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UNIVERSITA CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO

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UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

DI MILANO

Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione

LA CRIMINALITA’ DEI MINORI STRANIERI E L’INTERVENTO SOCIALE

Tesi di laurea di Katiuscia Isac

Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Bianca Barbero Avanzini

Anno Accademico 1998/1999

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INDICE

INTRODUZIONE

CAP. I IMMIGRAZIONE STRANIERA E CRIMINALITA’ IN ITALIA 1.1 Immigrazione in Italia dal 1950 ad oggi: un quadro generale 1.2 La presenza regolare nel ’97 ’98

1.3 La presenza irregolare

1.4 Migrazioni, problemi sociali emergenti e criminalità 1.4.1 Immigrazione straniera e criminalità 1.4.2 L’andamento della criminalità nel tempo in Italia 1.4.3 Gli stranieri denunciati e condannati dal ’95 al ’97 1.4.4 Principali tipi di reati attribuiti agli stranieri nel 1997 1.4.5 Devianti stranieri e italiani: un confronto 1.5 La legislazione vigente, difficoltà e limiti dell’applicazione

agli immigrati autori di reato 1.5.1 Attività della polizia e denunce dei cittadini 1.5.2 I procedimenti penali derivanti da arresto 1.5.3 Le misure alternative: difficoltà di applicazione a- La sospensione condizionale della pena b- L’affidamento in prova al servizio sociale

c- La semilibertà

1.6 Cause sociologiche della devianza fra gli extracomunitari:

tre teorie che cercano di spiegare il fenomeno a- La scuola di Chicago e la teoria del conflitto di culture b- La sociologia struttural-funzionalista e le teorie dell’integrazione c- Goffman: diversità, controllo sociale e devianza

CAP. II I DIRITTI DEL MINORE STRANIERO IN ITALIA

2.1 La presenza dei minori stranieri in Italia 2.1.1 Gli spostamenti migratori: le ipotesi più

ricorrenti e i fattori di vulnerabilità

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2.1.2 Emigrazione e adolescenza 2.2 La tutela del minore straniero a- Minori soli ultraquattordicenni b- Minori soli infraquattordicenni o minori con genitori/e c- Minori stranieri irregolari

2.3 La figura del minore straniero nella nuova normativa sull’immigrazione - D.Lgs 25 luglio 1998 n.286 -

2.3.1 Diritto all’unità familiare e ricongiungimento familiare 2.3.2 Il diritto all’istruzione 2.3.3 Il diritto di asilo

CAP III LA CRIMINALITA’ FRA I MINORI STRANIERI

3.1 Andamento della criminalità minorile

3.1.1 Minori stranieri denunciati, detenuti, arrestati e imputazioni a loro carico nel ‘97-’98

3.2 Il problema dell’identificazione dei minori stranieri 3.2.1 La falsità dei documenti 3.2.2 L’attribuzione dell’età

3.2.3 L’identificazione attraverso le impronte digitali e l’utilizzo giudiziario

3.3 Le misure alternative alla detenzione: difficoltà e

limiti di applicazione 3.3.1 Applicazione delle misure cautelari 3.3.2 La sospensione del procedimento e la messa alla prova

CAP. IV LE RISPOSTE SOCIALI AL COMPORTAMENTO DELINQUENTE DEI GIOVANI IMMIGRATI

4.1 I servizi per minori nell’area penale 4.1.1 Centri di Prima Accoglienza 4.1.2 Istituti Penali per minorenni 4.1.3 Le comunità 4.1.4 Il Servizio Sociale 4.2 Il ruolo dell’operatore sociale

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a- Le difficoltà dell’educatore b- L’assistente sociale: quali limiti?

4.2.1 La lettura dei bisogni del minore immigrato 4.2.2 Il ruolo del mediatore culturale 4.2.3 Quali rischi per l’operatore sociale 4.3 La scuola come luogo determinante per l’inserimento dei giovani immigrati 4.4 La socializzazione del minore straniero:

la famiglia come agenzia di socializzazione primaria 4.5 Immigrazione e educazione interculturale

CAP.V I MINORI STRANIERI E IL CARCERE: IL PUNTO DI VISTA DELL’OPERATORE

5.1 Il dibattito sulle possibilità educative del carcere 5.2 Ipotesi, obiettivo e metodologia 5.2.1 Analisi del contenuto delle interviste 5.3 Conclusioni

CONCLUSIONI APPENDICE BIBLIOGRAFIA

NOTA REDAZIONALE

Questa tesi si compone di 2 3 3 pagine

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INTRODUZIONE

Le migrazioni dalle aree periferiche del mondo verso le metropoli capitalistiche, rappresentano un fenomeno strutturale irreversibile della fase storica presente, fenomeno che occorre assumere e analizzare attentamente per le sue implicazioni sul piano sociale, politico e culturale.

I movimenti migratori hanno origini lontane, la storia di ogni civiltà è storia di migrazioni, cioè di scambi, mescolanze, ecc.

Oggi siamo in presenza di una fase nuova di questo movimento millenario, fase la cui tendenza dominante è costituita dallo spostamento dai paesi del Sud del mondo e dall’Est europeo verso i paesi dell’Europa occidentale.

A determinare i flussi migratori sono ragioni economico-sociali: il drammatico impoverimento di molte aree del Terzo mondo, la crescente disparità di reddito rispetto ai paesi sviluppati, dunque la necessità di sopravvivenza. Accanto a queste vi è l’intreccio di ragioni ecologiche, politiche e culturali: il grave degrado ambientale che colpisce i paesi del Sud del mondo; la forza di attrazione esercitata dall’Occidente, e dall’Europa in particolare, grazie alla sua capacità di rappresentarsi, tramite i mezzi di comunicazione, come regno della ricchezza, del consumo, della mobilità, della libertà, accessibili a tutti;

la necessità di sfuggire a situazioni di guerra, a regimi oppressivi, a persecuzioni politiche e/o religiose; la destrutturazione di vecchi

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assetti politici, in particolare nell’Est europeo, e le conseguenti crisi economiche, sociali e culturali.

A queste cause – che comunque non vanno intese in senso rigidamente deterministico poiché le spinte migratorie sono anche il prodotto della somma di istanze, strategie e progetti individuali – va aggiunta la peculiarità della struttura economica europea, e di quella italiana in particolare: la presenza di un doppio mercato del lavoro, l’uno ufficiale e garantito, l’altro sotterraneo, mobile, non protetto e retto dall’arbitrio assoluto, rappresenta un indubbio fattore di attrazione per i migranti. In questo sistema gioca un ruolo importante la manodopera immigrata, a basso costo, illegale, tenuta in condizioni di perenne clandestinità.

Per ciò che riguarda l’Italia, già caratterizzata da una forte emigrazione, solo negli ultimi decenni si è trasformata in un paese di accoglienza, zona di transito e/o di arrivo per flussi migratori di notevoli dimensioni.

Tale mutamento ha provocato non pochi problemi ed una situazione anomala rispetto agli altri stati europei: mentre infatti si contano a centinai di migliaia i connazionali emigrati in tutto il mondo ancora nei primi decenni del secondo dopoguerra, continua a crescere nel nostro paese la presenza di stranieri in cerca di lavoro.

La natura relativamente recente del fenomeno, ha fatto si che l’Italia risulti rispetto alla maggior parte dei paesi sviluppati assai più carente sul piano legislativo, delle politiche, delle strutture amministrative della cultura necessari a governare una realtà così complessa, anche se la nostra nazione ha potenzialmente il vantaggio di valutare criticamente le esperienze compiute dai paesi di più lunga tradizione immigratoria, utilizzando con le necessarie modifiche e le dovute cautele soluzioni già sperimentate altrove.

