla correlazione cronologica del quadro clinico (insorto subito dopo il trauma), sulla topografia delle asserite lesioni, sul meccanismo lesivo, ma spesso viene messa in discussione la plausibilità patogenetica in considerazione della dubbia rilevanza della “vis” lesiva.

Per tal motivo (è prassi usuale e di moda!), tramite una perizia meccanica, viene eseguita la ricostruzione cinematica del sinistro, richiedendosi, in particolare all’esperto, lo studio delle forze lesive e la determinazione della loro entità.

A tal proposito, preliminarmente, è possibile dire, anticipando la discussione specialistica, che l’esame della sola auto tamponata (mediante foto) non consente di risalire all’esatto valore delle forze in gioco, espresse in “g” (per una lucida rassegna della problematica si veda Balestra M,:

“Sollecitazioni degli occupanti negli autoveicoli a seguito d’urto da tergo”; Tagete, n. 1, 42-46, 1998); ci sarà da discutere, semmai, se la deformazione delle auto coinvolte nel tamponamento consentano un preciso apprezzamento della loro velocità e delle accelerazioni subite dal passeggero a seguito del tamponamento.

Ritornando alle problematiche mediche, non sussiste dubbio alcuno che la perizianda, dopo un modesto tamponamento, abbia subito un trauma alla colonna cervicale.

Lo testimonia la clinica, cioè la comparsa del dolore, della limitazione funzionale, della contrattura muscolare, ecc. Dunque, il quadro clinico lamentato dalla perizianda subito dopo l’evento traumatico per cui si discute, è sicuramente compatibile con un interessamento traumatico della colonna cervicale, rientrando ampiamente nei “Whiplash Associated Disorders”, in cui acquistano particolare valore, per la nosologia post-distorsiva, i dati ricavabili da indagini casistiche basati su ampie raccolte di dettagli sintomatologici.

Quanto ai meccanismi lesivi, la distorsione del rachide cervicale è lesione tipica dei traumatismi da tamponamento automobilistico in cui tanto l’iperestensione che l’iperflessione del collo possono risultare efficienti nel determinismo delle lesioni. Peraltro, fenomeni lesivi possono realizzarsi anche per fatti compressivi, come si verifica nella prima fase del tamponamento automobilistico, specie in quelli di modesta entità, un istante prima della brusca iperestensione del collo. Tale ultimo meccanismo traumatico può essere responsabile di uno stress a carico della regione medio cervicale, laddove si esercita in massimo grado l’azione compressiva, quando si associano momenti torsionali.

L’ipersollecitazione delle componenti capsulari, ligamentose e muscolari, ampiamente fornite di strutture algo sensibili, determinano stimoli dolorifici, che, con un meccanismo ancora non del tutto ben chiarito, provocano l’insorgenza di contrazioni isometriche prolungate della muscolatura intrinseca del rachide cervicale e spasmi muscolari riflessi sotto forma di vere e proprie contratture con conseguente ischemia ed accumulo di cataboliti tossici.

Quanto al dubbio assioma “danno dell’auto tamponata modesto, nesso causale delle lesioni cervicali denunciate discutibile”, è possibile dire che le consulenze di tipo meccanico, fino ad oggi, hanno mostrato di non potere essere risolutive ai fini della determinazione causale per molteplici motivi:

1. Molte volte non esiste un idoneo materiale fotografico dei mezzi che hanno colliso, attraverso cui il perito meccanico possa pervenire a conclusioni di certezza (ma, ciononostante, l’ausiliario del giudice conclude con un valore ben preciso di sollecitazione!).

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2. La biomeccanica degli incidenti stradali è un settore di ricerca ai primordi e fino ad oggi nessuno dei modelli sperimentali disponibili è risultato soddisfacente. Per la valutazione sperimentale delle risposte biomeccaniche del “crash test” si ricorre all’impiego di manichini antropomorfi, che simulano l’uomo in senso tipicamente ingegneristico, in relazione ad un numero di parametri prefissati e a codificate condizioni di sollecitazione.

