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IL NUOVO CODICE DELLE ASSICURAZIONI Avv. Rodolfo Berti

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TAGETE 4-2006 Anno XII

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IL NUOVO CODICE DELLE ASSICURAZIONI

Avv. Rodolfo Berti

Legge 21 Febbraio 2006 n. 102

La legge 102 del 2006, per ironia della sorte entrata in vigore lo stesso giorno dei pesci d’aprile, crea innumerevoli problemi interpretativi ed applicativi per ciò che riguarda il processo civile e la competenza penale del Giudice di Pace per le lesioni gravi e gravissime causate da incidenti stradali.

Luciano Gallino ha intitolato un’opera recentemente pubblicata “Psicopatologia delle riforme quotidiane”, felice definizione di tutte le recenti modifiche legislative introdotte da uno psicotico legislatore in modo farraginoso e contrastante.

La L. 102 non è quindi un pesce d’Aprile, cioè uno scherzo, ma purtroppo il frutto dell’insipienza di chi ha proposto, approvato e promulgato questa legge.

Per ora, vista la difficoltà interpretativa dell’art. 3 dovuta non solo alla sinteticità ma anche alla incompletezza della disposizione e alla erroneità delle definizioni, si è creato sostanzialmente un blocco da parte dei danneggiati che attendono di sapere a quale rito votarsi, sperando quasi in una sorta di illuminazione divina che

Avvocato Foro di Ancona ABSTRACT

The present paper deals with the Law n. n. 102/2006, about the lawsuit and the penal jurisdiction of Justice of the Peace relating serious and very serious lesions caused by vehicular accidents.

The opinion about the law is controversial.

An exhaustive legislative course is also explained.

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dovrebbe giungere non si sa bene da chi.

Visto lo sconcertante risultato che i rischi applicativi di questa legge poteva comportare, la gran parte dei Tribunali italiani si è data da fare per risolvere sotto l’aspetto pratico gestionale il primo problema che l’art. 3 comportava in mancanza di un regolamento di attuazione, e cioè che fine dovevano fare i giudizi da risarcimento danni per lesioni alla persona o morte già pendenti al 1/4/2006.

Il problema infatti era di non poca rilevanza dal momento che la conversione del rito da ordinario in speciale poteva determinare un appesantimento dei già notevoli carichi delle cancellerie dovendo per esempio lo stesso giudice gestire nella stessa udienza cause con il rito ordinario e cause con il rito speciale, problema ancor più rilevante per i giudici di pace del tutto ignari dello specializzato e più particolare rito del lavoro.

Senza contare poi che le cause già mature per la decisione avrebbero dovuto retrocedere, secondo il rito del lavoro, alla fase di cui all’art. 420 cpc, con la possibilità poi per lo stesso giudice, datagli dal successivo art. 421, di riaprire magari l’istruttoria già chiusa.

Per non parlare poi della difficoltà per i giudici, che nel rito ordinario concessi i termini ex art. 190 cpc, possono amministrare il deposito delle sentenze anche oltre i termini meramente ordinatori, mentre nel rito speciale la decisone è immediata all’udienza, il che comporta una profonda conoscenza dell’intera causa.

Inevitabile sarebbe quindi il differimento dell’udienza di discussione a tempi più lontani rispetto a quelli del rito ordinario.

Così, per i più diversi motivi, ma quasi tutti fondati su una sorta di interpretazione della norma ai sensi dell’art. 12 II co. cpc secondo la volontà del legislatore, si è ritenuto di non convertire il rito considerando che quando il legislatore ha voluto che la norma si applicasse anche ai processi in corso, lo ha sempre detto, così come

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avvenuto per la riforma del rito del lavoro e per il rito delle locazioni etc… .

Si tratta dunque di una soluzione utile ma che certamente, a stretto rigore interpretativo, può apparire non legittima sebbene non produttiva di effetti pregiudizievoli dal momento che non vi sarebbe alcuna sanzione di nullità della sentenza, la domanda non sarebbe improponibile o improcedibile e tantomeno la sentenza pronunciata con un rito diverso potrebbe costituire motivo di appello.

Comunque la legge c’è e la laconica dizione “cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti stradali” solleva tutta una serie di problematiche che riguardano i futuri giudizi a far data dall’’1/4.

Ad una prima lettura appare evidente che solo le cause relative al risarcimento danni per morte o lesioni vadano trattate con rito speciale non avendo né espressamente né implicitamente previsto il legislatore che anche le cause risarcitorie per danni a cose o per danni patrimoniali dovessero seguire lo stesso rito.

