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Academic year: 2022

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,50 Copia arretrata € 3,00 (diffusione e vendita 9-10 aprile 2021)

L’OSSERVATORE ROMANO

GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO Unicuique suum Non praevalebunt

Anno CLXI n. 80 (48.703) Città del Vaticano venerdì 9 aprile 2021

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Cancellare il debito

dei Paesi africani U

na campagna per la cancellazione del debito ai Pae- si africani è stata lanciata nei giorni scorsi dal Dicastero per il servizio del- lo sviluppo umano integrale (Dssui) e dalla Commissione vaticana Covid-19, in colla- borazione con realtà cattoli- che locali del continente.

Nel presentare l’iniziativa

— nel corso di un webinar svoltosi nel pomeriggio di mercoledì 7 aprile — il cardi- nale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dssui, ha auspicato «un sistema di verifiche e controlli affinché le risorse liberate a vantaggio del continente, vadano là do- ve effettivamente c’è bisogno di far crescere e migliorare le condizioni dei popoli e delle persone». Nessun assegno in bianco, dunque, ma l’assun- zione di responsabilità reci- proche, soprattutto verso quanti maggiormente vivono in situazioni di povertà estre- ma. Infatti, ha proseguito Turkson, «con meccanismi di controllo adeguati si può as- sicurare che il denaro condo- nato venga speso per pro- muovere sanità e istruzione, per garantire quello sviluppo umano integrale a cui tutti gli uomini e le donne, come spesso ci ricorda Papa Fran- cesco, hanno diritto».

Voluta dai due succitati organismi in collaborazione con Caritas Africa, Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Se- cam), Conferenza dei gesuiti di Africa e Madagascar (Jcam), Associazione delle donne consacrate di Africa centrale e orientale (Acweca), la campagna «si rivela ancora più urgente a causa» della pandemia in atto, ha detto suor Alessandra Smerilli, no- minata di recente sotto-segre- tario per il settore Fede e svi- luppo del Dssui. Essa «parte dall’Africa dove la Chiesa lo- cale ha dato forma a un’i- stanza diffusa nella società civile», ha proseguito la reli- giosa ed economista italiana delle Figlie di Maria ausilia- trice, evidenziando che il contributo del Dicastero «è stato, ed è, quello di aiutare»

la campagna per la cancella- zione «ad acquisire visibilità internazionale, nella speranza che si crei un ampio movi- mento come nel 2000. In modo che arrivi all’attenzio- ne del G7 e del G20, ovvero di chi può incidere sulla que- stione in modo diretto e con- c re t o » .

«È il momento di guarda- re, giudicare e agire in nome dei poveri e dei più vulnera- bili», aveva esordito in aper- Baz Ratner/Reuters

Ancora stragi negli Stati Uniti

La difficile guerra di Biden contro le armi facili

A

LL

INTERNO

Oggi in primo piano

Nell’anniversario della morte

di Dietrich Bonhoeffer

NI C O L E T TA CAPOZZA EPAOLO

BU S TA F FA NELLE PA G I N E 2E3

Emergenza covid

Sud America:

casi in aumento

PAGINA4

N

OSTRE

I

NFORMAZIONI PAGINA8

WASHINGTON, 9. L’ultimo assassino della serie di stragi folli e casuali che affliggono gli Stati Uniti, era un giovane, e già ex, giocatore di football: ha ucciso un medi- co, la moglie di lui, i due nipotini della coppia ed una quinta persona. L’hanno poi trovato morto, suicida nel salotto di casa.

Phillip Adams, 32 anni, aveva usato una nove millimetri ed una calibro 45 per massacrare cinque persone con le quali non risulta al momento avere collega- menti. Armi che ha potuto comprare in un normale emporio.

Il presidente Joe Biden si preparava ad annunciare una stretta sulle armi facili che consentono a chiunque di scatenare guerriglie di strada, che già l’ultima stra- ge, nella Carolina del Sud, diventava la penultima. Nel Texas un dipendente di

un mobilificio ha aperto il fuoco nel par- cheggio davanti alla sede. “Solo” una vit- tima, ma i feriti sono stati almeno cinque.

Le parole di Biden, pronunciate nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, sono arrivate sull’eco dei due fatti gravis- simi: «Questa è un’epidemia — ha detto — una vergogna che imbarazza gli Stati Uniti davanti al mondo. Va fermata. Non con le preghiere, con una legge del Con- gresso». Il Parlamento, ha detto, deve ri- solvere il problema una volta per tutte

«proibendo i fucili d’assalto». In passato aveva già spiegato che gli ordini esecutivi, nei poteri della presidenza, possono dare risposte temporanee e parziali. E che, a suo modo di vedere, la via da intrapren- dere per fermare le stragi nelle scuole, nei centri commerciali, nei luoghi di culto, sia quella di radicali riforme lo ha conferma-

to la sua nettissima affermazione su un te- ma quasi intoccabile: il secondo emenda- mento della Costituzione sul diritto a possedere armi. «Nessuno ha intenzione di violare il secondo emendamento. Ma nessun emendamento è perpetuo».

Fumo negli occhi della National Rifle Association, la potente lobby delle armi che lo ha accusato di voler limitare libertà dei cittadini che hanno radici nelle guerre di indipendenza. Una posizione «ipocri- ta» ha replicato Biden. «Dobbiamo sal- vare vite umane e risparmiare centinaia di migliaia di dollari». Nel frattempo la Ca- sa Bianca metterà al bando le cosiddette

«armi fantasma», quelle da assemblare a casa e che non hanno matricola. E proibi- rà gli accorgimenti per renderere più leta- li le armi corte. Ma l’obiettivo resta un al-

t ro . SEGUE A PA G I N A 8

La campagna

del Dicastero

per il servizio

dello sviluppo

umano integrale

(2)

L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 2 venerdì 9 aprile 2021

Oggi in primo piano - Nell’anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer

di NI C O L E T TA CAPOZZA

S

ono passati 66 anni da quando il

teologo luterano Dietrich Bonhoeffer è stato giustiziato nel campo di concentramento di Fo- lossenbürg, condannato all’impic- cagione con un processo somma- rio poche settimane prima della li- berazione. L’esecuzione è avvenu- ta pochi giorni prima della fine della guerra e di quel regime, che egli aveva contribuito a combatte- re, perché, come scrive l’amico Be- thge nella notizia sugli «Ultimi giorni di Bonhoeffer», appartene- va al gruppo di coloro «che non dovevano assolutamente sopravvi- vere». Eppure il nome di Bonhoeffer è sopravvissuto. E ha ancora molto da testimoniare, nel nuovo millennio non meno che nel XXsecolo.

Dietrich Bonhoeffer nasce nel 1906 a Breslau (Breslavia) da Karl Bonhoeffer, docente di Psichiatria e neurologia presso l’Università di Berlino, e da Paula von Hase, di- scendente dalla nobiltà prussiana.

Sesto di otto figli e gemello di Sa- bine, respira sin dalla prima infan- zia un’atmosfera di grande apertu- ra e laicità. La sua scelta di intra- prendere gli studi di teologia, con una particolare attenzione alla di- mensione pastorale, non viene cer- to osteggiata, ma risulta per i fami- liari abbastanza singolare.

