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La lettura della pellicola radiografica è indispensabile per una corretta diagnosi della distorsione del rachide cervicale

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Academic year: 2022

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La lettura della pellicola radiografica è indispensabile per una corretta diagnosi della distorsione del rachide cervicale

Prof. Giancarlo Bruno*

Nell’affrontare il problema dei piccoli danni, necessariamente l’attenzione non può non focalizzarsi prevalentemente sulla patologia distrattiva del rachide cervicale, in quanto costituisce ormai la casistica più importante per la quale è richiesto un risarcimento.

In questi ultimi anni e cioè da quando il Dr. Bucarelli per primo richiamò l’attenzione sul problema della idoneità lesiva, e il Dr. Umani Ronchi evidenziò il progressivo incremento di questo tipo di lesioni, ancorché molto sia stato detto e scritto, continuano a susseguirsi dibattiti e convegni su questo argomento. Proprio perché si tratta di una casistica in progressivo aumento che si connota di rilevanti interessi economici, il medico-legale non può più continuare ad esaminarla e risolverla con scarsa o addirittura senza attenzione, così come frequentemente si verifica, ma deve impegnarsi ad affrontarla con quel rigore che è una caratteristica peculiare della specialità medico-legale.

L’argomento che mi è stato affidato, sarà sviluppato in rapporto alla metodologia che deve essere seguita nella stesura di un elaborato peritale, avendo come riferimento la classica criteriologia per l’ammissione del nesso causale.

Modalità dell’evento - idoneità lesiva

In riferimento alle modalità del sinistro, è assolutamente indispensabile che le stesse siano esaminate in modo attento e puntuale, poiché costituiscono uno dei punti essenziali dell’accertamento e frequentemente sono il presupposto fondamentale per giungere ad una corretta interpretazione del caso. Inoltre occorre ricordare come sia necessario sapere se il soggetto facesse uso o meno dei mezzi di protezione individuale, e ciò non tanto in rapporto alla patologia del rachide cervicale, quanto per l’ammissibilità del verificarsi di altre patologie traumatiche associate, come ad esempio un trauma cranico.

Come nessuno può negare che a seguito di un tamponamento si possa verificare una distorsione del rachide cervicale, talora con un danno anche più grave di quello conseguente ad una frattura, altrettanto e forse a maggior ragione non si può affermare che sempre ed in ogni caso di tamponamento, debbano verificarsi delle lesioni e che alle stesse sempre debbano residuare degli esiti permanenti.

Da parte di una corrente di pensiero medico-legale viene sostenuto che in presenza di un tamponamento l’esecuzione di una perizia tecnico-cinematica, finalizzata ad individuare quella che può essere stata l’efficienza lesiva del traumatismo, sia un’indagine superflua poiché il risultato ottenuto non sarebbe un elemento utile di valutazione in quanto condizionato da troppe variabili. Si tratta di un’interpretazione non condivisa da molti, tra i quali gli estensori della recente “Guida per la valutazione del danno biologico permanente”, i quali ritengono che la valutazione delle conseguenze di una distorsione cervicale non possa prescindere dalla documentata efficienza dell’atto lesivo.

Soffermando l’attenzione su questo problema, appare evidente come non sia chiaro per quale motivo solo per il rachide cervicale si debba aprioristicamente escludere una verifica della vis vulerandi. Infatti, estendendo tale criteriologia ad altre situazioni, si giungerebbe ad

* Medico Legale Consulente Centrale TORO Assicurazioni, Torino

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affermare che nel sollevare un qualsiasi oggetto, sempre e comunque si possa determinare un fatto distrattivo a carico della muscolatura lombare, e che sarebbe assolutamente ininfluente approfondire l’indagine per verificare qualche fosse il peso dell’oggetto (20 gr. oppure 20 kg.), poiché troppo sono le variabili da tenere in considerazione, come ad esempio la costituzione e l’età del soggetto, le modalità con cui il peso è stato sollevato, la velocità con cui l’atto è stato svolto, l’altezza da cui è iniziata e quella dove è terminata l’azione di sollevamento, ecc.

Un corretto approccio al problema deve essere basato sulle seguenti possibilità:

• situazioni nelle quali sicuramente non può essersi verificata la lesione;

• situazioni nelle quali è possibile che si sia determinata una lesione, il cui concretizzarsi è però legato al verificarsi di determinate condizioni;

• situazioni nelle quali sicuramente sussistono i presupposti per il determinarsi di lesioni.

