CAPITOLO 2
L’Ottica Adattiva
I telescopi terrestri sono strumenti cruciali per capire sempre più l’universo, anche se la loro qualità è drasticamente limitata dagli errori (quasi statici, legati ad errori di fabbricazione, variazioni delle condizioni operative e all’invecchiamento dei suoi componenti ottici e meccanici) intrinseci dei telescopi e soprattutto dagli errori (stavolta decisamente dinamici) dovuti alla turbolenza dell’atmosfera terrestre [8].
Fin dalla loro invenzione, circa 400 anni fa, i telescopi astronomici hanno subito un’evoluzione continua passando da sistemi manuali a sistemi digitali altamente sofisticati. Per raggiungere questi miglioramenti si è prestata particolare attenzione a due fattori:
a) la capacità di raccogliere la luce, che è stata incrementata aumentando i diametri dei telescopi;
b) la risoluzione angolare, per ottenere una miglior precisione dell’immagine acquisita.
Sappiamo che se il telescopio osservasse attraverso il vuoto (ed è il motivo per cui fino a pochi anni fa si preferivano missioni spaziali come quella del telescopio Hubble), la risoluzione sarebbe direttamente proporzionale all’inverso del suo diametro. Questo, in realtà, non avviene ed un sistema ottico terrestre, oltre a subire gli effetti di diffrazione tipici dell’attraversamento di un foro da parte della luce, subisce anche gli effetti deleteri dell’atmosfera.
Per capire meglio ciò che accade è importante definire il potere
separate due stelle che appaiono l’una vicina all’altra. Vi sono precise limitazioni ai risultati ottenibili mediante le leggi dell'ottica geometrica (vedi Appendice). Lo scopo dell’Ottica Adattiva è proprio quello di riuscire ad avvicinare più possibile tali limiti, dettati dalle note leggi di diffrazione, compensando gli altri disturbi deleteri per l’immagine.
Vediamo di descrivere in sintesi il fenomeno della diffrazione. In Figura 2.1 è schematizzato il comportamento di un fronte d’onda piano (che è ciò che ci arriva osservando una stella molto lontana) che attraversa un foro di dimensioni limitate (l’occhio del telescopio) ed è raccolto da uno schermo (piano focale del telescopio stesso). Esaminando lo schermo ci aspetteremmo di trovare una divisione netta tra luce e ombra (onda blu in Figura 2.1).
Figura 2.1: Diffrazione della luce: a sinistra la situazione ideale, a destra quello che in realtà accade a causa della diffrazione della luce.
Se però analizziamo lo schermo con una potente lente d'ingrandimento notiamo che il bordo non è netto, ma sfrangiato da un'alternanza di zone chiare e scure, persino colorate (nel caso che la sorgente sia policromatica) e tanto più marcate quanto minore è il diametro del foro. Questo è dovuto al noto fenomeno della diffrazione (onda rossa in Figura 2.1), causato dal fatto che la sorgente luminosa, per
quanto possa essere puntiforme non emette raggi, ma onde che subiscono fenomeni d'interferenza quando passano attraverso una fenditura, un foro o anche quando si limitano a lambire un ostacolo. In questo caso non si avrà un punto immagine, ma un dischetto circondato da anelli distanziati di una lunghezza d’onda, alternativamente chiari e scuri, ossia una figura di diffrazione (Figura 2.2).
Figura 2.2: Anelli di diffrazione.
Ma quanto è grande questa figura di diffrazione e, di conseguenza, qual è la minima distanza alla quale, ad esempio, le componenti di una stella doppia appaiono separate? Esiste una formula, dettata dal criterio di Rayleigh, per determinarla [9]:
1, 22*
D
λ α =
dove α è il limite diffrattivo (in realtà α =sinθ dove θ è la risoluzione angolare), λ la lunghezza d’onda e D il diametro del telescopio (vedi Appendice). Poiché gli angoli interessati sono piuttosto piccoli, si può sostituire il seno con il suo argomento e quindi α rappresenta la minima distanza angolare tra due sorgenti puntiformi che permette di vederle separate.
Appare ora chiaro come telescopi di largo diametro permettano di ottenere immagini più nitide e perciò di esaminare oggetti celesti in
maggior dettaglio. D’altro canto lenti più grandi raccolgono anche più luce, cosicché la disponibilità di telescopi di diametro maggiore rende possibile l’osservazione di oggetti di luminosità più debole, come per esempio galassie lontane. Ecco il motivo per cui negli ultimi anni si è cercato di potenziare i telescopi terrestri i quali hanno caratteristiche costruttive (intrinseche nel fatto che sono gestibili da terra) più facili da soddisfare, in primis proprio il diametro dell’occhio.
