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L OSSERVATORE ROMANO

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,50 Copia arretrata € 3,00 (diffusione e vendita 17-18 marzo 2021)

L’OSSERVATORE ROMANO

GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO Unicuique suum Non praevalebunt

Anno CLXI n. 62 (48.685) Città del Vaticano mercoledì 17 marzo 2021

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Con cuore di padre

di ALESSANDROGISOTTI EANDREAMONDA

Q

uando abbiamo letto Patris corde ci siamo chiesti come avrem- mo potuto valorizza- re questa Lettera che non cele- bra solo una ricorrenza per quanto importante, il centocin- quantesimo della proclamazio- ne di San Giuseppe come Patro- no della Chiesa universale, ma si collega a un Anno speciale de- dicato alla figura dello Sposo di Maria e dunque traccia un per- corso su cui siamo invitati a pro- cedere. Il testo di questa Lettera è tanto breve quanto profondo, analogamente a quanto avviene nei Vangeli con la figura di Giu- seppe a cui sono dedicate poche parole ma ognuna preziosa e fe- conda. Leggendo il “Giusepp e secondo Francesco”, il cuore si allarga e al tempo stesso si am- plia lo sguardo sulla paternità, forse mai così sbiadita, così in crisi come lo è oggi, eppure pro- prio per questo mai tanto biso- gnosa di essere ri-compresa e riaffermata.

Ci è sembrato che una rubri- ca mensile, quindi scandita da un tempo lento in un mondo che corre sempre più veloce perdendo il gusto di tante cose, potesse rispondere a questa esi- genza. Una rubrica che vuole essere un piccolo contributo di riflessione e approfondimento su quello che Papa Francesco vuole comunicarci con cuore di p a d re .

Non abbiamo voluto tutta- via che questo appuntamento mensile fosse contraddistinto da una analisi erudita, specia- listica, ma piuttosto che que- sta meditazione donata dal Papa su San Giuseppe potesse intrecciarsi con la vita concre- ta delle persone, si potesse an- nodare con le gioie e le fatiche di padri e di figli, ma pure di madri perché non può esserci paternità senza figliolanza, né SEGUE A PAGINA 2

L

A BUONA

N

OTIZIA

• Il Vangelo della

V

Domenica di Quaresima (Giovanni 12, 20-33)

Per diventare nostro fratello, anche lui ha tremato di paura

di GI O VA N N I CESAREPAGAZZI

«A

desso la mia anima è tur- bata». Così il Signore definisce il proprio stato, dopo aver raccontato del seme che porta frutto solo morendo. Il de- stino mortale e fertile del chicco parla di lui, dell’ormai imminente uccisione e della definitiva vittoria. Nel Vangelo di Giovan- ni, in altre due occasioni si parla del «tur- bamento» di Gesù; in entrambe vibra la sua emozione all’avvicinarsi della morte.

La prima è davanti alla tomba di Lazza- ro: dopo aver pianto, è «ancora profonda- mente turbato». La morte di chi ci è caro è

anche un po’ la nostra morte. Con lui se ne va parte della nostra vita. Una fetta della nostra esistenza non è più disponibile co- me prima, giacché le esperienze vissute con quella persona sono tramontate con lei. Il Signore entra nel dolore per la pro- pria morte passando attraverso la porta della perdita di un amico carissimo. E ciò lo turba profondamente.

Il Figlio di Dio è turbato anche dopo l’annuncio del tradimento di Giuda e la sua fuga dal cenacolo, nella notte. La mor- te entra in Gesù da ogni parte: il complotto studiato alla perfezione per eliminarlo e il morso velenoso, vorace e feroce del tradi- mento. Nel calice amaro che il Padre non

gli allontana e che egli beve fino in fondo c’è anche il turbamento. Ma che cos’è?

L’originale verbo greco indica una paura così profonda e totalizzante da scuotere non solo l’anima ma anche il corpo: si tre- ma dalla paura. Il corpo del Figlio di Dio ha tremato di paura. No! Non ci meritiamo un Dio così! Ci saremmo accontentati di molto, molto meno. Non possiamo averlo inventato noi un Dio così; è fuori dalla no- stra portata. Per diventare nostro fratello, anche lui ha tremato di paura, come noi tremiamo al solo pensiero della perdita di chi e quanto è vitale. Rivolgiamoci a lui con fiducia. Ci capisce. Egli stesso ha pro- vato, fino a tremare, quanto costa perdere.

O

GGI IN PRIMO PIANO

Mi inginocchio sulle strade

del Myanmar

Il ricordo del cardinale Kasper

Quel libro regalato a Bergoglio

La misericordia è «il pila- stro» del pontificato di Fran- cesco. Lo sottolinea, in un’intervista a Vatican News, il cardinale presidente emeri- to del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Walter Kasper, ricordando il primo Angelus

recitato dal Papa argentino, dalla finestra dello studio privato del Palazzo apostoli- co, a mezzogiorno del 17 marzo di otto anni fa, quat- tro giorni dopo l’elezione. In quell’occasione Francesco accennò al libro del porpora- to Misericordia. Concetto fonda- mentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana — che lo stesso Kasper gli aveva regalato durante il conclave — affer- mando che a scriverlo era stato «un teologo in gam- ba».

Il testo integrale dell’intervista

All’udienza generale Papa Francesco lancia un forte appello per il dialogo unendosi al gesto delle suore

e dei religiosi che hanno cercato

di fermare le violenze nel Paese asiatico ed esprime anche preoccupazione

per la crisi sociale in Paraguay

L’

immagine ha fatto il giro del mondo: suor Ann Nu Thawng, re- ligiosa della congre- gazione di San Francesco Save- rio, prega inginocchiata davanti alle forze dell’ordine schierate per le strade di Myitkyina duran- te le manifestazioni dei giorni scorsi represse con la violenza in Myanmar. Un gesto che il Papa ha voluto richiamare idealmente durante l’udienza generale di og- gi, mercoledì 17 marzo, lanciando un nuovo appello al dialogo e al- la pacificazione nel Paese asiati- co. E invocando, al tempo stesso, la fine delle violenze anche nel Pa r a g u a y.

APA G I N A 8LA C AT E C H E S I DELPA PA ALLUDIENZA GENERALE,I SALUTI E GLI APPELLI

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 2 mercoledì 17 marzo 2021

paternità senza maternità.

Nel succedersi degli appun- tamenti della rubrica, ci faremo guidare dal testo di Patris corde nel tentativo di “far dialogare”

Giuseppe di Nazareth con i pa- dri del nostro tempo. Così ogni mese — a partire da aprile e fino ad ottobre prossimo — verrà ri- proposto il testo di ciascun ca- pitolo, pubblicato integralmen- te o per ampi stralci. Oggi per l’avvio della rubrica ripropo- niamo l’introduzione della Let- tera. I titoli stessi dei capitoli saranno i segnali che daranno la direzione alla rubrica. «La vita è il paragone delle parole», si legge in un passo dei P ro m e s s i sposi amato da Papa Francesco.

In un qualche modo, le testi- monianze — attraverso articoli e interviste — che pubblicheremo vogliono essere proprio segno di quella vita che è il paragone, la “verifica” delle parole scritte nella Patris corde. Una nuova prospettiva, dunque, per legge- re o rileggere la Lettera. Un iper- testo, si direbbe oggi, scaturito dall’esperienza di chi ha trova- to nella figura di San Giuseppe un sostegno nella prova o la fonte a cui attingere per trovare quella “creatività dell’a m o re ” a cui tante volte il Papa ci ha chie- sto di ricorrere, specie in questo tempo angusto segnato dalla

Oggi in primo piano - «Patris corde»

di FRANCESCO

C

on cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli «il figlio di Giuseppe». I due Evangelisti che hanno posto in rilievo la sua figura, Matteo e Luca, raccontano poco, ma a sufficienza per far capire che tipo di padre egli fosse e la missione affidatagli dalla

P ro v v i d e n z a .