Dopo aver concluso il dottorato a soli 21 anni e aver ottenuto l’abi- litazione per l’insegnamento uni- versitario a 24, si avvia a una sicura e promettente carriera universita- ria. Nel 1933, però, diventa cancel- liere Adolf Hitler e il giovane teo- logo lascia la cattedra universita- ria, per non dover collaborare con il nuovo governo, che in modo esplicito persegue una politica mi- litarista e antisemita. Bonho effer reclama con forza la rottura con quell’ala della Chiesa luterana propensa a un compromesso con l’ideologia nazista. In particolare,

nei primi mesi del 1933 è in discus- sione l’introduzione di un “para- grafo ariano”, ovvero di una clau- sola che escluda dal ministero tutti coloro che hanno origini ebraiche.

Bonhoeffer denuncia l’ereticità di questa proposta e vorrebbe una presa di posizione più decisa da parte dell’establissement ecclesiale e teologico, ma così non avviene e il 23 luglio 1933 i Deutsche Christen (i

“Cristiani tedeschi”), fautori del nazionalsocialismo, prendono il sopravvento. Bonhoeffer lascia la Germania e assume la direzione di una parrocchia della comunità te- desca a Londra.

Questa ritirata temporanea non è comunque totale: Bonhoeffer continua a essere molto attivo nel movimento ecumenico, dove por- ta avanti la battaglia per la con- danna sia di quella che definisce

“e re s i a ” nazionalsocialista all’in- terno della Chiesa protestante te- desca, sia dei venti di guerra che si stanno alzando in Europa.

Nel 1934 nasce la Chiesa Con- fessante tedesca, in opposizione alla Chiesa di regime, e Bonhoef- fer viene chiamato per dirigere il Predigtseminar di Finkenwalde pres- so Stettino, ovvero il seminario che deve formare i pastori della Chiesa Confessante.

L’esperienza di Finkenwalde, che presenta una innovativa carat-

terizzazione comunitaria, è alla base di due opere fondamentali di Bonhoeffer: Sequela e Vita comune, date alle stampe rispettivamente nel 1937 e nel 1939. Esse sono opere rivolte a un pubblico intra-eccle- siale, come assolutamente intra- ecclesiale è la resistenza di Bo- nhoeffer al nazionalsocialismo fi- no al 1937, quando il P re d i g t s e m i n a r di Finkenwalde viene chiuso dalla polizia. Poi le cose cambiano. Già nel 1934, in una lettera all’amico pastore Erwin Sutz, Bonhoeffer scriveva: «...benché io collabori

con tutte le forze all’opp osizione, tuttavia mi è chiarissimo che questa opposizione è solo uno stadio di passaggio transitorio per un’op- posizione tutta diversa» (Scritti, p.

387). Non si sbagliava.

Una volta chiuso il seminario

della Chiesa Confessante, Bo- nhoeffer tenta di proseguire la for- mazione dei giovani pastori attra- verso i vicariati collettivi, ovvero incontri ricorrenti tenuti presso parrocchie amiche della Chiesa Confessante. L’esperimento non funziona. Nel gennaio 1938 la po- lizia interviene a sciogliere l’incon- tro dei formatori e a Bonhoeffer viene proibito il soggiorno a Berli- no.Ridotto al silenzio e all’inazio- ne il teologo coltiva l’idea di tra- sferirsi negli Stati Uniti, dove è pronta per lui una cattedra a New York. Vi si reca nel giugno 1939, poco prima dello scoppio della guerra, ma poi ri- fiuta. E torna in Germania. «Non avrò nessun dirit- to di prendere parte alla rico- struzione della vi- ta cristiana dopo la guerra in Ger- mania, se non condivido le prove di questo tempo con il mio popo- lo», scrive in una lettera al teologo Reinhold Niebuhr.

Condividere le prove del suo popolo significa per lui partecipa- re alla resistenza al nazionalsocia- lismo. Quasi tutta la sua famiglia è implicata nella congiura dell’am- miraglio Canaris e Bonhoeffer ac- cetta di collaborare, per rovesciare il regime nazista, che nel frattem- po ha iniziato le deportazioni di massa nei campi di sterminio e ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale. Ufficialmente Bo- nhoeffer rimane membro della Chiesa Confessante, ma nello stes- so tempo viene segretamente im- piegato nel servizio segreto del- l’Abwehr (l’esercito tedesco), vero e proprio covo dei resistenti. Il suo compito è quello di portare infor- mazioni ai Paesi nemici in merito allo sviluppo di una resistenza in- terna, utilizzando le sue conoscen- ze ecumeniche.

Tra il 1940 e il 1943 Dietrich Bo- nhoeffer viaggia molto: Norvegia, Svizzera, Roma, Venezia… e risie- de temporaneamente nel monaste- ro benedettino di Ettal, in Baviera, dove lavora a un’opera che sa di non poter per il momento pubbli- care: l’Etica, un’opera, rimasta in- compiuta, che pone la questione del bene nel cuore della storia o meglio di chi agisce nella storia e non rifiuta di fare i conti con essa.

Alla base di queste pagine, pubbli- cate per la prima volta dall’amico Bethge nel 1949, sta in fondo la domanda che un carcerato italiano ha posto al teologo tedesco nel carcere di Tegel: perché un cristia- no dovrebbe prendere parte alla resistenza contro Hitler? Tale scel- ta non implica un irrimediabile

“sporcarsi le mani”? Questa è la questione di fondo della riflessio- ne bonhoefferiana nell’Etica. La ri- sposta icastica di Bonhoeffer di- venterà famosa: «Quando un paz-

zo lancia la sua auto sul marciapie- de, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti.

Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante». Detto in altro modo:

io non posso, come cristiano, esi- mermi dall’assumere la responsa- bilità di contrastare realmente il male del mondo, non posso ri- mandare l’azione nella storia al- l’intervento di un deus ex machina, non posso rimanere indifferente di fronte al grido di chi viene calpe- stato.

La responsabilità dell’azione, in effetti, Bonhoeffer l’ha assunta e l’ha sostenuta fino in fondo: egli viene arrestato nell’aprile del 1943, in carcere riesce a resistere agli in- terrogatori e a non rivelare le tra- me della congiura contro Hitler, di cui era a conoscenza e che porterà il 20 luglio 1944 all’attentato di Stauffenberg a Rastenburg. Il fal- limento dell’attentato segnerà la disfatta dei congiurati e la fine di Bonho effer.

Trasferito nel carcere della Ge- stapo di Prinz-Albrecht-Strasse a ottobre 1944 e nel campo di con- centramento di Buchenwald il 7 febbraio del 1945, sarà giustiziato, appunto, il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossen- b ü rg.

Le lettere e gli scritti composti durante la carcerazione a Tegel verranno pubblicati postumi dal- l’amico Bethge con il titolo Resi- stenza e resa.

Ricordare la vita e l’opera, le scelte e il pensiero di Bonhoeffer, oggi, nel pieno di una pandemia che sembra collocarsi quasi come spartiacque tra due epoche, non può e non deve essere un puro esercizio celebrativo. La testimo- nianza del pastore e teologo tede- sco fa parte di quella memoria di Chiesa e di civiltà, cristiana e uma- na, che abbiamo il dovere di racco- gliere, conservare e trasmettere nella fluida età postmoderna. La- sciar cadere questa storia di testi- monianza nella dimenticanza o ri- durla a un’icona priva di implica- zioni reali, significherebbe render- ci tutti più vuoti e sradicati, come scrive Papa Francesco in Fratelli tut- ti a proposito della «fine della co- scienza storica» (§ 13).