Come detto nel precedente Capitolo però, è certo che l’osservazione da terra introduce errori dovuti all’atmosfera del nostro pianeta che genera fenomeni di diffrazione non dovuti al mezzo che utilizziamo per l’osservazione. Una soluzione in real-time dei problemi dovuti all’aberrazione atmosferica è proprio l’uso dell’Ottica Adattiva .
2.1 Principio di Funzionamento
Il principio di funzionamento dell’Ottica Adattiva è relativamente semplice nell’esposizione, anche se è ben più complessa una sua realizzazione efficace. La luce che arriva dallo spazio (parleremo di fotoni), che rappresenta la porzione di cielo osservata, entra nell’atmosfera dove subisce una serie di deviazioni causate dall’atmosfera stessa (sono i classici fenomeni della rifrazione e della riflessione della luce). Il fronte d’onda che arriva va sia al terminale per la visualizzazione sia ad un sistema di controllo in retroazione negativa che, tramite una serie di specchi deformabili, compensa le aberrazioni atmosferiche, rendendo nuovamente piatto il fronte d’onda, consentendo una visione più nitida dell’immagine. In Figura 2.3 si osservano due raggi, uno proveniente dall’oggetto astronomico (in rosso), l’altro (in verde) da una stella guida, riferimento per applicare la correzione.
Figura 2.3: Principio di funzionamento dell'AO.
Lo specchio utilizzato è posizionato dietro il fuoco del telescopio; la scelta del numero di attuatori che lo muovono è un compromesso tra il grado di correzione che si vuol raggiungere, l’uso di eventuali stelle guida ed il budget a disposizione per la realizzazione del sistema. Naturalmente questo controllo deve essere veloce perché l’atmosfera cambia continuamente e quindi la forma dello specchio deve variare centinaia di volte al secondo.
L’uso del sensore SPADA abbinato alla Data Processing Board sviluppata dall’Università di Pisa ha permesso di migliorare il livello delle prestazioni delle tecnologie usate sino ad oggi (come ad esempio il sistema MACAO dell’ESO) per determinare le caratteristiche del fronte d’onda. Visto che le frequenze di lavoro del sistema di controllo dello specchio deformabile sono elevate, un sistema basato su CCD ad esempio risentirebbe troppo del readout noise degli stessi, inficiando quindi tutto il sistema di correzione. Il vantaggio di un contatore di fotoni allo stato solido come il nostro, è che risulta intrinsecamente un dispositivo digitale,
fornendo in uscita un impulso per ogni fotone rilevato, non ha quindi readout noise, e garantisce un’alta sensitività [7].
Il primo passo per l’implementazione di un sistema di Ottica Adattiva consiste nelle misura dell’aberrazione del fronte d’onda incidente, che può essere ottenuta utilizzando uno dei seguenti tre approcci:
• Shack-Hartmann WFS (Wave Front Sensor), che misura l’inclinazione del fronte d’onda proiettando la luce incidente su una griglia di riferimento (vedi paragrafo 2.3.1).
• Pyramid WFS, in cui il fascio di luce viene fatto passare attraverso una piramide che lo divide in quattro parti dirette su quattro sensori, stabilendo l’inclinazione del raggio incidente in ogni punto (vedi paragrafo 2.3.2).
• Curvature WFS, dove le intensità della luce, misurate direttamente nelle immagini intrafocale ed extrafocale, provvedono a dare il segnale di curvatura locale del fronte (vedi paragrafo 2.3.3).
Il sistema che realizza il controllo è in genere un computer dedicato, il quale comanderà gli attuatori dello specchio. Come detto prima, tale calcolo deve essere eseguito in tempi molto brevi perché lo stato dell’atmosfera cambia velocemente ed il sistema deve rispondere immediatamente, altrimenti la correzione non avrebbe senso.
Il grosso problema dei sistemi di AO è dovuto alle dimensioni dell’angolo isoplanatico. Il campo isoplanatico non è altro che la regione di cielo all’interno della quale le distorsioni di due oggetti celesti sono sostanzialmente uguali. L’angolo isoplanatico misura, appunto, le dimensioni di questo campo. Il problema è che raramente è presente all’interno del campo isoplanatico della stella che stiamo osservando un’altra stella sufficientemente brillante da poter essere sfruttata come
riferimento. Valori tipici dell’angolo isoplanatico vanno da qualche secondo d’arco a pochi minuti d’arco1.
