Università degli Studi dell’Aquila
Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione e di Economia
Corso di laurea in Ingegneria Industriale
Caratterizzazione di compositi termoplastici mediante prove di meccanica della frattura
Relatore Studente
Prof. Antoniomaria Di Ilio Francesco Spagnoli
Correlatore Matricola
Dott. Ing. Antonios G. Stamopoulos 254003
A.A. 2019 – 2020
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Indice generale
Indice delle figure ... 2
Indice delle tabelle ... 6
Introduzione ... 8
Capitolo 1 - Stato dell’arte ... 10
1.1 I polimeri ... 10
1.2 Materiali compositi ... 11
1.3 I rinforzi fibrosi ... 13
1.4 Le matrici ... 17
1.5 I Prepreg ... 20
1.6 Processi di produzione dei materiali compositi ... 21
1.7 Tecniche di giunzione ... 24
1.8 Settori di utilizzo dei materiali compositi ... 27
1.9 Caratterizzazione dei materiali compositi ... 28
Capitolo 2 – Materiali e metodi ... 32
2.1 Metodi utilizzati per le prove meccaniche di frattura interlaminare... 33
2.2 Preparazione del provino ... 44
2.3 Apparecchiature e dispositivi utilizzati ... 48
Capitolo 3 - Sezione sperimentale ... 51
3.1 Prove di delaminazione ... 51
3.1.1 Prove Mode I ... 53
3.1.2 Prove Mode II ... 63
3.2 Analisi stereoscopica ... 74
3.3 Risultati e discussione ... 83
Conclusioni ... 92
Bibliografia ... 93
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Indice delle figure
Fig. 1 - Esempi di materiali compositi: a) mattoni di fango e paglia [2]; b) materiali compositi
innovativi [3] ... 11
Fig. 2 - Disposizione delle fibre all’interno del laminato, (a) fibre lunghe (b) fibre corte o discontinue disposte in modo allineato, (c) fibre corte o discontinue disposte in modo casuale [7] ... 13
Fig. 3 - Classificazione delle fibre [8] ... 14
Fig. 4 - Fibre utilizzate nella produzione di materiali compositi [10] ... 15
Fig. 5 - Comportamento a trazione dei diversi rinforzi [12] ... 15
Fig. 6 - a) Esempio di fibre di vetro [14]; b) Tessuto di fibre di vetro [15] ... 16
Fig. 7 - Classificazione delle matrici [9] ... 17
Fig. 8 - Laminazione manuale [19] ... 21
Fig. 9 - Applicazione a spruzzo [19] ... 22
Fig. 10 - Schema di lavorazione con sacco a vuoto [19] ... 23
Fig. 11 - Autoclave [23] ... 23
Fig. 12 - Processo di pultrusione [24] ... 23
Fig. 13 - Processo di filament winding [25] ... 24
Fig. 14 - Schema dei processi di giunzione dei materiali compositi con adesivo [27] ... 26
Fig. 15 - Materiali impiegati nel Boeing 787 [30] ... 27
Fig. 16 - Carrozzeria di un’automobile di Formula 1 realizzata in materiale composito [32] ... 28
Fig. 17 - a) Disposizione trama e ordito [56]; b) Roving glass [57]... 32
Fig. 18 - Provino per la prova Mode I con cerniere [58] ... 33
Fig. 19 - Provino per la prova Mode I con blocchi di carico [58] ... 34
Fig. 20 - Provino per la prova Mode II [53] ... 34
Fig. 21-Schema di un provino per prove Mode II [53] ... 35
Fig. 22 - Disposizione del provino secondo il metodo ENF [53] ... 35
Fig. 23 - Disposizione del provino secondo il metodo ELS [59] ... 35
Fig. 24 - Non Liner (NL) Point... 37
Fig. 25 - Diverso comportamento dei materiali fragili e duttili ... 37
Fig. 26 - Fattore di correzione Δ nel metodo MBT [52] ... 39
Fig. 27 -Provino Mode II secondo normativa ASTM International con relative misure [53] ... 41
3
Fig. 28 - Tratto della curva P-δ da analizzare per effettuare la regressione lineare ai minimi
quadrati [53] ... 42
Fig. 29 - Provino secondo normativa AITM con relative misure [59] ... 43
Fig. 30 - Fasi di incollaggio delle cerniere al provino ... 45
Fig. 31 - Provino prima dell’incollaggio delle cerniere ... 45
Fig. 32 - Superfici di incollaggio delle cerniere con rugosità aumentata ... 46
Fig. 33 - Materiali utilizzati per l’incollaggio delle cerniere ... 46
Fig. 34 - Provini per l’esecuzione della prova Mode I ... 47
Fig. 35 - Provini per l’esecuzione della prova Mode II ... 47
Fig. 36 - a) MTS Criterion™ Model 43; b) Cella di carico MTS ... 48
Fig. 37 - Afferraggi per eseguire la prova Mode I... 48
Fig. 38 - Dispositivo per eseguire la prova Mode II ... 48
Fig. 39 -Dino-Lite Basic AM2111 ... 49
Fig. 40 - Telaio di alluminio con slitta incorporata ... 49
Fig. 41 - Stereoscopio Leica M205 A ... 50
Fig. 42 - Modalità di propagazione delle fratture interlaminari: a) Mode I, b) Mode II [63] ... 51
Fig. 43 - a) Grafico P-δ provino 2T-Mode I; b) Grafico P-δ provino 5L-Mode II... 52
Fig. 44 - Avanzamento della cricca osservato con il microscopio digitale Dino-Lite ... 53
Fig. 45 - Esecuzione della prova Mode I ... 54
Fig. 46 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 2T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 2T ... 56
Fig. 47 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 3T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 3T ... 57
Fig. 48 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 5T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 5T ... 58
Fig. 49 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 6T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 6T ... 59
Fig. 50 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 10L; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 10L ... 60
Fig. 51 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 7T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 7T ... 61
Fig. 52 - Regressione lineare ai minimi quadrati del grafico C1/3-a ottenuto utilizzando i valori registrati nella prova ... 62
4
Fig. 53 - Regressione lineare ai minimi quadrati del grafico C1/3- a ipotizzando l’apertura
della cricca a velocità costante. ... 63
Fig. 54 - Esecuzione della prova Mode II ... 64
Fig. 55 - Avanzamento della cricca nella prova Mode II ... 64
Fig. 56 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 2L; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 2L ... 67
Fig. 57 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 5L; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 5L ... 68
Fig. 58 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 5T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 5T ... 69
Fig. 59 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 7T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 7T ... 70
Fig. 60 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 8T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 8T ... 71
Fig. 61 - a) Grafico forza-spostamento (P-δ) provino 9T; b) Curva di resistenza (R-curve) provino 9T ... 71
Fig. 62 - Grafico C/a3 ottenuto calcolando la cedevolezza C ipotizzando l’apertura della cricca a velocità costante nei primi 5 mm ... 73
Fig. 63 - Grafico C/a3 ottenuto calcolando i valori di cedevolezza C con i valori di P e δ registrati durante la prova ... 73
Fig. 64 - Provino 3T delaminato ... 74
Fig. 65 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 3T ... 75
Fig. 66 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 3T con griglia . 76 Fig. 67 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 2T ... 77
Fig. 68 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 5T ... 77
Fig. 69 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 6T ... 78
Fig. 70 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 7T ... 78
Fig. 71 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 10L ... 79
Fig. 72 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 2L ... 79
Fig. 73 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 5L ... 80
Fig. 74 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 5T ... 80
Fig. 75 -Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 7T ... 81
Fig. 76 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 8T ... 81
Fig. 77 - Immagine stereoscopica della superficie delaminata del provino 9T ... 82
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Fig. 78 - Grafico forza-spostamento (P-δ) relativo alle prove Mode I ... 84
Fig. 79 - Curva di resistenza (R-curve) relativa alle prove Mode I ... 84
Fig. 80 - Grafico forza-spostamento (P-δ) relativo alle prove Mode II... 85