3. Dunque, attualmente, in sede di perizia meccanica, emergono, quanto meno, due diversi orientamenti: da una parte c’è chi ritiene possibile calcolare con sufficiente certezza l’ordine di grandezza delle sollecitazioni impostando i pochi dati disponibili, dall’altra c’è chi sostiene, invece, che dovendo dare una risposta anche in sede giudiziaria, è necessario procedere con la massima cautela, indicando le sole cose cui può essere data indicazione certa e segnalando, per contro, le questioni dubbie o irrisolte. D’altro canto il compito dell’esperto non è quello di dare comunque certezza ad un qualsiasi ordine di grandezza, anche se i dati di cui si dispone non consentono di farlo. L’energia che ha prodotto la deformazione visibile delle strutture della vettura tamponata non è la sola energia dissipata nella collisione. Altra energia viene dispersa nello spostamento in avanti della vettura, altra ancora nelle deformazioni del mezzo che tampona, ecc. Negli urti ad elevata velocità la sollecitazione supera il limite di elasticità delle strutture e gran parte dell’energia viene dissipata nella creazione di deformazioni permanenti più o meno profonde. Per contro, negli urti a bassissima velocità, gran parte dell’energia viene dispersa nella deformazione elastica della scocca della vettura, che, esaurita la spinta, riacquista l’originaria forma. Non restando alcuna traccia visibile delle deformazioni temporanee manca ogni visualizzazione dell’intensità della forza d’urto. Ma, attenzione, nessuna deformazione non significa mancanza di sollecitazione trasmessa alla vettura. Oltre alle predette deformazioni di cui non resta traccia, se ne creano anche altre permanenti, non rilevabili a vista, o perché diffuse sulla scocca, oppure perché ubicate in zone occulte e non facilmente accessibili. Circa la profondità delle deformazioni, essa dipende anche dal fatto che il mezzo tamponato poteva essere in movimento, fermo e frenato, oppure fermo in folle. E’ intuitivo che, a parità d’urto, un mezzo frenato subisce deformazioni più profonde, mentre un mezzo in folle e non frenato, non opponendo resistenza, viene spostato più agevolmente ed i suoi lamierati potrebbero anche non subire alcuna deformazione visibile. Spesso, non si conosce la velocità delle vetture prima dell’urto, né si conosce tutta l’energia dissipata nella collisione per potere calcolare la velocità di urto procedendo a ritroso. In queste condizioni l’individuazione dei dati per l’impostazione e per la risoluzione del problema è, secondo taluni, impossibile. Il calcolo del perito meccanico parte dalla profondità delle deformazioni per arrivare alla velocità che le ha prodotte. Ambedue le soluzioni sarebbero discutibili perché la sommaria valutazione della profondità delle deformazioni osservate su fotografie non è significativa per calcolare la velocità prima dell’urto e, quindi, l’intensità della spinta prodotta. Calcolare la velocità di urto e le sollecitazioni consequenziali basandosi sull’osservazione, ad occhi nudi, della profondità delle deformazioni evidenziate da fotografie, e a volte, soltanto su foto di una sola delle vetture, non costituisce un metodo certo per calcolare tutta l’energia dissipata, e quindi, la velocità d’urto. Secondo queste fonti critiche le innumerevoli variabili, la carenza di dati per l’impostazione del problema e le attuali conoscenze tecniche non consentirebbero di quantificare l’intensità della sollecitazione in maniera che l’ordine di grandezza possa valere come prova certa di giudizio.