Il problema non si presta a dubbi interpretativi quando effettivamente la domanda sia limitata solo al risarcimento dei danni fisici, ma poiché tali ipotesi sono veramente rare, comprendendo invece quasi sempre la domanda risarcitoria anche quella per il danno patrimoniale, per esempio il rimborso delle spese mediche, di assistenza, di consulenza etc… la portata innovativa di questa legge, destinata nella mente del legislatore ad accelerare l’iter processuali a favore delle vittime della strada, sarebbe nella realtà svuotata di utilità.

Dunque facendo riferimento ai lavori parlamentari e alle relazioni di presentazione del testo di legge, appare invece che le dizioni usate erano diverse, ovverosia si è parlato di “risarcimento dei danni conseguenti a incidenti stradali” quindi tutti i danni a cose o persone comprese, o di “controversie in materia di infortunistica stradale”.

Sicché la domanda c.d. cumulata, ovverosia comprensiva del danno patrimoniale e

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non patrimoniale subito dallo stesso danneggiato, sembrerebbe, secondo la ratio legis, dover essere proposta con ricorso secondo il rito del lavoro.

Si tratta però di una interpretatio utilis, in attesa di un chiarimento che si spera giunga dal legislatore, sulla quale non tutti sono d’accordo perché per esempio tale soluzione comporterebbe un giudizio di prevalenza del danno a persona rispetto al danno a cose, dalla quale discenderebbe una sorta di vis attrattiva non prevista nel nostro ordinamento.

Non si potrebbe neanche ritenere che essendo i danni fisici di solito di maggior valore rispetto a quelli materiali, prevarrebbero i primi, atteso che tale prevalenza è riconosciuta solo dalla residuale previsione dell’art. 40 co. 4 cpc ma solo nel caso di due domande connesse proposte con differenti riti speciali laddove non vi sia possibilità di determinare la prevalenza attraverso la competenza.

Sicché si è affermato che il danneggiato da perdita di cose e di salute potrà, a sua scelta, proporre la domanda sia con rito ordinario che con rito speciale, spettando poi al giudice la valutazione se convertire o meno nell’una o nell’altra ipotesi e sempre che il convenuto abbia sollevato l’eccezione, a questo punto al solo scopo dilatorio ma non sostanziale.

E’ infatti evidente che non potrà ritenersi che il danneggiato debba proporre due distinte e diverse azioni secondo due riti diversi, e ciò non solo perchè si contrasterebbe con il principio della unicità dei giudicati ma anche perché in tal modo si verrebbe ad ulteriormente aggravare il contenzioso, svilendo completamente la giusta ratio di questa mal confezionata legge.

D’altra parte la Cassazione, con la sentenza 10702 del 1998, ha affermato il principio della unicità del risarcimento, anche se, previa riserva, il danneggiato può chiedere inizialmente solo il danno a cose e poi anche quello a persona o viceversa.

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Il principio dell’unicità del risarcimento tra l’altro discende dal Cod. Civ. perchè l’art.

2043 parla di “risarcimento del danno ingiusto”, l’art. 2056 cc con riferimento agli artt. 1223 e seg., parla del “risarcimento del danno” che, secondo il successivo art.

2057 può avvenire sia per equivalente che in forma specifica.

D’altra parte il danno va reintegrato in tutti i suoi aspetti, e se consideriamo che una volta al bipolarismo oggi rinnovato si era sostituito il sistema tripolare del danno patrimoniale, danno biologico e danno morale, si comprende come lo scopo del risarcimento sia quello di totalmente ripagare la vittima di tutte le perdite subite, sia di esistenza, sia di salute che patrimoniali.

Seguendo questo principio dunque si potrebbe, con una leggera forzatura interpretativa dell’art. 3, ritenere proponibile con il rito speciale anche la domanda di cumulo tra danni a cose e danni a persona.

C’è infatti chi ha proposto, con encomiabile spirito interpretativo, una manipolazione della lettera della norma sostituendo al “per” un “con” sicché la rilettura sarebbe la seguente: “cause di risarcimento danni conseguenti ad incidenti stradali con morte e lesioni”.

Ben diverso è il problema che riguarda le cause connesse, per il titolo e per l’oggetto cioè cause proposte da diverse persone danneggiate come nel caso del proprietario del veicolo e del conducente o del datore di lavoro che intervenga per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa della malattia del dipendente rimasto vittima di un incidente stradale.

Si fa riferimento all’art. 40 co. 3 cpc che però, così come novellato nel 1990, purtroppo non è risolutivo totalmente dei problemi causati all’art. 3 L. 102.

L’elenco tassativo dei casi di connessione per i quali avverrebbe lo spostamento a favore del rito ordinario, non comprende l’art. 33 cioè il caso di connessione per l’oggetto o per il titolo, ipotesi di cui prima si parlava, sicché le azioni risarcitorie per

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i due diversi danni subiti da due diverse persone per lo stesso fatto illecito dovrebbero percorrere strade diverse, l’uno con rito ordinario e l’altra con il rito speciale.