Certo, leggere Bonhoeffer nel 2021 non è la stessa cosa di legger- lo negli anni Sessanta o Settanta del Novecento, né negli anni Ot- tanta o Novanta. Operando una notevole semplificazione, si può dire forse che negli anni Sessanta e Settanta il nome di Bonhoeffer è stato associato alla cosiddetta

“teologia della morte di Dio” o teologia della secolarizzazione,

M a r t i re

del nostro tempo

Lettera ad Eberhard Bethge (21 luglio 1944)

Nel 1939 rifiutò un incarico

negli Stati Uniti: «Non avrò nessun diritto di prendere parte alla ricostruzione della vita cristiana dopo la guerra

in Germania, se non condivido le prove di questo tempo con il mio popolo»

C

oggi voglio inviarti soloAROEb erhard, questo breve saluto. Penso che col pensiero tu vorrai essere tanto spesso e tanto intensa- mente qui con noi, da essere felice di ogni segno di vita, anche se per una volta il dialogo teologico tace. In ef- fetti, le riflessioni teologiche mi im- pegnano incessantemente, ma arri- vano anche momenti in cui mi fac- cio bastare i processi irriflessi della vita e della fede. Allora si trae gioia molto semplicemente dalle letture del giorno, così come per esempio a me è accaduto in modo particolare per quelle di ieri e di oggi, e si torna ai bei Lieder di Paul Gerhardt, con- tenti di tale ricchezza.

Negli ultimi anni ho imparato a conoscere e a comprendere sempre più la profondità dell’e s s e re - a l d i q u à (Diesseitigkeit) del cristianesimo; il cri- stiano non è un homo religiosus, ma un uomo semplicemente, così come Ge- sù — a differenza certo di Giovanni Battista — era uomo. Intendo non il piatto e banale essere-aldiquà degli illuminati, degli indaffarati, degli in- dolenti o dei lascivi, ma il profondo essere-aldiquà che è pieno di disci- plina e nel quale è sempre presente la conoscenza della morte e della ri- surrezione. Io credo che Lutero sia vissuto in siffatto essere-aldiquà.

Mi ricordo di un colloquio che ho avuto 13 anni fa in America con un giovane pastore francese. C’eravamo posti molto semplicemente la do-

manda di che cosa volessimo effetti- vamente fare della nostra vita. Egli disse: vorrei diventare un santo (— e credo possibile che lo sia diventato

—); la cosa a quel tempo mi fece una forte impressione. Tuttavia lo con- trastai, e risposi press’a poco: io vor- rei imparare a credere. Per molto tempo non ho capito la profondità di questa contrapposizione. Pensavo di poter imparare a credere tentando di condurre io stesso qualcosa di si- mile ad una vita santa. Come con- clusione di questa strada scrissi Na- chfolge (Sequela). Oggi vedo chiara- mente i pericoli di questo libro, che sottoscrivo come un tempo.

Più tardi ho appreso, e continuo ad apprenderlo anche ora, che si im- para a credere solo nel pieno essere- aldiquà della vita. Quando si è com- pletamente rinunciato a fare qualco- sa di noi stessi — un santo, un pecca- tore pentito o un uomo di Chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale), un giusto o un ingiusto, un malato o un sano —, e questo io chiamo esse- re-aldiquà, cioè vivere nella pienez- za degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità — allora ci si getta completamente nelle brac- cia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getse- mani, e, io credo, questa è fede, que- sta è µετάνοια, e così si diventa uomi- ni, si diventa cristiani (cfr. G e re m i a

45). Perché dovremmo diventare spavaldi per i successi, o perdere la testa per gli insuccessi, quando nel- l’aldiquà della vita partecipiamo alla sofferenza di Dio? Tu capisci che cosa intendo dire, anche se lo dico così in poche parole. Sono ricono- scente di aver avuto la possibilità di capire questo, e so che l’ho potuto capire solo percorrendo la strada che a suo tempo ho imboccato. Per questo penso con riconoscenza e in pace alle cose passate e a quelle pre- senti.

Forse ti meraviglierai di una lette- ra così personale. Ma desiderando io infine dire qualcosa del genere, a chi altri avrei dovuto dirlo? Forse verrà il momento in cui potrò parla- re in questo modo anche a Maria; lo spero molto. Ma ora non posso pre- tendere una cosa simile da lei.

Dio ci guidi con benevolenza at- traverso questi tempi; ma soprattut- to ci guidi a lui.

Mi ha fatto grandissimo piacere il biglietto che mi hai inviato, e sono contento che non abbiate troppo caldo. Da parte mia ci sono ancora molte lettere che dovrebbero arrivar- ti. Nel 1936 non abbiamo percorso forse press’a poco questo tratto di strada?

Sta’ bene, cura la salute, e non la- sciar cadere la speranza che presto ci rivedremo tutti.

Con fedeltà e gratitudine ti pensa s e m p re

il tuo Dietrich

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L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 9 aprile 2021 pagina 3

Oggi in primo piano - Nell’anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer

con l’attenzione rivolta soprattut- to all’idea del “cristianesimo non re l i g i o s o ”. Negli anni Ottanta e Novanta si è riscoperta la dimen- sione profondamente cristologica della riflessione bonhoefferiana, il cui sviluppo viene rivisto nella sua profonda unitarietà come teologia dell’incarnazione e della croce, aperta alla questione del rapporto con l’altro e dell’implicazione re- sponsabile nella storia.

E oggi? Quali sono oggi le pa- role di questo affascinante testi- mone che più ci interpellano?

Lungi dal voler dare una risposta esaustiva, vorrei proporre tre paro- le, che ritengo illuminanti.

D e c e n t ra m e n t o , innanzitutto. Nel- l’epoca della ricerca dell’identità, quando il mantra più diffuso è

“realizzare se stessi”, quando l’im- perativo categorico sembra essere diventato: “cogli tutte le possibili- tà che la vita offre per sviluppare

lontà doloristica, ma solo per esse- re fedele alla sequela di Cristo.

Nella lettera dal carcere del 21 luglio 1944, il giorno dopo il fallito attentato a Hitler, quando ormai si profilava chiaramente la fine che lo attendeva, così scrive all’amico Bethge: «Quando si è completa- mente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi — un santo, un pecca- tore pentito o un uomo di Chiesa (una cosiddetta figura sacerdota- le), un giusto o un ingiusto, un malato o un sano — … allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cri- sto nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è me- tànoia, e così si di- venta uomini, si diventa cristiani».

Si diventa pie- namente uomini e donne, quando si rinuncia a fare di sé qualcosa, quando si accetta di lasciar cadere il modello di succes- so più o meno impostoci dalla so- cietà, quando non si guarda ai pro- pri dolori e alle proprie sofferenze, ma si riesce a distogliere lo sguar- do da sé per orientarlo sul mondo, sul dolore degli altri; e si diventa cristiani quando in questo dolore si riconoscono le sofferenze di Dio nel mondo (Mt 25, 31–46). La rea- lizzazione della propria vita si dà nell’esodo da sé. Questo è l’inse- gnamento di Bonhoeffer.