Fig. 81 - Curva di resistenza (R-curve) relativa alle prove Mode II ... 86
Fig. 82 - Confronto tra area saldata e GI medio... 87
Fig. 83 - Confronto tra area saldata e GII medio ... 88
Fig. 84 - Confronto tra area saldata e GIc e GIprop medio ... 89
Fig. 85 - Confronto tra area saldata e GIIc e GIIprop medio ... 90
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Indice delle tabelle
Tab. I - Proprietà dei rinforzi [11] ... 15
Tab. II -Campi di utilizzo delle varie tipologie di rinforzo [11] ... 16
Tab. III - Caratteristiche del materiale caratterizzato nel lavoro di tesi [54]... 32
Tab. IV - Dati caratteristici dei provini Mode I ... 55
Tab. V - Valori della lunghezza di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GI) del provino 2T-Mode I ... 55
Tab. VI -Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GI) del provino 3T-Mode I ... 56
Tab. VII - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GI) del provino 5T-Mode I ... 57
Tab. VIII - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GI) del provino 6T-Mode I ... 58
Tab. IX - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GI) del provino 10L-Mode I ... 59
Tab. X - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GI) del provino 7T-Mode I ... 60
Tab. XI - a) Valori ottenuti ipotizzando un'apertura lineare della cricca; b) Valori misurati sperimentalmente ... 62
Tab. XII - Valori di GI ottenuti con e senza approssimazione di un’apertura della cricca a velocità costante ... 63
Tab. XIII - Caratteristiche dei provini Mode II ... 65
Tab. XIV - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GII) del provino 2L-Mode II ... 66
Tab. XV - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GII) del provino 5L-Mode II ... 67
Tab. XVI - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GII) del provino 5T-Mode II ... 68
Tab. XVII - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GII) del provino 7T-Mode II ... 69
Tab. XVIII - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di deformazione (GII) del provino 8T-Mode II ... 70
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Tab. XIX - Valori delle lunghezze di delaminazione (a) e del tasso di rilascio di energia di
deformazione (GII) del provino 9T-Mode II ... 71
Tab. XX - a) Valori ottenuti ipotizzando un'apertura della cricca a velocità costante; b) Valori misurati sperimentalmente ... 72
Tab. XXI - Valori di GII calcolati con e senza l’ipotesi di un’apertura della cricca a velocità costante ... 74
Tab. XXII - Valori di GI calcolati con prove Mode I ... 83
Tab. XXIII - Valori di GII calcolati con prove Mode II ... 85
Tab. XXIV - Percentuale di superficie saldata: provini Mode I; b) provini Mode II ... 87
Tab. XXV - Rapporto di area saldata e GI medio ... 88
Tab. XXVI - Rapporto di area saldata e GII medio ... 89
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Introduzione
Negli ultimi anni i materiali compositi hanno destato un interesse sempre maggiore nei diversi campi dell’industria meccanica. Essi hanno la caratteristica di essere costituiti da più materiali (matrice e rinforzo) con proprietà diverse tra loro, dalla cui unione si ottengono proprietà e caratteristiche migliori di quelle dei singoli costituenti.
Quando la matrice è costituita da resine termoplastiche, i materiali che si formano sono definiti compositi termoplastici. Essi sono adatti per processi di lavorazione veloci e presentano un potenziale basso costo di produzione, una elevata resistenza alla frattura, una elevata tolleranza al danno, buona resistenza alla microfessurazione e un basso peso; inoltre, non presentano solitamente problemi di emissioni nocive in corso di lavorazione e, se sottoposti a riscaldamento, grazie alla loro struttura molecolare, assumono una elevata plasticità che consente la loro rimodellazione e il loro riutilizzo con conseguente risparmio di materiale e minor impatto ambientale.
Diversi sono i settori industriali che hanno mostrato particolare interesse all’uso, e quindi allo studio, di materiali compositi. Negli ultimi anni, il settore automobilistico, spinto dalle normative ambientali vigenti, ha mostrato un grande interesse verso l’utilizzo di materiali più leggeri, riciclabili a fine vita e al tempo stesso resistenti ed economici. Questa esigenza ha guidato la ricerca verso formulazioni composite basate su matrici già impiegate nello stesso campo ma rinforzate con fibre di carbonio, di vetro o naturali. L’applicazione di compositi a matrice termoplastica si ritrova, oltre che nel campo automobilistico, anche in altri settori dell’industria, da quello aeronautico a quello navale, dalla costruzione di manufatti al campo dei trasporti, dal medicale allo sportivo.
Molti studi riguardano la caratterizzazione e l’uso di compositi rinforzati con fibre di carbonio e, negli ultimi anni, l’interesse si è focalizzato anche allo studio di termoplastici con fibre di vetro, grazie alle loro buone proprietà meccaniche e al relativo minor costo.
Tra i compositi termoplastici, uno che offre buone proprietà meccaniche con costituenti economici, è il sistema polipropilene-fibre di vetro. La fibra di vetro offre, oltre ad un relativo basso costo, una elevata resistenza a trazione, resistenza chimica e proprietà isolanti, basso modulo elastico.
In particolare, questo lavoro di tesi ha l’obiettivo di caratterizzare un materiale composito termoplastico costituito da una matrice di polipropilene (PP) e da un rinforzo di fibra di vetro presente con una percentuale volumetrica del 47%. L’intento è quello di studiare la
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resistenza alla frattura di questo materiale quando viene sottoposto a sollecitazioni esterne.
Allo scopo, sono eseguite prove meccaniche di delaminazione di tipo Mode I e Mode II per il calcolo del tasso di rilascio di energia di deformazione (GI e GII). In particolare, la prova Mode I è realizzata con riferimento alla normativa ASTM International D5528-01 e la Mode II secondo la normativa ASTM International D7905/D7905M-14.
I risultati di queste prove evidenziano delle anomalie nel processo di saldatura del materiale composito e, pertanto, si effettua l’analisi delle sue superfici allo stereoscopio per definire le aree saldate mediante l’uso di un programma grafico.
Le suddette prove sperimentali sono state condotte nei laboratori di Ingegneria Meccanica del Dipartimento di Ingegneria Industriale, dell’Informazione e di Economia dell’Università dell’Aquila (DIIIE) e i risultati ottenuti sono riportati nella sezione dedicata alle prove sperimentali.
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Capitolo 1 - Stato dell’arte 1.1 I polimeri
I polimeri sono composti ad elevata massa molecolare, costituiti da molecole di grandi dimensioni a loro volta formate dall’unione di più monomeri; il numero di monomeri presenti nella catena è detto grado di polimerizzazione. Le lunghe catene che li costituiscono possono essere lineari (polimeri lineari), con ramificazioni laterali (polimeri ramificati) o catene principali collegate da catene laterali che fanno da ponte (polimeri reticolati). A un differente tipo di struttura corrispondono differenti proprietà chimico-fisiche. I polimeri formati da un solo tipo di monomero prendono il nome di omopolimeri (polietilene, polipropilene) mentre quelli formati da più tipi di monomeri nella stessa catena sono definiti copolimeri (PET o polietilentereftalato). Dal punto di vista della struttura cristallina, la maggior parte dei polimeri sono materiali semicristallini, cioè non sono né completamente cristallini, né completamente amorfi. Se prevale il volume occupato dalla struttura cristallina, il polimero ha proprietà tipiche dei materiali cristallini (rigidità, elevata resistenza meccanica, fragilità, opacità) mentre se prevale il volume occupato dalle zone amorfe, il polimero presenta caratteristiche tipiche dei materiali amorfi (sofficità, bassa resistenza meccanica, elasticità, trasparenza).