Sappiamo che egli era un umile falegname (cfr. Mt 13, 55), promesso sposo di Maria (cfr. Mt 1, 18; Lc 1, 27); un «uomo giusto» (Mt 1, 19), sempre pronto a eseguire la volontà di Dio manifestata nella sua Legge (cfr. Lc 2, 22.27.39) e mediante ben quattro sogni (cfr. Mt 1, 20; 2, 13.19.22). Dopo un lungo e faticoso viaggio da Nazaret a Betlemme, vide nascere il Messia in una stalla, perché altrove «non c’era posto per loro» (Lc 2, 7). Fu testimone dell’adorazione dei pastori (cfr. Lc 2, 8-20) e dei Magi (cfr. Mt 2, 1-12), che rappresentavano

rispettivamente il popolo d’Israele e i popoli pagani.

Ebbe il coraggio di assumere la paternità legale di Gesù, a cui impose il nome rivelato dall’Angelo: «Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 21). Come è noto, dare un nome a una persona o a una cosa presso i popoli antichi significava conseguirne l’appartenenza, come fece Adamo nel racconto della Genesi (cfr. 2, 19-20).

Nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita, insieme alla madre Giuseppe offrì il Bambino al Signore e ascoltò sorpreso la profezia che Simeone fece nei confronti di Gesù e di Maria (cfr. Lc 2, 22- 35). Per difendere Gesù da Erode, soggiornò da straniero in Egitto (cfr. Mt 2, 13-18). Ritornato in patria, visse nel nascondimento del piccolo e sconosciuto villaggio di Nazaret in Galilea — da dove, si diceva, “non sorge nessun profeta” e “non può mai venire qualcosa di buono” (cfr. Gv 7, 52; 1, 46) —, lontano da Betlemme, sua città natale, e da Gerusalemme, dove sorgeva il Tempio. Quando, proprio durante un pellegrinaggio a Gerusalemme, smarrirono Gesù dodicenne, lui e Maria lo cercarono angosciati e lo ritrovarono nel Tempio mentre discuteva con i dottori della Legge (cfr. Lc 2, 41-50).

Dopo Maria, Madre di Dio, nessun Santo occupa tanto spazio nel Magistero pontificio quanto Giuseppe, suo sposo. I miei Predecessori hanno approfondito il messaggio racchiuso nei pochi dati tramandati dai Vangeli per evidenziare maggiormente il suo ruolo centrale nella storia della salvezza: il Beato Pio IX lo ha dichiarato «Patrono della Chiesa

Cattolica», il Venerabile Pio XII lo ha presentato quale «Patrono dei lavoratori» e San Giovanni Paolo

II come «Custode del Redentore». Il popolo lo invoca come «patrono della buona morte».

Pertanto, al compiersi di 150 anni dalla sua

dichiarazione quale Patrono della Chiesa Cattolica fatta dal Beato Pio IX, l’8 dicembre 1870, vorrei — come dice Gesù — che “la bocca esprimesse ciò che nel cuore sovrabbonda” (cfr. Mt 12, 34), per condividere con voi alcune riflessioni personali su questa

straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi. Tale desiderio è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni — solitamente dimenticate — che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’o rd i n e , volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. […]

Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti». Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine.

(«Patris corde», Introduzione)

Yosef, l’uomo che portò in braccio guidò, baciò diede da mangiare al figlio di Dio

Il figlio

di Giuseppe

Gesù adolescente e giovane usciva per lavorare, in direzione della città elleni- stica di Seforis, accompagnato da suo padre san Giuseppe. Queste esperien- ze hanno segnato il Figlio di Dio nella sua umanità. Giuseppe trasmise a Ge- sù la percezione di sentirsi unico, che è poi la proprietà di chi lavora con la creatività dell’artigiano. Le caratteri- stiche proprie di chi si fermava a parla- re, ad ascoltare i clienti, che spiegava- no al giusto Yosef i loro desideri, le dif- ficoltà, i sogni.

Yosef, nella vita di ogni giorno, for- nì al Figlio di Dio il carattere umano, educandolo alla conoscenza della vita, del mondo, del lavoro, del linguaggio, e alla conoscenza della Torah. All’a- pertura anche verso coloro che non erano di religione ebraica. Seforis, do- ve andavano a lavorare, era infatti una città mista nella quale convivevano ebrei e romani. Mi commuovo nel pen- sare che questo povero e umile villag- gio, dove vivo per “grazia”, affidato ai frati della Custodia di Terra Santa, sia la fonte del cristianesimo originario.

Fu davvero inspirato san Paolo VI

quando paragonò san Giuseppe a una lampada domestica, che diffonde i suoi raggi benefici nella “casa di Dio”, mo di Incarnazione. Il profumo del

fiore della Galilea, infatti a n - N ā i ra (“N a z a re t h ”), in arabo significa fiore.

Questa cura del prossimo, che è la cifra dell’agire di Papa Francesco, mi riman- da alle caratteristiche della “scuola” di Nazareth. Qui il Figlio di Dio ha impa- rato l’umanità della sua natura teandri- ca da suo padre Yosef Ben Yacob — San Giuseppe. Lui che lo educò, lo nutrì e con il quale crebbe nella sua umanità.

L’originalità del Vangelo è segnata dai 30 anni della permanenza di Gesù nella vita nascosta. Fatto unico perché prima di essere predicato, il Vangelo fu vissuto. Perché il Vangelo è vita e non un’idea. Non posso dimenticare il 19 marzo 2013, sei giorni dopo la sua ele- zione quando Francesco inaugurò il proprio Pontificato con un’omelia su san Giuseppe, incentrata sul ruolo di

“custo de” della crescita umana di Ge- sù. Quella omelia ci colpì e ci commos- se qui a Nazareth: parlando di Giusep- pe sentimmo quel giorno il pensiero del Papa rivolto anche a noi che qui a Nazareth ne custodiamo la casa e la memoria.

Non ci stupisce dunque la sua deci- sione di dedicare al santo la Lettera apostolica Patris corde, e di proclamare l’anno “giuseppino”, elevando san Giuseppe a modello di paternità, di sposo, di uomo educatore, che si di- mentica di se stesso per curare un figlio che non era suo.

Egli “accoglie Maria senza precon- dizioni” ed è l’uomo in cui “Gesù ha vi- sto la tenerezza di Dio”. Yosef (Giu- seppe), che insegnò a pregare a Yeho- shua, invita ogni padre di famiglia ad aprire il suo orizzonte alla vita di pre- ghiera. Operaio esemplare, in questo periodo di crisi economica, ci insegna che l’economia deve essere al servizio dell’uomo. Yosef è ricordato per la sua castità, e può aiutarci in questo mon- do, pervaso da un edonismo erotico, a riscoprire con urgenza il vero significa- to dell’amore a tutti i livelli. Guardare al giusto e umano artigiano della Gali- lea, ci insegna ad aprirci a tutti come fratelli.

Proprio da qui, da dove vi scrivo, di BRUNOVARRIANO*

D

a quando sono arrivato in Terra Santa, ormai più di due decenni fa, sono state tante le situazioni e gli eventi che mi hanno portato a meditare sull’a- more di Dio per l’uomo. Un amore che, per salvare e ricapitolare Gesù in tutte le cose (Col 1, 16-22), si incarna, cresce, vi- ve, insegna, incontra, muore e risorge per tutti e per ciascuno. Questa ricerca della conoscenza di Gesù si è resa anco- ra più concreta con il mio trasferimento a Nazareth nel 2013, come guardiano del Convento di Nazareth e rettore sia del santuario basilica dell’Annunciazio - ne che di quello di San Giuseppe. Qui (hic) dove il Verbo si è fatto carne. Sono arrivato a Nazareth in contemporanea con l’inizio del pontificato di Papa Francesco. Un Pontefice che fin dall’i- nizio ha dimostrato una forte identità paterna, che non ho potuto non associa- re qui alla paternità di san Giuseppe.

Egli abbraccia i piccoli, i semplici, i ma- lati, i bambini, e con loro si intrattiene con piacere, dimostrando attraverso i suoi gesti una vicinanza, che supera bar- riere fisiche, concettuali e ideologiche.