I punti che riguardano i problemi in oggetto di discussione, sono sostanzialmente i primi due, poiché in presenza di una collisione frontale, di un violentissimo tamponamento, di un ribaltamento del veicolo, ovviamente non c’è dubbio che si sia realizzata una sufficiente idoneità lesiva.

Occorre quindi focalizzare l’attenzione su quali possono essere le linee di delimitazione per la prima e la seconda situazione, e cioè quella in cui nessun danno può essersi determinato e quella in cui invece il danno può essersi verificato ma solo se si sono realizzate determinate condizioni. E’ di tutta evidenza come l’accelerazione che può subire il corpo umano a seguito di una modestissima accelerazione del veicolo su cui è trasportato, sia una condizione che sicuramente non può determinare alcuna lesione, pur in presenza di qualsivoglia variabile del soggetto (statura, età, posizione, preesistenze patologiche, ecc.) in quanto la sollecitazione subita dal collo, risulta essere ampiamente compresa nei limiti di quella che si verifica a seguito degli atti abitudinari della vita quotidiana.

Senza entrare nel merito di tutte le ricerche sperimentali, è sufficiente soffermare l’attenzione sullo studio di Mc Connel e coll. (1993), per urti determinati a basse velocità e cioè quelle comprese tra 4 e 8 km/ora. I risultati ottenuti hanno evidenziato che:

1. in nessun caso si è determinato un movimento più ampio della normale e volontaria escursione dei movimenti cervicali;

2. entro limiti fisiologici, si determinano un rapido movimento di tensione seguito da un movimento di compressione, diretti assialmente alla colonna cervicale;

3. talora da parte dei volontari, è stata riferita la comparsa di modesti dolori a carico del rachide cervicale, i quali insorgevano dopo che il soggetto era stato sottoposto a multiple prove, interpretabili come conseguenti ad una lieve distrazione muscolare provocata da un rapido adeguamento muscolare all’improvviso movimento di tensione;

4. la durata dei disturbi oscillava da 2 ore a 3 giorni, nessuna cura o terapia si era resa necessaria, e che nei 18 mesi successivi nessun disturbo si era ripresentato;

5. la velocità di 8 km/ora sembrava essere il limite, dopo plurimi tamponamenti, per l’insorgenza dei modesti disturbi, e che un unico tamponamento a 4 km/ora praticamente non poteva essere in grado di determinare l’insorgenza di disturbi ancorché minimali. Da quanto sin qui evidenziato emerge con sufficiente chiarezza che nei tamponamenti a basse velocità, in concreto non si possono determinare lesioni con caratteristiche tali da comportare una cronicizzazione dei disturbi e quindi di esiti permanenti.

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Da alcuni è stato affermato che un’eventuale soglia di minima lesività deve essere considerata non come un dato di certezza ma solo come un punto di riferimento di significato largamente indicativo. Pur volendo condividere questa impostazione concettuale sorge spontanea una domanda: anche le velocità di tamponamento inferiore a 2,5 km/ora, nella quale l’accelerazione subita dal corpo del soggetto non è superiore ad 1g., devono essere considerate come un dato conoscitivo di significato largamente indicativo? Evidentemente no, solo va notato il fatto che la velocità di 1g. corrisponde approssimativamente a quella che raggiunge il capo di un soggetto che seduto su di un letto si lascia cadere sul materasso. Il negare l’esistenza di una soglia di minima lesività, corrisponde ad un comportamento quantomeno superficiale che contribuisce ad incentivare richieste non corrette per il risarcimento di danni che tali non sono. La situazione ormai si è deteriorata al punto che vengono certificate distorsioni del rachide cervicale, anche in assenza di un danno all’autoveicolo.

Concludendo, si può ritenere che:

• il voler escludere una soglia di minima lesività per le sollecitazioni subite dal rachide cervicale, può non essere condiviso in quanto non corrispondente alla realtà;

• a bassa velocità di tamponamento, non si possono determinare lesioni con caratteristiche anatomiche tali da comportare una cronicizzazione dei disturbi e quindi degli esiti permanenti.

E che l’evenienza del concretizzarsi di un danno permanente sia una situazione piuttosto rara anche a seguito di tamponamenti caratterizzati da una sufficiente idoneità lesiva, se ne ha la conferma dalla classificazione fatta dalla Quebec Task Force (1995), così come riportata in forma lievemente modificata dal Dr. Buzzi (1996), in rapporto alla durata dei disturbi allegati dai soggetti: inferiore ai 4 giorni, compresa tra 4 e 21 giorni, compresa tra 22 e 45 giorni, compresa tra 45 e 180 giorni, superiore a 180 giorni: cronicizzazione.

