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Analisi del contenuto delle interviste

EDUCATIVE DEL CARCERE

5.2 IPOTESI, OBIETTIVO E METODOLOGIA

5.2.1 Analisi del contenuto delle interviste

I soggetti intervistati si occupano del fenomeno della devianza minorile da molti anni, ad eccezione del mediatore che riveste questo ruolo da circa un anno, ciò a dimostrazione del fatto che questa è una figura nuova introdotta solo recentemente dal D.Lgs n.286/98 (art.42, comma 1, lettera d)8, motivo per cui non si può trovare un mediatore con una lunga esperienza alle spalle.

Il dato sottolineato da tutti gli intervistati fa riferimento alla differenza di ruoli tra l’educatore e l’assistente sociale; per tutti l’assistente sociale ha una specificità nei rapporti con l’esterno, con la famiglia, con l’inserimento del minore sul territorio, mentre l’educatore dell’Istituto Penale Minorile è colui che opera all’interno

8 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

della struttura e si occupa della relazione, della costruzione dei progetti con e per il minore.

Posta questa prima grande differenza di ruoli, bisogna tuttavia riconoscere che ultimamente, come riferisce il Direttore dell’area pedagogica, gli educatori hanno dovuto colmare tale distanza. La causa di ciò sta nel fatto che negli ultimi anni l’utenza al “C.

Beccaria” è quasi tutta straniera e questa non viene presa in carico dal Servizio Sociale per Minori che si occupa prevalentemente di minori italiani. Questo avviene non per una scelta discriminante nei confronti degli stranieri ma semplicemente perché il numero di assistenti sociali è assai ridotto, per tale motivo il Servizio Sociale per Minori ha dovuto compiere una scelta drastica proprio per decidere quali casi prendere in carico e quali no.

Tutto ciò ha necessariamente spinto gli educatori ad ampliare le loro competenze anche alla rete sociale esterna all’istituto che tradizionalmente era appannaggio dei servizi sociali.

Il continuo aumento dei minori stranieri all’interno del “C. Beccaria”, e negli Istituti Penali Minorili in genere, mi ha indotto a chiedere agli intervistati quale tipo di formazione abbiano ricevuto prima di entrare in relazione con i minori stranieri. Personalmente credo, infatti, che per operare con i minori, e in particolare con quelli stranieri sia necessaria un’adeguata preparazione, ancor più quando il minore in questione ha una cultura a noi sconosciuta, questo per evitare comode categorizzazione e pregiudizi comuni. Tutti gli intervistati sembrano suffragare quanto da me sostenuto, e dichiarano, ad eccezione dell’assistente sociale, di aver frequentato dei corsi di formazione, non prima ma durante il lavoro con i minori stranieri, grande rilevanza

viene poi data alla formazione sul campo, alla curiosità personale che li spinge ad informarsi.

Per quanto concerne l’importanza della formazione, tutti ritengono che sia fondamentale perché, come riferisce il Direttore dell’area pedagogica, senza questa si rischia di interpretare ciò che si osserva secondo chiavi e criteri che sono propri della cultura italiana, quindi molto spesso l’interpretazione dei comportamenti dei ragazzi è falsata da questa traduzione non appropriata, da ciò ne possono derivare gravi conseguenze. Inoltre tra l’opinione pubblica è ormai forte il pregiudizio nei confronti degli stranieri, è quindi necessario per l’operatore sociale liberarsi di eventuali pregiudizi.

Per facilitare la relazione dell’operatore con il minore straniero oltre ad una adeguata formazione, tutti gli intervistati richiamano l’importanza della presenza della figura del mediatore culturale che non è semplicemente un traduttore, ma è colui in grado di decifrare i comportamenti reciproci tra operatore e utente.

In particolare l’educatore ha sottolineato l’importanza del mediatore soprattutto a livello pratico: nella relazione quotidiana, nella comunicazione con i minori stranieri, definendolo una risorsa e uno

“strumento” indispensabile per riuscire ad entrare in contatto con essi.

L’assistente sociale, invece, sembra sottolineare maggiormente come il mediatore sia un punto di riferimento per il ragazzo, una sorta di accompagnatore che da una parte comprende i comportamenti culturali del minore, e dall’altra è anche conoscitore della cultura di accoglienza.

Lo stesso mediatore culturale, di origine albanese, definisce il suo ruolo molto importante, e dichiara di preferire che questo sia straniero, cioè della stessa cultura di provenienza dell’utente, perché come ci

riferisce “…non basta parlare la stessa lingua per conoscere una persona ma è importante saper cogliere anche le cose non dette, dar significato ai gesti, al linguaggio del corpo…”, egli si definisce una figura neutra che media tra l’operatore e l’utente.

Dalle interviste emerge poi che tutti gli operatori ritengono importante non fare generalizzazioni su quelle che sono le problematiche dei ragazzi stranieri. In particolare viene fatta una differenziazione tra bisogni oggettivi e bisogni individuali.

I bisogni oggettivi sono quelli tipici degli stranieri in generale:

regolarizzazione, permesso di soggiorno, occupazione lavorativa, abitazione, ecc.