Il sistema più promettente per superare il problema appena esposto consiste nell’uso di stelle guida artificiali comunemente dette Laser Guide Stars (LGS). Per ottenere il segnale guida si può sfruttare, nel nostro caso, il sistema di Layer Sensing (LS) [1][2], incluso nel progetto SPADA, il cui principio di funzionamento è stato esposto nel Capitolo 1. La guida viene creata all’interno del campo isoplanatico della stella da osservare ed il sensore ne misura le aberrazioni; apportando le dovute correzioni si andrà a correggere anche l’immagine proveniente dalla stella sotto osservazione. In questo modo però non si risolvono tutti i problemi. Innanzitutto si presenta il così detto effetto cono: come si vede in Figura 2.4 a sinistra, la luce della stella guida non collima perfettamente con il telescopio; infatti, essendo ad una altitudine relativamente bassa riflette parte dei raggi verso il telescopio che non sono paralleli tra loro come quelli di stelle anni luce lontane e questo causa un errore nella stima della fase.
Figura 2.4: Uso di più stelle guida per ampliare l’angolo isoplanatico e copertura della pupilla del telescopio.
1 Il secondo d’arco è l’unità di misura tipicamente utilizzata per misurare gli angoli tra
oggetti in cielo. Vi sono 60 secondi d’arco in un minuto d’arco e 3600 secondi d’arco in un grado.
Una soluzione a questo problema è l’uso di più stelle guida intorno all’oggetto osservato (Figura 2.4 a destra). Ogni singolo raggio ricopre una parte della pupilla, ed insieme ricoprono tutto il telescopio. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a [10].
Un secondo e più serio problema è il movimento dell’immagine, ovvero la determinazione dell’ inclinazione del fronte d’onda. Infatti, mentre il centro della stella artificiale è fisso nel cielo, la posizione apparente di una sorgente astronomica soffre di movimenti laterali, noti come tip/tilt. Una soluzione molto efficace, ma anche decisamente complessa, consiste nell’uso di due sistemi di Ottica Adattiva, uno per l’oggetto astronomico osservato l’altro per la stella guida. Inoltre spesso si usa un sistema costituito da due specchi, uno che regola i movimenti di tip/tilt (specchio fisso che regola l’angolazione del raggio incidente), l’altro deformabile che compensa le aberrazioni atmosferiche [10].
2.2 Specchi Deformabili
Gli specchi deformabili sono una parte importante per i sistemi di Ottica Adattiva in quanto la loro forma deve poter esser controllata, in base al segnale proveniente dal sensore utilizzato, per rendere il fronte d’onda, perturbato dall’atmosfera, nuovamente piatto, e quindi rendere nitida l’immagine. In questo paragrafo verranno esposti alcuni tipi di specchi deformabili.
2.2.1 Specchi Segmentati
Questo tipo di specchio è costituito da un numero variabile di piccoli specchi, ognuno controllato da tre attuatori piezoelettrici (un esempio è mostrato in Figura 2.5)[10][11].
Figura 2.5: Specchio deformabile segmentato esagonale.
Attualmente la tecnologia sviluppata prevede l’uso di una sottile lastra flessibile, attaccata ad una serie di attuatori, come mostrato in Figura 2.6 [11].
Figura 2.6: Specchio deformabile costituito da una lastra flessibile, attaccata ad una serie di attuatori.
Quando viene applicata una certa differenza di potenziale V all’attuatore i-esimo, possiamo descrivere la forma dello specchio mediante la funzione r(x,y) ottenuta dalla seguente relazione
( , ) i* ( , )i
i
dove ri è detta funzione di influenza. La forma di questa funzione è simile ad una gaussiana [11].
Questo tipo di specchi viene utilizzato nel sistema di AO nel telescopio GEMINI. Qui di seguito sono riportati i parametri tipici per uno specchio di questo tipo:
Numero di Attuatori 100-1500
Spazio tra gli attuatori 2-10 mm
Geometria Rettangolare o esagonale
Tensione Poche centinaia di Volts
Spostamento Pochi micron
Frequenza di risonanza Pochi kHz
Costo Elevato Tabella 2.1: Caratteristiche tecniche tipiche degli specchi segmentati.
2.2.2 Specchi Bimorfi
Gli specchi deformabili bimorfi sono realizzati mediante la giunzione di due dischi piezoelettrici polarizzati in maniera opposta secondo i loro assi [11]. Tra una lastra e l’altra sono disposti una serie di elettrodi, mentre la parte superiore e quella inferiore sono collegate a massa (Figura 2.7). Naturalmente solo la superficie frontale funziona da specchio.
Quando viene applicata una tensione ad un elettrodo, un disco si contrae mentre l’altro si espande, producendo una curvatura locale proporzionale a tale tensione.
Una caratteristica particolare degli specchi bimorfi è che non sono controllati sulla forma della superficie ma sulla sua curvatura. Se applichiamo una tensione V, la deformazione prodotta è proporzionale a
V*ρ², dove ρ è l’area della regione deformata [11]. La geometria degli
specchi di questo tipo è, in genere, circolare in modo da adattarsi meglio alle aperture dei telescopi (Figura 2.8) [11].