Appare di tutta evidenza che in 4 delle 5 classi vi sono i presupposti per individuare l’esistenza di una sola incapacità biologica temporanea, situazione questa ben lontana dall’anomala realtà italiana, la quale si connota con la presenza pressochè costante di un danno biologico permanente.

Analisi della documentazione

L’esame della documentazione deve necessariamente essere condizionato dalle notizie raccolte sulle modalità del trauma e sulla sua idoneità lesiva. Si dovrà, infatti, verificare se, ed in caso affermativo fino a che punto, i dati documentali riportati nei vari referti siano compatibili o meno con il decorso che la clinica insegna essere quello proprio della lesione iniziale. Ad esempio è fatto acquisito che per una distorsione del rachide cervicale, l’uso di un collare ortopedico possa essere indicato per 2-3 settimane, e che il suo utilizzo oltre tale lasso di tempo non solo non risulti giovare ma possa anche essere controproducente. Di conseguenza prescrizioni contrarie a tali indicazioni, dal punto di vista medico-legale non possono essere accettate come rispondenti alle reali necessità terapeutiche del caso, e quindi non possono costituire punto di riferimento per la delimitazione dell’inabilità temporanea.

Gli altri elementi sui quali soffermare l’attenzione sono:

• se i documenti presi in visione sono costituiti da originali o da fotocopie;

• se le cure hanno avuto una precisa prescrizione sanitaria oppure se sono state eseguite senza la stessa, e se sono state effettuate in tempi congrui;

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• se le spese sono state documentate, con fattura o tickets, e se le stesse sono state sostenute in un lasso di tempo cronologicamente accettabile.

E’ opportuno soffermare l’attenzione anche su due argomenti che costantemente emergono nella pratica quotidiana, e che si connotano con particolari caratteristiche.

E’ di fondamentale importanza la lettura diretta delle pellicole radiografiche eseguite nel corso della prima visita ospedaliera, poiché solo una loro corretta interpretazione permette di confermare o meno quello che giustamente viene considerato come un elemento di prova per l’esistenza di una sofferenza acuta del rachide cervicale, e cioè l’esistenza di una contrattura muscolare che determina la scomparsa o l’attenuazione della fisiologica lordosi. Infatti, tale quadro, quasi costantemente descritto nei referti del primo esame radiografico, si può realizzare anche per un non corretto posizionamento del soggetto, e più precisamente quando viene fatta assumere una posizione con capo antiflesso, situazione questa che è facilmente individuabile quando l’angolo mandibolare viene quasi a sovrapporsi alle strutture muscolari del collo e quando l’occipite si distanzia dalla prima apofisi spinosa. Invece, quando vi è una vera contrattura muscolare, l’angolo mandibolare si trova anteriorizzato e l’occipite si pone a contatto con la prima apofisi spinosa, proprio perché la contrattura della muscolatura del collo tende ad avvicinarlo alla struttura ossea.

Poiché l’iniziale importante contrattura muscolare antalgica può creare i presupposti per la non immediata evidenziazione di una lesione delle strutture capsulo-legamentose, la sua conferma o la sua esclusione, costituisce un punto fondamentale per una corretta interpretazione dei quadri evidenziati con le radiografie dinamiche eseguite a distanza di tempo, che si possono quindi connotare o come vere instabilità postraumatiche oppure come quadri non postraumatici. Su questo argomento è solo il caso di ricordare che per confermare la presenza di una sublussazione cervicale, ancorché le proiezioni standard frontale e laterale possono già fornire utili dati conoscitivi, è assolutamente necessaria l’esecuzione delle proiezioni oblique che permettono di superare qualsiasi dubbio od incertezza.

La riferita presenza di vertigini, le quali possono essere il segno di una lesione delle strutture labirintiche oppure di uno spasmo dell’arteria vertebrale, deve essere attentamente vagliata. Fermo restando il fatto che a seguito di tamponamenti a bassa velocità, questa sintomatologia non viene descritta nei trattati specialistici, la sua presenza può essere interpretata non tanto come conseguenza di una lesione a livello delle strutture labirintiche, ma come dovuta ad uno spasmo dell’arteria vertebrale ed in quanto tale destinata a risolversi.

In ogni caso per l’ammissione del nesso causale tra evento e sindrome vertiginosa, occorre che venga dimostrata un’evolutività compatibile tra il quadro iniziale e quelli successivi, sino alla documentata persistenza a distanza di 12-18 mesi di una disriflessia.