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Gli stati europei industrializzati, da tempo interessati al fenomeno, hanno adottato in un primo momento una politica di utilizzo della manodopera allogena vista come funzionale all’espansione industriale, per irrigidirsi successivamente in un atteggiamento di chiusura, con il blocco delle frontiere o il contingentamento dei nuovi ingressi o, anche, ponendo in atto misure protezionistiche di varia natura.

I due modi di porsi rispetto al problema hanno comunque rappresentato un fallimento per quanto riguarda la regolarizzazione ed il controllo del fenomeno. Nel primo caso perché si è consentito di impiegare, o meglio di sfruttare, i lavoratori secondo i bisogni e le necessità dell’economia nazionale, accogliendoli o rinviandoli al Paese d’origine sulla base dell’andamento del mercato del lavoro, senza tenere conto delle conseguenze psico-sociali dell’immigrazione sui singoli e sulle collettività interessate.

Non si è considerato che si trattava di persone che, una volta inserite nelle attività economiche, integrandosi così nella società di accoglimento, si sarebbero, in larga misura, costruite una famiglia e una rete di rapporti amicali e sociali con la prospettiva di divenire essi stessi o almeno i loro figli, cittadini a tutti gli effetti dello Stato ospitante.

La seconda misura, di carattere ancor più illiberale e repressivo, ha avuto come conseguenza immediata quella di alimentare soggiorni illegali e ingressi clandestini; il risultato a medio termine, è stato invece quello di creare nuove e più diffuse sacche di marginalità e di povertà nel tessuto sociale.

Le politiche di chiusura hanno raggiunto solo in parte il loro obiettivo e hanno avuto una serie di effetti secondari, che in una certa misura hanno riguardato anche il nostro paese.

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In primo luogo, esse hanno sì rappresentato un argine nei confronti del nuovo flusso di immigrati dal Terzo mondo, ma non sono riuscite a bloccarlo del tutto, con il risultato complessivo di un aumento significativo dell’immigrazione clandestina.

In secondo luogo, queste politiche hanno avuto l’effetto di dirottare parzialmente il flusso migratorio. Alla chiusura che caratterizzava altri paesi europei corrispondeva una sostanziale apertura dell’Italia, o meglio una mancata applicazione della legislazione restrittiva nel nostro paese. I nuovi immigrati hanno trovato in Italia frontiere meno chiuse che in Germania, Svizzera e Francia e ciò ha probabilmente spinto alcuni di loro verso questa destinazione.

Come è ormai noto anche in Italia, non è sufficiente chiudere le frontiere per arginare le correnti migratorie, né, dall’altra parte, si vuole che gli ingressi diventino una variabile indipendente rispetto alle caratteristiche socio-economiche del Paese. È auspicabile, però, una politica di programmazione e, soprattutto, di cooperazione internazionale mirata allo sviluppo dei Paesi del Sud del mondo.

In ogni caso, in attesa di ottenere risultati da politiche di intervento e cooperazione per lo sviluppo dei Paesi del Terzo mondo, si deve fare il possibile per gestire al meglio le immigrazioni in Europa e in particolare in Italia.

Il nostro paese, se da un lato appare allineato con le altre nazioni europee su una linea di securatization, che si esprime sia attraverso il controllo dei nuovi ingressi sia attraverso l’enfatizzazione delle esigenze di “ordine pubblico”, dall’altro ha lungamente ritardato l’adozione di un quadro normativo organico che definisse modalità, risorse ed esiti auspicabili del processo di integrazione dei migranti e più in generale della convivenza interetnica: la nuova legge

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n.40/19981, costituisce il primo intervento legislativo orientato in tal senso.

Con questa legge l’Italia è uscita da una lunga fase di gestione sostanzialmente emergenziale del fenomeno migratorio. Il nuovo quadro normativo trova il suo fondamento nelle seguenti tre idee guida o obiettivi che debbono caratterizzare e qualificare la nuova politica dell’immigrazione: una programmazione degli ingressi legali nell’ambito delle quote stabilite annualmente; un più puntuale ed efficace contrasto dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento criminale dei flussi migratori; un maggiore e più concreto sostegno ai percorsi di integrazione per gli immigrati regolarmente soggiornanti in Italia. Si tratta di obiettivi fortemente connessi, poiché la possibilità di realizzare efficaci politiche di integrazione dipende dalla capacità di governare i flussi di ingresso e quindi di programmare la presenza straniera nel nostro Paese. Naturalmente dovranno passare alcuni anni per verificare quali effetti tale legge produce e quali modifiche correttive essa richiede.

Negli anni più recenti, antecedenti alla legge n.40/98, sul piano istituzionale e legislativo la preoccupazione dominante è stata quella del contenimento, del controllo, delle espulsioni, mentre sono passati del tutto in secondo piano i temi dell’accoglienza, dell’integrazione e dei diritti degli stranieri.

In particolare i mezzi di comunicazione hanno contribuito in maniera determinante ad alimentare nell’opinione pubblica rifiuto ed ostilità nei confronti degli immigrati contribuendo così a coltivare la sindrome dell’invasione e la tendenza a fare dell’immigrazione una questione d’ordine pubblico, se non addirittura ad assimilarla alla questione criminale.

1 Disciplina sull’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

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Negli ultimi anni, anche nel nostro Paese, gli immigrati suscitano diffidenza, preoccupazioni e paure tra la popolazione autoctona. Si teme che sottraggano risorse agli italiani, entrino in concorrenza con loro per la casa e il lavoro, mettano in crisi lo stato sociale, minaccino lo stato di vita della popolazione, producano un aumento della criminalità.

Il presente lavoro si occuperà principalmente di quest’ultima preoccupazione degli autoctoni, ovvero del fenomeno della devianza tra gli stranieri con un’attenzione particolare alla condizione del minore straniero.

Non vi è dubbio, infatti, che un fertile terreno di “coltura” dove reclutare lavoratori in modo irregolare o manovalanza per il crimine è quello da essi costituito.

Quello della devianza degli immigrati è un tema affrontato solo recentemente nel nostro Paese da personaggi pubblici, istituti di ricerca e studiosi.

In una pubblicazione del 1994 l’ISTAT ha osservato che vi è stato in Italia un “inserimento progressivo di stranieri nell’area criminale”

sostenendo che una “considerevole quota di immigrati provenienti per lo più dai paesi extracomunitari, non trovando quelle opportunità di inserimento sperate, ha finito per costituire un serbatoio inesauribile per l’arruolamento di manovalanza criminale a basso costo”2. A distanza di quattro anni, l’ISTAT è ritornata su questo problema, attribuendo l’elevata presenza straniera nell’area criminale “a fattori connessi alle particolari disagiate condizioni economiche… alle situazioni di clandestinità, ai conflitti culturali, all’assenza di legami familiari”3.

2 ISTAT, La criminalità attraverso le statistiche, Roma, 19994, p.14.

3 ISTAT, La presenza straniera in Italia. Anni 1991-95, Roma, 1998, p. 104.

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Gli immigrati, quindi, costituiscono un’area molto estesa di povertà, non soltanto per le difficoltà di integrazione nel contesto italiano, ma soprattutto per la posizione di irregolarità in cui si spesso si trovano, priva di garanzie giuridiche che li esclude dall’accesso ai servizi sociali, assistenziali, previdenziali, ecc.