In mezzo alle difficoltà della pande- mia da covid 19, il Papa ci indica che l’unica maniera per vincere il male è la fratellanza universale. Con la Lettera enciclica Fratelli tutti ci porta alla fre- schezza del Vangelo, alla bellezza del suo inizio, ci trasporta qui a Nazareth, dove respiriamo ogni giorno un profu-

pandemia. E del resto, padre dal coraggio creativo è proprio uno dei modi in cui il Papa lo definisce in Patris corde.

I nostri lettori potranno dunque incontrare Giuseppe attraverso il testo della Lettera e gli articoli che la accompagne- ranno di volta in volta. Sarà un modo per metterci in ascolto dell’uomo dei sogni, un’altra di- mensione, quella del sogno, tante volte richiamata da Fran- cesco che la collega inscindibil-

mente alla dimensione della profezia. Giuseppe è l’uomo della disponibilità pronta e do- cile alla volontà del Signore. È lo sposo che custodisce quanto di più prezioso gli è stato affi- dato. È il padre il cui cuore — come ha scritto Anna Maria

Canopi — «veglia anche nel sonno». Ma è anche l’uomo che sa prendere decisioni risolute e portarle a compimento per pro- teggere Maria e il Bambino. Sa infatti, come recita il Salmo, che «il Signore veglia sul cam- mino dei giusti» anche se que- sto può sembrare incerto e ri- schioso. Giuseppe è il padre che agisce nell’ombra e nel si- lenzio. Quale esempio contro- corrente, e non solo per i padri, in un mondo che sembra ripe-

terci ossessivamente che per

“re a l i z z a rc i ” dobbiamo sedere in prima fila e avere l’ultima pa- rola. Giuseppe però è innanzi- tutto l’uomo che vive con gioia l’obbedienza al Padre perché sa che solo così l’amore trova il suo perfetto compimento.

Con cuore di padre

CO N T I N UA DA PAGINA 1

(3)

L’OSSERVATORE ROMANO

mercoledì 17 marzo 2021 pagina 3

Oggi in primo piano - «Patris corde»

I doni di una figlia al padre: il racconto di Roberto Corbella

Io e Chiara

la Chiesa: Giuseppe la illumina con il suo esempio incomparabile, di servizio al Figlio suo e di Dio, con amore e per a m o re 1. Per questo san Bernardo, gran- de padre della teologia monastica ci- stercense, dice candidamente che le

«“lo di” attribuite a san Giuseppe si trovano nella genuinità del Vangelo».

E prosegue: «Il Signore trovò Yosef se- condo il suo cuore e gli affidò con fidu- cia i segreti più misteriosi e sacri del suo cuore. I re e i profeti vollero vedere e non videro, tuttavia fu concesso a lui, Yosef, che non solo lo vide e sentì, ma lo portò in braccio, lo guidò nei suoi passi, lo abbracciò, lo baciò, gli diede da mangiare ed ebbe cura di lui»2. Tanto furono significativi per la Chiesa nascente l’alto compito e la missione di san Giuseppe, che la casa di Yosef Ben Yacob, in cui visse in compagnia di Ge- sù e della Vergine Maria, secondo le fonti antiche e la testimonianza del ve- scovo pellegrino Arcufo (VIsecolo), fu chiamata santuario della Nutrizione.

Mi auguro che questo anno dedica- to a san Giuseppe possa essere un invi- to a tutti a riconoscere e venerare il più

“umile santo” che qui ha vissuto. Noi qui a Nazareth preghiamo così: «Lo- dato sii mi Signore per “Yosef Ben Ya- cob”, padre putativo di Yehoshua, egli ci insegna a lavorare con gioia ogni giorno, ad essere semplici, puri e santi per fare la santa volontà del Padre. Lui, il guardiano della vita e dell’a m o re , prosegue il suo compito come Custode del Redentore, difendendo la Chiesa di suo Figlio nel mondo». San Giusep- pe faccia riscoprire continuamente ai cristiani, la propria identità, di disce- poli della “Parola di Dio”3, Incarnata e rivelata in Yehoshua, il Verbo che si fe- ce Carne, nella storia e realtà, qui (hic) a Nazareth.

Guardiano e rettore dei santuari

dell’Annunciazione e della casa di Giuseppe a Nazareth di Galilea

1Omelia 19 marzo 1966.

2Omelia II“super Missus est "2, 16: PL183, 70.3Dei Verbum.

di ROBERTOCETERA

«S

u me e Chiara una

cosa voglio dirtela subito: io non credo alle proprietà transi- tive. La sua straordinaria bellezza non viene certo da me». Comincia- mo questo percorso lungo i sentieri delle forme sempre varie della pater- nità incontrando Roberto, papà di Chiara Corbella Petrillo. «Se guar- do indietro nella mia vita, al mio sti- le sempre un po’ prudente, e anche alla tiepidezza della mia fede, mi domando spesso da dove Chiara ab- bia preso il suo incredibile coraggio, la sua determinata testimonianza di fede».

Roberto Corbella, 71 anni, rac- conta in un misto di umiltà, ironia e punte di commozione, la straordina- ria esperienza di padre di Chiara, scomparsa alla vista umana nel giu- gno 2012, e per la quale è ora in cor- so il processo di beatificazione. La storia è ai più nota. Chiara, cresciuta in un ambiente di fede pura e sem- plice, incontra Enrico a Medjugorje nel 2002. Sei anni dopo si sposano.

Dalla loro unione nascono Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, che però sopravvivono solo pochi minuti alla nascita, per via di gravi malformazioni congenite. Nel 2011 nasce finalmente Francesco, sano e bello. Ma al quinto mese della gra- vidanza a Chiara viene diagnostica- to un tumore. Chiara inizia le cure e subisce anche un intervento ma ri- manda ogni terapia e ulteriore inter- vento che possa mettere a rischio la salute di Francesco; la seconda e più invasiva operazione e tutte le terapie affrontate dopo la nascita di France- sco non riusciranno però a bloccare il tumore. Chiara si spegnerà il 13 giugno del 2012. Nel settembre del 2018 il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis ha ufficialmente aperto il processo canonico per la sua beatificazione.

«Sai, in questi anni tante volte so- no stato chiamato a parlare anche in pubblico di Chiara. Ma questa è la prima volta che mi si chiede di par- lare di me, della mia esperienza, de- cisamente particolare, di paternità.

E questo mi imbarazza e confonde molto».

«A volte mi sembra di essere pas- sato repentinamente da “figlio di...”

a “padre di...”».

Ogni padre è stato anche figlio. E la paternità si nutre molto dell’esp e- rienza pregressa di figlio.

«Sì, è vero. O perché emuli lo stile dei tuoi genitori, o perché te ne distacchi e lo contesti, ma il modo in cui “fai” il padre dipende in gran- de misura da come sei stato figlio.

Per me è valsa più la seconda ipote- si: i miei erano due gran belle perso- ne e mi hanno circondato di affetto, però sai, tra noi non c’è mai stata quella intimità sentimentale e spiri- tuale, che invece poi io ho cercato di instaurare con le mie figlie, erano al- tri tempi, il pudore e la discrezione avevano sempre il sopravvento. Con le mie figlie è stato diverso, sai, an- cora da grande, già sposata, quando Chiara veniva a trovarci era ancora abituata a sedersi sulle mie ginoc- chia».

«Quindi sei stato un papà molto presente?». «Beh, io ci ho provato in tutti i modi. Poi sai c’è sempre una differenza tra ciò che noi sen- tiamo di dare e quello che gli altri percepiscono di ricevere. In parti- colare i figli hanno sempre di noi un’immagine un po’ diversa da

quella che presumiamo di dargli.

Però credo di essermi dedicato ab- bastanza nella relazione con le mie figlie. Magari non tempi lunghissi- mi, ma quando ero con Elisa e Chiara, cercavo di alimentare la lo- ro curiosità aiutarle a guardare lon- tano e cogliere la bellezza in ciò che incontravamo. E questo al netto di un lavoro che mi assorbiva molto ma che ci ha anche dato l’opp ortu- nità di fare lunghe vacanze insieme in giro per il mondo».