A seconda del grado di cristallinità, i polimeri hanno un diverso comportamento durante il riscaldamento. In particolare, i polimeri cristallini, con percentuale di cristallinità superiore all’80%, presentano una definita temperatura di fusione Tm (melting temperature) alla quale il materiale fonde. I polimeri amorfi, con percentuale di cristallinità inferiore al 20%, non fondono ma rammolliscono a causa della transizione vetrosa che avviene alla temperatura di transizione vetrosa Tg (Tglass). Per temperature più basse di Tg il materiale si presenta vetroso e rigido e i movimenti delle catene sono impediti; al contrario, per temperature più alte di Tg, le catene sono libere di muoversi, il materiale diventa gommoso senza fondere, e si comporta come un liquido di elevata viscosità. I polimeri semicristallini, nei quali non prevalgono nettamente né la componente cristallina né le zone amorfe, possono essere caratterizzati da entrambe le temperature Tm e Tg. Sono polimeri le materie plastiche o resine, costituite da materiali con i quali si producono oggetti di ogni genere per effetto della temperatura e/o della pressione, mediante processi di formatura. A seconda del loro comportamento al calore si distinguono in:
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➢ resine termoplastiche che, se riscaldate, fondono e possono essere sagomate in stampi, dove solidificano per raffreddamento. Il ciclo fusione/solidificazione può essere ripetuto più volte, poiché si tratta di un processo reversibile;
➢ resine termoindurenti che, se riscaldate, fondono ma contemporaneamente reticolano a causa di reazioni chimiche con formazione di legami covalenti tra catene di polimero diverse. La reticolazione produce solidificazione permanente e il materiale diventa rigido e infusibile. I termoindurenti possono essere lavorati per fusione una sola volta perché, una volta reticolati, non fondono più per riscaldamento, ma si decompongono [1].
1.2 Materiali compositi
La scoperta dell’utilità dei materiali compositi ha origini molto antiche; è noto, infatti che già gli egizi erano noti miscelare la paglia con il fango per ottenere mattoni da costruzione più resistenti e meno fragili di quelli costituiti da solo fango [Fig. 1a)]. Ad oggi, l’utilizzo di questi materiali è in continua evoluzione [Fig. 1b)] grazie alle loro buone caratteristiche meccaniche quali la rigidità specifica e l’elevata resistenza. Proprio per queste proprietà, che li contraddistinguono, molti settori tra i quali quello aeronautico, ferroviario e automobilistico si sono focalizzati sullo studio e la sperimentazione di questo tipo di materiali.
Fig. 1 - Esempi di materiali compositi: a) mattoni di fango e paglia [2]; b) materiali compositi innovativi [3]
La definizione di materiale composito, data dall'ASM materials engeneering dictionary, è “a combination of two or more materials (reinforcing elements, fillers, and composite matrix binder), differing in form or composition on a macroscale. The constituents retain their identities, that is, they do not dissolve or merge completely into one another although they act in concert. Normally, the components can be physically identified and exhibit an interface between one another” [4].
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Il punto chiave dei compositi risulta essere l’accoppiamento di materiali diversi, con proprietà significativamente differenti, in modo tale che le proprietà dell’unione siano per lo più migliori di quelle dei singoli costituenti. Quest’ultimi, a seconda della loro funzione, prendono il nome di matrice e rinforzo.
La matrice è il costituente continuo che, bloccando il rinforzo, gli trasferisce il carico esterno e lo protegge dai fattori ambientali, dall’usura e da eventuali azioni meccaniche di taglio. Il materiale di rinforzo viene aggiunto sotto forma di fibre lunghe, fibre corte o particelle. La zona di contatto tra il materiale di rinforzo e la matrice prende il nome di interfaccia. L’unione di questi componenti dà origine a un materiale composito che è in grado di garantire buone proprietà meccaniche e massa volumetrica decisamente bassa. Le proprietà meccaniche dipendono principalmente dal rinforzo e, quindi, dalle fibre che lo costituiscono e da come esse risultano disposte [5]. In particolare, la matrice è costituita da una fase continua omogenea ed ha il compito di:
➢ Contenere il rinforzo;
➢ Garantire che le particelle o le fibre di rinforzo presentino la giusta dispersione all’interno del composito;
➢ Trasmettere adeguatamente le sollecitazioni da un elemento all’altro;
➢ Bloccare la propagazione di eventuali cricche che possono insorgere nella struttura;
I materiali compositi vengono preferiti a quelli tradizionali per le loro ottime caratteristiche di resistenza, rigidità e leggerezza; di conseguenza, consentono di realizzare strutture con uguali o migliori prestazioni, ma caratterizzate da sensibili riduzioni di peso;
quest’ultimo è uno dei principali motivi per cui i materiali compositi sono largamente usati nel campo aerospaziale dove la leggerezza è un fattore fondamentale.
A volte al sistema matrice-rinforzo viene aggiunto un legante che permette di controllare le caratteristiche di resistenza all’interfaccia, garantendo un collegamento di tipo meccanico e/o chimico in modo da rendere possibile la ridistribuzione corretta delle tensioni tra rinforzo e matrice [6].
Considerato che il materiale oggetto di studio è un composito fibroso, di seguito la trattazione riguarderà prevalentemente i rinforzi costituiti da fibre.
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1.3 I rinforzi fibrosi
Nei compositi fibrosi il rinforzo è costituito da fibre. La definizione della normativa ASTM (American Society for Testing and Materials) definisce filamento qualunque materiale in forma allungata con un rapporto tra la massima dimensione trasversale e la minima lunghezza di 1/10 e con massima dimensione trasversale inferiore al millimetro; la denominazione di fibra va attribuita ad uno o più filamenti uniti assieme in modo ordinato.
Grazie alla piccola dimensione delle sezioni (diametri da qualche micron a frazioni di millimetro), le fibre presentano caratteristiche di resistenza molto elevate.
Esse possono avere una lunghezza pari a quella del composito considerato (fibre lunghe o continue) oppure essere corte (fibre discontinue); quest’ultime possono essere disposte in modo allineato o in modo casuale come mostrato in figura 2. In teoria, le fibre continue hanno il vantaggio di permettere la trasmissione delle sollecitazioni dal punto di applicazione del carico fino al vincolo; in pratica, però, possono aversi delle sezioni difettose che inficiano le caratteristiche di resistenza dell’intera fibra e alcune fibre possono essere molto più sollecitate di altre, a causa di tensioni residue derivanti dal processo di fabbricazione, così da impedire una distribuzione equilibrata dei carichi [6].
Fig. 2 - Disposizione delle fibre all’interno del laminato, (a) fibre lunghe (b) fibre corte o discontinue disposte in modo allineato, (c) fibre corte o discontinue disposte in modo casuale [7]
Le fibre corte possono essere prodotte con un numero limitato di difetti superficiali quindi, possono avere una resistenza prossima a quella teorica del materiale di cui la fibra è costituita. Naturalmente, anche l’orientamento delle fibre può essere diverso e differenzia in modo marcato le proprietà del composito che si viene a formare.
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Le fibre lunghe, dal punto di vista tecnologico, sono più adatte nella realizzazione di componenti assialsimmetrici o comunque di forma semplice, mentre le fibre corte possono consentire la modellazione di particolari di forma più irregolare.
L’orientamento delle fibre continue in una o più direzioni permette di ottenere una struttura che sia adatta a supportare i carichi operativi, mentre la distribuzione casuale delle fibre corte garantisce una resistenza più bassa ma uniforme in tutte le direzioni, ottenendo un materiale quasi isotropo [6]. In figura 3 sono riportate le diverse disposizioni di fibre lunghe che si possono trovare nei materiali compositi.
Fig. 3 - Classificazione delle fibre [8]
I compositi fibrosi sono di gran lunga quelli più utilizzati nelle costruzioni meccaniche.
Il loro successo è strettamente legato al loro rapporto resistenza/peso (resistenza specifica) e all’elevato rapporto rigidezza/peso unito alla possibilità di variare a piacimento il grado di anisotropia intervenendo, per esempio, sulla concentrazione e sull’orientamento del rinforzo.
L’elevata resistenza specifica di questi materiali è essenzialmente legata all’elevata resistenza delle fibre ed al basso peso di fibre e matrice.
Nel caso si voglia ottenere un composito a fibre lunghe isotropo si può ricorrere ai cosiddetti compositi laminati. Diversi fogli di materiale composito (lamine) sono saldati l'uno sull'altro, sfalsando di volta in volta l'orientamento delle fibre in modo da creare un'isotropia totale del materiale [9].