L’adeguamento dell’Italia alle politiche di stop già adottate da altri paesi europei, le difficoltà di immigrazione legale hanno favorito la nascita di organizzazioni criminali specializzate nell’immigrazione clandestina, nel lavoro nero, nel mercato degli alloggi e dei permessi di soggiorno. I nuovi mercanti di schiavi si servono talvolta di piccola manovalanza costituita da immigrati, ultimo anello di una catena di sfruttamento del quale vittime sono gli immigrati stessi. Costretti ad indebitarsi per somme considerevoli, alcuni di coloro che sono entrati tramite canali clandestini diventano ostaggio nelle mani dei loro creditori che talvolta li inducono alla prostituzione, nel caso delle donne, o a piccole attività criminali.

A tutto ciò va aggiunta l’immagine corrente che l’opinione pubblica ha dell’immigrato come emarginato e pericoloso, che ne determina le difficoltà di inserimento lavorativo, di reperimento di alloggi decenti e di conduzione di una vita decorosa: da tutto ciò può derivare una reale emarginazione.

È necessario, quindi, a parere di chi scrive, valutare, attraverso i dati statistici disponibili, quanto sia effettivo e reale il pericolo sociale costituito dagli stranieri e quanto, invece, sia frutto dell’emarginazione in cui sono costretti a vivere e “dell’etichetta” negativa a loro attribuita. In particolare nel primo capitolo verrà considerato il rapporto tra immigrazione straniera e criminalità in Italia in riferimento agli adulti. Verrà analizzato in quale misura il fenomeno immigrazione straniera ha inciso sull’aumento della criminalità nel

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nostro Paese, quali tipi di reati commettono maggiormente gli stranieri, ponendo a confronto le caratteristiche della criminalità straniera con quella italiana. Verranno poi prese in considerazione quali differenze vi sono sul piano della giustizia penale tra italiani e stranieri imputati di reato. Infine verranno riprese tre teorie sociologiche che cercano di spiegare quali sono le cause della devianza tra gli stranieri.

La scelta di introdurre il presente lavoro con un’attenzione particolare agli adulti stranieri deriva dal fatto che sono essi e in particolare gli uomini che hanno caratterizzato il fenomeno dell’immigrazione sin dall’inizio. Fino a pochi anni fa, infatti, gli stranieri che arrivavano nel nostro paese erano quasi esclusivamente uomini soli che lasciavano le loro famiglie nei paesi di origine.

Il fenomeno dei ricongiungimenti familiari, che ha visto l’arrivo in Italia di donne e bambini, sembra svilupparsi in questi ultimi anni.

Nonostante ciò, sono già molti i problemi incontrati dai minori stranieri in Italia: in particolare quello della devianza assume una posizione rilevante.

Fenomeno complesso e di difficile analisi, la devianza minorile suscita grande attenzione, non solo in sede scientifica e tecnica, ma anche da parte dell’opinione pubblica. Ciò è testimonianza sia di interesse sia di preoccupazione per i rischi e i pericoli a cui sono esposti i minori nella nostra società. Questo sembra valere per i minori italiani, ma non per quelli stranieri; infatti la gravità della condizione dei minori sembra essere sottovalutata, eppure questi sono i soggetti potenzialmente più a rischio. Per questo motivo ho deciso di occuparmi di questa tematica, perché credo che sia necessaria una maggiore attenzione al fenomeno della devianza dei minori stranieri.

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I rischi psicologici e fisici connessi all’emigrazione riguardano meno l’adulto, che dovrebbe essere fisicamente e psicologicamente più solido, mentre toccano soprattutto il minore.

Venendo in Italia, il minore è sradicato dal contesto di relazioni umane e dai modelli sociali del suo Paese. Egli perde progressivamente la sua cultura e, in particolare, non sente più quel sistema di controlli e di regole che la cultura d’origine comunque rappresentava e nel contempo non recepisce ancora come proprie le leggi e la cultura del paese di accoglienza, né ha capacità di integrarle.

In sostanza il minore straniero viene a trovarsi in una situazione di anomia, al di fuori dei sistemi di tutela e di sicurezza sia collettivi sia familiari.

Contemporaneamente a tutto ciò, il minore entra a far parte in Italia dello strato sociale ed economico più basso, ma ha di fronte a sé dei modelli di consumismo che esercitano su di lui una forte attrazione.

La mancanza di stimoli familiari, la povertà nel vocabolario della lingua del paese di arrivo, l’impiego del tempo libero nei lavori di sussistenza utili alla famiglia, la precarietà della situazione abitativa, costituiscono le precondizioni delle manifestazioni di disadattamento se non di devianza.

La questione della criminalità dei minori stranieri non può essere affrontata a mio parere esclusivamente sotto l’aspetto penale; è bene prima chiarire quali sono i diritti riconosciuti al minore straniero in Italia, per poter poi verificare a livello di trattamento giudiziario in che modo tali diritti vengono realmente applicati. Una particolare attenzione a questa tematica sarà dedicata nel capitolo secondo.

Non vi è dubbio che la questione degli immigrati stranieri in Italia sia stata posta politicamente, soprattutto negli ultimi anni, come un problema più di ordine pubblico che economico; sentita dall’opinione

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pubblica più sotto il profilo dell’allarme sociale che dell’accoglienza.

È nella modalità di presentazione da parte stampa e dei partiti politici del fenomeno dell’immigrazione, che i bambini e gli adolescenti stranieri in Italia hanno avuto un ruolo rilevante, basti pensare ai numerosi servizi giornalistici sui minori spacciatori, sui bambini accattoni e borseggiatori. Si può anzi dire che, nel caso dei bambini stranieri, sullo stereotipo del bambino, come personaggio buono, positivo, da proteggere e aiutare, ha prevalso quello dello straniero, personaggio da cui diffidare, clandestino, violento, spesso delinquente.

Questa premessa è necessaria per meglio comprendere alcuni aspetti della criminalità fra i minori stranieri e del trattamento giudiziario a loro riservato; in particolare, sarà il terzo capitolo ad occuparsi di questi due aspetti.

Il quarto capitolo, invece, andrà ad analizzare attraverso i dati statistici disponibili quali soluzioni, tra i vari servizi dell’area penale, vengono più frequentemente adottate nei confronti dei minori stranieri imputati di reato. Inoltre verranno prese in considerazione quali difficoltà e limiti gli operatori sociali incontrano nella relazione con il minore straniero. Quest’ultimo aspetto verrà ripreso nel quinto capitolo, attraverso l’impiego di interviste che verranno rivolte direttamente agli operatori sociali che operano a stretto contatto con i minori stranieri. Si potranno così raccogliere informazioni direttamente vissute e opinioni di chi attraverso l’esperienza conosce in maniera più approfondita le problematiche e i bisogni più diffusi fra i minori stranieri.

Il capitolo quarto comprenderà anche l’analisi delle iniziative pensate in Italia per favorire l’integrazione del minore straniero, e per prevenire i fenomeni di devianza.

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L’indagine ha lo scopo di appurare, attraverso lo studio delle statistiche disponibili, la reale dimensione delle manifestazioni devianti commesse da immigrati, di descriverne le caratteristiche qualitative, di accertare i risultati del controllo sociale realizzato nei loro confronti. Si tratta di definire, nei limiti del possibile, se i comportamenti antisociali degli stranieri, e in particolare dei minori, incidano sulla pacifica convivenza nel nostro Paese, o non siano piuttosto la inevitabile conseguenza di una inadeguata politica sociale e di una carente solidarietà da parte degli autoctoni.