Esame obiettivo

Per quanto riguarda l’esame obiettivo, in considerazione del fatto che troppo spesso viene eseguito in modo superficiale e descritto in termini approssimativi, è opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che la ricerca dei punti dolorosi deve essere eseguita in modo rigoroso e deve essere condotta con una metodologia finalizzata a verificare, sin dove possibile, l’attendibilità di quanto allegato dal periziato. Analogamente nella ricerca dei segni di sofferenza vestibolare, è opportuno che vengano anche eseguite le manovre di distrazione, le quali possono fornire dati utili orientativi per la presenza o meno di una componente di simulazione.

Inoltre è indispensabile annotare nel modo più preciso possibile la reale escursione dei movimenti ricordando che la loro ampiezza, indipendentemente dall’avvenuto traumatismo,

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varia con l’età del soggetto. Infatti, un modesto deficit nei movimenti ed in particolare delle roto-inclinazioni, mentre in un soggetto ventenne può essere interpretato come patologico in un 50-60enne può anche essere considerato come dipendente dall’età anagrafica e quindi non necessariamente come postraumatico.

Esclusione di altre cause

Altro argomento che deve essere affrontato, è quello riguardante l’esistenza di un nesso causale tra l’avvenuto traumatismo e la cronicizzazione dei disturbi, e cioè della presenza di una sindrome cronica algico-disfunzionale del rachide cervicale. Il problema risulta di rilevante importanza solo se si pensa al fatto che la riferita sintomatologia, accompagnata o meno da concreti dati obiettivi, quasi sempre viene ricollegata causalmente e talora concausalmente con l’avvenuto traumatismo.

Su questo argomento sono interessanti e significativi i risultati di un recente studio pubblicato su Lancet (Schrader H. e coll.: Natural evolution of late whiplash syndrome outside the medicolegal context - Lancet: 1996; 347: 1207-1211). Si tratta di una ricerca condotta per verificare, nei soggetti vittime di un tamponamento confrontati con un gruppo di controllo, l’esistenza o meno di un’associazione statisticamente significativa in rapporto allo sviluppo di disturbi cronici. E’ stata scelta la Lituania, in quanto in questa nazione la maggior parte degli automobilisti non è assicurata e quindi le probabilità di ottenere un risarcimento sono estremamente remote, ed inoltre la popolazione ha scarsa conoscenza della sindrome da colpo di frusta e delle sue potenzialità di causare danni permanenti. In queste condizioni contrariamente ai precedenti studi, viene esclusa la possibilità che i risultati ottenuti siano in qualche modo condizionati dall’attesa di un vantaggio economico.

L’analisi è stata condotta su soggetti considerati vittime di un significativo tamponamento, e cioè quelli in cui il danno materiale al veicolo era stato di entità tale da richiedere l’intervento della Polizia Stradale : si tratta di situazioni ben più rilevanti di quelle realizzate nella ricerca sperimentale di Mc Connel, e cioè di tamponamento a basse velocità di 4-8 km/ora.

I risultati di tale indagine, sinteticamente possono essere così riassunti:

1. tra i soggetti che 1-3 anni prima avevano subito un violento tamponamento ed il gruppo di controllo, non sussiste una correlazione statisticamente significativa per quanto riguarda:

• la presenza di disturbi cronici quali: dolori al rachide cervicale, cefalea, difficoltà della memoria e/o della concentrazione, difficoltà psicologiche;

• l’aggravamento di preesistenti disturbi;

2. è dimostrata la presenza di una correlazione statisticamente significativa, sia nel gruppo delle vittime del tamponamento che nel gruppo di controllo, tra l’età dei soggetti e la presenza dei disturbi cronici;

3. l’importanza dei disturbi delle vittime di tamponamenti, non risulta essere influenzata dall’utilizzo o meno della cintura di sicurezza, dal poggiatesta, dalla velocità di collisione, dal danno auto;

4. la sintomatologia acuta che poteva insorgere nei primi 3 giorni successivi al trauma, si era risolta nella maggioranza dei casi in un lasso di tempo inferiore ai 7 giorni.

Sulla scorta di queste risultanze gli Autori giungono alla conclusione che nelle vittime di tamponamenti, pur non negando la possibilità che in singoli casi si verifichi la comparsa di

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disturbi cronici, la frequenza di tale patologia sia sensibilmente inferiore a quella riportata negli studi precedenti.