Un lavoro, quello di Roberto che in un certo senso è stato anch’esso esercizio di paternità. Per 40 anni ha diretto un’organizzazione turistica che ha avuto il merito di introdurre alla cultura del viaggiare le giovani generazioni. «Fino agli anni ’70 il viaggio, più che un’esperienza for- mativa e di incontro, era uno status symbol per i benestanti . Poi con la deregulation delle tariffe aeree mi- lioni di giovani hanno imparato a viaggiare e noi li abbiamo aiutati.

Hai ragione, in un certo senso anche

quella è stata un’esperienza di pater- nità. Perché un buon padre è quello che lascia i figli “p a r t i re ”. Partire per la vita. I figli non si posseggono.

Anche questo l’ho imparato da Chiara».

«Cos’altro credi di aver imparato da Chiara?». «Mah... tante cose. Di molte mi sono accorto solo dopo.

Per esempio il coraggio. Lei è una tosta. (Roberto, non se ne accorge, ma spesso in questa conversazione parla di Chiara usando l’indicativo presente, ndr). Sai, quando le comu- nicarono che era ormai entrata nella fase terminale, cominciò ad invitare più frequentemente amici e parenti nella nostra casa in campagna. Que- sti arrivavano mesti e silenziosi co- me, pensavano, l’occasione avrebbe richiesto, ma poi ne uscivano frastor- nati con l’idea di aver incontrato una famiglia di pazzi. Un’allegria conta- giosa che sconfinava a volte nella baldoria, Chiara scherzava perfino della sua condizione. La forza della Fede si esprime nella gioia: la tristez- za non è un sentimento cristiano.

Semplicemente perché esclude la Speranza. L’immagine assai diffusa di Chiara sorridente con la benda su un occhio è in un qualche senso ico- nica di questo suo approccio alla vi- ta. Al tempo stesso ci tengo a smon- tare una qualsivoglia immagine “san- tino” di mia figlia: Chiara era una ra- gazza normale, molto spontanea, con una vita normale, come tante».

«La nostra casa è sempre stata un porto di mare, fin da quando erano

piccole c’è sempre stata un andiri- vieni di giovani. Socialità ed empa- tia erano la cifra della nostra giova- ne famiglia. Che si estendevano a tutti, anche a tutti gli animali che abbiamo sempre avuto. Sai, aveva- mo un gatto che ogni giorno usciva da casa da solo e andava a prendere Elisa fuori scuola per poi tornare in- sieme...».

Poi ci sono anche le cose che vi differenziavano. «Sì, io penso — e non lo dico per falsa umiltà — ma gli aspetti più belli di Chiara vengono sicuramente da mia moglie Ansel- ma. È da lei che ha ereditato la sue belle sensibilità e creatività, e il gu- sto per l’arte, per il bello. Per la mu- sica e per il disegno. Ad ogni Natale e compleanno disegnava e scriveva dei bellissimi biglietti che conservo gelosamente. Ma soprattutto Ansel- ma è stata la chiave di accesso alla fede per entrambe le ragazze. Fin da piccole ha insegnato loro, con l’aiu- to della loro Comunità, a curare lo spazio necessario — almeno mezz’o-

ra al giorno — alla preghiera. Che non è mai stata una sequela di paro- le ma un vero spazio di dialogo quo- tidiano aperto e franco con il Signo- re. Sono sempre stato incuriosito da questo approccio che le ragazze ave- vano con la preghiera, mi colpiva la naturalezza di una pratica che per loro era come il mangiare, il bere e il dormire; una pratica, lasciami dire, di igiene spirituale. Più in generale posso dire che il cristianesimo di Chiara, come di tutti noi in fami- glia, non indulgeva mai all’identita- rismo. Per lei l’importante era man- tenere una coerenza di vita, far capi- re, non convincere».

«Io capisco che tu sia interessato oggi al mio ruolo di padre, ma tutta questa storia straordinaria che ti sto raccontando si regge in primo luogo sul ruolo di Anselma, la mamma, mia moglie».

Come vi siete conosciuti? «Anche qui la vita, o meglio la Provvidenza, ha sopraffatto le nostre piccole vo- lontà. Ci siamo sposati grazie ad uno scherzo. Lavoravamo insieme, lei mi piaceva ed ho scoperto dopo che io piacevo a lei, ma io ero molto compassato nel mio ruolo di capo e lei non voleva apparire come quella che ci provava con il capo. Una sera ad una cena tra colleghi, uno di lo- ro, ci fece uno scherzo. Alla fine del- la cena si alzò e disse “E ora faccia- mo un bel brindisi per Roberto e Anselma che presto si sposano”.

Grande imbarazzo e risate generali.

Ma usciti dal ristorante l’avvicinai e

le dissi “Ma che razza di scherzo…

però... però io mi ci vedrei bene dentro questo scherzo. E tu?” D opo tre mesi eravamo sposati».

«Allo stesso modo non si può raccontare Chiara, e anche il mio ruolo di padre, prescindendo dalla figura di sua sorella, di Elisa. Il rap- porto tra le due sorelle era osmotico, pur nello specifico delle rispettive individualità le univa una relazione di confidenza complicità e unione spirituale, completamente libera da gelosie e concorrenze, come è abba- stanza raro trovare. L’ultima notte di Chiara rimasero loro due insieme, da sole. Un dialogo, per Elisa, che non si è interrotto quella notte».

«Tu capisci dunque che con que- ste figlie — e questa mamma — alla fine non è stato difficile essere pa- d re »

«Io penso che il compito princi- pale di un padre sia quello di susci- tare nei figli una forte curiosità in- tellettuale. Non imporre risposte ma proporre domande sulla vita, e sul mondo. Io le ho spinte a viaggiare e conoscere fin da piccole. Poi il resto viene da solo: nel senso di “p o che parole ma un buon esempio”. I figli prestano più attenzione a quello che fai piuttosto che a quello che dici».

«Fintanto Chiara è stata al nostro fianco non abbiamo avuto percezio- ne della straordinarietà della storia che ci stava donando. Credo di averlo capito solo il giorno del fune- rale quando, in una chiesa piena al- l’inverosimile, sentii per la prima volta la parola “santità” p ro n u n c i a t a dal cardinale Vallini. Mi riesce anco- ra oggi difficile pensare a questo ter- mine. Per me Chiara è sempre e in- nanzitutto mia figlia. Forse dico una sciocchezza, ma mi risulta difficile immaginare che cosa sia essere “pa- d re ” nella comunione dei santi».

La chiacchierata con Roberto, condita di pause e silenzi che pure parlano, continua camminando lun- go il fiume oltre ponte Sant’Angelo.

La direzione da traguardare è la scuola di Francesco, il frutto più bello di Chiara. «Anche in pensione continuo a coltivare molti interessi, specie nel campo del bene sociale.

Ma è inutile che ti dica che l’e s s e re nonno è ciò che riempie la mia vita.

Non solo di Francesco. Elisa mi ha regalato tre splendidi nipoti, che pe- rò non vedo spesso come vorrei, perché vivono a Milano».

Francesco esce dal portone della scuola e corre ad abbracciare il non- no. Mi corre un brivido a vederlo: è la copia identica della mamma.

«Anche nel carattere è molto simile a Chiara. Anche lui ama l’arte e la musica».

«Prima di lasciarti vorrei dirti un’ultima cosa, che non ho mai rac- contato. Avevo sempre pensato che non ci fosse dubbio nel caso di una futura mamma ammalata, se ante- porre il suo bene a quello del bimbo in grembo. La storia di Chiara mi ha fatto capire che se lei avesse an- teposto la sua persona a quella di Francesco, che i medici definivano semplicemente “il feto”, non sareb- be stato certo che lei si sarebbe sal- vata ma avrebbe potuto compromet- tere anche gravemente la salute di Francesco che invece è qui con tutti noi sano e bello ed è stato fonda- mentale per affrontare la vita senza Chiara. Oggi Chiara vive in France- sco.«Ed è la mia consolazione. Sba- gliavo. È stato l’ultimo insegnamen- to, l’ultimo dono nella Fede che mia figlia ha voluto fare al padre».