La seconda parola, poi, è: C o ra g - gio. Si tratta di una parola che sta subendo una grande crisi negli ul- timi anni: siamo nell’epoca delle assicurazioni (assicurazioni sulla vita, sulla macchina, sulle proprie- tà, sulla salute…), assicurazioni più o meno obbligatorie, che han- no come finalità quella di spostare sempre più in là la linea del perico- lo, fino quasi a cancellarla. E con il pericolo si cancella anche il corag- gio. All’inizio del terzo millennio il coraggio sembra essere una virtù passata di moda: ai giovani non si chiede il coraggio di affrontare la vita, ma piuttosto le competenze adeguate per difendersi dalle sfide del mondo. L’educazione e la scuola mirano in primo luogo ad

“a r m a re ” i ragazzi per una batta- glia in cui le variabili devono esse- re il più possibili controllabili. In realtà, come scrive lo psicanalista argentino Miguel Benasayag in Funzionare o esistere?, «in ogni costel- lazione dell’esistenza, se non c’è un minimo di coraggio si affonda nel nulla». Non si può eliminare la paura del buio, semplicemente ac- cendendo la luce. C’è un momen- to in cui il buio va affrontato, sem- plicemente, con coraggio e senza assicurazioni. Senza coraggio non si può assumersi responsabilità e quindi non si può divenire uomini e donne adulti, maturi, capaci di stare in piedi, nonostante e insie-

Il sacerdote, l’intellettuale e il contadino

«Il profeta e la crisi», un libro per l’oggi

Quali sono oggi le parole di questo affascinante testimone

che più ci interpellano?

Tre sono particolarmente illuminanti:

“D ecentramento”, “Coraggio”

e “Sguardo dal basso”

di PAOLOBU S TA F FA

G

eremia sacerdote del villaggio di Anatòt, della tribù di Benia- mino; Franz Jägerstätter sposo e contadino austriaco; Dietrich Bonhoeffer pastore e intellet- tuale tedesco: tre storie di uo- mini che hanno vissuto crisi la- ceranti e nello stesso tempo hanno indicato percorsi per at- traversarle senza smarrirsi.

Tutti e tre sono stati coinvol- ti, in modi diversi, nella vita pubblica del loro tempo, non si sono lasciati vincere dall’isola- mento a cui sono stati costretti e hanno preso la parola per amo- re della verità e della libertà di ogni uomo e di tutti gli uomini.

In situazioni e in modi diver- si sono stati profeti.

Al confronto tra l’esp erienza spirituale dei tre

testimoni e an- nunciatori della presenza di Dio è dedicato il libro “Il profeta e la crisi”

(Amazon 2020) che riprende la dissertazione per il dottorato di don Mauro Manga- nozzi nell’Istituto

di spiritualità della Facoltà di teologia della Pontificia Uni- versità Gregoriana.

Nelle esperienze drammati- che del no- stro tempo, a partire da quella cau- sata dalla pandemia, le testimo- nianze di G e re m i a , Jägerstätter e Bonhoef- fer diventa- no messaggi di sorpren- dente attua- lità nel loro calarsi nella s o f f e re n z a senza dissol- versi in essa.

Si può leggere nelle tre storie l’acco- glienza della parola di Dio co- me incontro con una persona viva, come una relazione che conoscerà il lamento e la lode, l’allontanamento e il ritorno, il pianto e la consolazione.

Una così straordinaria espe- rienza deve essere comunicata al mondo, non può essere tenu- ta nascosta perché significhe- rebbe togliere la parola a Dio e privare l’uomo dell’unica al- leanza che dona alla vita il sa- pore di Dio.

Il profeta è un comunicatore e come tale si apre agli altri.

«Für die Welt da sein», “e s s e re per il mondo”, era scritto nel bi- glietto che la Gestapo aveva trovato sul tavolo di Bonhoef- fer prima dell’a r re s t o .

Seguendo la vicenda di Ge- remia si comprende come la vo- cazione profetica, a partire dal- le pagine della Bibbia, sappia scrivere pagine per ogni tempo.

Grazie alla conoscenza dei pro- feti biblici è dunque possibile attribuire l’identità profetica anche ad altri testimoni e an-

nunciatori della Misericordia di D io.

Tra questi sono coloro che hanno saputo interpretare in modo efficace i segni dei tempi, le persone che hanno dato la propria vita per gli altri, le per- sone che, come i santi o i marti- ri, hanno fatto l’una e l’altra co- sa maturando una visione del divenire storico legata in modo del tutto speciale alla parola di D io.

Persone che hanno guardato e guardano l’umanità e il mon- do con gli occhi di Dio.

L’autore, parroco di Nostra Signora di Lourdes a Tor Ma- rancia in diocesi di Roma, ha così posto a confronto l’esp e- rienza di Geremia con quelle di Bonhoeffer e Jägerstätter che per la loro dichiarata fedeltà a

Dio e all’uomo furono l’uno im- piccato (9 aprile 1945) e l’a l t ro ghigliottinato (9 agosto 1945).

«Essere di Cristo vuol dire essere per gli altri»: l’inscindi- bile binomio ha guidato le scel- te maturate nella coscienza di un cristiano evangelico e in quella di un cristiano cattolico consentendo di parlare anche di un “ecumenismo del san- gue”, della comune testimo- nianza ai piedi della Croce, del comune messaggio della Risur- re z i o n e .

Bonhoeffer e Jägerstätter di- cono che la profezia è una mis- sione a cui sono chiamati quan- ti si pongono in ascolto della Parola e la traducono nella loro vita, nel loro pensiero, nelle lo- ro opere. Può essere profeta l’u- mile contadino che si fa obiet- tore di coscienza al servizio mi- litare sotto le bandiere naziste e non teme di rimanere solo di fronte alla morte. Può essere profeta l’umile intellettuale quando bussa alla porta della coscienza di un popolo sapen- do che verrà ucciso per il suo at- to di amore alla Verità.

L’umiltà accompagna il pro- feta nel suo spendersi per l’uo- mo che cerca il senso ultimo della vita quando tutto sembra aver perso senso.

Geremia, Bonhoeffer, Jäger- stätter sentivano con trepida- zione che Dio stava parlando agli uomini attraverso di loro, sapevano di essere strumenti nelle sue mani, di essere suoi portavoce dentro la crisi, la sof- ferenza e lo smarrimento.

Dal confronto delle loro esperienze spirituali scaturisce un’immagine: il profeta tocca il mantello del Signore che passa, è certo che il Signore si fermerà, lo guarderà negli occhi e gli parlerà. Il profeta racconta que- sto incontro e dice che il Signo- re, con il suo mantello, passa ogni giorno sulle strade dell’uo- mo.

Geremia, Jägerstätter e Bonhoeffer:

tre uomini che hanno vissuto crisi laceranti ma hanno indicato percorsi per attraversarle senza smarrirsi me a tutte le proprie fragilità.

Quello che accade oggi, sosti- tuendo in modo tacito e pervasivo il coraggio con la ricerca dell’assi- curazione in tutti i campi, ha in fondo qualche corrispondenza con quello che Bonhoeffer osser- vava nella Germania del suo tem- po, quando l’obbedienza all’auto- rità aveva sostituito il coraggio della libertà d’azione. La mancan- za di coraggio, oggi come allora, è condizione per l’adeguamento delle persone al sistema, un siste- ma ideologico nel caso di Bo- nhoeffer, consumistico nel nostro caso. Dove manca il coraggio, in- fatti, manca la possibilità della li- bertà, a meno che non si intenda libertà come mera formale possi- bilità di scelte e non come scelta concreta, destinata sempre a fare i conti con i limiti della realtà. Sen- za il coraggio i limiti della realtà non si affrontano e, se non si af- frontano i limiti, non si affronta nemmeno la realtà.

La terza parola che Bonhoeffer ci consegna e che ci interpella par- ticolarmente è “lo sguardo dal basso”.

In un testo redatto poco prima dell’incarcerazione, il teologo resi- stente scrive: «Resta un’esp erien- za di eccezionale valore l’aver im- parato infine a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltratta- ti, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in una parola, dei sof- f e re n t i » .