Le principali fibre utilizzate nella produzione di materiali compositi sono fibre di carbonio, fibre di vetro, fibre aramidiche (Kevlar) (Fig. 4).
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Fig. 4 - Fibre utilizzate nella produzione di materiali compositi [10]
Nelle tabelle e nei grafici seguenti (Tab. I, Tab. II, Fig. 5) vengono comparate le tre tipologie di fibre più diffuse sul mercato evidenziando le principali caratteristiche fisico- meccaniche e ponendo attenzione alle destinazioni d’uso [11].
Tab. I - Proprietà dei rinforzi [11]
FIBRE RIGIDEZZA RESISTENZA COSTO
VETRO scarsa buona molto basso
ARAMIDICHE media buona elevato
CARBONIO buona buona elevato
Fig. 5 - Comportamento a trazione dei diversi rinforzi [12]
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Tab. II -Campi di utilizzo delle varie tipologie di rinforzo [11]
FIBRA UTILIZZO
VETRO
- Campo nautico
- Realizzazione di laminati di considerevole spessore - Realizzazione di tubazioni sottomarine
ARAMIDICHE - Campo aeronautico militare (giubbotti antiproiettili, auto blindate, elmetti etc)
CARBONIO
- Strutture aeronautiche - Meccanica
- Attrezzature per lo sport
Le fibre presenti nel materiale testato nelle prove sperimentali oggetto di questa tesi sono di vetro. Di seguito, vengono pertanto riportate le proprietà tipiche delle fibre di vetro [13].
FIBRE DI VETRO
➢ Carico di rottura tra 2500-4800 MPa
➢ Modulo di Young tra 72000-90000 MPa
➢ Basso costo
➢ Densità circa 2.5 g/cc
➢ Resistenza a elevate T (500-1000 C°)
➢ Tipo E: caratterizzate da bassa conducibilità
➢ Tipo S: caratterizzate da elevata resistenza
➢ Tipo R: caratterizzate da resistenza maggiore delle precedenti (meno diffuse).
Le figure 6a) e b) rappresentano esempi di fibre di vetro e di composito costituito da fibre di vetro.
Fig. 6 - a) Esempio di fibre di vetro [14]; b) Tessuto di fibre di vetro [15]
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1.4 Le matrici
Le matrici dei compositi rinforzati con fibre hanno lo scopo di dare forma propria al componente, di inglobare le fibre (tenendole in posizione e proteggendole dalla corrosione o da difetti superficiali), e di trasmettere, il più uniformemente possibile, le tensioni ad esse.
In sintesi, le funzioni svolte dalla matrice in un materiale composito sono le seguenti:
➢ funzione di collegamento tra le fibre, cioè tiene le fibre stabili nella loro posizione e nella loro geometria;
➢ funzione di mantenere le fibre separate;
➢ protezione delle fibre dall'ambiente circostante, nel caso di ambienti corrosivi o ossidanti in modo che, esse, non essendo a contatto diretto con l'ambiente, non vadano incontro a deterioramento;
➢ bloccaggio di eventuali cricche insorte nelle fibre nel caso di matrici più deformabili delle fibre stesse. Nel caso in cui sia presente una tensione che causi la rottura delle fibre ma non della matrice, il composito continua a restare integro [9].
Generalmente le matrici vengono suddivise in organiche (o polimeriche) e non organiche.
Le organiche sono senza dubbio le più note e diffuse e, a loro volta, si possono suddividere in termoindurenti, termoplastiche e bio-matrici; mentre le non organiche in metalliche, ceramiche e vetrose.
Una rappresentazione schematica della classificazione delle matrici è riportata nella Fig, 7.
Fig. 7 - Classificazione delle matrici [9]
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Tra le organiche, le matrici termoindurenti sono le più diffuse; quando esse vengono indurite (curing) tramite reticolazione, la loro trasformazione è definitiva e, quindi, irreversibile: se vengono portate ad alte temperature, perdono le loro proprietà meccaniche, degradandosi per poi decomporsi. Il processo di reticolazione che permette la reazione di indurimento, crea legami covalenti tra le catene di polimeri e questo determina una struttura molto rigida, caratteristica di un reticolo tridimensionale. Le principali matrici termoindurenti utilizzate nell’industria sono:
➢ le resine epossidiche (per T<250°C) che hanno un’ottima adesione alle fibre, buona resistenza chimica, basso ritiro e quindi basse tensioni residue, stabilità termica;
➢ le resine poliestere che trovano un'ottima applicazione in unione alle fibre di vetro (vetroresina); le poliestere sono caratterizzate da un basso costo, da un breve tempo di polimerizzazione e da buone caratteristiche meccaniche. Esse sono utilizzate in applicazioni ferroviarie, marine, chimiche ed elettriche;
➢ le resine fenoliche, con proprietà del tutto simili a quelle epossidiche ma una temperatura di utilizzo maggiore (T>250°C). Esse sono utilizzate principalmente dove si richiede una certa resistenza al fuoco [9].
In generale, le matrici termoindurenti sono fragili e non risultano avere una deformabilità apprezzabile.
Le matrici termoplastiche non presentano il fenomeno di reticolazione. Derivano da polimeri lineari o poco ramificati, che una volta formati possono essere rifusi e rimodellati in nuove forme un certo numero di volte senza cambiamenti significativi delle loro proprietà [16].
I polimeri termoplastici si suddividono in:
➢ polimeri amorfi, cioè privi di un ordine a lungo raggio (il policarbonato, plexiglass)
➢ polimeri semicristallini, ossia polimeri in cui alcune molecole, durante la fase di sintesi, riescono a disporsi in modo ordinato, formando delle regioni cristalline (polietilene, polipropilene). Un polimero non risulterà mai essere completamente cristallino ed avrà sempre un certo grado di amorfismo. Le matrici di questo tipo hanno un forte contenimento del fenomeno di creep [9]
Le principali matrici termoplastiche usate in campo industriale sono: polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene, cloruro di polivinile (PVC), polietere etere chetone (PEEK).
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Le matrici metalliche trovano applicazioni solo in pochi campi (principalmente aerospaziale). Nel creare compositi con queste matrici infatti si riscontrano numerosi problemi. Il principale è quello legato alla temperatura di formazione del composito. Infatti, la matrice deve essere fluida quando avviene l'immissione del rinforzo, per questo si ha difficoltà a creare un uniforme distribuzione delle fibre ed un loro perfetto allineamento.
Le matrici ceramiche hanno come principale difetto quello di essere fragili. Tuttavia, poiché i legami che tengono uniti gli atomi sono forti, questi materiali hanno un alto modulo elastico ed una notevole durezza, proprietà che mantengono anche a temperature superiori ai 1000°C. Lo scopo è quello di creare compositi con questi tipi di matrice inserendo rinforzi che ne aumentino la tenacità a frattura.
Le matrici bio, meglio note come bioresine sono ottenute da scarti dell'industria agroalimentare e destinate al mercato dei poliuretani e dei materiali compositi. Esse sono comunque resine e, quindi, facenti parte delle matrici termoindurenti o termoplastiche, con la differenza che posseggono un contenuto rinnovabile al 95%.
Le matrici termoindurenti hanno avuto un forte sviluppo negli anni passati ma stanno via via per essere sostituite dalle termoplastiche [9]. Questo è dovuto ai numerosi vantaggi che derivano dal loro utilizzo:
➢ i termoplastici sono tenaci e possono essere rifusi e riformati a differenza dei termoindurenti che sono fragili e non possono essere rimodellati, a causa della reticolazione che subiscono;
➢ minore impatto ambientale dovuto alla possibilità di ri-formare i pezzi, riciclarli e saldarli;
➢ riduzione dei costi, dovuta sia all'utilizzo di materie prime più economiche, sia a tecnologie produttive più veloci e a consumi energetici inferiori;
➢ volumi produttivi che possono essere più elevati, grazie ai ridotti tempi di processo.