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L’OSSERVATORE ROMANO

GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 4 mercoledì 17 marzo 2021

Per il direttore dell’agenzia i benefici superano i rischi. Italia e Francia pronte a riprendere le vaccinazioni

L’Ema apre su AstraZeneca:

nessuna relazione con le morti

Nel ricordo di Marco Follini

Moro: lezione

sulla fragilità del potere

di ANDREAMONDA

«A

ldo Moro an-

drebbe an- che sottratto alla cerimo- nia», è netto nel suo ricordo Marco Follini che con il leader democristiano intrecciò un rapporto intenso a dispetto dei quasi quarant’anni che li divi- devano, «Moro infatti era una persona che stava sul terreno della realtà, della controversia, la politica per lui non era un campo di battaglia ma non era nemmeno un prato fiorito. Ne aveva una visione realistica e anche un po’ cruda». Follini vuole mettere a fuoco la para- bola politica di Moro per com- prendere cosa oggi resta vivo di quella esperienza, qualcosa

«che è esattamente ciò che manca al nostro tempo: l’ascol - to, l’attesa, la misura, qualche volta anche il silenzio. Tutte cose che lo rendevano inattuale già nella sua epoca. Un uomo consapevole delle avversioni a cui andava incontro, accusato di essere fumoso e inconclu- dente, eppure è lui il protago- nista delle due grandi svolte di quegli anni: il centrosinistra e la solidarietà nazionale».

Il ricordo scende più sul profilo personale, sullo stile, profondamente intriso delle ragioni della fede, dell’uomo politico: «Era un uomo curio- so, attento verso il prossimo, capace di ascoltarlo, ricordo colloqui che erano fatti so- prattutto dalle sue domande, perché non era abituato alla ri- tualità degli incontri superfi-

ciali né tantomeno a predica- re; vedeva le persone più rara- mente ma in modo più appro- fondito. Con tutti era così, co- me se volesse indagare insie- me a quelle persone alla ricer- ca di segni di novità». Non so- lo curioso ma anche ansioso:

«Sì perché era leale a quel principio di non appagamen- to che governa il rapporto tra i cristiani e la politica, e questa ansia gli imponeva di essere compassato, misurato, di non disperdere il tempo né le paro- le. Non c’era mai nulla di ca- suale in lui. Aveva una gran- dissima attenzione alla sfera religiosa e alla spiritualità del- la politica; infondeva dentro la contesa politica i suoi valo- ri, le sue convinzioni, i suoi sentimenti, il suo senso di umanità e aveva cura di mette- re al riparo la Chiesa dagli er- rori politici dei cattolici impe- gnati nella sfera pubblica, at- teggiamento che portò anche a qualche attrito con parte del- la gerarchia ecclesiastica del- l’epoca, attrito che lui poteva affrontare con la coscienza tranquilla perché sapeva quanto fosse forte il vincolo dell’appartenenza a quel mon- do e a quel sistema di valori».

Qual è la lezione più gran- de, oggi, di Aldo Moro?

«Se dovessi riassumere in poche battute, partendo dal mio ricordo personale, direi che era un uomo indubbia- mente autorevole, solenne, anche potente, ma trapelava da lui il sentimento della fragi- lità di quel potere. Era un uo- mo fragile. Io allora ragazzo lo guardavo come un uomo che era un monumento della politica di quegli anni, ma quel monumento rivelava tut- ta la fragilità della costruzione repubblicana. Che il potere fosse fragile: io penso che que- sto sia stato il più grande inse- gnamento che ha lasciato a chi poi successivamente si è trova- to a confrontarsi con la sua fi- gura e con il suo lascito. In lui c’era un tormento che evocava la fragilità del potere. Che è il segno della democrazia. Il po- tere monumentale appartiene ai regimi. Lui sapeva invece di essere su un altro terreno, quello del consenso e del po- tere condiviso e quindi della massima incertezza del pote- re. Quando usa la metafora del castello, è significativo che il castello appartiene sempre agli altri, lui non si sente parte del castello, e quando ci sta dentro invoca la necessità di aprire porte e finestre per far entrare il vento che soffia nella vita. Sono immagini un po’

letterarie che alludono però a un inconscio profondo. Moro sapeva che la politica per sua natura finisce sempre male e quel male va corretto, emen- dato, riscattato, ma sapeva an- che che nella politica non c’è l’assoluto, c’è il relativo e che la perfezione non appartiene a quel mondo, e lo dice l’uomo che in quel momento è il più potente d’Italia».

Tragico naufragio al largo delle Canarie

Dispersi in mare altri 145 migranti

Regno Unito: Johnson presenta la strategia geopolitica

Riunione promossa dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale

Per un disarmo globale

MADRID, 17. Cinquantadue persone sono state salvate al largo delle Canarie ieri sera:

tra loro nove bambini e 29 donne. Dovreb- bero far parte del gruppo di quattro imbar- cazioni di fortuna sovraccariche di migranti delle quali non si avevano più notizie. L’or - ganizzazione spagnola di soccorso e sicurez- za marittima Salvamento Maritimo ha co- municato ieri sera la temporanea interruzio- ne delle ricerche di questi 145 migranti alla deriva ed in pericolo imminente di vita: tra di loro — la segnalazione è estremamente precisa — 73 donne e 30 minori.

Alla loro ricerca è un mezzo aereo, che ha perlustrato per l’intera giornata di ieri il lem- bo dell’Oceano Atlantico compreso tra Gran Canaria e Cabo Bojador. I migranti erano partiti da diversi punti del Sahara Oc- cidentale nei giorni scorsi.

BRUXELLES, 17. «Restiamo fermamente convinti che i be- nefici superino i rischi. Al momento non c’è evidenza di correlazione» tra le morti per trombosi e le inoculazioni del vaccino anti-covid-19 prodot- to da AstraZeneca. Su questo ha insistito ieri il direttore dell’Agenzia europea del far- maco, Emer Cooke, durante una conferenza stampa sulla piattaforma della Commissio- ne europea. «Stiamo valutan- do ogni effetto collaterale di questo vaccino» ha affermato il numero uno dell’Ema, spie- gando come si stia indagando anche su eventuali problemi legati alla fase di produzione, più che al vaccino in sé. «La scorsa settimana, rilasciando un primo report, abbiamo detto molto chiaramente che i benefici superano i rischi. Ab- biamo radunato gli esperti, il

processo è in corso» ha ag- giunto, annunciando per do- mani, 18 marzo, una riunione straordinaria dell’Ema per la diffusione di un verdetto fina- le.Il chiarimento del respon- sabile dell’Agenzia europea del farmaco è arrivato nel giorno in cui il Vecchio Conti- nente ha superato la soglia delle 900.000 vittime per cau- se legate al covid-19, e dopo che alcuni esecutivi di Paesi membri dell’Unione europea avevano sospeso in «via caute- lativa» il vaccino AstraZeneca, in risposta alle segnalazioni di una trentina di casi trom- boembolici registrati nel pe- riodo successivo alla sommini- strazione del farmaco su un totale di cinque milioni di vaccinati con il farmaco pro- dotto dall’azienda anglo-sve- dese. L’ultimo Paese — sono

in tutto una quindicina — a sospendere la somministrazio- ne del farmaco in ordine cro- nologico è stata la Svezia, do- po che nei giorni precedenti lo avevano fatto prima Dani- marca e Norvegia, poi Germa- nia, Francia, Spagna, Italia e Portogallo.

In caso di conclusioni posi- tive dell’Ema, Italia e Francia sono pronte a far ripartire prontamente le vaccinazioni con AstraZeneca. È quanto è emerso dalla conversazione te- lefonica di ieri fra il presidente

della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e il presi- dente del Consiglio italiano, Mario Draghi.

Sulla situazione in Italia è intervenuto questa mattina anche il presidente della Re- pubblica Sergio Mattarella. In occasione del 160° anniversa- rio dell’Unità d’Italia, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera, il Capo dello Stato ha ricordato ancora una volta lo spirito di democrazia, di unità e di coesione dimostrato dal Paese.