4. Ritornando alle nostre precedenti osservazioni, se la risposta sarà concorde ed univoca o in altri termini, se la metodologia seguita da perito tecnico nel rappresentare le sollecitazioni del complesso fenomeno dell’urto riprodotto con un metodo matematico non sarà un’ipotesi teorica, bensì certa, comprovata e comunemente accettata, e se il modello matematico riferito sarà attendibile ed idoneo a calcolare le sollecitazioni subite dai passeggeri, allora la perizianda pretesta o vi è stata straordinaria, incredibile coincidenza tra presunto fatto lesivo e manifestazione doloroso-disfunzionale cervicale lamentata e riscontrata in Ospedale, ovvero è da prendere in esame (come faremo) il problema dell’idoneità delle piccolissime sollecitazioni a

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livello del rachide cervicale. Nelle prime due ipotesi, evidentemente, il tamponamento automobilistico non ha causato, e nemmeno concausato, alcuna lesione: così come nell’ipotesi dell’eventuale pretestazione della lesione, non esiste alcun danno risarcibile. Riguardo alla terza possibilità possiamo ricordare, brevemente, che il corpo dell’occupante non è l’automobile, ma il passeggero che si muove all’interno dell’auto in maniera ritardata od anche anticipata (pensate alla macchina che viene tamponata, probabilmente prima ha frenato a sua volta). Si tratta, quindi, di un soggetto vivo e reattivo, in funzione delle sue specifiche condizioni biofisiologiche (o patologiche) di base. Il preciso assetto somatico, la sinergia muscolare più o meno efficiente, l’attentività, la reazione d’allarme e di risposta, il rapporto struttura ossea/struttura muscolare in termini di massa/peso, ma anche la sua tipologia, la posizione al momento dell’impatto, ecc., possono modificare le risposte lesive, dal momento che le ripercussioni biologiche di un organismo umano sono ben più complesse, ed in parte non del tutto conosciute, rispetto a quanto spesso, semplicisticamente, si conclude con riferimento a prove effettuate su manichini in laboratorio. In effetti, i test presi in considerazione dai periti meccanici vengono effettuati su manichini o su cadaveri freschi, per cui non è possibile rapportare automaticamente i risultati di tali prove al vivente (peraltro, ultimamente, anche le case produttrici di autovetture stanno modificando tali test, avendoli ritenuti insufficienti; lo stesso Kallieris, altro esperto mondiale nelle ricostruzioni cinematiche, richiama costantemente l’attenzione sulla difficoltà della materia e ricorda il limite di tali sperimentazioni). Sarò lieto di essere smentito, ma non mi sembra che analoghe prove sperimentali siano state eseguite sul vivente (o meglio, il sottoscritto nonostante una laboriosa ricerca, non ha reperito materiale scientifico inoppugnabile). In realtà, sono stati condotti alcuni studi sperimentali, i cui risultati sono controversi. Peraltro, a sostegno della sostanziale differenza tra l’incidente “vero” e quello “sperimentale”, nel caso dei soggetti viventi, posso riferire di uno studio condotto su volontari, nei quali si è voluto studiare l’attività muscolare qualche istante prima dell’impatto. In sintesi, si è potuto dimostrare che il volontario mette in atto una strategia inconscia di difesa, nel senso che anticipa l’impatto medesimo nonostante la parentoria istruzione di rimanere rilassato. Da tutto quanto sopra discende che non può sussistere alcun netto automatismo, anche se tali prove meccaniche possono costituire un elemento di orientamento e ponderata valutazione. Peraltro, alcune precise informazioni possono modificare i parametri di riferimento delle risultanze tecniche dal momento che il manichino (o il cadavere fresco) nelle prove simulate ha il capo eretto, privo di angolazioni e, certamente, non ruotato o inclinato da un lato. Il suo corpo è aderente al sedile, con il capo a pochi centimetri dal poggiatesta che, preventivamente, è stato disposto in maniera adeguata (sappiamo che il suo non perfetto allineamento può comportare un ulteriore pregiudizio al passeggero). Si allega, a conferma di quanto stiamo dicendo, a mero titolo di esempio, uno schema che fa riferimento ai risultati di alcuni “crash test”, nei quali le sollecitazioni alla testa ed al collo, per una stessa entità di accelerazione, variano sensibilmente in base alla posizione del passeggero infatti , i g. del caso n, 9 (42,1) diventarono addirittura 123 nel caso n. 7. Inoltre, il Calliet, nel lavoro “dolore cervico – brachiale” ricorda che la posizione del capo al momento della collisione condiziona il tipo e la gravità delle lesioni. Ciò è vero soprattutto per quanto riguarda il grado di rotazione del capo in rapporto alla direzione della forza d’impatto. Quando la testa è rivolta in avanti, le vertebre scivolano nello stesso senso l’una sull’altra, il che determina un restringimento simmetrico del canale vertebrale, un accavallarsi delle faccette articolari ed una riduzione, a parimenti simmetrici, del lume dei fori di congiunzione. Sappiamo del resto che, se il capo è rivolto in avanti, le dimensioni dei forami sono massime e identiche da ambo i lati, mentre se la testa è ruotata e/o flessa lateralmente, risultano ridotte dal lato verso il quale è avvenuto il movimento. Ciò premesso, è evidente che una qualsiasi deviazione laterale delle vertebre rispetto alla direzione della forza d’impatto comporterà il sommarsi degli effetti della latero – flessione e della rotazione a quelli della flesso – estensione, con conseguenze