Peraltro si potrebbe anche ritenere proponibile la riunione tra due giudizi connessi per l’oggetto e per il titolo ancorché proposti con i due diversi riti, speciale quello relativo al danno a persona e ordinario quello relativo al danno a cose, perché l’art.

40 non esclude la riunibilità di due cause proposte con rito diverso, anzi al III comma la consente con attrazione sotto il rito ordinario.

L’art. 274 c.p.c., sulla riunione dei procedimenti relativi a cause connesse, ha analoga portata.

L’impossibilità della riunione è data solo dalla diversità della materia, per esempio cause di lavoro alle quali non può essere riunita una causa proposta con il rito ordinario o viceversa, a meno che non rientrino tutti e due sotto la stessa competenza per materia, e non è ammissibile, secondo la Suprema Corte di Cassazione, nel caso in cui in un giudizio di separazione o divorzio si voglia introdurre anche una domanda di contenuto patrimoniale , atteso che la materia da trattare è completamente diversa,ma il legislatore non ha potuto prevedere la balzana ipotesi contenuta della L. 102, e quindi non l’ha regolamentata sicché nulla vieterebbe che i due giudizi possano essere riuniti o sotto il rito del lavoro o sotto quello ordinario a seconda della priorità essendo peraltro probabile che sia lo stesso giudice ad occuparsi dei due riti diversi.

Prima che un intervento interpretativo della giurisprudenza auspichiamo quello abrogativo del legislatore.

Problemi non si pongono invece per le domande riconvenzionali, per quelle accessorie e per quelle di garanzia atteso che in tali casi trova applicazione il III co.

art. 40 che prevede la prevalenza del rito ordinario rispetto a quello speciale

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qualora le cause siano cumulativamente proposte o riunite.

Dunque la riconvenzionale per danni a cose proposta in una causa relativa ai soli danni fisici soggetta al rito del lavoro, comporterebbe la trattazione dell’intero giudizio con quello ordinario rientrando l’art. 36 cpc nell’elenco tassativo di cui al III co. art. 40 stesso codice.

Lo stesso dicasi per le cause accessorie di cui all’art. 31 cpc, qualora si dovesse ritenere che gli interessi, definiti compensativi, costituiscano una pretesa accessoria e non una domanda cumulata.

Le S.U. della Cassazione 1995, nella sentenza 1712, hanno infatti affermato che gli interessi costituiscono un risarcimento del “mancato guadagno” dovuto alla ritardata possibilità di investimento della sorte risarcitoria, sicché alcuni affermano che la relativa domanda, rispetto a quella risarcitoria per le lesioni psicofisiche, costituisca ipotesi di cumulo tra danno patrimoniale e danno extrapatrimoniale.

Si potrebbe però opporre che la stessa Cassazione, in numerose e anche successive decisioni (Cass. 21856/04; 10967/04; 4205/92) ha definito tale pretesa come accessoria ex art. 31 cpc.

Ne consegue che anche questo caso andrà risolto a seconda di come si vorrà interpretare la domanda di risarcimento degli interessi.

Da parte di alcuni poi, a mio giudizio in modo più provocatorio che effettivamente critico, si è sostenuto che avendo il legislatore parlato di “incidenti stradali”, si debba intendere qualsiasi danno che si sia subito su una strada e quindi anche il danno da insidia, cioè quello causato da una buca nella quale un motociclista è caduto procurandosi lesioni.

Così ragionando però si finirebbe per estendere all’ambito degli incidenti stradali, tutti quegli incidenti avvenuti a pedoni distratti, poiché l’art. 1 CdS disciplina, nei principi generali, “la circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulle strade”,

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tesi quindi infondata.

Peraltro è evidente che il danno subito in conseguenza di una anomalia stradale esula dall’ambito della circolazione stradale perché non è stato causato dalla circolazione del veicolo ma dalla cosa, cioè dall’insidia o dal trabocchetto.

Anche se è vero che l’art. 3 trova applicazione anche al di fuori del nuovo Testo Unico dell’Assicurazione Obbligatoria di cui alla L. 209/05, perché per esempio riguarda i danni causati anche da ciclisti, da cavalieri o vetturini in circolazione sulla strada pubblica e tram, e quindi anche al di fuori dell’art. 2054 cc, è evidente però che nel concetto di incidente stradale non c’entri assolutamente quello di insidia.

Grossa problematica dunque che solo la logica, il buonsenso e non da ultimo l’auspicato intervento definitivo del legislatore potrà risolvere.

Brevemente, per quanto poco credo possa rilevare il problema, vanno spese due parole sulla previsione contenuta nell’art. 5 L. 102 laddove il malaccorto legislatore ha aggiunto un ulteriore comma al già abrogato art. 24 L. 990/69.