LONDRA, 17. Il primo ministro britannico Boris Johnson ha presentato ieri alla Camera dei Comuni il rapporto sulla «Re- visione integrata delle politi- che di sicurezza, difesa, svi- luppo ed esteri» elaborato dal governo britannico. Si tratta della nuova strategia geopoli- tica del Regno Unito, in mate- ria di politica estera e di dife- sa, per il dopo Brexit. L’obiet- tivo primario dichiarato sarà rafforzare le capacità militari del Paese ed estenderne gli orizzonti globali per puntare a

«prosperare in un mondo sempre più competitivo per svolgere la sua storica missio- ne di forza per il bene» sulla scena internazionale.

Johnson ha annunciato, dunque, un piano pluriennale

di «nuovi investimenti» nel- l’ambito della modernizzazio- ne delle forze armate, incluso un ampliamento dell’arsenale nazionale delle testate nucleari che per trenta anni circa era ri- masto invariato. È previsto un 40% di testate nucleari nuove in più nei prossimi anni.

Nell’anno della presidenza di turno al G7 e della conferen- za delle Nazioni Unite sul cli- ma (Cop26) in programma a Glasgow, in Scozia, all’inizio di novembre, il Regno Unito mira con tale progetto a dare priorità alla cyber difesa, alla cooperazione «multilaterale»

contro la pandemia e alla lotta ai cambiamenti climatici e del- la promozione di un’economia g re e n , rivendicando in questa azione un ruolo guida.

Promuovere un cessate il fuoco globale e fer- mare la produzione e la proliferazione delle armi, sostenendo gli appelli del segretario generale delle Nazioni Unite e di Papa Fran- cesco: con questo obiettivo rappresentanti re- ligiosi e ricercatori rifletteranno insieme on- line martedì prossimo, 23 marzo, nel corso di

«Advancing integral disarmament in times of pandemic», riunione convocata dal Dicaste- ro per il servizio dello sviluppo umano inte- grale (Dssui) e dalla Commissione vaticana covid-19, in collaborazione con lo Strategic Concept for the Removal of Arms and Proli- feration (Scrap) della School of Oriental and African Studie (Soas) - University of Lon- don. L’appuntamento, che avrà inizio alle ore 15 (CET), intende altresì offrire alla comu- nità internazionale e ai leader religiosi opzio- ni concrete per seguire la via del disarmo in- tegrale, in risposta all’enciclica Fratelli tutti.

Il webinar, interamente in lingua inglese, sarà articolato in tre sessioni: alla prima, de- dicata alle presentazioni istituzionali, inter- verranno i cardinali Pietro Parolin, segretario di Stato, e Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dssui; il professor Dan Plesch, direttore del Centre for International Studies and Diplomacy alla Soas. Nella seconda si parlerà di diritto internazionale e saranno condivise esperienza su metodi concreti per perseguire il disarmo, con le considerazioni conclusive affidate all’arcivescovo Ivan Jur-

kovič, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra. Nel- la terza verrà evidenziato il ruolo vitale del dialogo ecumenico e interreligioso, con la partecipazione dei cardinali Kurt Koch e Mi- guel Ángel Ayuso Guixot, presidenti rispetti- vamente dei Pontifici Consigli per la promo- zione dell’unità dei cristiani e per il dialogo interreligioso — che sostengono l’evento in- sieme con altre istituzioni della Curia roma- na — e di rappresentanti di confessioni cri- stiane e di altre religioni. Interverrà anche il cardinale scalabriniano Silvano Maria Toma- si, delegato speciale per il Sovrano militare ordine di Malta, e le conclusioni saranno di monsignor Bruno Marie Duffé, segretario del Dssui. Le tre sessioni saranno moderate dal coordinatore della task force sulla sicu- rezza della Commissione vaticana covid-19 Alessio Pecorario.

Al webinar, che sarà trasmesso in live- streaming sul canale YouTube del Dssui “Va - tican IHD” (www.youtub e.com/Vatica- nIHD), aderiscono anche il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madaga- scar (Secam), Pax Christi International, il Catholic Peacebuilding Network, l’Institute for Policy Research and Catholic Studies (Ipr) della Catholic University of America (Washington, Dc) e il Berkley Center for Re- ligion, Peace and World Affairs della Geor- getown University.

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L’OSSERVATORE ROMANO

mercoledì 17 marzo 2021 pagina I

R religio

I N C A M M I N O S U L L E V I E D E L M O N D O

di ENRICOCASALE

P

eter ha gli occhi che brillano.

Non ci crede neanche lui. Nean- che nei sogni più belli aveva pre- so voti così alti a scuola. Per lui, un ex ragazzo di strada, si è di- schiusa la porta di un avvenire più sereno. Lontano dagli abusi, dal freddo della notte, dalla fa- me, dalle malattie. Lontano da una vita precaria, di stenti nel Kivu, regione orientale della Re- pubblica Democratica del Con- go. Lontano dalla miseria che at- tanaglia i luoghi che hanno visto morire l’ambasciatore Luca At- tanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci.

«Sono qui da quarantasei an- ni e ho assistito a un progressivo deterioramento della situazio- ne», dice rassegnato Sebastiano Amato, missionario saveriano a Bukavu: «Un tempo in questa zona non c’erano ragazzi di stra- da. La famiglia allargata africa- na (zii, nonni, parenti) si pren- deva cura dei più piccoli rimasti orfani. Nel tempo la miseria si è diffusa. Il tessuto sociale è anda- to slabbrandosi. E così centinaia di ragazzi e ragazze si trovano abbandonati per strada e vivono di stenti».

Ogni ragazzo e ogni ragazza ha una storia diversa. Ci sono fa- miglie senza un genitore perché morto o andato altrove. Ci sono famiglie violente. Ci sono fami- glie che non riescono da dare da mangiare ai figli, né possono

mandarli a scuola. Così questi piccoli trovano sulla strada quel- lo che loro necessita per soprav- vivere. «È una vita di stenti — continua padre Sebastiano — ru - bacchiano, prendono elemosine, qualcuno purtroppo si prostitui- sce. Di giorno sono in strada, mescolati alla gente. Di notte si riuniscono in alcuni posti. E lì li t ro v i a m o » .

Negli anni, i saveriani hanno strappato dalla strada un grup- po di ragazze. Le

hanno aiutate ad andare a scuola, a imparare un lavo- ro e, quando si sposano, a crearsi una famiglia.

«Quando le pren- diamo dalla strada

— osserva il mis- sionario — hanno tra i 13 e i 14 anni;

le teniamo con noi finché ne hanno 21-22. Recentemente ab- biamo anche preso ragazze di 8- 12 anni e siamo riusciti ad aiutar- le offrendo loro assistenza psico- logica e cure fisiche. Sulla strada abbiamo trovato anche ragazze più grandi, di 16-17 anni. A quel- l’età però il recupero è difficilis-

simo, quasi impossibile. Non co- noscono altro che il marciapiede e le sue regole. Difficilissimo uscirne. Per noi questo è triste perché significa che le loro vite si perdono tra abusi e stenti».

I missionari curano anche i ragazzi fra gli 8 e i 12 anni che so- no nella casa San Giuseppe.

«Anche a loro diamo da mangia- re, li vestiamo, li facciamo stu- diare», racconta padre Sebastia- no. «Sono bambini molto intel-

ligenti che, se seguiti, possono dare ottimi risultati a scuola. Al- cuni, infatti, hanno voti molto alti. Con loro facciamo lunghe gite. Li facciamo giocare. In- somma, anche grazie a noi, tor- nano a essere bambini come è giusto che sia».

I bambini e le bambine paga-

no una situazione di povertà estrema. Intere famiglie non hanno di che mangiare. I più piccoli sono vittime di denutri- zione e sono più esposti anche alle malattie. «L’a m b a s c i a t o re Luca Attanasio è passato da Bu- kavu prima di essere ucciso in- sieme al carabiniere della sua scorta», ricorda Amato. «Faceva parte di un convoglio del Pam, il Programma alimentare mondia- le. Insieme a lui e ai funzionari dell’organizzazione internazio- nale abbiamo valutato la possi- bilità di portare i viveri anche in città e non solo nelle campagne come già avviene. Perché in città la situazione è disastrosa, soprat- tutto nelle periferie. Speriamo che il progetto possa essere por- tato avanti anche dopo la scom- parsa del diplomatico».