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notevolmente più gravi. Infatti, non solo risulterà più marcata la costrizione dei forami, ma si avrà un più violento effetto di torsione sulle faccette, sulle relative capsule e sui legamenti.

5. E’ da riferire un’ultima considerazione tecnica: a noi tutti sarà successo di farci male, magari banalmente. Abbiamo pure imprecato, oltre che per il dolore, anche per la “stupidità”

dell’accadimento, nel senso che, sottoposti tante volte a carichi ben superiori, mai avevamo subito i medesimi effetti traumatizzanti della sollecitazione, mentre ora, per una banalità, abbiamo subito una lesione. Da un punto di vista meccanico, ricorrendo a formule matematiche o a valori noti di accelerazione, forse il problema è irrisolvibile. Sotto il profilo medico, al contrario, l’effetto traumatizzante è spiegabile in quanto esso dipende non soltanto dalla sollecitazione in termini di forza, velocità e accelerazione, ma anche, come detto, dall’attentività, dalla sinergia muscolare, dalla reazione di allarme e di risposta, dalla struttura ossea e muscolare, dalla tipologia del soggetto, dalla posizione al momento dell’impatto, dalla situazione fisiologica o patologica del momento. Conoscendo tali aspetti del complesso problema posso rendermi conto facilmente del perché i giovanissimi, su di un autoscontro, non si fanno male. Ma avete mai provato a far salire su una di quelle macchinette un ottantenne? E ancora, un soggetto si può ledere cadendo da un gradino dal dislivello limitato, se è impreparato; viceversa, chi salta per motivi sportivi o “ di fuga” riesce a fare balzi incredibili senza riportare alcuna lesione. Solo se terremo ben presente queste cose, finalmente, potremo riuscire a capire come mai in uno stesso incidente automobilistico, a grande velocità, con importanti deformazioni del mezzo, un passeggero rimane illeso mentre l’altro, sfortunato, decede. Sicuramente, ciascun aspetto del complesso problema andrebbe esaminato con molta attenzione e con maggiori capacità critiche, ma ci dilungheremmo troppo in queste motivazioni che devono essere, necessariamente brevi. Farò, pertanto, in questa sede un solo approfondimento critico (rimandando ad altri miei interventi la definizione di ulteriori momenti significativi) che riguarda l’attenzione del presunto danneggiato una delle tante variabili in gioco. Ipotizziamo che un’azione traumatica improvvisa ed imprevedibile trovi l'organismo disattento ed impreparato. La brusca ed improvvisa messa in tensione del sistema muscolo capsulo-tendino-ligamentoso legata a questa repentina sollecitazione può rappresentare per l’organismo, che non ha avuto il tempo di prepararsi ed organizzarsi, un vero e proprio trauma capace di sollecitare abnormemente le strutture non adeguatamente informate dal sistema propriocettivo. Questo sistema, in cui negli ultimi anni si stanno configurando sempre di più distribuzioni topografiche, ruoli e possibili scambi di reclutamento, è da considerare come un tensiometro capace di emettere segnali di frequenza variabile a seconda della forza, velocità e direzione dei movimenti. I meccanorecettori della sensibilità profonda sono, ad esempio, a livello muscolo – tendineo di tipo Golgi, a livello ligamentoso di tipo Ruffini (a lento adattamento, sensibili alla velocità ed alle accelerazioni) e di tipo Pacini (a rapido adattamento, sensibili al movimento). Essi, di solito, trasmettono informazioni afferenti ai centri corticali e tali informazioni, integrate nel cervelletto, realizzano la coscienza soggettiva della posizione dei segmenti corporei nello spazio, sia in fase statica che dinamica. Quando le tensioni superano i livelli di guardia, le informazioni propriocettive convogliate ed integrate a livello del cervelletto attivano i motoneuroni alfa dei muscoli deputati alla stabilizzazione dinamica. Se viene meno, per qualche motivo, lo stato di allarme e di vigilanza di tali recettori, ovvero se si realizza una