Gli studiosi che si sono occupati del fenomeno della devianza degli stranieri concordano sul fatto che sia un errore cercare di occultare il fenomeno della devianza degli immigrati, nel timore che il parlarne finisca col favorire la diffusione del pregiudizio negativo;

personalmente concordo con questa posizione, poiché credo che sia la non conoscenza a suscitare paure e allarmismi molte volte ingiustificati.

Tuttavia le conclusioni a cui questi studiosi sono giunti si collocano su posizioni contrapposte. Alcuni pensano che gli immigrati siano oggi nel nostro Paese coinvolti più spesso in episodi di criminalità dei cittadini italiani.

Altri sostengono una tesi opposta e considerano il numero degli stranieri denunciati, condannati o incarcerati, come un indicatore non tanto delle attività illecite che svolgono, quanto piuttosto delle discriminazioni che subiscono da parte della Magistratura, delle forze dell’ordine e dell’opinione pubblica.

Il presente lavoro ha l’obiettivo di verificare quale delle due posizioni sopra indicate trovi un corrispettivo nella realtà. In altre parole, lo straniero è un deviante e perciò pericoloso per la società italiana o è l’atteggiamento di diffidenza di una parte della popolazione che,

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proponendone un’immagine negativa, concorre ad emarginarlo e a determinarne i comportamenti devianti? E, ancora, il sovraffollamento nelle carceri italiani da parte di stranieri, adulti e minori, è indice del fatto che essi sono più inclini ad attività criminali degli italiani, oppure vi sono ragioni diverse?

L’intento di tale indagine è quello di trovare delle risposte a tali domande.

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CAPITOLO I

IMMIGRAZIONE STRANIERA E

CRIMINALITA’ IN ITALIA

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1.1 IMMIGRAZIONE IN ITALIA DAL 1950 AD OGGI:

UN QUADRO GENERALE

Per mettere a fuoco la specificità dell’immigrazione straniera in Italia, sarà opportuno inquadrarla nell’ambito delle migrazioni internazionali avvenute nell’Europa di questo dopoguerra.

Umberto Melotti1 da tempo si è occupato di questa problematica e ha proposto una suddivisione del fenomeno migratorio in tre fasi nettamente distinte.

La prima di queste fasi che va dal 1950 al 1967, corrisponde al periodo della ricostruzione e dell’espansione economica e strutturale.

L’Italia durante questo periodo si caratterizza esclusivamente come Paese d’emigrazione, sia verso l’esterno sia all’interno del Paese, con flussi migratori per lo più dal sud verso il nord.

In questa prima fase le migrazioni internazionali nei Paesi dell’Europa centrosettentrionale e le migrazioni interne italiane presentano una caratteristica comune: entrambe sono motivate dalla forte domanda di lavoro delle aree a maggior sviluppo industriale e presentano un elevato tasso di attività.

Inoltre, durante questa fase il lavoro degli immigrati riveste un ruolo fondamentale, nel senso che rappresenta un elemento di cui la struttura economica non può fare a meno.

La differenza principale tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Europa centrosettentrionale sta nel fatto che mentre le migrazioni interne italiane (dal sud verso il nord) tendono a diventare presto definitive, le

1 U. MELOTTI, Specificità e tendenze dell’immigrazione straniera in Italia, in Per una società multiculturale, M.I. MACIOTI (a cura di), ed. Liguori, Napoli , 1991.

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migrazioni internazionali nei Paesi dell’Europa centrosettentrionale conservano a lungo il carattere della temporaneità.

Una seconda fase, compresa tra il 1967 e il 1980, viene definita “della crisi strutturale e della nuova divisione internazionale del lavoro”2. In questo periodo, in tutti i paesi del Nord Europa tradizionalmente importatori di manodopera, le migrazioni internazionali subiscono il contraccolpo della crisi economica, inoltre a partire dal 1973-74 tali migrazioni vengono apertamente contrastate dalle così dette “politiche degli stop”.

Durante questa fase si assiste a una progressiva trasformazione dei paesi del Sud Europa che, da esportatori di manodopera diventano mèta di flussi migratori provenienti soprattutto dai paesi extraeuropei.

Sin dal 1973 l’Italia cessa di essere uno dei maggiori paesi di forte emigrazione e diviene paese di immigrazione. Melotti ricorda che in Italia giungono in questo periodo soprattutto esuli, profughi politici di origine extraeuropea. Nel corso degli anni ’70 e all’inizio degli anni

’80, in Italia, quattro furono i più importanti processi migratori: un flusso di tunisini si indirizzò verso la Sicilia, dove trovarono lavoro nel settore della pesca o in agricoltura come braccianti avventizi. Per fare le domestiche presso le famiglie delle grandi città, arrivano le prime donne immigrate: filippine ed eritree, capoverdiane e srilankesi, somale e latino-americane. Dall’allora Jugoslavia si riversarono nel Friuli gruppi di manovali che vennero occupati nei cantieri edili. Per tutti l’inserimento economico avvenne, nel migliore dei casi, nel basso terziario. L’Italia infatti fino al 1989 riconosce come rifugiati politici soltanto coloro che provengono dall’ambito europeo. Quindi i

profughi politici “di fatto”- vale a dire arrivati in Italia per motivi politici, ma senza la possibilità di un riconoscimento della qualifica di

2 Ibidem,pp.71.

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rifugiato, data la provenienza extracomunitaria- si vengono a trovare in una situazione di indubbio svantaggio non potendo usufruire delle forme di aiuto garantite ai profughi di provenienza europea che coprono il vitto, l’alloggio, l’assistenza sanitaria, etc.

Infine con l’inizio degli anni ’80 si apre la terza fase che possiamo definire “della crisi globale dei Paesi sottosviluppati e della ripresa delle economie capitalistiche”3 che è tuttora in corso.

In questo periodo le migrazioni sono sempre meno motivate dalla domanda di manodopera nei paesi di approdo, e dipendono in maniera quasi esclusiva dalla forza espulsiva dei paesi di esodo.

I Paesi dell’Europa centrosettentrionale, che fino agli anni ’80 rappresentavano le aree d’inserimento privilegiate, chiudono le frontiere, restano aperti soltanto i Paesi dell’Europa mediterranea, ma più per la loro incapacità di far rispettare le norme restrittive anche in essi vigenti che per un’effettiva scelta in tal senso.

Da tutto ciò dipendono, secondo Melotti, gli arrivi in Italia dai paesi del Terzo Mondo nei paesi dell’Europa mediterranea.

Numerosi sono anche gli arrivi dall’Europa orientale, colpiti da crisi economiche profonde. Arrivano dalla ex-Jugoslavia, già presente fra i principali Paesi d’emigrazione sino agli anni ’50, dalla Bulgaria, dalla Romania e dalla stessa Unione Sovietica.

L’immigrazione tende anche da noi a configurarsi ormai come realtà consolidata e non reversibile, affiancando quindi il nostro paese agli altri paesi occidentali sviluppati.

Si tratta di un’immigrazione indotta da fattori di espulsione “Push factors”4, e di natura politica e economico-sociale, ovvero sospinto da

3 ibidem, pp.72.

4 CASACCHIA O., DIANA P. e STRAZZA S, La distribuzione di alcune collettività straniere immigrate in Italia: caratteristiche determinanti, in BRUSA C. (a cura di) , Immigrazione e multicultura nell’Italia di oggi. La cittadinanza e l’esclusione, la “frontiera adriatica” e gli altri luoghi dell’immigrazione, la società e la scuola, Franco Angeli, Volume II, 1999, pp.75.