Recentemente è anche stato posto il problema se sia corretto attribuire un diverso peso al soggettivismo della distorsione del rachide cervicale solo perché è più frequente di altre distorsioni, come ad esempio quella del ginocchio, ed inoltre è stata espressa la sensazione che nella valutazione della distorsione del rachide cervicale si siano persi di vista gli insegnamenti dei Maestri della medicina legale, basati sulla attenta disamina delle determinanti del danno e cioè la causa lesiva, la lesione, la menomazione.

Proprio perché non possono essere dimenticati i canoni fondamentali della medicina legale e perché qualsiasi posizione preconcetta inevitabilmente porterebbe a fare di ogni erba un fascio, che quanto sin qui evidenziato è stato espresso nella prospettiva di fornire un supporto tecnico per cercare di separare quanto è veramente significativo da quanto in realtà non lo è.

Infatti solo un’attenta disamina della causa lesiva, permette di escludere che un colpo portato con una matita possa determinare un trauma cranico e di conseguenza comportare una permanente sindrome soggettiva postcranio contusiva, sintomatologia invece pienamente giustificata nel caso in cui si sia verificato un vero trauma cranico da precipitazione.

Nel contesto della medicina legale, che scienza esatta non è e che quindi richiede oltre alla rigorosa applicazione della criteriologia per l’ammissione del nesso causale anche, entro certi limiti, una dose di buon senso, non può aprioristicamente essere negato un valore al soggettivismo, a condizione però che la lesione iniziale e la sua evoluzione abbiano delle caratteristiche tali da giustificarlo. Se così non fosse si giungerebbe all’assurdo che un qualsiasi evento traumatico, anche se non connotato da idoneità lesiva, comporterebbe sempre il riconoscimento di un danno biologico permanente alla sola condizione che il soggetto accusi un disturbo. E’ di tutta evidenza che il favorire tale tendenza o anche solo accettarla, toglierebbe qualsiasi valore e dignità alla medicina legale, con il risultato finale di ammettere esplicitamente che la valutazione del danno alla persona è argomento che può essere affrontato da un qualsiasi laureato in medicina.

Attualmente gli esiti di un modesto fatto distorsivo del rachide cervicale, caratterizzati da una sintomatologia dolorosa in assenza di qualsivoglia dato obiettivo sia anatomico che funzionale, vengono ad essere valutati in misura pari od inferiore al 2% di danno biologico permanente. Si tratta di una valutazione che alcuni hanno definito come “mediazione tra le parti”, nel senso che è il risultato di varie componenti: l’impossibilità di dimostrare un danno anatomico, le pressioni determinate da riflessioni di carattere non medico, dal disagio ad escludere aprioristicamente il semplice soggettivismo.

Fornire delle indicazioni sui parametri per la valutazione del danno biologico permanente è improponibile, in quanto si tratta di un argomento che non può essere affrontato da una sola persona e nel contesto di un convegno.

Sia però consentito esprimere una considerazione: una percentuale pari al 2% di danno biologico viene riconosciuta per danni obiettivabili, quali ad esempio la perdita di 2-3/10 della funzione visiva di un occhio, per la perdita della falange ungueale dell’anulare sinistro, per la perdita di due dita di un piede.

Appare evidente che si tratta di situazioni totalmente differenti dal soggettivismo algico- disfunzionale, per cui proprio nel rispetto della metodologia e della competenza medico- legale, si dovrebbe tentare di fornire elementi per una loro migliore caratterizzazione. La strada percorribile potrebbe essere quella che per le valutazioni nelle quali non è possibile obiettivare un concreto danno anatomico, il medico-legale indichi esplicitamente che il danno biologico riconosciuto come permanente, è connotato da un esclusivo soggettivismo. Questa

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puntualizzazione oltre a rientrare nei compiti del medico-legale, potrebbe anche costituire elemento per un’eventuale differenziazione nella monetizzazione del danno.

Concludendo si può affermare che per queste problematiche non deve essere applicato il criterio, più volte stigmatizzato da autorevoli studiosi, del “non si può escludere, quindi si deve ammettere”. L’attività del medico-legale particolarmente per i microdanni, deve essere improntata ad una tanto serena quanto rigorosa analisi di tutti i dati utili al più corretto inquadramento del caso, senza rinunciare all’approfondimento ed all’acquisizione di qualsiasi dato conoscitivo.

La superficialità, l’approssimazione non appartengono al patrimonio culturale e comportamentale del medico-legale, il quale se viene meno a quelli che sono i principi e le peculiari caratteristiche della sua specializzazione, contribuisce ad offuscare la propria immagine professionale ma anche a favorire la presenza in questo tipo di attività a chi specialista non è.

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