"perturbazione" neuromotoria, ciò determina uno squilibrio nel circuito in grado di danneggiare il sistema medesimo. In altri termini (ci scusiamo, naturalmente, per l’estrema semplificazione di un processo molto complesso e articolato), l’insulto traumatico, che di solito viene fronteggiato con opportune azioni stabilizzatrici, quale provvedimento automatico di difesa, laddove per la repentina quanto inattesa e imprevista sollecitazione non consenta al sistema propriocettivo un pronto adeguamento, può danneggiare il sistema arrecando una lesione all’apparato medesimo.

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Per tutti questi buoni motivi, ritengo che la risposta da dare al quesito sul nesso causale sia, con concreta probabilità, affermativa.

Spesso, si è detto, la sindrome in questione guarisce in un’alta percentuale di casi e per comprovare il dato sono state citate molte fonti bibliografiche, finanche sono stati scomodati i Lituani. La verità è che non vi sono studi sufficientemente estesi che possano fornire dati attendibili al riguardo. Infatti, quelli riguardanti la persistenza dei disturbi variano sensibilmente. Si va da un 12% della ricerca di Gotten, al 43% di quella di Hohl, al 63% di Wiesner, all’85% di Kiscka. In un’indagine condotta con follow – up di 5 anni, Motta ha segnalato che il 36% dei soggetti continuava ad accusare disturbi. Foletti, in un analogo studio, ha comunicato che il 75% dei pazienti si lamentava di cefalea e cervicalgia, il 25% presentava solo cervicalgia. Nella recente, completa e obiettiva rassegna della Task Force del Quebec (condotta su un campione di 4766 casi) vengono riportate le assenze lavorative dei traumatizzati dopo un colpo di frusta (vedi schema).

Riguardo alla prognosi globale ed alla permanenza dei disturbi vengono citati gli studi di Norris e Watt, di Radanov (il cui campione è stato esaminato a distanza di 6 mesi), e quello ritenuto più completo di Hildingsson e Toolanen (nel quale la ricerca si estende a due anni) secondo cui il 42%

dei pazienti era completamente ristabilito, il 44% continuava ancora a lamentare notevoli disturbi, mentre infine il 14% presentava qualche lieve sintomo.

Val la pena, inoltre di segnalare che:

- la Task Force ha giudicato meritevole di consultazione solo 346 delle diecimila pubblicazioni esaminate.

- La difficoltà operativa deriva anche dal fatto che le numerose pubblicazioni si differenzia sostanzialmente a seconda che sia trattata la fase pre-collisione, collisione, post-collisione.

- Al riguardo la Task Force così si è espressa: “La nostra conoscenza di quanto accade alla colonna cervicale durante i tamponamenti automobilistici a basse velocità è limitata, nonostante siano stati compiuti molti studi sperimentali sulla biomeccanica del rachide cervicale. I modelli matematici e l’estrapolazione da studi su collisioni di cadaveri, animali, manichini sono di valore limitato per definire la soglia di lesione in collisioni a basse velocità. Gli studi su volontari umani in condizioni controllate non possono essere facilmente riferiti a collisioni reali”.