Tutto si può certo dire e, soprattutto nel caso di specie, anche il contrario di tutto, ma la logica deve sempre soccorrere l’interprete con la conseguenza che l’art. 5 non potrà trovare applicazione fintanto che non si provveda a modificare il riferimento all’articolo ed alla legge ai quali agganciare la nuova disposizione, cioè all’art. 147 della L. 209/05.

Si afferma da parte di alcuni però che, a prescindere dal dettato letterale secondo il quale “è aggiunto”, il comma può costituire una norma a se stante e pertanto di applicazione immediata dal primo di aprile del 2006.

Anche in questo caso i dubbi interpretativi sono del tutto giustificati tanto che un giudice ha già concesso una provvisionale prescindendo dallo stato di bisogno.

Ma i dubbi applicativi ed interpretativi sono più gravi per ciò che riguarda l’aspetto penale così come modificato dagli artt. 2-4-6 della L. 102 posto che si può ritenere,

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e purtroppo fondatamente, che nei casi di lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme della circolazione stradale di cui all’art. 590 cp la competenza penale passi dal Giudice di Pace a quella di Tribunale laddove l’art. 2 co. 2 prevede un aumento di pena detentiva nel caso di lesioni gravi e gravissime, confliggendo insuperabilmente con il disposto dell’art. 52 del D.lgs. 274 del 2000 che ha invece escluso che il Giudice di Pace possa applicare sanzioni detentive al cui posto deve essere applicata la pena pecuniaria o quella della permanenza domiciliare ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità.

Per comprendere meglio la portata della novella legislativa è opportuno fare riferimento alle ratio legis così come risultano dalle relazioni di presentazione dei due diversi disegni di legge.

La legge delega istitutiva della competenza penale del Giudice di Pace, n. 468 del 24/11/1999, aveva l’evidente scopo di ridurre il carico penale che aveva gravato sino a quel momento le Preture e che si era riversato poi sul Tribunale monocratico, trasferendo quindi al Giudice di Pace tutti quei processi relativi a reati, definiti “bagatellari” dal relatore del disegno di legge nella seduta del 24/5/1999 alla Camera e quindi sottovalutati quali reati di secondo ordine, tra i quali quello di lesioni colpose di cui all’art. 590 c.p..

La finalità eminentemente civilistica delle norme processuali del D.lgs. 274 del 2000, di attuazione della legge delega del 1999, rende evidente come il legislatore abbia tenuto più da conto le esigenze risarcitorie e quindi abbia voluto dare una accelerazione ai processi penali rendendo la parte offesa-danneggiato quasi arbitro unico, sottraendo il processo al controllo inquirente diretto del PM, abbreviando il termini delle indagini preliminari rispetto a quelli ordinari, eliminando il controllo del GIP, lasciando praticamente in mano alla Polizia Giudiziaria la possibilità di disporre il rinvio a giudizio dell’imputato.

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Tale attenzione civilistica si denota in modo ancor più evidente con l’art. 21, cioè con il “Ricorso Immediato” al Giudice di Pace su istanza della parte offesa che vale come querela e, laddove chieda e specifichi il risarcimento del danno, anche come costituzione di parte civile addirittura con la possibilità di intervento delle altre eventuali parti offese senza necessità per queste di costituirsi a loro volta parte civile e di presentare querela, offrendo alla parte offesa anche il potere di veto della pronuncia di estinzione del reato di cui all’art. 34 nei casi di speciale tenuità.

Tutto il costrutto processuale del Giudice di Pace, soprattutto per gli artt. 21, 29, 34, 35, consente di equiparare questo processo penale ad un’azione civile, preminente rispetto a quella penale, a differenza di quello che invece il diritto processuale ordinario prevede.

Il processo penale è un processo che riguarda principalmente l’interesse pubblico e quello della parte offesa soltanto se questa si costituisca parte civile, cioè eserciti i propri diritti civili nell'ambito del processo penale, mentre di fronte al Giudice di Pace l’iniziativa, soprattutto con il ricorso di cui all’art. 21, è lasciata alla parte privata, offesa o costituita parte civile che sia.

Il processo penale del Giudice di Pace è poi indubbiamente finalizzato alla conciliazione, istituto che abbiamo già trovato e ritroveremo in un futuro sempre più spesso previsto dalle norme processuali, ultima tra le quali il 696bis del Codice di Procedura Civile.