Alla povertà si unisce la vio- lenza. Nella zona di Bukavu, raccontano i missionari, opera- no molte bande armate che rapi- nano e taglieggiano la povera gente. «L’ordine pubblico — spiega il saveriano — è un pro- blema. Le forze dell’ordine non hanno i mezzi per intervenire, in alcuni casi non vogliono neppu- re farlo perché ci sono complici-

tà con i criminali. L’instabilità non aiuta lo sviluppo. E pensare che questo Paese potrebbe esse- re il più ricco al mondo con tutte le risorse minerali di cui dispone (oro, diamanti, coltan, eccete- ra)».

A questa situazione difficile si è sommata nell’ultimo anno la pandemia di covid-19. «Non sappiamo quanto sia diffuso il coronavirus», conclude il mis- sionario. «Qui la gente muore per molte malattie, soprattutto per la malaria che è molto diffu- sa. Il nuovo virus è certamente tra noi, ma probabilmente colpi- sce meno che altrove. Il proble- ma sono state le chiusure impo- ste per evitare il diffondersi del- l’epidemia. Nel Kivu, come al- trove in Africa, la gente vive alla giornata senza garanzie sociali.

Un lockdown, soprattutto se prolungato, può essere molto pericoloso perché li impoveri- rebbe ulteriormente».

Padre Sebastiano Amato racconta

la difficile situazione dei minori nella regione africana e le sfide da affrontare sull’esempio di Luca Attanasio

Un tempo la famiglia allargata si prendeva cura dei più piccoli rimasti orfani. Con la miseria è saltato il tessuto sociale

To r n a re

a essere bambini

L’opera dei missionari saveriani nelle strade del Kivu

A colloquio con il vicario apostolico di Arabia del Sud

Edificando la fratellanza

CRISTINAUGUCCIONI APAGINA II

È morto don Giorgio Mazzanti

Epifania dell’amore di Dio

EDINATA L I A PA G I N A III

Iniziativa della diocesi di Roma per i ragazzi disagiati

«Devi sta’ lì» come faceva Gesù

IGORTRABONI A PA G I N A IV

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina II mercoledì 17 marzo 2021 mercoledì 17 marzo 2021 pagina III

R

religio religio

R

Le iniziative a Bergamo per la Giornata in memoria delle vittime del coronavirus Per non dimenticare i caduti a causa del covid- 19: in tutta Italia, il 18 marzo, si celebra la pri- ma Giornata in memoria delle vittime del co- ronavirus. E così, in occasione della ricorrenza, Bergamo, una delle città italiane più colpite dalla pandemia, ha promosso un programma di iniziative, coordinato dal Comune e dalla diocesi. Il giorno precedente, 17 marzo, un cuore tricolore del diametro di venti metri sarà fissato, sino a domenica 21, sulla facciata del

Palazzo della Ragione. A realizzarlo a mano sono state quattordici donne dell’Asso ciazione De Leo Fund Onlus, nata da un gruppo di ge- nitori che hanno perso i propri figli. Nella Giornata della memoria si terrà nel cimitero monumentale di Bergamo una cerimonia inter- confessionale e interreligiosa di commemora- zione delle vittime della pandemia, alla presen- za dei rappresentanti di diverse fedi e comunità religiose della città. Alle ore 20 in ogni parroc- chia della diocesi risuonerà “la campana del ri- c o rd o ” affinché «tutte le comunità si uniscano a cura di FABIOBO L Z E T TA

In rete

Storia della salvezza

Tracce della devozione a san Giuseppe

Custo de

dei tesori più preziosi

In Medio O riente

A colloquio con il vicario apostolico di Arabia del Sud

Edificando la fratellanza

di ROBERTOCU TA I A

D

iceva madre Teresa di Calcutta: «Agli inizi della nostra congregazione, ci sono stati dei momenti in cui non avevamo nulla. Un gior- no di grande necessità, prendemmo un qua- dro di san Giuseppe e lo mettemmo all’ingiù.

Quando ricevevamo qualche aiuto il quadro tornava nella posizione corretta. Un giorno un sacerdote voleva stampare delle immagini per stimolare e accrescere la devozione al santo. Venne a trovarmi per chiedermi dei soldi ma io avevo solamente una rupia in tut- ta la casa. Dubitai per un attimo se dargliela o no, ma alla fine gliela consegnai. Quella stessa notte tornò e mi portò una busta piena di soldi: cento rupie. Qualcuno l’aveva fer- mato per strada e gli aveva dato quel denaro per madre Teresa» (Ángel Peña, San Giuseppe il più santo dei santi, pagine 34-35).

La devozione a san Giuseppe nei primi se- coli della Chiesa è stata come un corso carsi- co, ha agito di nascosto e in profondità, ma- nifestandosi solo in seguito. Storicamente le prime tracce devozionali o di culto secondo la testimonianza a seguito del viaggio in Ter- ra santa del vescovo della Gallia Arculfo, vis- suto dopo la metà del VIIsecolo, portano a Nazareth mentre risalgono al secolo X cita- zioni di san Giuseppe nei calendari compila- ti nel monastero palestinese di San Saba. Ed è di questo periodo il menologio di Basilio II

come primo testimone del culto a san Giu- seppe in Oriente. «I documenti occidentali sono anteriori di almeno un secolo a quelli orientali. Il culto a san Giuseppe è attestato per la prima volta nel manoscritto Rh 30, 3 (VIII secolo), conservato nella Biblioteca cantonale di Zurigo: «XIII kal. Aprilis Joseph sponsus Mariae» (dal sito web degli oblati di San Giuseppe). Comunque nel Medioevo è l’Italia (a Bologna nel 1129 la prima chiesa dedicata a san Giuseppe) a imprimere nei paesi cristiani un deciso apporto devozionale al padre putativo di Gesù, sotto l’egida di or- dini religiosi come benedettini, servi di Ma- ria e francescani. Lo scrittore Niceforo Calli- sto nella sua Historia ecclesiastica (libro 8, capi- tolo 30, PL146, 113) scrive che nella grande basilica costruita per sant’Elena, la madre di Costantino, nel IVsecolo, c’era una cappella dedicata a san Giuseppe. E poi ci sono i Pon- tefici e una folta schiera di santi e scrittori ec- clesiastici che tra gli altri hanno particolar- mente contribuito a promuovere la devozio- ne verso il santo: da Ireneo di Lione (ca. 135- ca. 200) passando per Giovanni Crisostomo (ca. 347-407), Agostino (354-430), Pietro Cri- sologo (ca. 380-450), Bernardo di Chiaraval- le (1090-1153), Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), Tommaso d’Aquino (1225-1274), Giovanni Gersone (1363-1429), Ignazio di Loyola (1491-1556), Francesco di Sales (1567- 1622), Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), Bernardino da Siena (1380-1444), Teresa d’Avila (1515-1582), padre Paolo Segneri (1624-1694), Jacques Bénigne Bossuet (1627- 1704), Antonio Rosmini (1797-1855), Giovan- ni Bosco (1815-1888), Alexis Lépicier (1863- 1936), Angelo Raniero (1900-1991), Xavier Léon-Dufour (1913-2007), Jean Galot (1919- 2008), Giacomo Lercaro (1891-1976), Giaco- mo Biffi (1928-2015). Tra i pontefici, Sisto IV

volle che s’inserisse la festa di san Giuseppe nel Breviario e nel Messale Romano; Grego- rio XVdecretò l’8 maggio 1621 che la festa si celebrasse con rito doppio in tutto l’orb e;

Clemente X, il 6 dicembre 1670, concesse alla

medesima festa il rito doppio di seconda classe; Clemente XIdecretò il 4 febbraio 1714 affinché ci fossero una messa e un ufficio pro- pri; Benedetto XIIIil 19 dicembre 1726 ordinò che il nome di san Giuseppe fosse inserito nelle litanie dei santi. E poi PioIX, il 10 di- cembre 1847, incominciò a estendere a tutta la Chiesa la festa del suo patrocinio, con in- dulto speciale della Santa Sede. Dopodiché l’8 dicembre 1870, con il decreto Quemadmo- dum Deus, lo stesso Papa dichiarò san Giusep- pe patrono della Chiesa universale. Inoltre, l’anno successivo, il 7 luglio 1871 con la lettera apostolica Inclytum Patriarcham, riconobbe a san Giuseppe il diritto a un culto specifico, con l’introduzione di particolari privilegi e onori che spettano agli speciali santi patroni, secondo le rubriche del Breviario e del Mes- sale Romano (recita del C re d o , inserimento dell’invo cazione Cum Beato Joseph nell’orazio- ne A cunctis, subito dopo quella della beata Vergine Maria, l’aggiunta dell’antifona ai ve- spri Ecce fidelis servus, quella alle lodi Ipse Jesus e l’orazione Deus, qui ineffabili providentia).