Figura 2.8: Geometria di uno specchio bimorfe.
Si capisce come la meccanica dedicata al loro funzionamento sia molto delicata: da una parte lo specchio si deve poter deformare, dall’altra deve poter essere reso fisso nel sistema ottico in modo che l’immagine possa essere acquisita in maniera accurata [11].
Specchi di questo tipo sono utilizzati in vari sistemi di Ottica Adattiva, tra cui quello dell’ESO VLT [6]. Di seguito sono riportati i parametri tipici di uno specchio deformabile bimorfe [11].
Numero di Attuatori 13-85 Dimensione dello specchio 30-200 mm
Geometria Radiale
Tensione Poche centinaia di Volts
Frequenza di risonanza Oltre 500 Hz
Costo Medio Tabella 2.2: Caratteristiche tecniche tipiche di uno specchio bimorfe.
Qui sotto (Figura 2.9) un’immagine della parte sottostante di uno specchio bimorfe.
Figura 2.9: Specchio deformabile bimorfe.
2.2.3 Il Futuro degli Specchi Deformabili
Con l’aumento delle dimensioni dei diametri dei telescopi è necessario introdurre nuove tecnologie per lo sviluppo di specchi deformabili. Per correggere le turbolenze dell’atmosfera in telescopi con diametro dai 30 ai 100 metri, sarebbero necessari specchi con 10.000-100.000 attuatori [11].
Una soluzione per la realizzazione di specchi di questo tipo risiede nei MOEMS (Micro-Opto-Electro-Mechanical Systems), realizzati tramite microlitografia, dove minuscoli specchi sono mossi da forze elettrostatiche. Oltre al problema delle ridotte dimensioni di questi specchi, esiste anche quello della scarsa deformazione che con essi si riesce a raggiungere [11].
Un’altra soluzione per il controllo della fase della luce, e quindi della qualità dell’immagine, è l’uso di cristalli liquidi, fino ad oggi limitati dalla loro lentezza nel rispondere ai segnali. Ad oggi questo problema sembra risolto anche se permangono altri problemi come lo spostamento che questi possono introdurre, troppo piccolo, e la loro dipendenza dalla lunghezza d’onda [11].
2.3 Analisi del Fronte d’Onda
Una parte cruciale nella realizzazione dell’Ottica Adattiva è rappresentata dal sensore di forma d’onda: più precisa è l’analisi più precisa sarà la correzione apportata all’immagine visualizzata e meglio saranno compensate le aberrazioni atmosferiche.
Come detto nel paragrafo introduttivo di questo Capitolo, i metodi per l’analisi del fronte d’onda sono principalmente tre, e verranno adesso esposti.
2.3.1 Shack-Hartmann Wave-Front Sensor
(S-H WFS)
L’approccio di questo metodo è completamente geometrico. Il fronte d’onda che arriva viene proiettato su un array bidimensionale di lenti (una gruppo di lenti identiche), ognuna delle quali copre una parte (chiamata sub-pupilla) dell’intera apertura del telescopio.
Come si vede in Figura 2.10, se arriva un fronte d’onda piano, l’array di lenti proietta un’immagine ad una distanza F (distanza del piano focale delle lenti) allineando i centroidi del fascio secondo una griglia costituita da 4 sensori che vanno a misurare l’intensità della luce incidente: in questo caso la distribuzione sarà uniforme. Viceversa, se il fronte d’onda incidente non è piano, ogni lente riceverà un fronte inclinato diversamente rispetto agli altri, portando ad un disallineamento dei punti proiettai rispetto al reticolo precedente [13].
Figura 2.10: Sistema di Shack-Hartmann in due situazioni diverse: fronte d’onda piano a sinistra, fronte d’onda ondulato a destra. Le
quad-cell sono matrici di sensori.
La posizione dei centroidi dell’immagine nelle due direzioni ortogonali x e
y, è proporzionale all’inclinazione media del fronte su ogni sottoapertura.
Il sistema Shack-Hartmann misura proprio questa inclinazione. Si capisce come la risoluzione dipenda dalla dimensione delle sottoaperture: più sono piccole più riusciamo a isolare le variazioni di inclinazione del fronte. Una buona caratteristiche di questo sistema è che la pendenza non dipende dalla lunghezza d’onda, e quindi risulta un sistema non cromatico. Inoltre è anche possibile misurare sorgenti non puntiformi. Ad esempio se Φ
( )
rG rappresenta la fase del fronte d’onda, l’inclinazione lungo l’asse x è ottenuta mediante la seguente formula:( )
2 * sottoaperture x r x dr S rλ
π
∂Φ = ∂∫
GG G (2.1) dove S è l’area di una sottoapertura [13]. La stima delle pendenze x e y sono ottenute dalle seguenti espressioni:, , , , , i j i j i j i j i j x I x I =
∑
∑
(2.2) , , , , , i j i j i j i j i j y I y I =∑
∑
(2.3)dove I è l’intensità della luce che colpisce ogni rilevatore [13]. In base a questi valori sarà quindi possibile ricostruire un fronte d’onda piatto.