Il legislatore del 2000 quindi ha prestato attenzione alle vittime degli incidenti stradali più per l’aspetto civilistico risarcitorio che per quello della sicurezza sociale, come se i reati colposi di cui all’art. 590 III co. c.p. ingolfassero solo le cancellerie dei Tribunali e non le corsie degli ospedali. Infatti mentre per alcune ipotesi di colpa si è avuto riguardo alla delicatezza del problema limitando con l’art. 4 lett. a) per le lesioni da colpa professionale, cioè quelle mediche, e per quelle da infortunio sul

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lavoro, la competenza del Giudice di Pace fino a 20 giorni di malattia, nessun limite qualitativo o quantitativo è stato previsto per i reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale, fenomeno ben più grave ed esteso contro il quale, negli anni immediatamente successivi, vi è stata una levata di scudi della pubblica opinione, e di associazioni apposta costituite, che hanno portato a modifiche del Codice della Strada e ad innovazioni sostanziali come nel caso degli artt. 126 bis, 186 e 187.

La legge sulla competenza penale del Giudice di Pace, peraltro poco utilizzata nonostante le più favorevoli previsioni di celerità, denota come il legislatore del 2000 abbia giudicato i reati attribuiti a tale competenza minore, di scarso valore sociale, perché il GdP non può applicare le sanzioni detentive previste dall’art. 590 c.p., stabilendo infatti l’art. 52 del D.lgs., in esecuzione dell’art. 16 della legge delega, la edittale applicazione al posto della pena della reclusione o dell’arresto, anche se alternativa alla multa o all’ammenda, della sola pena pecuniaria o della pena della permanenza domiciliare ovvero della pena del lavoro di pubblica utilità a seconda della gravità delle lesioni e della quantità della pena prevista dall’art. 590 c.p..

Le lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla circolazione stradale, pur essendo ipotesi aggravate come previsto dal 3° comma dell’art. 590 c.p., sono state lasciate tutte alla competenza del Giudice di Pace, a prescindere dalla gravità o meno delle stesse, a differenza invece delle “lesioni sanitarie” e di quelle da infortunio sul lavoro, per le quali il legislatore ha avuto un particolare riguardo, non tanto per le pene, quanto invece per la maggior specialità dell’indagine e quindi dell’istruttoria vera e propria e del dibattimento, cioè per una giustizia più certa, affidando la competenza per questo tipo di lesioni al più specializzato Tribunale qualora la malattia derivata superi i 20 giorni.

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A prescindere dalla ovvia considerazione che la lesione causata da un incidente stradale è lieve, grave o gravissima così come quella causata da un bisturi o da una caduta da una impalcatura e che sono molti di più i feriti da incidenti stradali, quello che più rileva è che con questo limite di competenza imposto dall’art. 4 del Dlgs. 274/2000, sostanzialmente si è creato un tipo di reato aggravato senza modificare però l’art. 590 c.p..

Infatti nonostante la norma penalistica dichiarasse già aggravati quei reati commessi con violazione del Codice della Strada o delle norme antinfortunistiche, il legislatore del 2000 ha ritenuto implicitamente aggravate anche le lesioni colpose da colpa medica ed ulteriormente aggravate quelle da infortunio sul lavoro che superino i 20 giorni di guarigione giudicando tali tipi di reato non “bagatellari” e quindi sanzionabili con pene diverse e più pesanti rispetto a quelle cd. alternative di cui all’art. 52 sicché il medico o il datore di lavoro che abbiano causato lesioni guarite in 20 giorni, tutt'al più subiranno una pena pecuniaria o quelle alternative nei limiti di quanto stabilito dall’art. 52 della legge del Giudice di Pace, mentre i loro colleghi che abbiano causato una lesione guarita in 21 giorni rischieranno la reclusione fino a 3 mesi, anche se poi nella pratica viene comminata sempre la sanzione pecuniaria.

Con la legge 102 entrata in vigore il 1° aprile lo smemorato legislatore ha obliato completamente la legge 274 del 2000, e non solo quella, aggravando le pene detentive per le lesioni colpose da sinistro stradale.

Se infatti leggiamo la relazione presentata nel 2005 alla Camera per l’approvazione del testo di legge, risulta evidente come questo aggravamento sanzionatorio sia dovuto ad una inversione di tendenza per il maggior allarme sociale causato dai sempre più frequenti incidenti stradali dovuti alle stragi del sabato sera, alla velocità, alle famigerate corse con auto truccate, alla guida in stato di ebbrezza o

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sotto l’influenza di droghe, sicché il fenomeno ha assunto una giusta dimensione di pericolo sociale finalmente meritevole di maggior rigore sanzionatorio anche ai fini dissuasivi.

Il relatore infatti afferma che vi è un grave sconcerto nei parenti delle vittime e nelle vittime stesse da incidenti stradali quando vedono che la sanzione penale rimane assolutamente teorica, sia per l’istituto del patteggiamento, sia per la sospensione condizionale, sia per il gioco della prevalenza delle attenuanti che non rendono giustizia.