Ma anche altri Pontefici hanno alimenta- to questa devozione: da Pio X, che spostò (decreto 18 marzo 1809) la festa del patroci- nio al mercoledì della terza domenica di Pa- squa, a Benedetto XV che, in occasione del cinquantesimo anniversario di proclamazio- ne a patrono universale, approvò e concesse (il 9 aprile 1919) l’introduzione nel Messale Romano del Prefazio proprio. Lo stesso Pontefice, con decreto (23 febbraio 1921) del- la Sacra congregazione dei riti, fece introdur- re il nome Giuseppe nelle invocazioni «Dio sia benedetto» e volle poi estendere (26 otto- bre 1921) con decreto della stessa congrega- zione, a tutta la Chiesa universale, la festa della santa Famiglia istituita da Leone XIII

nel 1895. Fu invece Pio XIInel 1955 a spostare la festa del patrocino di san Giuseppe al 1°

maggio, cambiando il titolo in «san Giusep- pe operaio». Giovanni XXIIIal termine del primo periodo del concilio ecumenico Vati- cano II, con il decreto (13 novembre 1962) No- vis hisce temporibus, della Congregazione dei ri- ti, inserì il nome nel Canone romano. Infine san Giovanni Paolo II, il 15 agosto 1989, pub- blicò l’esortazione apostolica Redemptoris cu- stos, sulla figura e missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa. Parole di ammirazione furono pronunciate anche da Benedetto XVI durante il suo pontificato:

«Lasciamoci “c o n t a g i a re ” dal silenzio di san Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non fa- vorisce il raccoglimento e l’ascolto della voce di Dio» (Angelus, IVdomenica d’Avvento, 18 dicembre 2005). E ora Papa Francesco, che nel 150° anniversario del decreto di Pio IX

ha dichiarato l’Anno di san Giuseppe (aper- tosi l’8 dicembre 2020, si concluderà l’8 di- cembre 2021). «San Giuseppe — ha afferma- to il cardinale Antonio Cañizares Llovera — è senza alcun dubbio una figura vicina e cara al cuore del popolo di Dio, una figura che invi- ta a cantare incessantemente la misericordia del Padre, perché il Signore ha compiuto in lui grandi opere e ha mostrato la sua infinita misericordia verso gli uomini. Non possiamo dimenticare che la figura di san Giuseppe, pur restando alquanto nascosta e nel silen- zio, riveste un’importanza fondamentale nella storia della salvezza. A lui Dio affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi: il suo Fi- glio unigenito, fattosi carne, e la sua Madre santa, sempre Vergine».

di CRISTINA UGUCCIONI

I

n questo passaggio della storia il cristianesimo si sta mostrando ge- nerosamente impegnato a sostene- re, accompagnare e incoraggiare milioni di uomini e donne religiosi, a qualunque popolo appartenga- no, che vogliono costruire fratel- lanza, edificare pace e restare saldi nella fede fronteggiando quella corruzione dell’esperienza religiosa costituita dall’esercizio della vio- lenza in nome di Dio. Allo stesso tempo il cristianesimo si sta mo- strando generosamente impegnato nell’elaborare la critica della vio- lenza anti-religione, aiutando, ac- compagnando e incoraggiando mi- lioni di uomini e donne che in tut- to il mondo vogliono fronteggiare gli idoli e restare — fieramente e ostinatamente — umani. Espressio- ne di questo impegno è il Documento sulla fratellanza umana per la pace mon- diale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, grande imam di Al-Azhar, il 4 febbraio 2019 in oc- casione del viaggio apostolico del Pontefice negli Emirati Arabi Uni- ti. A due anni da quella storica fir- ma, dialoga con «L’O sservatore Romano» il vescovo elvetico Paul Hinder: 79 anni, appartenente al- l’Ordine dei frati minori cappucci- ni e dal 2004 presente ad Abu Dhabi, prima come ausiliare e poi come vicario apostolico dell’Arabia dal 2005. Dal 2011 è vicario aposto- lico di Arabia del Sud (compren- dente Emirati Arabi Uniti, Yemen, Oman) e — dallo scorso anno, do- po la scomparsa del vicario, monsi- gnor Camillo Ballin — amministra- tore apostolico del vicariato di Ara- bia del Nord (comprendente Ara- bia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrain). In questi sette Paesi, do- ve sorgono diciassette chiese e pre- stano servizio circa centoventi sa- cerdoti, i cattolici, tutti stranieri, si stima siano circa due milioni e mezzo. Impegnati soprattutto in alcuni settori (edilizia, scuola, ser- vizi e lavoro domestico), provengo- no da oltre cento Paesi: in preva- lenza Filippine, India e altri Stati asiatici. Vi è anche un numero con- sistente di fedeli di lingua araba (in maggioranza giunti da Libano, Si- ria, Giordania).

Dopo la pubblicazione del Documento sul- la fratellanza umana quali iniziative ha promosso per farlo conoscere?

Ho invitato i sacerdoti a illu- strarne i contenuti sia durante le omelie sia in occasione di riunioni con i parrocchiani. Ho raccoman- dato ai presidi e ai rappresentanti delle nostre scuole (frequentate an- che da ragazzi musulmani) di far studiare il Documento: oggi fa parte del piano di studi di tutti i nostri istituti. Questo testo non è

stato redatto per finire in libreria a prendere polvere: deve prendere vita.

A suo giudizio, il Documento ha significa- tivamente contribuito a migliorare la qua- lità dei rapporti tra cristiani e musulmani nei due vicariati?

Direi complessivamente di sì:

sono stati compiuti passi promet- tenti. Il clima è migliorato e ciò è dovuto, a mio parere, sia alla pub- blicazione e diffusione dello stori- co Documento sia alla visita di Pa- pa Francesco: i nostri fedeli si sono sentiti benedetti, sostenuti e inco- raggiati dalla sua presenza mentre i musulmani sono stati positivamen- te impressionati dallo stile del Pon- tefice, dal suo linguaggio franco e dalla sua semplicità nell’avvicinarsi al prossimo senza pregiudizi. Na- turalmente questi miglioramenti variano a seconda dei Paesi, che sono assai diversi fra loro sebbene siano accomunati dalla medesima religione. Anche in Arabia Saudita, dove pure non esiste alcuna chiesa, le piccole comunità cristiane, che debbono rispettare numerose rego- le e mantengono un profilo basso, vivono meglio rispetto al passato.

Nel mondo arabo i cambiamenti avvengono lentamente. Il “tutto e subito” non appartiene a questa cultura: occorre lavorare con tena- cia e avere pazienza.

Il testo sulla fratellanza umana ha stimo- lato la promozione di alcune particolari iniziative?

Sì. Segnalo tre esempi: nel di- cembre 2019, per la prima volta so- no stato invitato a prestare assi- stenza in un penitenziario di Abu Dhabi; accompagnato da alcuni sacerdoti, ho potuto parlare con i detenuti e celebrare la messa poco prima di Natale. Sempre nel 2019 i musulmani hanno accolto con slancio la nostra disponibilità a ospitare sul sagrato della chiesa di Abu Dhabi la celebrazione della loro festa per la fine del Ramadan:

in passato non sarebbe mai avve- nuto. Sono segnali incoraggianti che raccontano la volontà di avvi- cinarsi gli uni agli altri. Inoltre ad Abu Dhabi proseguono i lavori per

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