Rispetto ai termoindurenti, però, hanno i seguenti svantaggi:
➢ peggiore aderenza tra fibre e matrice dovuta alla mancanza di reticolazione.
➢ proprietà a lungo termine di creep e fatica peggiori per la scarsa stabilità delle catene lineari e ramificate rispetto alle reticolate.
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1.5 I Prepreg
I preimpregnati, detti anche pre-preg, sono semilavorati costituiti da fibre già impregnate di resina allo stadio B di polimerizzazione, cioè di parziale reticolazione. Durante la preparazione dei pre-impregnati, le fibre vengono accuratamente allineate e disposte sotto forma di nastri o di tessuti che vengono bagnati o immersi nella matrice ancora liquida. Si procede ad un pretrattamento che porta la matrice nel cosiddetto ‘stadio B’, in cui la resina è solo parzialmente reticolata; alla fine di questo procedimento intermedio, si ha a disposizione un materiale facilmente manipolabile, da utilizzare nei vari processi di formatura, senza necessità di aggiungere ulteriore resina. I vari strati di preimpregnato vengono disposti nel modo desiderato e solo alla fine vengono riscaldati e sottoposti a pressione per completare il processo di reticolazione della resina [5, 9].
Una delle caratteristiche principali dei preimpregnati è la shelf life: la resina, una volta attivata, continua a consolidarsi finchè la reticolazione non è completa; per rallentare questo processo, le bobine di pre-preg vengono conservate a temperature basse. Il materiale è così utilizzabile per un periodo di tempo ampio, che viene appunto definito ‘shelf life’:
generalmente essa equivale a 12 mesi a -20°C, mentre si riduce a 3 mesi a temperatura ambiente [9].
I vantaggi garantiti dall’utilizzo del Prepreg sono diversi. L’eliminazione delle resine in eccesso permette di avere un manufatto molto più leggero, impregnato solo del materiale necessario a garantire la coesione fra i rinforzi, dove il rapporto tra matrice e fibre è spostato a favore delle seconde. Questa situazione porta alla stratificazione di pannelli caratterizzati da una notevole compattezza e da una rigidità elevata. È per questo che le imbarcazioni protagoniste delle regate più importanti (Coppa America, Volvo Ocean Race e molte altre) sono frutto di questa tecnologia. Inoltre, i tempi lenti di polimerizzazione, consentono una disposizione minuziosa di ogni singola lamina, riducendo enormemente il margine di errore e permettendo altresì la realizzazione di particolari di elevata complessità.
Considerata la grande disponibilità sul mercato di fibre di ultima generazione e la possibilità di impregnarle con resine altrettanto avveniristiche, la cui temperatura di polimerizzazione oscilla tra i 45 °C e i 180 °C, è facile prevedere per questi materiali una diffusione sempre maggiore, esaltata dall’impiego in campi totalmente diversi tra loro.
Vantaggi sono riscontrati anche a livello produttivo: gli ambienti di lavoro sono molto più
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puliti e meno saturi dei temibili gas sprigionati dalle resine che, in una stratificazione tradizionale, vengono stese con il rullo durante la fase di stampaggio [17].
1.6 Processi di produzione dei materiali compositi
Numerose sono le tecnologie di fabbricazione utilizzabili per la realizzazione di materiali compositi che possono variare in dipendenza della forma, dimensione e proprietà richieste al pezzo finito. Esse possono essere distinte in tecnologie che impiegano stampi chiusi o stampi aperti, oppure distinte in continue o discontinue, manuali o automatizzate.
I processi di produzione maggiormente utilizzati sono di seguito indicati e sinteticamente descritti [10,16,18].
➢ Laminazione manuale
➢ Applicazione a spruzzo
➢ Sacco a vuoto – autoclave
➢ Pultrusione
➢ Avvolgimento di filamenti (filament winding) Laminazione manuale
È il metodo più semplice per produrre materiale rinforzato con fibre. Consiste nel disporre manualmente feltri o tessuti di fibre sul fondo di uno stampo aperto. La resina base, mescolata con eventuali additivi (catalizzatori, acceleranti) viene applicata mediante colata, con pennello o a spruzzo (Fig. 8). Per impregnare di resina il materiale di rinforzo e per rimuovere l’aria intrappolata si utilizzano rulli o raschiatori. Al fine di aumentare lo spessore del laminato, vengono aggiunti ulteriori strati di fibre e di resina. Questa tecnica è in uso soprattutto per la produzione di chiglie per imbarcazioni, serbatoi e pannelli per costruzione.
Fig. 8 - Laminazione manuale [19]
22 Applicazione a spruzzo
Un filo continuo di fibre viene fatto passare attraverso una pistola che taglia le fibre e le spruzza, contemporaneamente alla resina, sulla superficie di uno stampo (Fig. 9). Lo strato addensato viene compattato con un rullo per rimuovere l’aria e per assicurare che la resina impregni le fibre di rinforzo. Per ottenere lo spessore desiderato si possono applicare strati multipli. L’indurimento avviene solitamente a temperatura ambiente oppure può essere accelerato mediante l’applicazione di una moderata quantità di calore.
Fig. 9 - Applicazione a spruzzo [19]
Sacco a vuoto – autoclave
È un processo utilizzato per fabbricare laminati di compositi avanzati. I materiali prodotti con questa tecnologia sono di particolare importanza per applicazioni aeronautiche, aerospaziali e medicali per le loro caratteristiche meccaniche. Il materiale preimpregnato rinforzato con fibre viene tagliato in pezzi che vengono impilati l’uno sull’altro per dare forma a un laminato. Gli strati (lamine o plies) possono essere disposti in direzioni diverse per ottenere la resistenza meccanica desiderata e messi in uno stampo. Il tutto viene posto in un sacco dove è applicato il vuoto per togliere l’aria che potrebbe rimanere inglobata nel laminato (Fig. 10). Successivamente, il materiale viene collocato all’interno di un’autoclave, in particolare condizioni di pressione e temperatura, per l’indurimento definitivo (Fig. 11).
Questo processo è molto utilizzato e le specifiche condizioni operative sono riportate in diversi lavori scientifici di settore [20, 21, 22].
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Fig. 10 - Schema di lavorazione con sacco a vuoto [19] Fig. 11 – Autoclave [23]
Pultrusione
Un fascio di fibre continue è impregnato per immersione in un bagno di resina e fatto passare attraverso una filiera in acciaio riscaldata che determina la forma del profilato (Fig.
12). Questa tecnica è utilizzata per la produzione di barre e di materiali continui a sezione costante come canalette portacavi, tubi per impianti elettrici, parapetti, barriere autostradali, travi strutturali.
Fig. 12 - Processo di pultrusione [24]
Avvolgimento di filamenti (filament winding)
È un processo a stampo aperto utilizzato per produrre cilindri cavi ad elevata resistenza meccanica. La fibra di rinforzo è fatta passare attraverso un bagno di resina e quindi avvolta su un opportuno mandrino (Fig. 13). Dopo aver applicato un numero sufficiente di strati, il mandrino avvolto viene indurito sia a temperatura ambiente che a temperatura elevata in un forno. Il pezzo così formato viene staccato dal mandrino ed è pronto per la finitura. L’elevato grado di orientamento delle fibre ottenibile con questo metodo fornisce ai cilindri cavi una resistenza meccanica estremamente elevata. Tipiche applicazioni di materiali compositi prodotti con questo processo vengono utilizzati per la costruzione di serbatoi per sostanze chimiche e carburanti, serbatoi a pressione e contenitori per motori di missili.
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Fig. 13 - Processo di filament winding [25]
1.7 Tecniche di giunzione
Uno dei vantaggi importanti dei compositi è la grande varietà di possibili tecniche di giunzione [26]. I compositi termoplastici possono essere collegati con le convenzionali tecniche di giunzione meccanica (chiodature, viti e bulloni) ma anche con diversi metodi di saldatura (per fusione, a resistenza, a ultrasuoni, a induzione, ecc.).