Si fa riferimento all’aumento del numero dei sinistri stradali ed alla necessità quindi di aumentare le pene ed aggiungere severe sanzioni accessorie.

Dunque vi è stata una maggior presa di coscienza del grave problema, sicché questa legge proposta nel 2001, approvata dalla Camera nel marzo del 2005, peraltro con profonde modificazioni, è passata poi al Senato il 9/2/2006 addirittura con rinuncia agli emendamenti proposti dai vari componenti della commissione, tra i quali magistrati e avvocati di chiara fama, senza che nessuno si rendesse conto che con essa si andava per esempio ad aggiungere un comma al già abrogato art.

24 della L. 990/69, che si creava un nodo gordiano sul rito da adottare, sulla possibilità di convertire o meno le cause civili già pendenti, perché mancano le norme di attuazione della legge stessa, ma soprattutto nessuno si è reso conto che così facendo si andava sostanzialmente a derogare dall’art. 4 della L. 274 del 2000, con il rischio di riportare la competenza per le lesioni gravi o gravissime da incidente stradale al Tribunale ordinario.

Prescindendo dallo scolastico broccardo “ubi voluit dixit” , e dalle considerazioni di convenienza e di opportunità nelle quali si è trovato rifugio per risolvere praticamente il problema della conversione del rito per i giudizi civili già pendenti, quello che risulta per certo è che allo stato l’art. 2 comma 2 della L. 102 del 2006

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ha operato sull’art. 590 cp e non sull’art. 4 della legge penale del Giudice di Pace né tanto meno sull’art. 52; che ha operato sull’art. 552 del c.p.p. e non sull’art. 20 del D.lgs. 274; che ha operato sull’art. 406 c.p.p. e non sull’art. 16 del D.lgs.; che ha operato sugli artt. 222 e 224 del Codice della Strada aggiungendo degli articoli bis che prevedono il primo una riduzione della sospensione della patente di guida nel caso in cui la sentenza sia pronunciata a seguito di patteggiamento, quando l’art. 444 è tra quelli esclusi dall’art. 2 lett. g) L. 270/00, ed il secondo che prevede la sanzione amministrativa accessoria del lavoro di pubblica utilità nel caso in cui vi sia “condanna alla pena della reclusione”, sanzione che il Giudice di Pace non può applicare; che ha operato altresì ed infine sull’art. 99 II comma del c.p. in tema di recidiva quando la recidiva non è più contestabile nelle ipotesi di delitti colposi:

insomma il legislatore ha operato su tutti i codici meno che su quello relativo al processo penale di competenza del Giudice di Pace.

Ne consegue che non potendo il Giudice di Pace, in mancanza di specifica modifica legislativa dell’art. 52, applicare la sanzione detentiva ma solo quella pecuniaria o le altre sanzioni alternative previste, la competenza per i reati di lesioni colpose gravi o gravissime da incidenti stradali dovrebbe passare al Tribunale non essendo possibile che il Giudice disapplichi la legge né tanto meno potrà ritenersi che le norme modificate possano essere adattate al rito minore.

Sulla durata delle indagini preliminari, per esempio, il legislatore ha previsto che sia concedibile solo una ulteriore unica proroga, così come limitata dall’art. 4 della L. 102, ma tale disposto non potrà trovare applicazione, sia perché nel rito ordinario la proroga è di 6 mesi, cioè uguale alla durata delle indagini, contro i 4 mesi previsti dall’art. 16 del D.lgs. 274, il che allungherebbe i termini invece abbreviati, sia perché l’art. 4 L. 102 parla di concessione, cioè di un provvedimento emesso, previa istanza del PM, da parte di un giudice terzo, cioè il GIP, che nel rito del

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Giudice di Pace non c’è essendo l’ulteriore prosecuzione di due mesi disposta dallo stesso PM con provvedimento motivato.

L’art. 2 del Dlgs 274/00, nel disporre il rinvio alle norme del Codice di Procedura Penale per quanto nello stesso decreto non previsto, esclude tassativamente alla lettera d) l’applicazione delle disposizioni relative “alla proroga delle indagini preliminari” sicché, non essendo stata eliminata tale esclusione, è evidente che l’art. 4 della legge in esame non possa aver implicitamente abrogato tale norma, riferendosi quindi, ed in modo esplicito, solo all’art. 406 c.p.p. con la conseguenza che la riforma riguarda solo il rito ordinario del Tribunale alla cui competenza i reati colposi di cui all’art. 590 III co. c.p. per lesioni gravi gravissime da incidente stradale pare proprio siano rimessi.

Le stesse dizioni usate dal legislatore non possono riferirsi al processo del Giudice di Pace atteso che fanno riferimento al “decreto di citazione a giudizio” e non alla

“citazione a giudizio” di cui all’art. 20 del D.lgs. 274 e alla “proroga” e non alla

“prosecuzione” così definita dal richiamato art. 16.