- Riguardo al problema diagnostico l’Associazione Internazionale per lo studio del dolore nelle Linee Guida, a livello spinale, ha riconosciuto il quadro algico da lesioni da accelerazioni – decelerazioni.

- La Task Force ha adottato una classificazione di tipo clinico – anatomico riconoscendo cinque gradi di gravità: escludendo il grado 0 (in cui non vi sono disturbi al collo) ed il grado 4 (in cui rientrano le lesioni midollari), nel grado 1 vengono compresi quei pazienti che si lamentano in modo generico, aspecifico, oppure riferiscono sintomi al collo in assenza di segni obiettivi; nel grado 2 quelli che riferiscono disturbi al collo in presenza di segni limitati alle strutture muscolo-scheletriche (ridotta escursione articolare, presenza di punti di dolorabilità); infine i pazienti inseriti nel grado 3, oltre ai disturbi al collo presentano segni neurologici (diminuzione dei riflessi osteotendinei, ipostenia, deficit sensoriali). Vi sono, infine, sintomi che si possono manifestare in ogni grado: ipoacusia, vertigini, tinniti, cefalea, amnesia, disfagia, algie temporo – mandibolari.

Se, dunque, l’indagine sul rapporto causale non è di scarso rilievo in questa materia (a mio avviso, solo quando si sarà rispettato questo rigoroso modo di procedere potremo fornire un motivato parere in un ambito che impegna notevolmente l’esperto), non meno impegnativa è la fase valutativa.

Se, nel caso di specie, la documentazione esibita giustifica il periodo di inabilità temporanea richiesto, dal momento che evidenzia in maniera chiara l’evoluzione del quadro clinico, il ricorso a

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trattamenti specifici (collare, antinfiammatori, miorilassanti, FKT), ad accertamenti specialistici di tipo clinico strumentali (visita ortopedica, fisiatrica, EMG, esame cocleo vestibolare), per quanto attiene al danno permanente è necessario fare una premessa, che il compito del medico legale incaricato di valutare il danno esitale nei traumatizzati del rachide cervicale è ritenuto erroneamente semplice. Ciò dipende, probabilmente, dal fatto che il proliferare di richieste di risarcimento per tale tipo di lesione ha fatto credere che si tratti di una banalità alla quale va concessa, sempre ed in ogni caso, una minima percentuale di invalidità permanente (anche a chi, magari, dal traumatismo è stato appena sfiorato). Tant'è’ che, oggi giorno, fiorisce prepotentemente una letteratura medico legale che rifiuta tale entità nosologica. In questa situazione di confusione ed incertezza è logico che gli errori di valutazione erano e sono tutt’altro che rari. E’ risaputo, infatti, che individui niente affatto traumatizzati, ma lamentosi, vengono ingiustamente risarciti e come, all’opposto, soggetti con lesioni importanti sono accusati di esagerazione od anche di simulazione. Però, nei barémes italiani, francesi, americani, e di tante altre nazioni si fa menzione dei traumatismi distorsivi della colonna cervicale ed anche oggi, sono stati esposti in questo convegno i criteri di valutazione presenti in Spagna, indicando tassi che vanno dall’1% all’8% per la sindrome cervicale, dal 3 al 5% quando vi è solo impegno muscolare, fino al 5 – 10% quando si tratta di soggetto artrosico.

Dunque, non deve meravigliare la richiesta di parte attrice (6%), dal momento che lo stesso Mélennec, nel capitolo della valutazione del danno da incapacità rachidea, inserisce il trauma distorsivo semplice nel primo gruppo concedendo un tasso di I.P.P. (deficit fisiologico) fino al 5%

quando vi è dolore poco importante e intermittente, il quadro clinico è normale o quasi, vi è lievissima limitazione funzionale, leggera contrattura muscolare presenza di punti dolorosi, la forza muscolare, è regolare, non vi sono turbe neurologiche e le radiografie sono normali o mostrano anomalie non significative sul piano funzionale. In ogni caso, e concludo, vorrei segnalare che l’appiattimento della valutazione medico legale non corrisponde a criteri di equità, in quanto per una parte degli infortunati si risolve in un indennizzo ingiusto, mentre per gli altri non corrisponde ad un equo risarcimento.