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mere ragioni di sopravvivenza, più che non da fattori d’attrazione dei paesi di arrivo “Pull factors”5, come un mercato del lavoro in espansione. Il paradosso dei flussi d’immigrazione elevati in presenza di altrettanti elevati tassi di disoccupazione in vaste arre dell’Italia, in realtà è soltanto apparente e si giustifica con la disponibilità di molti immigrati a svolgere mansioni e ad accettare condizioni di lavoro rifiutate dagli italiani (perché disagevoli, poco remunerate o precarie).

In questa fase le migrazioni internazionali cominciano ad assumere quindi la forma di una “fuga verso la sopravvivenza”6.

Questo fondamentale bisogno di sopravvivenza fa di questi immigrati delle facili prede per anomale forme di sfruttamento; e nel peggiore dei casi , della manovalanza per attività di tipo illecito.

Tale stato di cose alimenta fra la popolazione dei Paesi di approdo un atteggiamento d’insofferenza e di ostilità verso gli immigrati, che in realtà altro non sono che vittime, costretti ad immigrare non per libera scelta, ma perché costretti dall’esigenza, comune a tutti gli uomini del mondo, di soddisfare “semplici” bisogni primari (mezzi di sussistenza, scampo alla fame, alla miseria, alla guerra…), sono queste necessità che spingono giovani di tanti paesi a cercare un futuro lontano dalla terra in cui sono nati, cresciuti, e dove hanno vissuto con le loro famiglie.

5 ibidem, pp.75.

6 CENSIS,1979, p.132.

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1.2 LA PRESENZA REGOLARE NEL ’97 ‘98

E’ risaputo come la quantificazione della presenza straniera sul

territorio italiano è da sempre oggetto di controversia e richieda, quando non se ne voglia fare un uso errato solo ai fini ideologici, adeguate avvertenze.

In primo luogo è necessaria la scelta preliminare del collettivo statistico di riferimento. Infatti gli stranieri possono essere distinti, in base alle norme che regolano il soggiorno sul territorio nazionale, nella componente regolare, costituita da quelli in possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità, e nella componente irregolare, costituita sia da quelli che permangono nel paese senza aver rinnovato il permesso scaduto (irregolari in senso stretto), sia da quelli che non hanno mai avuto un’autorizzazione di soggiorno (clandestini).7

Il collettivo statistico di seguito considerato è costituito dalla sola componente regolare della presenza straniera in Italia, che rappresenta la componente meno sfuggente della popolazione straniera. Il materiale statistico relativo alla componente regolare è tratto dalla rilevazione da parte del Ministero dell’Interno, dei permessi di soggiorno, rilasciati dalle Questure ai cittadini stranieri presenti nel paese.

Fino al ’97 il Ministero dell’Interno anche quando faceva riferimento al sottoinsieme dei regolari, forniva delle statistiche non del tutto precise, poiché l’esistenza di una duplice contabilità dell’insieme dei permessi di soggiorno - connessa all’inclusione o meno di una quota

7 BRUSA C. (a cura di), Immigrazione e multicultura nell’Italia di oggi. La cittadinanza e l’esclusione, la “frontiera adriatica” e gli altri luoghi dell’immigrazione, la società e la scuola, Franco Angeli, Milano, 1999, Volume II.

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di documenti scaduti e non ancora rinnovati – generava false valutazioni, in termini di consistenza. Così se da un lato il dato stock

“lordo” al 31.12.1997, ipotizzava la presenza di 1241mila stranieri nel nostro paese, di cui 1073mila di provenienza extracomunitaria, dall’altro, i corrispondenti dati “netti” scendevano, rispettivamente, a 928mila e 799mila.

Per ovviare a tale inconveniente il Ministero dell’Interno nel 1998 si è preoccupato di operare una revisione dei propri archivi, mediante procedure automatiche di cancellazione dei permessi scaduti, prima di rendere pubbliche le statistiche riferite al ’98.

Da tale provvedimento è emerso come nonostante gli oltre 150mila nuovi permessi, concessi nel corso del 1998, vi è stato rispetto al ’97, una riduzione complessiva dei permessi di soggiorno di 207mila unità pari al 16,9%8.

Dalle statistiche del Ministero dell’Interno i permessi di soggiorno concessi agli stranieri in generale nel 1998 ammontavano a 1033mila di cui 890mila agli stranieri di provenienza extraeuropea.

8 I.S.MU. , Quinto rapporto sulle migrazioni, Franco Angeli, Milano, 1999, pp.17.

(24)

Tab. 1

Permessi di soggiorno secondo l’area di provenienza degli stranieri e le fonti al 31 dicembre degli anni indicati

Area/anno Ministero dell’Interno 1998 1997

ISTAT 1997 Totale permessi

Paesi in via di sviluppo Paesi a sviluppo avanzato - di cui Unione Europea

1.033.235 1.240.721

808.342 981.951 224.893 258.770 141.819 168.125

1.022.896 809.289 213.607 135.207

Fonte: Ministero dell’Interno 1999.

In termini territoriali, la distribuzione degli 890mila permessi di soggiorno relativi al complesso degli extracomunitari vede la maggiore concentrazione in Lombardia con 191mila presenze seguita dal Lazio con 165mila presenze e dall’Emilia Romagna con 74mila presenze. Queste quattro regioni accolgono oltre il 50% del totale delle presenze extracomunitarie di tutta la Penisola Italiana.

(25)

Tab. 2 Distribuzione regionale dei permessi di soggiorno rilasciati a cittadini stranieri per sesso al 31/12/98.

Extracomunitari Comunitari Totale stranieri

Regione M F T M F T M F T

Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino A.A Veneto Friuli V.G.

Liguria

Emilia Romagna Toscana

Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

ITALIA Italia sett.

Italia cent.

Italia meri.

35.090 1.021 108.091 10.755 48.042 14.531 12.177 43.806 26.159 9.092 11.797 82.957 7.315 638 24.014 16.917 1.333 7.730 25.040 4.688

491.238 273.513 138.003 79.722

26.969 737 82.997 6.520 33.622 14.253 11.139 30.680 23.648 8.300 9.592 82.210 6.267 707 23.917 11.715 781 4.362 18.301 3.461

400.178 206.917 130.724 62.537

62.059 1.758 191.088 17.257 81.664 28.784 23.316 74.486 49.807 17.392 21.389 165.167 13.582 1.390 47.931 28.632 2.114 12.092 43.341 8.149

891.416 480.430 286.727 142.259

2.999 153 13.902 4.361 3.360 1.451 2.691 3.587 3.320 1.195 1.293 14.443 625 46 1.344 1.133 57 242 1.007 777

57.986 32.504 20.922 4.560

4.690 328 18.930 4.214 4.774 2.231 3.919 4.993 6.033 2.277 1.791 19.764 929 91 3.447 1.473 132 544 2.116 1.157

83.833 44.079 30.885 8.869

7.689 481 32.832 8.575 8.134 3.682 6.610 8.580 9.353 3.472 3.084 34.207 1.554 137 4.791 2.606 189 786 3.123 1.934

141.819 76.583 51.807 13.429

38.089 1.174 121.993 15.116 51.402 15.982 14.868 47.393 29.479 10.287 13.090 97.400 7.940 729 25.358 18.050 1.390 7.972 26.047 5.465

549.224 306.017 158.925 84.282

31.659 1.065 101.927 10.734 38.396 16.484 15.058 35.673 29.681 10.577 11.383 101.974 7.196 798 27.364 13.188 913 4.906 20.417 4.618

484.011 250.996 161.609 71.406

69.748 2.239 223.920 25.850 89.798 32.446 29.926 83.066 59.160 20.864 24.473 199.374 15.136 1.527 52.722 31.238 2.303 12.878 46.464 10.083

1.033.235 557.013 320.534 155.688

Fonte: Ministero dell’Interno, 1999.