Anche in questo caso, l’assun- zione della prospettiva dal basso non avviene sulla base di una vo- lontaristica umiliazione, ma è piuttosto frutto degli eventi, con- seguenza dell’assunzione di re- sponsabilità nella storia. Questo ha portato Bonhoeffer e i suoi compagni congiurati, credenti e non credenti, a cambiare la loro posizione di prestigio e potere so- ciale e a trovarsi infine tra i per- denti, tra gli ultimi. Oggi, in una società che divide tra w i n n e rs e lo- s e rs , mettendo i secondi senz’a l t ro tra gli scarti inutili, le parole di Bo- nhoeffer acquistano una inedita forza.

Se, come ci ha ricordato Papa Francesco nella benedizione Urbi et Orbi” del 27 marzo 2020, siamo tutti «sulla stessa barca», la testi- monianza di Bonhoeffer, e con lui di tutti i martiri, ci dice che non è dalla prima classe che si può scor- gere la direzione che prende la na- ve, ma piuttosto dalla posizione del mozzo, che sta in alto, come per i cristiani la croce. È la kenosi dell’incarnazione e della croce (Fil 2, 5-11) che rivela il senso della sto-

ria e dell’esistere, che non può ri- solversi, quindi, nella migliore per- formance possibile, ma nel saper sta- re e vivere nel limite e nella con- traddizione, in solidarietà con i fratelli sofferenti, senza voltare la faccia dall’altra parte, senza chiu- dersi nella propria cabina, senza ignorare le loro grida. Questo ha fatto il teologo Dietrich Bonhoef- fer. E per questo è stato impiccato nel campo di Flossenbürg il 9 apri- le 1945. Martire del nostro tempo.

La sua testimonianza ci dice che non è dalla prima classe che si può scorgere la direzione che prende la nave, ma piuttosto dalla posizione del mozzo, che sta in alto, come per i cristiani la croce

«Quando un pazzo — scrisse — lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti. Io devo, se mi trovo

in quel posto, saltare

e afferrare il conducente al suo volante»

La finestra della cella di Bonhoeffer a Tegel tutte le tue potenzialità”, Bo- nhoeffer, con le sue scelte e i suoi scritti, propone l’esempio di una vita spezzata, stroncata, rimasta

“in potenza”, sia nella sfera perso- nale degli affetti, perché Bonhoef- fer non riuscirà mai a portare a compimento il matrimonio con la fidanzata Maria von Wedemeyer, sia nella sfera professionale, per- ché il teologo non potrà elaborare compiutamente le intuizioni degli ultimi anni e coglierne i frutti. Bo- nhoeffer propone una vita rimasta frammento, nella quale il punto focale non sta nella propria identi- tà, ma, appunto, nel decentramen- to, non in ciò che ha realizzato per sé, ma in ciò che ha lasciato, non in ciò che ha raggiunto, ma in ciò da cui si è staccato (la carriera univer- sitaria, la sicurezza economica e sociale, la famiglia e l’amore, la li- bertà, la vita…) non per una vo-

Bonhoeffer in una foto del 1922

(4)

L’OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 4 venerdì 9 aprile 2021

Il piano del segretario al Tesoro Usa Yellen

Verso la tassa globale per le multinazionali

Allarme dell’Organizzazione panamericana della sanità sull’emergenza covid

Sud America: casi in aumento

D

AL MOND O

Francia: Macron chiude l’Ena la scuola dell'élites

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annun- ciato ieri la chiusura dell’Ena, istituzione della Quin- ta Repubblica, per 40 anni fucina dei dirigenti fran- cesi, la “grande école” per antonomasia dalla quale sono usciti 4 presidenti su 6, compreso l’attuale, e centinaia di consiglieri di Stato, della Corte dei Con- ti, delle Finanze, dei Lavori pubblici, dell’erario. Al suo posto nascerà un nuovo organismo, più agile, meno paludato e più connesso con la realtà. Si chiu- de così una lunga polemica: l’Ena era da tempo con- siderata l’ultima vera roccaforte delle élites politiche francesi, impermeabile alle trasformazioni della società e troppo autoreferenziale. «Offriremo ai francesi un servizio pubblico a loro più vicino, più efficace, più trasparente e più benevolo», ha spiegato l’Eliseo.

Sudan: pesante il bilancio degli scontri tribali nel Darfur

Gli ultimi scontri tribali in Sudan, nello Stato del Darfur occidentale, hanno provocato almeno 132 vitti- me. Lo hanno riferito ieri fonti locali. Per diversi giorni i membri dell’etnia Masalit e delle comunità arabe nomadi si sono scontrati sia a El Geneina, ca- pitale del Darfur occidentale, sia nei dintorni della città, anche utilizzando armi pesanti. Il governo del Sudan ha dichiarato lo stato di emergenza nella re- gione. Migliaia sono gli sfollati dalle ultime violenze, alcuni dei quali fuggiti nel confinante Ciad, come ri- porta l’O nu.

WASHINGTON, 9. Il piano del- l’amministrazione Biden per una riforma fiscale internazio- nale è sul tavolo di 135 Paesi, impegnati sul tema sotto l’egi- da dell’Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo svilup- po economico).

L’obiettivo è armonizzare il trattamento fiscale delle multi- nazionali che, al momento, sta- biliscono la loro sede in base al- le aliquote da pagare al paese ospitante.

Gli Stati Uniti, dopo aver già proposto una tassa minima globale per scoraggiare il no- madismo fiscale dei giganti della finanza e della produzio- ne tecnologica, hanno in mente nuovi correttivi. Tra l’altro far pagare alle grandi imprese la differenza fra quanto dovuto allo Stato ospitante e i profitti realizzati nei singoli Stati. Il se- gretario al Tesoro Janet Yellen ha portato avanti su questo una lunga serie di contatti che han- no raccolto favori trasversali.

Yellen ha battuto sul tasto che sarebbe importante «assicurar- si che i governi abbiano un si- stema di imposizione fiscale stabile in grado di raccogliere entrate sufficienti da investire nel bene pubblico e rispondere alle crisi». Ne dovrebbero ri- sentire per primi, ma non da so- li, i giganti del Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple).

I costi della pandemia e le misure di sostegno sono uno sforzo inaudito per tutti: gli Stati Uniti che devono finan-

ziare due piani per oltre quat- tromila miliardi — fra le misure anticovid ed il Jobs Plan — han- no lanciato la proposta. Ed hanno trovato il terreno di un accordo relativamente facile.

Belfast in fiamme Torna alta la tensione

in Irlanda del Nord

LONDRA, 9. Torna a salire pe- ricolosamente la tensione in Irlanda del Nord. La rabbia degli unionisti è esplosa nelle strade di Belfast e Londonder- ry. Il bilancio è critico: auto incendiate, bottiglie molotov e mattoni lanciati contro la poli- zia, decine gli agenti feriti.

A innescare la scintilla è stata la decisione della polizia locale di non procedere contro i leader del Sinn Féin, il parti- to repubblicano, che l’anno scorso avevano violato le re- strizioni per il covid parteci- pando ai funerali di un ex ca- po dell’Ira (Irish Republican Army).

Gruppi di manifestanti hanno innescato pesanti scon- tri con la polizia e compiuto atti di vandalismo. Due giorni fa un autobus di linea è stato preso d’assalto e incendiato a Belfast. Secondo quanto ri- porta «The Guardian», il mezzo è stato attaccato da un gruppo di giovani in un’a re a critica che divide le comunità nazionaliste e unioniste.