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NESSO CAUSALE

COMPATIBILITA’ TRA SOLLECITAZIONI INDOTTE DALL’URTO E LESIONI RIPORTATE DALLA PERIZIANDA

PERIZIA CINEMATICA: IMPORTANZA E LIMITI

In materia di ricostruzione cinematica per valutare le conseguenze lesive del presunto danneggiato, tali consulenze hanno mostrato di non poter essere determinanti ai fini dell’ammissione o negazione del nesso causale in quanto la risoluzione del problema rimane complessa ed aperta, e soprattutto, in quanto le mutevoli condizioni posturali, le diversità strutturali del paziente, nonché le ampie differenze costruttive dei veicoli, impediscono di collocare attendibilmente il singolo caso entro le griglie dei modelli sperimentali.

STORIA CLINICA

Dopo un tamponamento automobilistico, la comparsa di un quadro clinico tipico può essere sufficiente per ammettere, con il criterio delle probabilità, la sua derivazione traumatica se vengono soddisfatti precisi criteri medico legali (cronologici, topografici, eziopatogenetici, ecc.) e se la certificazione medica è attendibile, completa ed esauriente.

Acquistano particolare valore definitorio per la nosologia post – distorsiva i dati ricavabili da indagini casistiche basate su ampie raccolte di dettagli circostanziali e sintomatologici, per cui la statisticamente confermata, uniforme ricorrenza di sintomi consimili può di per sé acquistare significatività sul piano causale. .In altri termini, gli elementi ricavabili dalla casistica clinica sono rappresentativi di una realtà che non può passare tutta in secondo piano rispetto a postulati fisico- matematici di astratte soglie minime di lesività.

L’adozione di un protocollo diagnostico standardizzato, costruito appunto attraverso l’elaborazione di ampi dati statistico clinici rappresenta, ormai, un presupposto fondamentale anche per la criteriologia medico-legale.

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EVOLUZIONE DELLA SINDROME (WAD)

La persistenza del quadro clinico dopo 6 mesi dall’evento lesivo è indicativa di una cronicizzazione e, quindi, della stabilizzazione della lesione. Riguardo all’evoluzione della sindrome e al requisito della permanenza, non vi sono studi sufficientemente estesi che possano fornire dati attendibili circa il decorso delle suddette lesioni. I dati numerici riguardanti la persistenza dei disturbi variano sensibilmente con i campioni.

Si va, infatti, dal 12% della ricerca di Gotten, all’85% di Kischka (con valori intermedi del 43%

Hohl e del 63% di Wiesser).

Secondo la ricerca di Mastroroberto la frequenza media delle guarigioni con postumi si verificherebbe nel 10-15%.

In realtà, questi dati sembrano sottostimare la reale incidenza esitale dal momento che nella recente e completa rassegna della Task Force del Quebec sui disturbi correlati al colpo di frusta (WAD) si legge: nel Canada le lesioni da colpo di frusta rappresentano l’85% di tutte le richieste di indennizzo da incidente stradale e tale tasso risulta ancora superiore in Australia.

Riguardo all’assenza lavorativa dopo colpo di frusta (campione di studio riferito a 4766 casi) questa fu di circa una settimana nel 22,1% del campione, di circa 4 settimane nel 53% del campione e nel rimanente 24,9% fu superiore a tale periodo.