Riferendoci alla figura 2.10 possiamo andare a definire le seguenti grandezze: 2 4 3 1 2 4 3 1 ( ) ( ) ( ) ( ) x I I I I S I I I I + − + = + + − (2.4) 2 1 3 4 2 4 3 1 ( ) ( ) ( ) ( ) y I I I I S I I I I + − + = + + − (2.5)
dove Ii indica l’intensità della luce sull’i-esimo elemento della cella. In assenza di aberrazioni risulterà Sx=0 e Sy=0. Nel momento in cui fossero diversi da zero, è importante sapere che il valore di scostamento è proporzionale alla derivata spaziale locale del fronte d’onda incidente, divisa per la larghezza spaziale della sub-apertura [13].
2.3.2 Pyramid Wave-Front Sensor (P-WFS)
Il sistema è costituito da due lenti convergenti L1 ed L2 e da una piramide a base quadrata trasparente posta nel piano focale della prima lente.
Il principio di funzionamento di questo sistema si rifà al ben noto test del coltello di Focault (Figura 2.11).
Figura 2.11: Test del coltello di Focault nel caso di fronte privo di aberrazioni. In a) il coltello è perfettamente nel piano focale; in b) è prima del fuoco per cui i raggi inferiori vengono riflessi; in c) è dopo il
piano focale per cui vengono deviati quelli superiori.
Si pone un filtro spaziale (il coltello) sul fuoco nominale di una lente, posta sulla pupilla del sistema ottico e si va a fare l’immagine della stessa grazie alla seconda lente. Se il fronte è affetto da aberrazioni ci saranno delle disomogeneità delle distribuzioni d’intensità della luce (Figura 2.12).
Figura 2.12: Fronte d’onda affetto da aberrazione e immagine equivalente sulla pupilla: da notare la non omogeneità dell’intensità
della luce in quanto i raggi superiori vengono riflessi.
In base a questo principio, se si sostituisce al posto del coltello un prisma con il vertice posto sul piano focale, ovvero dove prima c’era il coltello, si ottiene un doppio filtro e quindi le immagini sul piano di rilevazione saranno due, come mostrato in Figura 2.13.
Figura 2.13: In alto, se il fronte non è aberrato si avrà un’immagine sulla pupilla omogenea; in basso le immagini sono invece speculari in quanto
La piramide, in regime di ottica geometrica, risulta come due prismi posizionati con spigoli ortogonali, e con il vertice sul piano focale di L1 per cui quello che si ottiene, è una divisione della luce, che formerà quattro immagini distinte della pupilla (Figura 2.14): analogamente al sistema precedente la luce verrà proiettata su 4 sensori (generalmente CCD) che ne misureranno l’intensità [13].
Figura 2.14: Principio di funzionamento di un P-WFS.
Sia W il fronte aberrato e W0 il fronte teorico privo di aberrazioni. La pupilla è posta nella posizione della lente L1. L’angolo θ è l’angolo che si forma tra i raggi provenienti dal punto P(x,y) sul fronte aberrato, ed il raggio proveniente dal fronte non aberrato, che converge verso il vertice della piramide. ∆η è la distanza del primo raggio dal vertice. Come si vede in Figura 2.14 l’immagine del punto P verrà deviata su uno dei quattro sensori sul piano di rilevazione, indicando di conseguenza la pendenza del fronte in quel punto [13]. Considerando l’insieme dei punti costituenti il fronte d’onda, le immagini dei 4 pixel risulteranno diversamente illuminate e da questo sarà possibile risalire all’inclinazione del fronte.
I vantaggi di questa tecnica sono principalmente tre [14]:
• a livello tecnico, non c’è la presenza dell’array di lenti come nel caso precedenti. Le sub-aperture sono determinate direttamente
dalle camere CCD o, volendo, dai sensori SPAD. Questo significa che per stelle deboli il numero delle sub-aperture può essere ridotto, in modo da ampliare la superficie dei CCD e quindi acquisire più luce [7]; nel caso degli SPAD, invece, è necessario operare con l’area attiva disponibile più grande (come descritto nel Capitolo 1), in modo che riesca ad acquisire più fotoni.
