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La formazione dell’ordine del giorno

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Academic year: 2022

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Linee guida per il funzionamento e l’organizzazione dei Consigli Giudiziari e del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione.

(delibera 13 maggio 2020)

“Il Consiglio Superiore della Magistratura, osserva:

I. Considerazioni introduttive.

Il Consiglio Superiore, nell’ambito della periodica attività di monitoraggio sugli assetti organizzativi dei Consigli Giudiziari, ha ritenuto di procedere a una rinnovata ricognizione dei regolamenti da essi adottati.

L’esito di questa indagine restituisce il dato di un processo di autoregolamentazione ancora disomogeneo nei contenuti, permanendo, tra i vari regolamenti, una diversità di disciplina in relazione all’organizzazione, al funzionamento degli organi di autogoverno locale e alle modalità di svolgimento delle attività loro rimesse.

Quanto sopra sollecita il Consiglio Superiore, titolare del potere di coordinamento, organizzativo e funzionale, ad un nuovo intervento che, in continuità con i precedenti atti consiliari e nel rispetto dell’autonomia riconosciuta ai Consigli giudiziari, vuole fornire criteri omogenei di interpretazione, finalizzati ad assicurare, su talune materie, una maggiore uniformità dei rispettivi regolamenti.

Gli istituti in relazione ai quali appare necessario formulare linee guida attengono: ai criteri di formazione dell’ordine del giorno, al regime di pubblicità delle attività consiliari (pubblicità dell’ordine del giorno, delle sedute e dei verbali delle riunioni), al cd. diritto di tribuna, alle ipotesi di incompatibilità, astensione e ricusazione dei componenti, ai criteri di sostituzione dei membri di diritto, ai poteri istruttori, generali e relativi alle pratiche in materia di valutazioni di professionalità, conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi e relative conferme.

II. Linee guida.

II.1. La formazione dell’ordine del giorno.

Tutti i regolamenti prevedono che l’ordine del giorno sia predisposto con congruo anticipo rispetto alla data della seduta e che, dopo la formazione, sia comunicato a tutti i componenti del Consiglio giudiziario e reso pubblico con le forme e nei contenuti che saranno di seguito meglio illustrati.

La formazione dell’ordine del giorno è di regola improntata a criteri oggettivi, con prevalenza di quello cronologico, e cioè, di arrivo delle pratiche presso la segreteria.

La ratio sottesa a questa regola organizzativa è quella di seguire, nella trattazione degli affari, un ordine oggettivo e predeterminato, di consentire a tutti i componenti e agli aventi diritto di consultare preventivamente gli atti, di garantire a chiunque sia titolare di un interesse qualificato di far pervenire in tempo utile osservazioni e contributi.

Quasi tutti i regolamenti contemplano poi correttivi per il caso in cui vi sia la necessità di trattare un affare urgente, prevedendo che questo possa essere inserito dal Presidente nell’ordine del giorno anche dopo la sua comunicazione e pubblicazione.

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Per contemperare la necessità di assicurare trattazione prioritaria alle pratiche connotate da urgenza con la tutela delle esigenze sottese alle ordinarie regole di formazione e pubblicità dell’ordine del giorno, quale criterio di indirizzo, si segnala l’opportunità di tipizzare i casi di urgenza, sicuramente ricorrenti quando, ad esempio, vi sia una segnalazione del Consiglio Superiore o si imponga il rispetto di un termine, garantendo, anche in questi casi, nei limiti della compatibilità, la pubblicità dell’ordine del giorno aggiunto. Soprattutto nei casi in cui l’urgenza non risulti connessa alle evenienze sopra indicate, appare, inoltre, corretta la regola, prevista da alcuni regolamenti, di rinviare la trattazione della pratica ad altra seduta, da tenere entro un termine congruo, quando una minoranza qualificata dei consiglieri (ad esempio il quinto dei presenti) ne faccia richiesta.

II.2. Il regime di pubblicità delle attività dei Consigli giudiziari.