Condanna unanime delle

violenze è stata espressa ieri dal governo locale dell’Irlan- da del Nord, sia dalla sua componente unionista guidata dalla first minister del Dup, Arlene Foster, sia da quella re- pubblicana capeggiata dalla vicepremier dello Sinn Féin, Michelle O’Brian.

Il disagio degli unionisti — dicono gli analisti — covava da mesi e la ragione ultima è l’ac- cordo sulla Brexit. In base alle intese raggiunte fra Londra e Bruxelles, l’Irlanda del Nord è stata lasciata di fatto all’inter- no del mercato unico, per evi- tare il ritorno a un confine fisi- co con la Repubblica d’Irlan- da, che è parte dell’Unione europea. Ma questo inevitabil- mente ha comportato l’allen- tamento del legame fra l’Irlan- da del Nord e la Gran Breta- gna, con conseguenze pratiche che si sono viste negli ultimi mesi. Le merci in arrivo a Bel- fast dal Regno Unito sono ora soggette a controlli doganali, e questo ha causato penurie nei supermercati e difficoltà buro cratiche.

BRASÍLIA, 9. Con oltre 1,3 milioni di nuovi casi e 37.000 decessi registrati nel- le Americhe negli ultimi giorni, le infezioni da covid- 19 continuano ad aumentare in tutta la regione.

E a preoccupare maggior- mente sono i contagi in Sudamerica. Lo ha detto Carissa F. Etienne, direttore dell’Organizzazione pana- mericana della sanità (Ops), l’Ufficio regionale del- l’O ms.

«In Bolivia e Colombia i casi sono raddoppiati nel- l’ultima settimana e quattro Paesi del Cono Sud hanno registrato un’accelerazione, con trasmissione comunita- ria ininterrotta nelle ultime settimane», ha spiegato. Più della metà di tutti i decessi registrati nel mondo duran- te l’ultima settimana si sono verificati nelle Americhe.

«La riduzione delle infe- zioni inizia con lo stare a casa e fare tutto il possibile per proteggere se stessi e gli altri dall’ammalarsi. Eppure stiamo assistendo ad un len- to e costante aumento della mobilità delle popolazioni», ha sottolineato Etienne. Se

la tendenza all’aumento dei viaggi all’interno e tra i Paesi continuerà, «i nostri sistemi sanitari saranno in guai più seri», ha afferma- to.Il direttore dell’Ops ha indicato che la situazione epidemiologica in tutta la regione non è uniforme.

«In Nord America, i casi e i ricoveri stanno aumentando in Canada, mentre i tassi di infezione stanno diminuen- do negli Stati Uniti e in Messico», ha osservato. Ne- gli ultimi giorni, Brasile e Argentina sono tra i dieci Paesi al mondo che hanno registrato il maggior nume- ro di nuove infezioni.

In Brasile, ieri si sono contate 4.249 vittime, un numero mai raggiunto dal- l’inizio della pandemia. Al momento, i vaccinati sono circa 21 milioni e mezzo, pari al 10 per cento popola- zione. E mentre nel Paese i biologi dell’Università fede- rale di Minas Gerais hanno annunciato la possibile sco- perta di una nuova variante del coronavirus, il quotidia- no «Folha de Sao Paulo»

ha sottolineato come ormai

siano esauriti i posti letto a disposizione nei reparti di terapia intensiva degli ospe- dali di quattro Stati. Solo nelle città di Manaus e Boa Vista ci sono ancora letti a disposizione nelle terapia intensive.

In Europa, il Regno Uni- to non ha più il primato eu- ropeo nella triste classifica dei morti per covid-19 in rapporto alla popolazione da inizio pandemia. Lo cer- tificano gli ultimi dati, che vedono il Paese allineare al- tri 53 decessi, con soli 3.030 nuovi contagi e un totale di vaccini salito a 38 milioni (circa 6 milioni i richiami).

Oltre a registrare un 92 per cento di morti in meno.

In Italia, il presidente del Consiglio dei ministri, Ma-

rio Draghi, si è soffermato sui cosiddetti “furb etti” dei vaccini, coloro che saltano la fila. Durante una confe- renza stampa a Palazzo Chigi ha infatti dichiarato:

«Ma con che coscienza ci sono persone che saltano la lista d’attesa cercando di farsi vaccinare prima, pur sapendo che in questo mo- do si lascia esposto a rischi chi ha più di 65 anni o qualche fragilità e, di conse- guenza, un rischio concreto di morte?».

Riguardo alle riaperture, Draghi ha detto che al mo- mento non c’è una data precisa. «Quanto più celer- mente si procede con le vaccinazioni, tanto più si procederà con le riapertu- re», ha precisato.

In Myanmar elezioni entro due anni

NAY P Y I D AW, 9. Lo stato di emergenza imposto per un anno in Myanmar dalla giunta militare dopo il golpe dello scorso 1 feb- braio scorso potrebbe essere prorogato per almeno «sei mesi»

e le promesse nuove elezioni legislative nel Paese asiatico si ter- ranno «entro due anni». Lo ha affermato il portavoce della giunta, Zaw Min Tun, nel corso di un’intervista alla Cnn.

Il portavoce non ha fornito una data per il nuovo voto, ma ha spiegato che, secondo la Costituzione del 2008 redatta da- gli stessi militari, «dobbiamo tenere elezioni libere ed eque en- tro questi due anni, e lo faremo». Il 16 febbraio scorso, nella prima conferenza stampa dopo il colpo di Stato, Min Tun ave- va affermato che l’obiettivo dei militari «è andare al voto e consegnare il potere nelle mani del partito vincitore».

Le ultime elezioni si sono tenute nel novembre 2020 e han- no visto la netta vittoria della Lnd, il partito di Aung San Suu Kyi, attualmente agli arresti assieme al presidente, Win Myint.

Alla fine di gennaio 2021, però, il capo delle forze armate, ge- nerale Min Aung Hlaing, a nome del partito Usdp, molto vi- cino all’esercito, ha annullato l’esito del voto. E pochi giorni dopo i militari hanno preso il potere con la forza.

Regno Unito

È morto il principe

Filipp o

LONDRA, 9. Il principe Filip- po, duca di Edimburgo, con- sorte della regina Elisabetta

II, si è spento oggi all’età di 99 anni. È stato il più longevo consorte di un monarca nella storia della Gran Bretagna.

«È con profondo dolore — si legge nel comunicato di Buc- kingham Palace — che Sua Maestà la Regina annuncia la morte del suo amato marito».

Sua Altezza Reale «si è spen- to in pace questa mattina al castello di Windsor» recita il comunicato. La famiglia rea- le «si unisce al resto del mon- do nel piangere la sua perdi- ta». Nato nel 1921 a Villa Mon Repos, sull'isola di Cor- fù, Filippo crebbe in Francia e, dal 1928, nel Regno Unito.

Ha prestato servizio nella marina inglese durante la se- conda guerra mondiale.

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L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 9 aprile 2021 pagina I

A atlante

C R O N A C H E D I U N M O N D O G L O B A L I Z Z A T O

Gli Inuit difendono le risorse dell’Artico

Indigeni: rischio estinzione per Covid

ANNALISAANTONUCCI A PA G I N A II

Gli autoctoni in Ecuador verso il voto nullo

FABRIZIOPELONI A PA G I N A III

L’Onu evidenzia

il ruolo delle popolazioni indigene

nella tutela dell’ambiente

di CHIARAGRAZIANI

I

l mutamento climatico sta trasformando la Groenlandia in un crocevia geopolitico: la rotta artica, aperta dalla fusione dei ghiac- ci, è una possibile alternativa ai canali di Suez e di Panama per le rotte del commer- cio mondiale. Le immense risorse minera- rie, come l’uranio e le terre rare, fonda- mentali per produrre i semiconduttori alla base di ogni genere di tecnologia, diventa- no accessibili. Una terra di pescatori, com- plice l’innalzamento dei mari e la perdita di biodiversità animale, si tramuta para- dossalmente nella terra promessa di un mondo affamato di materie prime per un modello di produzione proiettato a veloci- tà esponenziale verso l’i n t e rc o n n e s s i o n e globale.