• l’ampiezza del tremolio della stella può essere compensata cercando un compromesso tra la sensibilità (meno tremolii) e la linearità (più tremolii);
• infine, è possibile (in linea di principio) piazzare più piramidi nel piano focale del telescopio, in modo da combinare la luce da più stelle guida su un singolo rivelatore.
Nonostante l’interesse generale, per adesso non ci sono sistemi di Ottica Adattiva che sfruttino il segnale proveniente da un sensore di forma d’onda di questo tipo [14].
2.3.3 Sensore di Curvatura (CS)
In questo caso, l’obiettivo del sensore è misurare la deviazione del fronte d’onda ricevuto dal piano focale del telescopio: se l’immagine è prima del fuoco si parla di immagine intrafocale; se è dopo di immagine extrafocale (Figura 2.15).
Figura 2.15: Schema delle grandezze fondamentali nei CS: f è la distanza del piano focale; l la distanza dei piani intra ed extra focali.
A livello ottico, l’immagine intrafocale sarà più brillante nelle regioni con una curvatura positiva, più scura nelle regioni con curvatura negativa; viceversa per l’immagine extrafocale [15]. Una schematizzazione di ciò che è stato appena esposto è mostrata in Figura 2.16. Nel nostro caso le regioni più brillanti avranno raccolto un maggior numero di fotoni, viceversa quelle più scure.
Figura 2.16: Sensore di curvatura: immagini extrafocali e intrafocali rispetto ad un fronte d'onda curvo con relativa variazione di luminosità.
Inoltre, l’immagine extrafocale sarà la relativa, ma con luminosità opposta, a quella intrafocale e quindi, indicativamente sarebbe possibile compensare la curvatura mediante lo studio di una sola delle due immagini. Per avere prestazioni migliori si possono però sfruttare entrambe [15].
In questo modo, infatti:
a) c’è una compensazione automatica degli errori di sistema come la variazione dell’efficienza quantica2;
b) si riesce a compensare lo scintillio dell’atmosfera;
c) l’algoritmo di controllo è relativamente semplice: muovere gli specchi deformabili finché la differenza di intensità non è nulla.
Per ottenere il segnale misurato dal confronto delle due immagini, consideriamo la propagazione del campo elettrico del fronte d’onda e indichiamo con z la direzione di propagazione (dalla lente al piano focale) e con x e y le altre due direzioni, ortogonali a z. Il fasore del campo,
E(x,y,z), è la radice quadrata dell’intensità I(x,y,z) moltiplicata per il fasore
complesso della fase del fronte d’onda ( , , )φ x y z :
( , , )
( , , ) ( , , ) * ik x y z
E x y z = I x y z e φ (2.6)
dove k è il numero d’onda 2π
λ . La propagazione di questo campo
su brevi distanze è definita dall’equazione di trasporto d’irradiazione [15]:
2 0 I I I z
φ
φ
∂ ∇ ⋅∇ + ∇ + = ∂ (2.7) dove x y ∂ ∂ ∇ = + ∂ ∂ e il laplaciano 2 2 2 2 2 x y ∂ ∂ ∇ = + ∂ ∂ .2 Parametro espresso in termini percentuali che esprime il rapporto tra il numero di
fotoni incidenti ed il numero totale di fotoni rilevati. Ovvero la percentuale di fotoni complessivamente rilevati.
L’ultimo termine dell’equazione rappresenta il cambiamento dell’intensità in funzione della direzione di propagazione. Il cambiamento nell’intensità è il risultato della somma dei due termini rimasti:
• ∇ è la derivata seconda del fronte d’onda, ovvero la sua 2φ
curvatura;
• I∇ ⋅∇ è l’inclinazione del fronte, che risulta significativa φ
dove l’intensità varia rapidamente, ovvero ai bordi della pupilla del telescopio.
La variazione dell’intensità tra i piani intra ed extra focali è dovuta alla curvatura del fronte d’onda sulla pupilla, e all’inclinazione dello stesso ai bordi [15]. Vediamo come questo segnale sia utile per l’Ottica Adattiva ed in particolare nel nostro sistema, progettato appunto per funzionare con segnale di curvatura.