L’incollaggio dei termoplastici risulta solitamente meno efficiente rispetto ai termoindurenti a causa della natura chimica, generalmente poco polare e poco reattiva delle superfici. L’accoppiamento meccanico avviene in modo analogo ai compositi a matrice termoindurente con risultati di efficienza molto simili.
La saldatura per fusione, mediante riscaldamento sopra Tg per le matrici amorfe o Tm per quelle semicristalline, produce giunzioni con resistenza praticamente pari a quella della resina. I lembi da saldare vengono sovrapposti e portati alla temperatura di fusione applicando una pressione di contatto ed, eventualmente, interponendo un film di matrice per regolarizzare le asperità superficiali. Problemi di saldatura possono nascere a seguito di delaminazioni durante l’operazione di giunzione, in mancanza di un’adeguata pressione di contatto.
Con la saldatura dual resin bonding, un film termoplastico con temperatura di fusione inferiore viene interposto nella zona di saldatura. Questo processo viene impiegato soprattutto per la giunzione di superfici estese, come ad esempio la saldatura di strutture di irrigidimento a pannelli.
La saldatura per resistenza prevede l’utilizzo di uno strato di carbonio come resistenza elettrica o di un resistore metallico interposto tra le superfici da saldare. Lo strato di carbonio presenta il vantaggio di non impiegare materiali estranei nella zona di giunzione; d’altra parte la resistenza metallica fornisce una maggiore efficienza riscaldante. Il materiale di
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apporto, costituito da un film della stessa matrice e l’applicazione di pressione di contatto (7-15 bar) durante il ciclo di saldatura, fino a raffreddamento sotto Tg, garantiscono saldature efficienti in tempi ridotti (0,5-5 min).
La saldatura a ultrasuoni è normalmente impiegata per la giunzione di termoplastici non rinforzati e può essere impiegata anche per compositi termoplastici avanzati. Una sonda produce energia vibratoria ad ultrasuoni (20 - 40 kHz) che viene trasmessa per contatto ad un elemento laminato da saldare, mentre l’altro elemento è mantenuto stazionario, eventualmente con un film di matrice di apporto. Il riscaldamento per attrito tra le due superfici determina la fusione nella zona di contatto tra i due elementi da saldare. La presenza di asperità superficiali consente di concentrare l’energia meccanica in punti localizzati favorendo la fusione. Il tempo, la pressione di contatto, l’ampiezza della vibrazione, controllano l’efficienza e la qualità della saldatura che avviene in pochi secondi.
La saldatura ad induzione, simile alla saldatura per resistenza, opera il riscaldamento per effetto di corrente alternata indotta nel materiale da saldare e generata da un circuito di induzione. La presenza di materiale, come maglie in ferro, nichel, rame o carbonio, tra le superfici può aumentare l’efficienza del riscaldamento. La saldatura avviene in tempi dell’ordine di 5-30 min con pressioni di contatto di 3-15 bar. Anche in questo caso può essere impiegato un film di matrice di apporto.
Negli ultimi anni c’è stato un aumento nell’utilizzo di leganti adesivi soprattutto per la formazione di pannelli rinforzati da utilizzare come materiali compositi avanzati. Allo scopo si utilizzano essenzialmente i processi di giunzione denominati co-curing, co-bonding, secondary bonding per unire i substrati compositi tra di loro [27, 28].
Come mostrato in figura 14b), il co-curing è un processo nel quale i due laminati non induriti subiscono il processo di indurimento contemporaneamente.
Il processo co-bonding [Fig. 14a)] avviene quando un solo aderente è già indurito e richiede la presenza di un adesivo per ottenere l’adesione.
Il processo secondary bonding si ha quando lo strato adesivo è indurito tra due laminati che hanno già subito il processo di indurimento come mostrato in figura 14c).
È possibile anche usare il metodo multi-material-bonding [Fig. 14d)], che è simile al secondary bonding ad eccezione che prevede la combinazione di metalli e materiale composito invece di soli substrati compositi già preinduriti.
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Fig. 14 - Schema dei processi di giunzione dei materiali compositi con adesivo [27]
La superficie di contatto ha un ruolo molto importante nel processo legante ed è un elemento che influenza la qualità delle proprietà adesive. Pertanto, la superficie richiede un adeguato pretrattamento prima dell’applicazione dell’adesivo in modo da raggiungere la massima forza meccanica. I tipici trattamenti che vengono applicati alla superficie di un composito sono le tecniche di pulizia mediante abrasione o solvente.
Il co-curing e il co-bonding sono di solito preferiti al secondary bonding perché il numero di cicli di indurimento sono ridotti; inoltre, questi metodi sono i più comunemente usati per la riparazione di strutture composite. Tuttavia, per strutture complesse e di grandi dimensioni, il processo secondary bonding è il più utilizzato [27].
Le giunzioni adesive rappresentano una valida alternativa alle giunzioni meccaniche classiche e rispetto a queste presentano alcuni vantaggi quali un minor peso strutturale, minori costi di fabbricazione e una maggiore resistenza. L’applicazione di questi sistemi di giunzione fatti di compositi rinforzati con fibre è aumentata significativamente negli ultimi anni. I sistemi tradizionali con elementi filettati possono causare la rottura delle fibre e la conseguente concentrazione di tensioni che riducono entrambi l’integrità strutturale.
Viceversa, giunti adesivi sono più continui ed hanno potenziali vantaggi di rapporto forza/peso, flessibilità di progettazione e facilità di fabbricazione. Per questo le giunzioni adesive trovano applicazione in varie aree, dall’industrie di alta tecnologia, come quelle aeronautiche, aerospaziali, elettroniche e dell’automotive, alle industrie più tradizionali come quelle delle costruzioni, dello sport e degli imballaggi [29].
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1.8 Settori di utilizzo dei materiali compositi
I materiali compositi sono richiesti da settori di produzione dove è necessario soddisfare esigenze di basso peso ed elevate caratteristiche meccaniche. Le industrie aeronautica, navale e automobilistica fanno larghissimo uso di materiali compositi per la costruzione di strutture alari, fusoliere, carrelli, barche, canoe, pannelli di carrozzeria, telai di "Formula 1", balestre, parti di motore e accessori vari.
Le industrie aerospaziale e bellica utilizzano questi materiali per componenti strutturali di stazioni di lancio e di macchine semoventi nello spazio, oltre che per caschi e giubbotti antiproiettile. Elementi come aerei, razzi e missili, con l’aiuto del materiale composito possono volare più in alto, più velocemente e più a lungo. La fibra di carbonio è quella che viene principalmente utilizzata in questo ambito per le elevate performance che garantisce (Fig. 15).
Fig. 15 - Materiali impiegati nel Boeing 787 [30]
Inizialmente i compositi venivano utilizzati principalmente negli aerei militari; si trovavano sugli stabilizzatori verticali e orizzontali, sul rivestimento delle ali e in altri componenti strutturali. Tutto questo ha garantito una riduzione del peso intorno al 20 – 30%
del totale e questo risparmio di peso ha permesso un incremento della capacità di carico utile (payload) [31].
Nel campo automobilistico i vantaggi derivanti dall’uso di materiali compositi sono un alleggerimento dei veicoli e una migliore resistenza alla corrosione. L’utilizzo delle fibre di vetro nel settore automobilistico per la fabbricazione di carrozzerie (Fig. 16) ha portato notevoli vantaggi:
➢ resistenza a flessione: elevata e paragonabile a qualsiasi altro prodotto utilizzato per la costruzione di carrozzerie in genere;
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➢ resistenza all'urto: grazie all’elevata flessibilità assorbono notevolmente gli urti riducendone gli effetti negativi sulla struttura e riducendo altresì i rischi per gli occupanti dell'abitacolo;
➢ bassa dispersione termica: ottima climatizzazione che consente nei climi freddi una bassa dispersione di calore interno, in climi caldi protezione dalle radiazioni solari;
➢ struttura resistente: esclude completamente il rischio di infiltrazioni d’acqua ed è praticamente inattaccabile da agenti atmosferici [9].