I bisogni individuali sono estremamente diversi, legati alla loro giovane età, alla carenza di stimoli, al fatto che molte volte non hanno una famiglia; c’è in chi prevale il desiderio di avventura, in chi il desiderio di danaro ad ogni costo, in chi il disorientamento, in chi la paura, in chi la disperazione, vi è quindi molta differenza da soggetto a soggetto. Il bisogno che sembra accomunare tutti i giovani stranieri si esprime nella richiesta di ascolto, nella domanda di un intervento individualizzato. In conseguenza di ciò il “C. Beccaria” ha cercato di dare importanza all’individualizzazione dell’intervento, attraverso l’utilizzo di colloqui individuali.

L’età media dei ragazzi che si trovano al “C. Beccaria” è quella dei 16-17 anni però, come sottolinea l’educatore, non si può assumere questo dato come certo poiché la maggior parte di essi arriva in Istituto sprovvista di documenti e quindi il dato anagrafico è sempre incerto.

La differenza tra maschi e femmine è prevalentemente di etnia, cioè l’utenza femminile al “C. Beccaria” è tutta nomade, mentre tra i

ragazzi sono prevalenti i marocchini, i tunisini e gli albanesi, e in minoranza i Sud americani e rumeni.

A livello di sfruttamento del minore, l’assistente sociale sottolinea come il ragazzo straniero rispetto alla ragazza ha “meno opportunità di sfruttamento”, poiché per la donna vi è il grosso ricatto della prostituzione, mentre per i maschi il più frequente è lo spaccio di droghe, che pur essendo cosa grave, non è così umiliante e schiavizzante come nei confronti della ragazza.

L’educatore e il mediatore culturale evidenziano le differenze tra maschio e femmine per ciò che riguarda la relazione con essi, ovvero, vi sono a grosso modo le stesse differenze tra un adolescente italiano maschio e una femmina. Con i ragazzi è più difficile l’approccio iniziale, con le ragazze, invece, questo avviene senza grosse difficoltà.

In particolare il mediatore sottolinea come tra gli albanesi questa caratteristica sia accentuata, infatti i maschi sono molto più chiusi rispetto alle femmine, è molto difficile che esprimano i loro sentimenti, che parlino della loro famiglia, ecc.; questo comportamento sembra derivare dalla tipica cultura albanese fortemente maschilista, dove il maschio si propone come un “vero macio”, come colui che non prova nessun sentimento.

Per ciò che concerne le differenze tra etnie, dalle interviste emerge come tali differenze siano legate all’importanza che si da ad alcuni valori piuttosto che ad altri, perché se i valori riscontrati in questi ragazzi sono pressoché identici, occupano però ordini diversi di importanza, per cui se il ragazzo nordafricano mette la famiglia e l’educazione familiare al primo posto, il ragazzo albanese è molto in crisi rispetto a ciò, perché questo valore pur essendo stato molto forte anche in Albania è stato messo in discussione dal crollo del regime

che c’era, tutto ciò ha provocato nella gioventù albanese una condizione di forte confusione e, secondo il Direttore dell’area pedagogica, questo è uno dei principali motivi che porta i giovani albanesi a delinquere, caduto il regime autoritario è come se fossero caduti anche i valori che lo sostenevano.

Dei minori presenti al “C. Beccaria” sono pochi quelli che hanno la famiglia in Italia, questo vale per la sessione maschile e non per la sessione femminile che, come abbiamo visto precedentemente, è composta esclusivamente da nomadi le quali hanno tutte una famiglia.

Per quel che riguarda i nordafricani che, come riferisce il Direttore dell’area pedagogica, costituiscono da soli il 40% dell’utenza, il 35%

di essi è senza famiglia, e il 5% ha la famiglia, dei 35% però quasi tutti hanno un cugino, un fratello presente, un parente. Gli albanesi presenti nell’istituto sono tutti senza famiglia, così come i rumeni. Per quanto riguarda i sudamericani quando hanno la famiglia è monogenitoriale e materna.

L’assistente sociale evidenzia il fatto che molte volte la famiglia pur essendo presente sul territorio italiano preferisce rimanere nascosta, magari perché irregolare.

Tutti gli operatori concordano sul fatto che la famiglia sia una grossa risorsa per un eventuale progetto educativo nei confronti del minore, nei pochi casi in cui la famiglia c’è essa viene fortemente coinvolta da parte degli operatori. Tra gli intervistati, però, solo l’assistente sociale fa presente che la famiglia è sì una risorsa ma è anche importante fare attenzione che questa non sia all’origine dello sfruttamento, in questi casi è meglio allontanare il minore dall’ambiente familiare. Si può presumere che l’assistente sociale abbia dato questa raccomandazione poiché rientra nei suoi compiti quello di tenere i contatti con la

famiglia, di verificare in quali condizioni questa vive, ed è l’assistente sociale che in sede di équipe relaziona sulla famiglia, è evidente quindi come può essere molto diversa l’idea dei genitori del ragazzo che può farsi l’operatore che lavora dentro il carcere e che vede i genitori esclusivamente ai colloqui, da chi, invece, lavora all’esterno sul territorio e ha una visione reale dell’ambiente in cui vive la famiglia del minore.