Indichiamo con I1 l’intensità della luce dell’immagine intrafocale ad una distanza l dal piano focale e con I2 quella dell’immagine extrafocale, sempre ad una distanza l. Consideriamo il vettore
r
ρ
indicante le coordinate x ed y sul piano z dell’immagine e sia f la distanza tra la lente ed il piano focale. Francois Roddier, primo a studiare un sistema di Ottica Adattiva basata su sensori di curvatura, ha pensato di sfruttare un’approssimazione dell’ottica geometrica per ottenere il segnale di curvatura [15]: 2 1 2 2 1 ( ) 2 c I I f f r r f f l r r C r l l n l I I r r ρ ρ ρ ρ ρ λ φ φ δ ρ ρ π − − − ∂ = = ∇ − ∂ + − (2.8)
dove C è il segnale di curvatura, f la lunghezza focale del telescopio,
n
∂ ∂ è la derivata lungo la normale alla direzione di puntamento, δcè l’impulso
misurata esclusivamente sui bordi della pupilla (infatti è una derivata prima), la curvatura esclusivamente nella parte centrale. La formula sopra può essere ricondotta facilmente al segnale di curvatura richiesto nelle specifiche del progetto SPADA ed esposte nel Capitolo 1:
A B C A B − = + (2.9)
Un esempio del modo in cui un sensore di curvatura effettua le misure di inclinazione sul bordo, è mostrato in Figura 2.17, che evidenzia il comportamento di un fronte d’onda piatto ma inclinato rispetto al piano focale.
Figura 2.17: Intensità dell’immagine di un fronte d’onda piatto ma inclinato rispetto al piano focale (a sinistra): le zone nere rappresentano una curvatura negativa, le bianche una positiva e le grigie una curvatura
nulla (a destra).
Un’immagine più chiarificatrice è la Figura 2.18 che mostra, invece, una simulazione al computer di un segnale di curvatura. Visto che questo sistema è quello utilizzato nella nostra applicazione vediamo di approfondire meglio il tutto.
Un modo per implementare un sensore di curvatura potrebbe essere quello di dividere la luce incidente in due parti di cui una, quella intrafocale, andrebbe ad un sensore, l’altra, quella extrafocale, ad un altro. Comunque sarebbe meglio avere un solo sensore che rilevi entrambe le immagini, in modo da rimuovere gli errori sistematici come l’efficienza quantica. Il problema principale risiede nel fatto che il sensore dovrebbe acquisire le immagini simultaneamente, dove per simultaneamente
intendiamo più velocemente rispetto alle distorsioni del fronte d’onda o dei cambiamenti dello scintillio dell’atmosfera [15].
Figura 2.18: Simulazione al computer di un segnale di curvatura: a) distorsione del fronte d’onda; b) immagine intrafocale; c) immagine extrafocale; d) segnale di curvatura; e) segnale di curvatura mappato su
60 subaperture.
Per risolvere questo problema entra in gioco il sistema sviluppato in questa tesi: visto che risulta impraticabile tentare di muovere un rilevatore di dimensioni anche elevate tra i due piani a frequenze superiori ad 1 kHz, si sfrutta una membrana di specchi oscillante tra i due piani intra ed extra focali, comandata da una sinusoide a frequenza variabile tra 1,5 kHz e 3 kHz.
La relazione tra il piano di rilevazione e l’immagine fuori fuoco può essere spiegata con l’aiuto dell’ottica geometrica (Figura 2.19).
Figura 2.19: Analisi del sensore di curvatura tramite ottica geometrica: a) membrana piatta, b) membrana concava, c) membrana convessa.
L’immagine a) mostra il sensore di curvatura quando la membrana è piatta (praticamente come avere un fronte incidente piatto). Se tracciamo i raggi da un punto della pupilla verso il piano di rilevazione, troviamo che su quest’ultimo l’immagine è esattamente la coniugata. Con la membrana concava, ovvero che agisce come una lente convergente con una lunghezza focale indicata con fm (caso b) ), sul piano di rilevazione
vediamo la coniugata dell’immagine sul piano intrafocale alla distanza fm. L’opposto, mostrato nella figura c), avviene nel caso di lente convessa: stavolta si vedrà l’immagine sul piano extrafocale, sempre a distanza fm. Praticamente ciò che si osserva sul piano di rilevazione è stabilito dalla lunghezza focale definita dalla posizione della membrana riflettente costituente lo specchio[15].
Vediamo come valutare la deformazione introdotta dalla sinusoide e come utilizzarla per modificare la lunghezza focale della membrana. Consideriamo la Figura 2.20 in cui si può vedere una sezione della geometria sferica della membrana.
Figura 2.20: Geometria della membrana riflettente. È evidente che:
(
)
2 2 2 2 d r = r h− + (2.10)dove r è il raggio di curvatura della membrana, d il diametro della membrana e h l’ampiezza istantanea. La precedente può essere scritta come: 2
2 8
h d
r
h
= +
. (2.11)La lunghezza focale della membrana è il doppio del suo raggio di curvatura, nel caso di specchio sferico [15] (il fuoco è il punto dove
convergono i raggi, dopo la riflessione, provenienti dall’infinito) e quindi si ottiene: 2 4 m d f h h = + (2.12)
Tipicamente h è molto più piccolo di d e fm e quindi è possibile trascurare il primo termine. Se indichiamo con Amp la massima ampiezza della vibrazione della membrana e con υ la sua frequenza allora
( )
*sin 2(
)
h t =Amp πυt e la lunghezza focale in funzione del tempo diviene:
( )
2(
)
min 4 *sin 2 sin(2 ) m f d f t Amp πυt πυt = = (2.13) dove min 4 2 d f Amp= è la lunghezza focale minima della membrana [15].