È la terra degli Inuit, il popolo degli Uomini. Una parte di quella Nazione in- digena che da cinquemila anni abita la mezzaluna artica che va dalla penisola rus- sa della Chucotka, alla Groenlandia, pas- sando per Alaska e Canada. Una Nazione

“circump olare”, come si definisce, fra le più antiche civiltà viventi del pianeta. Pre- servata fino a vent’anni fa dall’inaccessibi- lità, la terra degli Uomini assalita dal mu- tamento climatico, è diventata un boccone facile. Ed appetibile: affacciata sul mitico passaggio a nord ovest che può ritracciare le rotte del commercio mondiale, con pe- santissime ricadute ambientali, è un eden minerario. Tutto quello che vale la pena estrarre, là c’è. A partire dai 17 metalli det- ti terre rare senza le quali il mondo globa- lizzato si spengerebbe e si fermerebbe: dai computer agli smartphone, dai cacciabom- bardieri alle automobili, come l’intelligen- za artificiale, tutto ha fame di terre rare. E secondo il report del dipartimento Onu per gli affari sociali ed economici che po- chi giorni fa ha fatto il punto sui diritti dei popoli indigeni del pianeta, un’intensa attività estrattiva ha sempre portato con sé il disastro per le Nazioni indigene. Fra i 26 casi citati nel rapporto basti citare l’A- mazzonia, colpita da deforestazione e da incendi biblici: nel suo versante peruviano

il 75% del territorio ancestrale degli indi- geni, sul quale hanno diritti riconosciuti ma non applicati, è concesso all’estrazione del petrolio e del gas. Secondo il report Onu, inoltre, lo sfruttamento intensivo delle risorse (quelle minerarie ma anche quelle agricole e idriche) ha coinciso nel mondo con gravissime violazioni dei dirit- ti umani. Custodi dell’ambiente e della biodiversità, i popoli indigeni pagano il prezzo di essere un tutt’uno con i territori ancestrali. L’equilibrio fra uomo e ambien- te, necessario alla loro identità, alla loro vita, non è compatibile con le logiche del- lo sfruttamento intensivo ed esasperato.

Dove avanza il secondo, retrocede il pri- mo, lasciandosi dietro un deserto. Il re- port del dipartimento Desa dell’Onu ne trae la conclusione che, per salvare l’equi- librio fra uomo e ambiente — e conseguire gli obiettivi dell’agenda contro il muta- mento climatico — occorre consolidare e rendere efficaci i diritti delle Nazioni indi- gene alla Terra, ai territori, alle risorse. I popoli antichi, quelli che non fanno parte

della comunità territoriale di uno Stato, custodiscono la biodiversità. La loro non è una missione, ma un modo d’essere. E senza di loro, senza il presidio ed il sacri- ficio anche della vita degli attivisti, il Pia- neta sarebbe già sotto la linea di galleggia- mento. Costituire il corpus iuris dei diritti delle Nazioni indigene è dunque fonda- mentale per scongiurare la catastrofe cli- matica. Tanto più urgente perché un altro

«regalo» del Pianeta surriscaldato e sem- pre meno ospitale, è la terra artica degli Inuit che si trasforma in un megagiaci- mento affacciato sull’autostrada della nuo- va rotta nell’Artico: l’allora presidente Usa Trump tentò di comprarne una parte, la Groenlandia. E dal 2010 una licenza di estrazione concessa ad una compagnia mi- neraria con base in Australia attende di iniziare lo sfruttamento nella parte sud dell’isola. Tutto pare pronto perché lo schema si ripeta. L’Artico, barometro del mutamento climatico, è il prossimo bivio al quale si faranno scelte decisive per tutta la comunità mondiale.

(6)

L’OSSERVATORE ROMANO

pagina II venerdì 9 aprile 2021 venerdì 9 aprile 2021 pagina III

A

atlante atlante

A

La Conferenza sul clima Cop26 opportunità per l’Africa

La conferenza sul clima delle Nazioni Unite Cop26, in programma a novembre prossimo,

«offre un’opportunità convincente per l’Africa di trasformare l’ambizione in realtà». Lo ha detto il segretario generale dell’Onu, António

Guterres, parlando al dialogo sull’e m e rg e n z a clima-covid in Africa. «I Paesi africani continuano a contribuire poco alle emissioni globali, tanto è profonda la povertà energetica del continente», ha precisato. «Eppure — ha aggiunto — l’Africa è in prima linea per gli impatti drammatici del clima, dalle

inondazioni ai cicloni alla siccità, che possono spazzare via decenni di progressi sullo

sviluppo dall’oggi al domani». Per Guterres, il 14 per cento della popolazione mondiale vive nell’Africa subsahariana, ma solo il 3 per cento

dei finanziamenti globali per il clima affluiscono nella regione.

St. Louis elegge come sindaco la prima donna afroamericana

Tishaura Jones è la prima donna afroamericana a essere stata eletta sindaco di St. Louis, in Missouri, uno degli Stati del sud degli Usa con una triste storia di razzismo e schiavitù alle spalle. Prima di essere eletta Jones ricopriva il ruolo di tesoriere della città. Ha promesso come sindaco di non tacere sulle

ingiustizie razziali e di portare «aria fresca» a St. Louis, teatro nel 2017 di proteste e di scontri in occasione dell’assoluzione di un poliziotto che nel sobborgo di Ferguson aveva ucciso a colpi di pistola un afroamericano disarmato. La neo prima cittadina ha ricevuto il 52 per cento dei voti, contro il quasi 48 per cento della sfidante, Cara Spencer. «St. Louis, questa è l’opportunità di risorgere», ha

dichiarato Jones nel suo discorso per la vittoria: «Abbiamo finito di ignorare il razzismo che ha frenato la nostra città e la

Dalle periferie

Indigeni: rischio

estinzione per covid

di ANNALISAANTONUCCI

V

ivono immersi nella natura,

che rispettano e preservano.

Sono a conoscenza dell’esi- stenza di società al di fuori del- la loro, ma scelgono di non en- trare in contatto con gli altri.

Sono i cosiddetti “popoli in- contattati”, circa 100 nel mon- do, quelle tribù indigene che non hanno contatti con la civil- tà moderna. Se ne trovano nei quattro continenti: Asia, Ocea- nia, America settentrionale e America meridionale e sono popolazioni estremamente vul- nerabili perché prive di difese immunitarie verso le malattie trasmesse dall’esterno, come il morbillo o la varicella, a cui gran parte delle società sono state esposte da centinaia di anni. Molte di queste tribù vi- vono costantemente in fuga, per salvarsi dall’invasione delle loro terre da parte di coloni, ta- glialegna, esploratori petrolife- ri e allevatori di bestiame. So- no considerati parte essenziale della diversità umana, ma ora ancor più a rischio estinzione a causa del coronavirus. Da quando la pandemia si è glo- balmente diffusa molte comu- nità native dell’America Latina per difendersi dal virus hanno cominciato a sbarrare gli acces- si ai villaggi. Alcune hanno scelto di dividersi in gruppi più piccoli e inoltrarsi più a fondo nelle foreste, chi aveva contatti con le città e i centri abitati ha tagliato i rapporti.