L’art. 224bis del C.d.S., introdotto dall’art. 6 della legge 102, rende ancor più evidente l’inapplicabilità della novella al Giudice di Pace perché prevede che la sanzione amministrativa accessoria del lavoro di pubblica utilità sia subordinata alla pronuncia di una sentenza di condanna alla pena della reclusione per un delitto colposo commesso con violazione delle norme dello stesso C.d.S. e quindi anche per le ipotesi di cui all’art. 590 cp, ma il GdP non potrà mai applicare tale sanzione accessoria perché non può condannare alla sanzione della reclusione, né potrebbe, pur potendolo fare, comminare tale sanzione accessoria della stessa natura di quella principale duplicando in tal modo la pena.

L’art. 52 infatti del D.lgs. n. 274 prevede che le sanzioni pecuniarie o quelle detentive debbano essere sostituite, le prime a richiesta dell’imputato, con il lavoro

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di pubblica utilità sicché il condannato all’espiazione di siffatta pena, si troverebbe poi, qualora gli venisse comminata anche identica sanzione amministrativa accessoria, a scontare dunque una pena principale ed una accessoria di identica natura senza possibilità di compensazione.

Le sanzioni accessorie sono sempre di natura e genere diverse da quelle espiative (secondo alcuni punitive) prevedendo il nostro ordinamento penale solo le sanzioni pecuniarie, quelle detentive e quelle dell’ergastolo, mentre quelle accessorie sono di più vario genere e previste dagli artt. 28 e segg. c.p. cui va aggiunta anche quella della sospensione della patente di guida, applicabile specificatamente nella ipotesi di incidenti stradali, ma mai ad una sanzione detentiva potrà essere aggiunta, come pena accessoria, un altro periodo di detenzione.

D’altra parte poiché il rinvio dell’art. 2 del Dlgs 274 alle norme del c.p.p., per quanto in esso non previsto, è limitato a quelle “applicabili”, appare che le modifiche contenute nell’art. 4 della legge 102, non essendo applicabili al rito del GdP, ne spostino la competenza al Giudice superiore.

Allora se la legge non può essere applicata perché altrimenti il processo sarebbe nullo, né essendo possibile adattarla al rito del Giudice di Pace attraverso un

“interpretatio utilis” senza totalmente svilirla e dunque sostanzialmente disapplicarla, si deve concludere che le lesioni colpose gravi e gravissime causate da incidenti stradali debbano essere trattate dal competente Tribunale.

Alla tesi dello spostamento della competenza dal Giudice di Pace al Tribunale, si è da taluni opposto che, in mancanza di una specifica disposizione di legge, risulterebbe la violazione dell’art. 25 Cost., privando l’imputato del giudice naturale.

La Corte Costituzionale si è però già pronunciata su questione analoga affermando, in tema di legittimità costituzionale della legge recante “modificazioni delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziali”, che “il precetto costituzionale

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enunciato nel primo comma dell’articolo 25 tutela una esigenza fondamentalmente unitaria: quella, cioè, che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio. La illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito si verifica, perciò, tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali ovvero attraverso atti di altri soggetti, ai quali la legge attribuisca tale potere al di là dei limiti che la riserva impone. Il principio costituzionale viene rispettato, invece, quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o determinante designazione di un nuovo giudice

“naturale” - che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente” (Corte Cost. 5/5/1967 n. 56).

Tale indirizzo interpretativo è stato confermato dalla Consulta anche con la successiva sentenza 8/4/1976 n. 76 di rigetto delle eccezioni di incostituzionalità delle leggi che hanno trasferito dalla Corte d’Assise al Tribunale la competenza per i reati di rapina aggravata, sequestro di persona a scopo di rapina ed estorsione aggravata.

Il problema dunque è un vero e proprio falso problema perché potrebbe sussistere, tutt'al più, per quei reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge 102 ma per i quali ancora non è iniziata l’azione penale, e comunque limitatamente al rito da adottare e non certamente alla pena aggravata ostando a ciò il principio della applicabilità della sanzione in vigore al tempo del fatto di cui all’art. 2 c.p., mentre

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nessun problema sussiste per quei reati commessi dopo il 1°/4/2006, in quanto il Tribunale, eletto quale giudice competente in forza di una modifica sostanziale e processuale disposta dal legislatore, sarebbe il giudice naturale.

Analogo problema si era già verificato per esempio al tempo in cui l’art. 11 quinquies comma 1 della L. 7/8/1992 n. 356, aveva elevato le pene per il delitto di usura portandole nel massimo a 6 anni sicché si determinò lo spostamento della competenza dal pretore, il cui limite disposto dall’art. 31 c.p.p. era fino a 3 anni, in favore del Tribunale.