Figura 2.21: Lunghezza focale (linea continua) e ampiezza della membrana (linea tratteggiata) in funzione del tempo.
La Figura 2.21 mostra un grafico dell’ampiezza della membrana e della lunghezza focale in funzione del tempo. Come si vede la funzione della
lunghezza focale è radicalmente diversa dalla sinusoide. Il piano di rilevazione viene zoomato molto rapidamente rispetto al piano della pupilla. Valori tipici delle membrane utilizzate con sistemi questo tipo sono: d=10 mm, fm=25cm, A=100 µm [15].
2.4 Sviluppo dell’Ottica Adattiva
A questo punto è possibile avere una visione d’insieme del sistema di gestione dell’Ottica Adattiva basato sul calcolo della curvatura del fronte d’onda. In Figura 2.22 è mostrato uno schema a blocchi dei vari passaggi da eseguire per applicare la correzione, il tutto riferito al sistema sviluppato per il progetto SPADA.
Figura 2.22: Schema a blocchi delle operazioni per gestire l'Ottica Adattiva. Il blocco in nero racchiude le parti sviluppate dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione; in verde la parte sviluppata dal Politecnico di Milano; in blu lo specchio deformabile e gli attutori, montati sul telescopio; in tratteggiato le parti che potrebbero
All’arrivo del fronte aberrato, il sensore SPADA sviluppato a Milano (blocco verde) rileva i fotoni che vengono contati dai ricevitori della Data Processing Board (blocco amaranto) su finestre di acquisizione impostabili; saranno poi 60 contatori, impostati via hardware sull’ FPGA (blocco giallo), a memorizzare i risultati delle acquisizioni.
A questo punto entra in gioco la sezione gestita dal DSP (blocchi rossi) che provvede alla generazione della sinusoide (i cui parametri sono impostabili su un’interfaccia LabView) necessaria per determinare il segnale di curvatura. In base alla sinusoide che impostiamo, infatti, vengono stabiliti gli intervalli temporali (di durata
2
Sinusoide
T
) in cui contare alternativamente A e B, dai quali calcoleremo poi il segnale di curvatura C, secondo la formula (2.9). In realtà, essendo i sensori 60, possiamo calcolare i vari A1, A2, A3,….A60 e B1, B2, B3,….B60 dai quali ricaveremo i relativi C1, C2, C3,….C60 ,ovvero le curvature locali del fronte. In base alle attuali specifiche di progetto è sufficiente fornire questi segnali in uscita, in modo che un sistema di comando degli attuatori possa deformare opportunamente lo specchio. In Figura, tale anello di reazione è tratteggiato in quanto in futuro potrebbe essere facilmente implementato indipendentemente dal telescopio che integrerà il nostro sistema: conoscendo il numero di attuatori, nonché il sistema meccanico che li fa muovere, è possibile legare i segnali di curvatura alle deformazioni locali da applicare tramite gli attuatori stessi.
La sinusoide o meglio i campioni in formato PCM generati dal DSP in base ai parametri impostati dall’utente, vanno ad una scheda audio che fornisce in uscita la sinusoide, muovendo di conseguenza lo speaker e modificando il piano focale del telescopio. Il controllo sugli attuatori, infatti, avviene dalla combinazione dei due segnali appena descritti: la sinusoide sposta il piano focale calcolando la curvatura istantanea del fronte, in base alla quale il sistema di controllo degli attuatori modificherà la forma dello specchio. A questo punto, comunque, essendo l’aberrazione atmosferica decisamente dinamica, è necessario eseguire nuovamente la
misura dei segnali di curvatura: lo specchio, ora deformato, continuerà a spostarsi tra i piani focali eseguendo continuamente la misura. Dopo vari passi iterativi l’immagine visualizzata sul monitor dovrebbe essere finalmente nitida e priva di distorsioni. È possibile anche pensare di far eseguire le operazioni di analisi del fronte ad uno specchio (la membrana riflettente) e deformarne un altro che rifletterà l’immagine verso un sistema di visualizzazione.
In Figura il blocco in nero racchiude le parti e l’hardware sviluppati dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto SPADA. Nei prossimi Capitoli verrà descritto sia l’hardware utilizzato sia la parte software e firmware di gestione.