Per i gruppi indigeni infatti le malattie respiratorie — come quelle che si sviluppano dal vi- rus dell’influenza — erano già da prima del covid tra le prin- cipali cause di morte. Vivendo isolate, queste popolazioni svi- luppano pochissime difese contro le malattie e le infezioni comuni che circolano nella po- polazione generale e, come la storia ha dimostrato, l’intro du- zione di un patogeno estraneo in queste comunità remote può essere devastante. La stima del- le organizzazioni non governa- tive che difendono queste tribù è che circa 3 milioni di indigeni rischiano di morire a causa del covid-19, con un tasso che è il doppio rispetto a quello nel re- sto della popolazione dei Paesi coinvolti. Anche gli stili di vita tradizionali delle popolazioni indigene possono rappresenta- re una minaccia, in questo mo- mento, nella prevenzione e nel contenimento della diffusione del virus.

Infatti è tipico della maggior parte delle comunità indigene organizzare regolarmente grandi raduni tradizionali per celebrare eventi speciali, dal raccolto al raggiungimento della maggiore età. In aggiun-

ta, alcune comunità vivono in alloggi multi-generazionali, il che mette a rischio in partico- lar modo gli anziani. Secondo l’ong Casa Dinastica del Rio de la Plata la pandemia ha già colpito 42 tribù di indios ar- gentini, 44 tribù di indios bra- siliani, e 9 tribù di indios uru- guaiani. Queste popolazioni, che da sempre sono persegui- tate da stigma e discriminazio- ni, non hanno poi accesso ai servizi sanitari e neanche all’ac- qua pulita, sapone e disinfet- tanti. Fin dall’inizio della pan- demia, inoltre, la situazione di queste tribù è apparsa in peri- colo anche per la mancanza di informazioni sulle regole di prevenzione del virus nelle lin- gue indigene. Un appello in questo senso è arrivato dal Pre- sidente del Forum Permanente delle Nazioni Unite sulle Que- stioni Indigene, Anne Nuor- gam, che, dopo aver ricordato che i nativi sono oggi oltre 476 milioni di individui distribuiti in 90 Paesi del mondo e rap- presentando il 6,2% della po- polazione, ha sottolineato co- me queste comunità abbiano quasi 3 volte più probabilità di vivere in condizioni di estrema povertà, e di essere quindi più inclini alle malattie. Molte co- munità indigene sono già mal- nutrite e immuno-depresse, per questo l’arrivo del covid può essere devastante. L’appello di Anne Nuorgam è rivolto dun- que agli Stati, affinché provve- dano a garantire che gli indige- ni siano informati e protetti prioritariamente. A questo pro- posito, è importante garantire l’informazione sulle regole di prevenzione nelle lingue indi- gene in modo che siano acces- sibili a tutti. In particolare de- sta preoccupazione lo stato dei malati cronici e degli anziani indigeni, considerati in queste comunità una priorità perché artefici della storia, delle tradi- zioni e delle culture. La Presi- dente del Forum Permanente dell’Onu ha anche chiesto agli Stati membri di garantire il di- ritto delle popolazioni indige- ne di esercitare l’auto determi- nazione all’isolamento. Infine, secondo Survival Internatio- nal, organizzazione che si oc- cupa di difendere i diritti dei popoli indigeni, deve essere impedito agli stranieri di entra- re nei loro territori. Se le tribù incontattate non avessero nes- sun contatto con l’esterno, se le loro terre fossero protette sa- rebbero relativamente al sicuro dalla pandemia. Ma molti dei loro territori, invece, soprattut- to in questo momento sono in- vasi e saccheggiati dagli attori del traffico del legname, dell’e- strazione mineraria e dell’a g ro - business.

di ANDREAWA LT O N

A

divasi è un termine collettivo

usato per definire le tribù indi- gene, sedentarie o semi-stanzia- li, che vivono in India. Queste comunità rappresentavano l’8,6 per cento della popolazione in- diana (poco più di 104 milioni di persone) nel 2011 ed i gruppi etnici che ne fanno parte sono almeno 705. Questo, almeno, è il numero dei gruppi ricono- sciuto dalle autorità, ma ce ne sono molti altri che non hanno ottenuto l’agognato riconosci- mento e il loro numero è dun- que più alto rispetto a quanto emerge dai dati ufficiali. La più grande concentrazione di po- polazioni indigene è presente in sette Stati dell’India nordorien- tale come Nagaland, Meghala- ya ed Arunachal Pradesh, dove sono la maggioranza degli abi- tanti ed anche nell’India Cen- trale, in una fascia compresa tra Rajhastan e Bengala Occiden- tale.

Gli indigeni indiani sono la seconda popolazione tribale più grande al mondo dopo quella africana e il loro futuro è seriamente a rischio. L’espan - sione delle attività industriali minaccia le loro radici ancestra- li. Molte comunità sono state costrette ad abbandonare i loro territori, mentre altre lottano per proteggere le proprie case oppure per ottenere un’equa compensazione per quello che stanno perdendo. La deforesta- zione, oltre a costituire un grave danno ambientale, sta provo- cando la scomparsa di quelle specie che sono necessarie per la vita quotidiana di questi po- poli che fanno affidamento sul- le risorse della foresta e sulla sel- vaggina per alimentarsi.

La sicurezza alimentare delle popolazioni indigene ed anche la loro sopravvivenza sono dun- que in grave pericolo.

Le tribù indigene sono parte della fascia più povera della po-

polazione indiana e sono afflit- te dalla miseria in proporzione maggiore rispetto a quanto spe- rimentato da altri cittadini del Paese. Nel biennio 2015-2016, come emerso dal National Fa- mily Health Survey, il 45.9 per cento degli indigeni faceva par- te della fascia più povera della popolazione contro il 26.6 dei membri delle caste, il 18.3 per cento dei membri delle caste svantaggiate e il 25.3 di quelli la cui casta era sconosciuta. La ri- duzione del livello di povertà, nell’arco di dieci anni, è apparsa marginale e non ha superato il quattro per cento. In ogni caso più dei due terzi degli indigeni è colpito da significativi livelli di indigenza, un terzo dei bambini sotto i cinque anni di età è afflit- to da malnutrizione ed è sotto- peso, mentre questa percentua- le nella popolazione complessi- va è di poco superiore al venti per cento.

Gli Adivasi, che generalmen- te vivono in foreste remote e che

parlano linguaggi tribali non compresi da altri, devono supe- rare le barriere sociali e l’apatia istituzionale che, in alcuni casi, rendono complessa persino la denuncia delle atrocità subite.

L’isolamento fisico dalle comu- nità non tribali e la mancanza di risorse hanno portato alla nasci- ta di stereotipi negativi che ve- dono negli Adivasi dei gruppi non civilizzati, primitivi e senza alcuna abilità. Questi stereotipi vengono spesso utilizzati per giustificarne l’esclusione da al- cuni servizi sociali e opportuni- tà di tipo economico. Gli Adi- vasi usufruiscono con difficoltà del sistema sanitario indiano a causa della lontananza dalle cit- tà e delle barriere linguistiche.

Lo stesso può dirsi, almeno in parte, per quanto riguarda il si- stema scolastico. Lo Stato, dal canto suo, non ha offerto alcun tipo di soluzione.

C’è anche un altro dato che va tenuto in considerazione. Le sofferenze delle tribù margina-

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