(26)

In generale è l’Italia settentrionale l’insediamento privilegiato degli extracomunitari con un totale di 480mila presenze extracomunitarie, seguita dall’Italia centrale con 269mila presenze e dall’Italia meridionale con sole 142mila presenze.

In riferimento alle principali nazionalità, la classifica dei regolari al 15.4.1998 vede ai primi tre posti Marocco, ex Jugoslavia e Albania, relativamente al totale dei presenti, e Filippine, Marocco ed Jugoslavia, limitatamente alla componente femminile.

Tab.3- Principali nazionalità presenti in Italia e stima degli irregolari al 15/4/98 (migliaia).

Permessi di soggiorno Paese di provenienza

totali

di cui femmine

Marocco 119 28

Ex Jugoslavia 73 28

Albania 71 22

Filippine 57 38

Tunisia 41 8

Cina 34 15

Senegal 31 2

Romania 29 16

Sri Lanka 25 10

Polonia 24 16

Egitto 23 4

Perù 23 16

Fonte: Ministero dell’Interno

(27)

1.3 LA PRESENZA IRREGOLARE

Nel dibattito sulla presenza straniera, il fenomeno dell’irregolarità ha sempre occupato una posizione centrale sul fronte delle problematiche connesse alla gestione della realtà migratoria, nonostante ciò è solo con la fine degli anni ‘80 che ci si è preoccupati di elaborare le prime stime ufficiali sul complesso della presenza straniera irregolare in Italia.

Una recente valutazione proposta dal Ministero dell’Interno9, colloca la consistenza numerica degli immigrati irregolari provenienti dai Paesi in via di sviluppo o dall’Est Europa entro una forbice che va da un minimo di poco meno di 200mila unità a un massimo di circa 300mila unità.

L’analisi della componente irregolare sulla base dei paesi di

provenienza, anche se conferma una generale prevalenza di quegli stessi gruppi che sono più frequentemente in condizioni di legalità, segnala alcuni importanti spostamenti di graduatoria.

Così, mentre la graduatoria dei paesi che maggiormente alimentano il fenomeno dell’irregolarità rispetto al soggiorno vede ancora al primo posto il Marocco (da 25 a 32mila casi, secondo le valutazioni ministeriali del 1998) seguito dall’Albania (19-25mila) - entrambi ai vertici della graduatoria anche nell’ambito delle presenze regolari- tutt’altro che irrilevante appare il contributo di nazionalità di minor peso, nella distribuzione degli stranieri privi di permesso di soggiorno che hanno compiuto significativi spostamenti “in avanti” sul fronte dell’irregolarità. Ciò vale in primo luogo per la Romania (con 17-

9 MINISTERO DELL’INTERNO, Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni dell’irregolarità, Roma, 1998.

(28)

24mila irregolari), ma è altrettanto evidente per altre importanti realtà come la Polonia (con11-17mila) e buona parte il Perù (9-8mila)10. In effetti il rapporto di esposizione all’irregolarità, secondo una recente valutazione dell’ISMU sui dati forniti dal Ministero dell’Interno, complessivamente stimato nell’ordine di 30-35 irregolari per ogni 100 regolari, raggiunge i livelli massimi proprio tra i rumeni e i polacchi, ma presenta valori superiori alla media anche in corrispondenza di alcune altre importanti nazioni come il Brasile, la Tunisia, la Cina e il Perù. Da tale valutazione emerge un consistente calo (non si trovano infatti nella graduatoria) di quelle nazionalità che nella seconda metà degli anni ’90 sembrano aver rallentato l’intensità dei flussi verso il nostro paese (marocchini, ex-jugoslavi, senegalesi) o che, avendoli sviluppati in epoca successiva alla regolarizzazione prevista dalla “Legge Martelli” hanno potuto beneficiare per la prima volta tra il 1994 e il 1998, dell’opportunità di legalizzare il loro soggiorno in Italia .

Il dibattito tuttora aperto riguarda la funzione dei provvedimenti di regolarizzazione, in concreto : contribuiscono questi al riassorbimento dell’irregolarità o, viceversa, all’attrazione di nuova immigrazione illegale.

Ciò che ormai è indubbio è la consapevolezza che non è sufficiente chiudere le frontiere per arginare il fenomeno dell’immigrazione irregolare, né dall’altra parte, si vuole che gli ingressi diventino una variabile indipendente rispetto alle condizioni socioeconomiche del Paese. È auspicabile quindi una politica di cooperazione internazionale mirata allo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo del mondo.

10ISMU, op. cit., 1999.

(29)

Tab. 4 Stranieri in condizione di irregolarità al 14.4.1998;

graduatoria per nazionalità.

Variante media migliaia Variante massima migliaia

Marocco 25,0 Marocco 32,1

Albania 19,4 Albania 25,6

Romania 17,2 Romania 24,3

Tunisia 16,0 Tunisia 23,2

Ex Jugoslavia 14,8 Ex Jugoslavia 19,3

Filippine 13,3 Cina 16,9

Cina 13,1 Filippine 14,5

Polonia 11,3 Polonia 13,3

Perù 8,2 Perù 9,4

Senegal 7,6 Senegal 9,2

Fonte: Ministero dell’Interno.

Tab. 5 Stranieri irregolarmente presenti in Italia al 15.4.1998 per ogni 100 regolari; graduatoria per le principali nazionalità.

Nazionalità % Nazionalità %

Romania 60-84 Egitto 29-31

Polonia 49-58 Albania 27-35

Brasile 42-53 India 27-31

Tunisia 39-56 Sri Lanka 26-27

Cina 37-48

Perù 36-41 Totale 29-36

Fonte: Elaborazione ISMU su dati del Ministero dell’Interno.

(30)

1.4 MIGRAZIONI, PROBLEMI SOCIALI EMERGENTI E CRIMINALITA’

Abbiamo visto che l’Italia negli ultimi decenni si è trasformata in un paese di accoglienza per flussi migratori di notevoli dimensioni. Tale mutamento ha provocato non pochi problemi rispetto agli altri stati europei da tempo interessati al fenomeno.

Uno dei tanti problemi riguarda l’atteggiamento degli autoctoni di fronte agli stranieri.

Come numerosi osservatori del fenomeno migratorio hanno messo in luce, in Italia gli immigrati suscitano diffidenza, preoccupazione, paura. Gli stranieri vanno e vengono, traversano confini, vivono in luoghi bui e degradati (e quindi sconosciuti), circolano per le campagne, non svolgono attività chiare, evidenti o socialmente legittime. Non essendo individuabile, lo straniero è sconosciuto al luogo comune, e quindi è una categoria vuota che può essere riempita dalle paure più varie.11 Per il solo fatto di essere tale, lo straniero è potenzialmente colpevole di qualsiasi comportamento deviante e rappresenta una minaccia per la stabilità della società.