Fig. 16 - Carrozzeria di un’automobile di Formula 1 realizzata in materiale composito [32]
Inoltre, matrici con fibre di vetro sono state utilizzate anche per lo sviluppo di alcuni componenti come le molle a balestra adottate per assali e sospensioni le quali oltre a permettere di alleggerire sensibilmente la vettura non sono attaccabili dalla ruggine e quindi hanno una durata cinque volte superiore, grazie all'ottima resistenza a fatica.
Nel settore biomedicale, i materiali compositi offrono soluzioni tecnologiche che possono essere applicate in diversi ambiti: dai sistemi per il drug delivery ai dispositivi per uso esterno (cateteri, abbigliamento), agli impianti chirurgici (materiale per la sutura, adesivi e tessuti sigillanti, reti chirurgiche), alle protesi ortopediche, alla chirurgia vascolare e cardio- vascolare, alla chirurgia ricostruttiva ed estetica, all’oftalmologia (lenti a contatto o impianti intraoculari), odontoiatria e neurochirurgia [33].
Nel settore dello sport i materiali compositi vengono impiegati per la costruzione di sci, bob, racchette da tennis, biciclette, canne da pesca, aste per il salto in alto e per elementi di protezione della persona.
1.9 Caratterizzazione dei materiali compositi
I materiali compositi sono studiati e caratterizzati per definirne le proprietà meccaniche e per valutare la loro risposta quando sono sollecitati da fenomeni esterni. Esistono differenti prove di caratterizzazione molte delle quali sono regolate da metodiche normate da organismi nazionali ed internazionali.
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Un parametro di caratterizzazione molto studiato è la resistenza alla delaminazione che viene misurata come tasso di rilascio dell’energia (strain energy release rate), definito anche energia specifica di delaminazione, la cui unità di misura è J/m2. Le metodiche che si utilizzano per la determinazione di tale parametro per lo più sono definite da organismi internazionali di normazione come ASTM (American Society for Testing and Materials), ISO (International Standard Organization). Per alcuni settori specifici sono state sviluppate metodiche dalle stesse aziende produttrici come nel caso della Airbus Industrie (AITM - Airbus Industrie Test Method), che, sono riconosciute valide e utilizzate come metodiche di riferimento.
Per determinare l’energia specifica di delaminazione sono utilizzati i metodi definiti come Mode I e Mode II. Nella prova Mode I si va a studiare la delaminazione del provino applicando, sui due laminati da cui è costituito una sollecitazione di trazione; nella prova Mode II, sui laminati costituenti il provino, si applica una sollecitazione di compressione.
Esempi di un processo di produzione di materiale composito a partire da preimpregnati di natura termoplastica o termoindurente e di formazione dei relativi provini da sottoporre a prove di delaminazione, sono descritti dettagliatamente in alcuni lavori scientifici [21, 22].
Nel lavoro scientifico di Hunt C. et al. [22] sono descritte le condizioni operative necessarie alla formazione di laminati in autoclave mediante otto cicli di indurimento alla pressione di 700 kPa. Durante i primi quattro cicli la temperatura è aumentata di 2 °C/min fino a raggiungere 180 °C. Gli ultimi 3 cicli di trattamento fanno alzare la temperatura fino a 200 °C. Un film adesivo di spessore 20 μm che funge da inizio della cricca, è inserito nel piano intermedio del laminato durante la fabbricazione. Dopo il trattamento, si procede alla formazione dei provini: ad una estremità di essi sono incollate le cerniere con pasta adesiva epossidica per consentire l’applicazione del carico.
I materiali compositi presentano numerosi vantaggi dal punto di vista strutturale e funzionale rispetto ai materiali tradizionali: non soffrono dei problemi di corrosione cui sono soggetti i materiali tradizionali, ma le loro caratteristiche si degradano a causa dell’invecchiamento ambientale che si manifesta con l’assorbimento di umidità e la riduzione delle caratteristiche elastiche in dipendenza del valore della temperatura esterna.
Da Boni L. et al. [34] è studiato un composito utilizzato nel settore aeronautico (Augusta Westland) costituito da una matrice di resina epossidica (termoindurente) e un rinforzo di fibre di carbonio per determinare l’energia specifica di delaminazione mediante prove di tipo
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Mode I e Mode II e valutando l’influenza delle condizioni ambientali, temperatura e umidità, su questo parametro. Le prove sono state eseguite a temperatura ambiente e, successivamente, a T=70°C all’interno di una camera climatica, con una umidità relativa RH pari all’85%. Si è notato, nella seconda condizione, un aumento della resistenza del materiale nella prova Mode I e una diminuzione della resistenza del materiale nella prova Mode II. In altri lavori sono valutati gli effetti della temperatura anche in condizioni criogeniche (77K e 4K) [35, 36]
Nella letteratura scientifica sono pubblicati i risultati di diversi studi effettuati su materiali compositi rinforzati con fibre: prove di tipo Mode I e Mode II sono state eseguite sia su materiali compositi con matrice termoindurente che su materiali compositi termoplastici formati da matrici diverse rinforzate con fibre di vetro [37 - 42].
Alcuni lavori studiano gli effetti della variazione della tenacità di frattura interlaminare per effetto del grado di cristallinità della matrice termoplastica in un composito rinforzato con fibre di vetro continue. Da prove Mode I e Mode II, si evince che la tenacità di frattura interaminare diminuisce all’aumentare della cristallinità [43, 44].
Un fattore importante da tenere in considerazione è la presenza di vuoti che si formano all’interno del composito durante il processo di manifattura poiché essi hanno un effetto negativo nelle proprietà del materiale stesso. La principale causa della formazione della porosità durante il processo di indurimento è la presenza di gas volatili residui, come ad esempio l’aria intrappolata nel materiale, la pressione dei quali, durante l’indurimento, supera la pressione della resina così da creare vuoti all’interno della matrice. Gli effetti della porosità sulle proprietà meccaniche di taglio di compositi aventi matrice polimerica e rinforzo di fibre di carbonio (CFRP) sono valutati da Stamopoulos A. G. et al. [45] mediante prove meccaniche e simulazioni numeriche. Le prove da loro effettuate sono la ‘double cantilever beam’ (Mode I) e la ‘end notched flexure’ (Mode II).
Anche l’orientamento degli strati di fibre che costituiscono i compositi laminati influenza il valore dell’energia specifica di delaminazione [46, 47]. Prove di Mode I e Mode II eseguite con laminati costituiti da strati di fibre orientati con diverse angolazioni, mostrano che la resistenza alla delaminazione aumenta con l’aumentare dell’angolo di inclinazione fino a quando quest’ultimo raggiunge 45° per poi diminuire, e che la massima differenza è di circa il 15% [47].
31
Durante il processo di saldatura dei compositi si può osservare che alcune fibre di uno strato vanno a confluire nello strato adiacente dando luogo al fenomeno del fiber bridging (ponti di fibre) che aumenta significativamente la resistenza alla delaminazione per cui l’energia GIprop di propagazione ha valori maggiori rispetto ai valori iniziali di GIc [48-50].
Il fenomeno dei ponti di fibre è presente nella delaminazione dei compositi aventi un rinforzo di fibre unidirezionali ed è assente in quelli rinforzati da fibre non-unidirezionali.
Proprio per questo motivo, i materiali compositi con fibre unidirezionali sono raramente utilizzati [51].
In questo lavoro di tesi sono state eseguite prove meccaniche del tipo Mode I per calcolare l’energia specifica di delaminazione GI e di tipo Mode II per calcolare l’energia di delaminazione GII su provini costituiti da materiale composito con matrice termoplastica e rinforzo di vetro avente una percentuale volumetrica di fibra del 47%. La procedura esecutiva di riferimento è quella riportata dalla ASTM International, in particolare la ASTM D5528-01 [52] per le prove Mode I e la ASTM D7905/D7905M-14 [53] per la Mode II.
Maggiori dettagli sono riportati nel capitolo Materiali e metodi.