La Task Force ha elaborato, al riguardo, una classificazione di tipo cronologico per la stima della durata della malattia:

1. Gruppo: < 4 giorni 2. Gruppo: 4-21 giorni 3. Gruppo: 22-45 giorni 4. Gruppo: 46-180 giorni

5. Gruppo: > 6 mesi (cronicizzazione)

Riguardo alla prognosi globale ed alla permanenza dei disturbi, la ricerca riporta, oltre agli studi di Norris e Watt, di Radanov (in cui il campione è stato esaminato a distanza di 6 mesi), quello più completo di Hildingsson e Toolanen che si estende a due anni, secondo il quale il 42% dei pazienti era completamente ristabilito, il 14% presentava qualche lieve sintomo, mentre il 44% continuava a lamentare notevoli disturbi.

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TASK FORCE DEL QUEBEC

Visto che si parlava della Task Force del Quebec sui disturbi correlati al colpo di frusta (WAD) val la pena di sintetizzare i risultati ottenuti dalla ricerca.

• Di circa 10.000 pubblicazioni solo 346 sono state giudicate degne di essere consultate.

• Non esiste un’epidemiologia decente sul colpo di frusta

• Riguardo al problema diagnostico, l’Associazione Internazionale per lo studio del dolore ha pubblicato di recente la seconda edizione contenente le Linee Guida per classificare il dolore spinale, In questo ambito si riconosce “il dolore per lesioni da accelerazioni – decelerazioni”.

• La difficoltà operativa deriva dal fatto che le molteplici pubblicazioni si differenziano, sostanzialmente, a seconda che sia trattata la fase di:

a) Pre - collisione (letteratura specializzata in sicurezza stradale)

b) Collisione (letteratura di sicurezza stradale, ingegneria, biomeccanica) c) Post – collisione (letteratura medica e traumatologia clinica).

“La nostra conoscenza di quanto accade alla colonna cervicale durante tamponamenti automobilistici a basse velocità è limitata, nonostante siano compiuti molti studi sperimentali sulla biomeccanica del rachide cervicale. I modelli matematici e l’estrapolazione da studi su collisioni di cadaveri, animali, manichini sono di valore limitato per definire la soglia di lesione in collisioni a basse velocità. Gli studi su volontari umani in condizioni controllate non possono essere facilmente riferiti a collisioni reali”.

Una difficoltà nella valutazione dei dati della letteratura riguardanti il colpo di frusta cervicale deriva dal fatto che tale termine è utilizzato per descrivere il meccanismo di lesione, la lesione stessa, le manifestazioni cliniche conseguenti alla lesione, nonché una miriade di segni e di sintomi definiti come “sindrome da colpo di frusta”.

La Task Force ha adottato la seguente definizione di colpo di frusta, “il colpo di frusta è un meccanismo di accelerazione – decelerazione con cui è trasferita energia al collo”. Può derivare da tamponamenti o da altri tipi di collisione fra i veicoli a motore, ma può altresì verificarsi in seguito a tuffi o altri incidenti. L’impatto può determinare lesioni dei tessuti ossei o di quelli molli (lesione da colpo di frusta), le quali possono a loro volta determinare una vasta gamma di manifestazioni cliniche (WAD).

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La Task Force ha proposto la seguente classificazione di tipo clinico – anatomico riconoscendo cinque gradi che corrispondono, grossomodo, alla gravità. Escludendo il grado 0 e il grado IV (nel grado 0 non vi sono disturbi al collo, nel grado IV rientrano le lesioni midollari ed ossee, quali fratture e lussazioni) nei tre gradi intermedi:

I. il paziente si lamenta in modo generico, aspecifico, oppure riferisce sintomi al collo in assenza di segni obiettivi;

II. il paziente lamenta disturbi al collo in presenza di segni limitati alle strutture muscolo- scheletriche (ridotta escursione articolare o presenza di punti di dolorabilità);

III. il paziente lamenta disturbi al collo, vi sono segni neurologici (diminuzione dei riflessi osteotendinei, ipostenia, deficit sensorali).

I sintomi e disturbi che si possono manifestare ad ogni grado comprendono ipoacusia, vertigini, tinniti, cefalea, amnesia, disfagia e algie temporo–mandibolari.

Riferimenti

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