Vi sono diversi fattori che possono spiegare questa inversione di tendenza in un paese che, negli anni ’80 poteva ancora essere considerato aperto e ottimista nei confronti dell’immigrazione12 : il mutamento traumatico dell’orizzonte culturale della vita quotidiana a causa dell’accresciuta visibilità dei migranti, l’impiego prevalente degli stranieri nell’economia informale, il carattere contraddittorio delle politiche pubbliche in materia di immigrazione, l’inefficienza

11 DAL LAGO A., La tautologia della paura, in “Rassegna Italiana di Sociologia” 1/99, Il Mulino, Bologna, 1999.

12 FERRAROTTI F., Oltre il razzismo. Verso la società multiculturale e multietnica, Armando, Roma, 1989.

(31)

della pubblica amministrazione nella gestione del fenomeno, l’identificazione degli immigrati come “minaccia” condivisa da gran parte dei mass-media che a partire dai primi anni ’90 dedicano all’immigrazione un’attenzione costante, ma si tratta di un’attenzione in gran parte concentrata su notizie negative come: risse, spaccio di droga e simili, che comunicano un’immagine dell’immigrazione come problema sociale “grave”. E’ più raro che se ne parli in relazione allo sfruttamento da parte italiana, alla precarietà delle situazioni, alle ingiustizie subite, alle difficoltà della vita quotidiana.13

Contestualmente a tutto ciò, l’immigrato si viene a trovare in una situazione senza via di uscita: ha abbandonato la sua cultura di origine, il più delle volte per necessità e non per libera scelta, nello stesso tempo non si sente accettato dalla cultura del paese ospitante, si sente tradito da uomini che spesso lo hanno sfruttato.

L’immigrato è dunque costretto a vivere, culturalmente in una terra di nessuno, uomo marginale, privo di punti di riferimento che lo aiutino a costruire un’identità sicura come lavoratore e come cittadino14.

L’immagine dell’immigrato come emarginato e pericoloso ne determina le difficoltà di inserimento lavorativo, di reperimento di alloggi e di condurre una vita decorosa; ciò porta inevitabilmente ad una reale emarginazione.

Benché alcuni studiosi del fenomeno migratorio siano giunti alla conclusione che i dati sulla presenza dei migranti in Italia, non giustificano l’enfasi pubblica e mediale con cui si è solitamente

trattato il fenomeno “emergenza: immigrazione” (l’Italia con circa il 2% di stranieri non comunitari sulla popolazione residente, si colloca in coda nella graduatoria europea dei paesi di immigrazione), pochi

13 C. MARLETTI, Immigrati extracomunitari e razzismo nei programmi televisivi, RAI.VPT,1990.

14 MACIOTI M.I. e PUGLIESE E., Gli immigrati in Italia, La Terza, Bari, 1991.

(32)

sembrano mettere in discussione l’esistenza di un pericolo, di una minaccia.

Se da una parte non si può impedire che la popolazione autoctona sia preoccupata dalla presenza degli immigrati, e non si può negare il fatto che una quota più o meno conosciuta di questi ultimi si impegna in attività illegali, dall’altra parte bisogna chiedersi quali sono le condizioni interne ed esterne che fanno del fenomeno immigrazione un fatto socialmente e pubblicamente rilevante.

Non bisogna dimenticare che l’influenza esercitata dall’immigrazione sulla criminalità dipende prima di tutto dalle condizioni nelle quali essa avviene. Ogni processo migratorio è di per sé fortemente selettivo e le condizioni in cui esso si verifica possono favorire od ostacolare il passaggio di persone con determinate caratteristiche. Inoltre la relazione fra immigrazione e criminalità dipende anche dalle diverse condizioni che gli immigrati trovano nel paese di arrivo, dalla facilità che incontrano ad integrarsi, dal rapporto fra le loro aspirazioni e le possibilità che hanno di realizzarle15.

Di fronte a tutto ciò non si può rispondere inasprendo le normative di controllo o di espulsione, anche perché, come sostiene Bohning16, i flussi migratori ormai sono ad uno stadio tale, che si autoalimentano, ci si deve rendere conto delle inevitabilità delle immigrazioni.

Si dovrebbe piuttosto adottare una politica del territorio attenta alle esigenze dei “socialmente esclusi” di cui gli immigrati fanno parte, con un’offerta minima ma adeguata di servizi, soluzioni abitative, e così via, evitando di incrementare l’area della marginalità e della devianza; una politica di natura preventiva e di regolamentazione, più che di natura repressiva.

15 BARBAGLI M., Immigrazione Criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna, 1998.

16 BOHNING W.R., Basic aspects of migration from poor to rich cuntries: facts, problems, polices, ilo, world empolyment program, Gèneve, 1972.

(33)

Il fenomeno immigrazione straniera ha raggiunto un’ampiezza tale da non poter più essere affrontato con una politica dell’emergenza.

È necessario passare ad una fase dell’integrazione tenendo conto del fatto che, oltre ai problemi “specifici” di tipo culturale, gli stranieri hanno gli stessi problemi dei cittadini più poveri. L’integrazione deve basarsi su strutture17 istituzionali come gli ambiti della politica cittadina, della scuola, della pianificazione territoriale, del lavoro e dei servizi. L’integrazione ha conseguenze in tutti i settori urbani, dall’educazione al commercio, fino ai ritrovi religiosi.

Si tratta di arrivare a comprendere che gli immigrati non sono solo manodopera a buon mercato, ma costituiscono anche e soprattutto un’occasione di arricchimento culturale; che non sono solo apportatori di problemi, di fastidi da cui difendersi, ma che sono delle risorse che possono e devono essere valorizzate in vari campi.

Se questo non sarà possibile i rischi di ghetizzazione, sfruttamento e devianza diverranno reali, provocando comportamenti e atteggiamenti di ostilità reciproca, di divisione.18

Il problema centrale è l’accettazione della diversità, contestualmente, per evitare processi di omologazione o di integrazione forzata nella cultura occidentale, è necessario riconoscere l’autonomia culturale di questi immigrati, ratificando la loro differenza come un diritto.

Il popolo ospitante si trova quindi davanti ad un compito importante:

imparare prima di tutto che il diverso non è deviante in quanto tale, adottare poi tutti i mezzi perché il diritto ad essere diverso sia tutelato, salvaguardare i principi di eguaglianza, giustizia e libertà.19

17 GHEZZI M. (a cura di), Il rispetto dell’altro, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1996.

18 MACIOTI M.I., Per una società multiculturale, Liguori, Napoli, 1991.

19 GHEZZI M. (a cura di), Il rispetto dell’altro, op. cit., 1996.

(34)

1.4.1 Immigrazione straniera e criminalità

Il problema della criminalità degli immigrati è spinoso e di difficile considerazione, tuttavia recentemente è stato osservato da personaggi pubblici, istituti di ricerca e studiosi del nostro paese.

In una pubblicazione del 1994, l’ISTAT ha osservato che vi è in Italia un “incremento progressivo di stranieri nell’area criminale”, sostenendo che “una considerevole quota di immigrati proveniente per lo più dai paesi extracomunitari, non trovando quelle opportunità di inserimento sperate, ha finito per costituire un serbatoi inesauribile per l’arruolamento di manovalanza a basso costo”20.

Nel 1998 l’ISTAT è ritornata su questo tema, attribuendo l’elevata presenza straniera nell’area criminale “a fattori connessi alle particolari disagiate condizioni economiche… alle situazioni di clandestinità, ai conflitti culturali, all’assenza di legami familiari”21. Gli studiosi sono divisi. Tutti concordano sul fatto che sia un errore cercare di occultare il fenomeno delle attività illecite degli immigrati

“nel timore che il parlarne finisca col favorire la diffusione del pregiudizio negativo”22. Ma le conclusioni a cui sono giunti sono completamente diverse. Alcuni pensano che gli immigrati siano oggi nel nostro paese coinvolti più spesso in episodi di criminalità dei cittadini italiani.

Altri sostengono una tesi opposta, e considerano il numero degli stranieri denunciati, condannati o incarcerati come un indicatore non tanto delle attività illecite che svolgono, quanto piuttosto delle

20 ISTAT, La criminalità attraverso la statistica, Roma, 1994.

21 ISTAT, La presenza straniera in Italia. Anni 1991-1995, Roma, 1998.

22 PALLIDA S., Devianza e criminalità tra gli immigrati: ipotesi per una ricerca sociologica, in

“Inchiesta”, n°103, pp.25-39, 1994.