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Capitolo 2 – Materiali e metodi
Questo lavoro di tesi ha l’obiettivo di caratterizzare un materiale termoplastico rinforzato con fibre di vetro, mediante prove di meccanica della frattura. Il materiale in esame è costituito da matrice di polipropilene e rinforzo in fibra vetrosa con una percentuale volumetrica del 47%, prodotto da Bond Laminates, una ditta del gruppo Lanxess, e fornito dal Centro Ricerche Fiat (CRF) di Torino le cui caratteristiche fisico-meccaniche sono riportate nella tabella seguente.
Tab. III - Caratteristiche del materiale caratterizzato nel lavoro di tesi [54]
Tepex® dynalite 104-RG600(x)/47%
Roving Glass – PP Consolidated Composite Laminate
Fibre E-Glass Roving
Matrice Polipropilene (PP)
Densità areica 600 g/m2
Percentuale volumetrica di fibre 47 % Spessore nominale di ogni lamina 0,5 mm
Densità volumetrica 1,68 g/cm3
Modulo elastico 19 GPa
Tensione di rottura 400 MPa
Allungamento a trazione 2,7 % Temperatura di fusione 165 °C
In particolare, le fibre di vetro di tipo E sono disposte a formare rovings, cioè cordoni non ritorti costituiti da numerosi filamenti che, a loro volta, sono disposti in due direzioni ortogonali per formare una struttura del tipo trama (weft) e ordito (warp) [Figg.17a) e b)], [55].
Fig. 17 - a) Disposizione trama e ordito [56]; b) Roving glass [57]
33
Il composito Tepex® è caratterizzato con prove di tipo Mode I e Mode II per determinare il tasso di rilascio di energia di deformazione e, successivamente, mediante analisi stereoscopica per valutare la percentuale di superficie termosaldata.
2.1
Metodi utilizzati per le prove meccaniche di frattura interlaminare
Per l’esecuzione delle prove Mode I e Mode II le normative di riferimento sono pubblicate dagli enti di normazione ASTM International (American Society for Testing and Materials International) e ISO (International Standard Organization).
In passato, quando ancora non erano presenti metodiche normate, alcune aziende specialistiche di settore, come la Airbus Industrie che opera nel campo aeronautico, hanno redatto specifici metodi utilizzati per la caratterizzazione dei materiali, ancora oggi considerati punti di riferimento.
La prova Mode I consiste nell’applicare una forza di trazione sulle cerniere precedentemente incollate all’estremità del provino, dal lato in cui è presente l’inserto, come è mostrato in figura 18, e nel calcolare l’energia specifica necessaria per la delaminazione del provino stesso. Oltre alle cerniere è possibile inserire dei blocchi di carico che svolgono la stessa funzione (Fig. 19).
Per l’esecuzione delle prove Mode I sono utilizzati provini del tipo Double Cantilever Beam (DCB - doppia trave a sbalzo).
Fig. 18 - Provino per la prova Mode I con cerniere [58]
34
Fig. 19 - Provino per la prova Mode I con blocchi di carico [58]
Nella prova Mode II il provino è vincolato a due cilindri metallici di supporto in prossimità delle sue estremità e nel punto centrale, tramite un cilindro metallico, è applicata una forza di compressione che consente l’inflessione del provino (Fig. 20).
Fig. 20 - Provino per la prova Mode II [53]
In Fig. 21 è riportato lo schema di un provino per la prova Mode II in cui:
➢ 2h è lo spessore del provino
➢ a0 è la lunghezza di delaminazione iniziale
➢ ai è la lunghezza dell’inserto
➢ L è la distanza tra la linea di carico e i rulli su cui è appoggiato il provino
➢ Lc è la distanza tra l’estremità del provino in cui è presente l’inserto e il rullo su cui esso è appoggiato
➢ Lu è la distanza tra l’estremità del provino in cui non è presente l’inserto e il rullo su cui esso è appoggiato
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➢ r1 è il raggio del rullo centrale
➢ r2 è il raggio dei rulli laterali
Fig. 21-Schema di un provino per prove Mode II [53]
Per consentire l’innesco della cricca in un’estremità del provino viene inserito un inserto di PTFE.
Per l’esecuzione delle prove Mode II si possono utilizzare due metodi: l’ENF (End-Notched Flexure) test (Fig. 22) e l’ELS (End Loaded Spit) test (Fig. 23). Il primo è normato secondo la metodica ASTM International D7905/D7905M-14, l’altro segue la normativa ISO 15114:2014. Nel metodo ENF il provino è appoggiato alle due estremità e la forza di compressione, che consente la sua flessione, è applicata nella parte centrale, nel metodo ELS il provino è incastrato ad un’estremità e la forza è applicata all’estremità opposta (Fig. 23).
Le prove Mode II utilizzate in questo lavoro di tesi sono eseguite applicando il metodo ENF (End Notched Flexure - flessione con intaglio finale).
Fig. 22 - Disposizione del provino secondo il metodo ENF [53]
Fig. 23 - Disposizione del provino secondo il metodo ELS [59]
36 Prova Mode I
Può essere realizzata secondo le normative ASTM D 5528 – 01 pubblicata nel 2002 [52] e ISO 15024 pubblicata nel 2001 [58]. La differenza principale tra le due normative è la lunghezza di delaminazione iniziale, e, di conseguenza, la distanza di incollaggio delle cerniere dall’estremità del provino.
Secondo la normativa ASTM D 5528-01 la lunghezza di delaminazione iniziale è pari a 50 mm e, poiché nei provini esaminati la lunghezza dell’inserto è pari a 75 mm, la cerniera va incollata a 25 mm dall’estremità del provino.
Nella normativa ISO la lunghezza di delaminazione iniziale è 45 mm e, di conseguenza, la cerniera deve essere incollata a 30 mm dall’estremità del provino.
Durante l’esecuzione della prova, la macchina universale per l’esecuzione di prove meccaniche registra la forza esercitata sul provino (P), e lo spostamento δ della traversa che corrisponde all’apertura trasversale del provino. Contemporaneamente, il software associato alla macchina riporta i dati registrati su un grafico P-δ avente sulle ascisse i valori dello spostamento δ e sulle ordinate i valori della forza P.
Il tasso di rilascio di energia di deformazione per il quale ha inizio la delaminazione del provino nella prova Mode I, è definito tasso di rilascio critico di energia di deformazione (GIc). Esso si può determinare in tre diversi punti della curva forza-spostamento (load- displacement, oppure P-δ) caratteristica della prova. Tali punti sono definiti, da entrambe le normative di riferimento come NL Point, VIS point e 5%/MAX point.
L’NL (non-linear) point è il punto in cui la curva forza-spostamento non è più lineare ed è determinato dall’intersezione tra una retta verticale passante per l’estremità del tratto lineare della curva forza-spostamento caratteristica della prova e la curva forza-spostamento stessa (Fig. 24).
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Fig. 24 - Non Liner (NL) Point
Il VIS (visual) point è determinato mediante l’osservazione visiva della propagazione della cricca lungo il provino. Per calcolare il valore di GIc si registrano i valori della forza P e dello spostamento δ caratteristici del provino nel momento in cui la cricca inizia ad avanzare.
Un altro metodo per ottenere il punto della curva P-δ in cui calcolare il valore di GIc è il 5%
Offset/Maximum Load (5%/Max) che consiste nel tracciare una retta congiungente l’origine del grafico P-δ e il punto della curva in cui la cedevolezza (C), ossia il rapporto δ/P (spostamento/forza) è aumentata del 5% rispetto al valore che assume nel tratto lineare della curva P-δ. Il punto di intersezione tra la curva e tale retta ci fornisce i valori di P e di δ da utilizzare per il calcolo di GIc.
L’NL Point va a considerare un’eventuale apertura della cricca prima all’interno del provino e poi ai bordi laterali. Nel caso di materiali duttili il provino si apre prima all’interno e poi ai bordi, quindi, NL point e VIS point non coincidono; nel caso di materiali fragili il provino si apre contemporaneamente all’interno e ai bordi, di conseguenza NL point e VIS point coincidono (Fig.25).
Fig. 25 - Diverso comportamento dei materiali fragili e duttili NL Point