Nei casi in cui la famiglia è assente è importante, secondo il Direttore dell’area pedagogica, capire quali sono i bisogni del minore, e quali sono le sue aspettative. Se ci si trova di fronte ad un ragazzo che mostra lati di infantilismo molto forti, la scelta della Comunità è sicuramente la più appropriata. Se invece il ragazzo è venuto in Italia spinto dal desiderio di migliorare la sua situazione e quella della sua famiglia, con aspettative di guadagno molto alte, con un livello di maturità adeguato, è del tutto inutile proporgli una Comunità, è sicuramente più opportuno sostenerlo con degli interventi di inserimento lavorativo e con soluzioni abitative pressoché autonome.

Dalle dichiarazioni degli intervistati emerge che vi è una relazione tra la commissione di reati e l’etnia di provenienza, in particolare gli albanesi commettono soprattutto reati contro il patrimonio (rapina e furto) e hanno il controllo del mercato della prostituzione, lo spaccio di sostanze stupefacenti è in mano a nordafricani e tunisini, i nomadi commettono esclusivamente reati contro il patrimonio, gli italiani variano tra rapine, furti, spaccio e a differenza degli stranieri commettono reati più gravi, vi sono infatti casi di omicidio anche se residuali. Vi è poi una stretta relazione tra la commissione di un reato e la lontananza dalla famiglia, il fatto che il minore arrivi sul territorio italiano da solo senza nessuno dei suoi familiari aumenta le probabilità

che questo commetta reati per la sopravvivenza, legati quindi al soddisfacimento di bisogni primari come mangiare e dormire.

Tutti gli intervistati affermano che c’è sicuramente un utilizzo dei minorenni stranieri da parte degli adulti, anche se al Nord Italia tale fenomeno è meno sviluppato rispetto al Sud. Come ci spiega l’educatore per far fronte a tale fenomeno all’interno del “C. Beccaria”

si sta facendo un lavoro di piccole e grandi provocazioni, si insegna ai ragazzi che oltre ad avere dei doveri sono anche portatori di diritti e che sono degni di rispetto.

Per quanto riguarda la disparità di trattamento tra italiani e stranieri nell’applicazione delle misure cautelari alternative alla detenzione, tutti gli intervistati ribadiscono come a parità di reato sempre più frequentemente la misura della custodia cautelare in carcere è applicata ai minori stranieri, mentre agli italiani vengono riservate le misure alternative previste dalla legge 448/889.

Il non possesso di una residenza, l’assenza della famiglia, la mancanza di risorse sul territorio pensate per gli stranieri, sono considerate come le cause principali che conducono il minore in carcere.

L’assistente sociale riferisce che esistono difficoltà di tipo economico, ad esempio, per usufruire della misura del collocamento in Comunità è indispensabile avere una residenza e quindi essere cittadino di un Comune, semplicemente per un problema di ordine economico: “chi paga?”, se si è irregolari, ed è questa la situazione più frequente tra i minori stranieri che commettono reato, non vi è un Comune di appartenenza che possa sostenerne le spese, e come unica alternativa rimane il collocamento in carcere.

9 Norme sul processo penale a carico di imputati minorenni.

La necessità di trovare misure alternative specifiche per gli stranieri sembra essere avvertita da tutti gli intervistati. In particolare, come dice il mediatore culturale, non si può pensare di applicare agli stranieri le stesse misure previste per gli italiani, in maniera indiscriminata senza considerarne la cultura di origine e le reali motivazioni che hanno spinto il minore straniero ad emigrare; per fare un esempio, i ragazzi albanesi fanno fatica ad accettare la Comunità che a noi può sembrare la soluzione più adeguata, poiché in Albania questo tipo di struttura non esiste, e viene da loro identificata con l’orfanotrofio che è motivo di vergogna, ed è quindi difficile motivare il ragazzo ad accettare questo tipo di misura.

Di fronte alla situazione attuale, che vede per i minori stranieri imputati di reato come unica soluzione il carcere, mi è sembrato opportuno chiedere agli operatori se all’interno degli Istituti Penali Minorili gli interventi rieducativi hanno efficacia e in quali casi.

Da una parte ho trovato le risposte del direttore dell’area pedagogica e dell’educatore pressoché simili. Entrambi hanno sottolineato come l’efficacia di un intervento educativo dipende essenzialmente dal tempo di permanenza del minore in Istituto. I ragazzi entrano ed escono dall’Istituto con tempi che non sono sempre declinabili con una presa in carico reale dal punto di vista educativo, se un ragazzo rimane in Istituto per dieci giorni è chiaro che su di lui non è possibile elaborare un progetto educativo. Gli interventi rieducativi all’interno del “C. Beccaria” hanno una buona efficacia per quei ragazzi che fanno tutto il percorso rieducativo, che va dall’accoglienza, ai moduli progettuali dell’Istituto al gruppo di dimissioni. Come riferisce il Direttore dell’area pedagogica più della metà dei ragazzi del gruppo di dimissioni riesce ad inserirsi e a trovare strade positive, quindi molto