(35)

discriminazioni che subiscono da parte delle forze dell’ordine e della magistratura.23

Comunque recenti ricerche in Europa e negli Stati Uniti, hanno dimostrato che non esiste una sicura diretta correlazione tra immigrazione e delitto e che la criminalità è influenzata da diversi fattori, quali ad esempio le caratteristiche del flusso migratorio o gli aspetti delle popolazioni di accoglimento.

Come hanno messo in evidenza Montero e Carranza24, il problema della migrazione va considerato dinamicamente entro il contesto nel quale si sviluppa. Inoltre è bene notare come “Da una rilevazione a campione, condotta su cinque significativi istituti penitenziari – aveva affermato l’ex ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, in un Rapporto presentato al Senato il 1° settembre 1997- l’83% circa degli extracomunitari detenuti (1225 su 1468) è risultato privo del permesso di soggiorno. Non è, pertanto, azzardato ritenere che gran parte della devianza straniera si annidi nella componente irregolare degli immigrati”25.

Anche se non ha suscitato alcun eco nella stampa, questa

dichiarazione ha grande importanza. Infatti, per la prima volta da quando nel nostro paese si discute di questo problema, il Ministero dell’Interno non solo ha ufficialmente attribuito agli irregolari gran parte reati commessi, ma ha fornito anche un dato preciso a riguardo.

Va tuttavia notato che questo tipo di elaborazioni statistiche è stata messa a punto solo recentemente e la sua affidabilità è ancora incerta.

Possiamo comunque ipotizzare che è assai più probabile che gli

23 PALLIDA S:, La devianza e la criminalità, in Primo rapporto sulle migrazioni , Franco Angeli, Milano, pp.250-290, 1995.

24 J. A.MONTERO, E.CARRANZA, “Le migrazioni e la criminalità”, in Il cambiamento delle forme di criminalità e di devianza, F.Ferracuti (a cura di), Giuffrè, Milano, pp.425-439, 1988.

25 NAPOLITANO G., Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata (1996), Roma, Senato della Repubblica, XIII legislatura, doc. XXXVIII bis, n°2,1997.

(36)

stranieri irregolari siano più facilmente coinvolti in attività devianti, viste le precarie condizioni in cui sono costretti a vivere.

In ogni caso per comprendere e spiegare il fenomeno è necessario prima di tutto partire dall’analisi empirica dei dati, conoscerne le dimensioni e le caratteristiche, tenendo sempre conto che in quanto fenomeno sociale, può modificarsi, nel tempo. Solo assumendo tale comportamento si potrà dimostrare se l’incremento del tasso di criminalità nel nostro paese è da addebitare ai flussi migratori provenienti dai paesi extraeuropei, o se la condizione di “diverso” in quanto straniero sia direttamente correlata con la criminalità, o non piuttosto sia causa di emarginazione sociale.

1.4.2 L’andamento della criminalità nel tempo in Italia

E’ negli anni ’60, cioè nel periodo del più forte sviluppo economico, che l’andamento della criminalità nei paesi occidentali dopo essere continuamente diminuito, ha ripreso improvvisamente ad aumentare.

Insieme agli omicidi, è aumentato il numero dei delitti predatori, delle rapine, degli scippi, dei borseggi, dei furti in appartamento.

Questa inversione di tendenza si è verificata anche in Italia, ma è iniziata alcuni anni dopo, esattamente nel 1969-1970.

Si possono individuare due fasi di questa grande trasformazione: la prima va dal 1970 al 1986 ed è stata contraddistinta da una fortissima espansione della criminalità, seguita da una contrazione più contenuta.

La seconda fase ha inizio nel 1987 ed è tuttora in corso, ma registra tassi di criminalità inferiori rispetto a quelli della fase precedente.

E’ quindi nella prima fase, terminata nel 1976 per i furti e nel 1982 per gli omicidi, che la criminalità ha avuto un aumento che si può definire storico, raggiungendo vette fino ad allora considerate inaccessibili. Oggi dopo una fase di contrazione e una di espansione,

(37)

siamo a livelli simili a quelli registrati nel punto superiore della prima fase.

Questa sintetica ricostruzione dell’andamento della criminalità basta a mostrare che è priva di fondamento l’idea che l’aumento della criminalità che si è verificato nel nostro paese sia stato provocato dall’immigrazione26. Infatti la prima fase che corrisponde all’aumento storico della criminalità ha avuto luogo nel periodo in cui i processi migratori stavano appena iniziando, all’inizio degli anni ‘70.

Già negli anni ’70, il Ferracuti sottolineava come l’elevato tasso di criminalità attribuito alla presenza degli immigrati stranieri fosse frutto della xenofobia degli autoctoni più che alla realtà dei fatti27. Tuttavia resta da chiedersi cosa sia avvenuto nella seconda fase cioè dopo il 1987, quando le vette della criminalità hanno ripreso a salire in corrispondenza di un forte incremento della presenza straniera nel nostro paese.

1.4.3 Gli stranieri denunciati e condannati dal ’95 al ’97

Nello studio degli stranieri denunciati e condannati, è bene premettere che l’indagine è condizionata dalla limitatezza delle fonti a disposizione.

Infatti, i dati sui condannati, denunciati, detenuti ed entrati dallo stato di libertà segnalati all’ISTAT dal Ministero di Grazia e Giustizia e le informazioni sulla attività di ordine pubblico fornite dal Ministero dell’Interno, che si riferiscono a denunciati, arrestati ed espulsi, sono, difficilmente confrontabili.

26 BARBAGLI M., op. cit.

27 FERRACUTI F., “Migrazione europea e criminalità”, in Appunti di criminologia, a cura di F.

Ferracuti, Bulzoni, Roma, pp.257, 1970.

(38)

Nelle statistiche ISTAT, per denunciato si intende la persona nei confronti della quale è iniziata l’azione penale (il nuovo codice di procedura penale identifica l’inizio con il momento in cui si procede ad imputazione formale nei confronti della persona indagata), mentre i dati del Ministero dell’Interno, si riferiscono alle attività di polizia.

In questa breve analisi si utilizzerà come fonte di riferimento le statistiche offerte dal Servizio Stranieri del Ministero dell’Interno.

Verranno presi in considerazione gli stranieri denunciati e arrestati sia di origine comunitaria che extracomunitaria negli anni ‘95-‘96-’97.

Inoltre i dati forniti riguardano gli stranieri in generale e, pertanto, sono riferibili anche a stranieri di passaggio o presenti nel nostro paese per turismo o altri motivi.

Gli stranieri denunciati nel 1997 sono stati 2524 e quelli extracomunitari 56457, contro i 2695 comunitari e 68954 extracomunitari del 1996 . I dati numerici riportati evidenziano un decremento delle denunce comunitarie di 171 unità e di quelle extracomunitarie di 12497 unità (si veda tab. 6).

Sempre nello stesso anno gli stranieri comunitari arrestati sono stati 684, quelli extracomunitari 23518, contro i 750 comunitari e i 23553 extracomunitari del ’96 (si veda tab. 7).

TAB.6 Stranieri denunciati 1995-1996-1997

Denunciati 1995 1996 1997 Comunitari 2.761 2.669 2.524 Extracomunitari 54.429 68.954 56.457 Totale 57.190 71.623 58.981

Fonte: Servizio Stranieri del Ministero dell’Interno.

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