Anche in quel caso si trattava non già di una espressa disposizione legislativa che indicasse nel Tribunale il nuovo giudice competente, ma solo di un aggravamento della pena che non potendo più essere applicata dal Pretore, determinava automaticamente lo spostamento all’organo superiore.

Il principio infatti è che “finché si possono infliggere le vecchie sanzioni rimane la competenza del giudice così come stabilita, trasferendosi invece al giudice superiore l’applicazione della pena oltre i limiti precedentemente stabiliti” (Cass.

Pen. Sez. IV 29/9/2004 n. 46541).

Credo quindi che non vi siano ostacoli né giuridici né giurisprudenziali per ritenere che tutti i reati di cui al 3° comma dell’art. 590 c.p. che abbiano causato lesioni gravi o gravissime, commessi dopo il 1°/4/2006, debbano essere giudicati dal Tribunale e non più dal Giudice di Pace.

Diverso e forse più cogente problema è quello di stabilire, in mancanza appunto di norme transitorie e di attuazione, che fine faranno quei reati commessi prima del 1°/4 ma non ancora oggetto di azione penale.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione Penale con sentenza n. 3821 del 31/1/2006, risolvendo il dissidio sorto tra le varie sezioni e tra diverse decisioni circa la competenza a giudicare del reato di cui all’art. 186 C.d.S. così come

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novellato dalla L. 27/6/2003 n. 151 convertita poi nella L. 214, per quei fatti occorsi prima della modifica ma non ancora sottoposti ad azione penale, richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale sopra indicata, e precedenti decisioni della stessa Corte di legittimità, hanno affermato il principio secondo il quale la competenza a giudicare in simili casi rimane al giudice precedentemente designato dal legislatore quando la modifica abbia valore essenzialmente sostanziale ovvero di modificazione della sanzione edittale e non invece di disposizione processuale con precipua funzione regolatrice della competenza per cui, nel caso dell’art. 186 C.d.S. come novellato, riguardando la modifica non solo l’aggravamento della pena edittale ma anche della regola processuale, nel caso specifico peraltro esplicitamente evidenziata dalla elezione del Tribunale come organo competente, la competenza a decidere dei reati commessi prima della modifica ma per i quali non sia stata ancora esercitata l’azione penale, spetta al giudice che viene individuato dalla modifica processuale, limitatamente però al rito da adottare e non certamente all’entità della sanzione che rimane quella vigente al tempo del fatto.

Ora nel caso della L. 102 del 2006, non essendoci ovviamente la disposizione specifica che determina il passaggio di competenza al giudice superiore, il problema potrebbe apparire diverso ma se si dovesse invece ritenere fondato quanto detto in precedenza sul fatto che sia per l’aggravamento della pena sia per le modifiche alle norme processuali introdotte dalla richiamata legge, sostanzialmente e processualmente la competenza passa al Tribunale, troverebbe applicazione lo stesso principio enunciato dalle Sezioni Unite sicché, dovendosi stabilire il rito da adottare al momento dell’esercizio dell’azione penale, ne conseguirebbe che per il reato di lesioni colpose gravi e gravissime di cui al 3°

comma dell’art. 590 c.p., pur commesso in epoca precedente il 1°/4/2006, la competenza processuale, e quindi il rito, sarebbe quello del Tribunale fermo

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restando che la sanzione invece rimarrebbe quella prevista dall’art. 52 L. 274 del 2000.

Per concludere, anche se inconsciamente ed inconsapevolmente, il nostro ondivago e distratto legislatore di fatto ha esteso alla competenza del Giudice di Pace penale quel limite già esistente per la competenza civile, raccordando quindi i due diversi ambiti processuali

Infatti se il Giudice di Pace Civile è competente a decidere delle cause relative ad incidenti stradali, per danni a cose e/o persone, che abbiano un valore non superiore ad € 15.493,71, non si vede per quale motivo possa avere invece una competenza illimitata in sede penale dove, giudicando il reato di lesioni gravi o gravissime, potrebbe liberamente liquidare alle parti civili costituite risarcimenti ben al di sopra dei limiti della sua competenza civile.

Tale sperequazione era già stata evidenziata al tempo dell’entrata in vigore della L.

274/00 e da più parti si era chiesta una riforma che limitasse la competenza penale del Giudice di Pace alle lesioni lievi da incidenti stradali, così come era già stato stabilito nel caso delle lesioni sanitarie e degli infortuni sul lavoro.

In ogni caso è auspicabile che al più presto vi sia un intervento del legislatore per modificare questa legge che per ora ha causato la paralisi della giustizia e che è foriera solo di problemi e non di soluzioni.

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