In coerenza con l’indirizzo espresso dal Consiglio Superiore con la delibera del 25 gennaio 2007 (“Nota in data 4 ottobre 2005 del Consiglio giudiziario presso la Corte di Appello di XXX concernete un quesito posto dalla sua Commissione per il Regolamento interno, in materia di pubblicità delle sedute”) secondo cui, nel quadro di un ordinamento democratico, anche per i Consigli giudiziari la pubblicità rappresenta la regola e la segretezza l’eccezione, in molti regolamenti è previsto che siano pubblici l’ordine del giorno, le sedute e i verbali, pur con l’introduzione di limitazioni funzionali alla tutela di ragioni di segretezza e alla salvaguardia della riservatezza dei magistrati, nel rispetto dei principi applicabili in materia di privacy.

II.2.1. Le forme di pubblicità dell’O.d.G.

Nella gran parte dei regolamenti dei Consigli giudiziari è previsto che l’ordine del giorno, oltre che ai componenti, sia comunicato (con deposito presso la Segreteria del Consiglio giudiziario, con trasmissione a mezzo posta elettronica, con pubblicazione sul sito web del Consiglio giudiziario o sul sito internet www.giustizia.it) a tutti i dirigenti e ai magistrati del distretto, ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati del distretto e ai Giudici di Pace per le pratiche relative alla Sezione autonoma a questi relativa.

Alcuni regolamenti dispongono che l’ordine del giorno non debba contenere il nome dei relatori, altri, invece, ne prescrivono l’indicazione in ogni caso ovvero solo in quello inviato ai componenti dei Consigli giudiziari.

Difformità tra i vari regolamenti sono, altresì, ravvisabili quanto alle eccezioni introdotte al principio della pubblicità dell’ordine del giorno: alcuni, infatti, non prevedono eccezioni, altri, invece, le contemplano in relazione a pratiche in cui vengono in rilievo ragioni di sicurezza, di segretezza delle indagini penali, di tutela dei dati sensibili, della dignità e del diritto alla riservatezza dei magistrati, della sicurezza dei magistrati, degli edifici, degli impianti e dei servizi.

II.2.2. La pubblicità delle sedute.

La pubblicità delle sedute aventi ad oggetto la trattazione di pratiche concernenti questioni organizzative o generali è riconosciuta in quasi tutti i Regolamenti, tra i quali, tuttavia, sussistono diversità quanto ai soggetti estranei ammessi a parteciparvi (di norma identificati nei magistrati del distretto, negli avvocati o appartenenti al mondo accademico) e ai casi in cui la regola della pubblicità è derogata.

Le limitazioni più ricorrenti al principio della pubblicità delle sedute sono riconnesse ai casi in cui vengono in rilievo esigenze di segretezza, di sicurezza dei magistrati o degli impianti, di tutela dei dati sensibili, questioni disciplinari o paradisciplinari; in alcuni regolamenti è poi espressamente esclusa la pubblicità delle sedute quando siano trattate pratiche aventi ad oggetto pareri relativi alle valutazioni di professionalità, al conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, alle conferme, alle incompatibilità, al tramutamento di funzioni, al conferimento delle funzioni ai magistrati ordinari in tirocinio.

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II.2.3 La pubblicità dei verbali delle sedute.

Il quadro delle disposizioni dei regolamenti che involgono aspetti concernenti il profilo della pubblicità delle attività dei Consigli giudiziari è completato da quelle attinenti al regime di pubblicità dei verbali.

Anche in relazione a questo profilo sussiste disomogeneità tra i vari regolamenti: alcuni non contengono previsioni al riguardo; altri prevedono la pubblicità dei verbali senza distinzione ovvero di quelli relativi solo ad alcune pratiche (tabelle, applicazioni, supplenze, vigilanza sull’andamento degli uffici), con l’indicazione o l’omissione del nome del relatore.

Le modalità attraverso le quali i verbali sono resi pubblici variano: in alcuni regolamenti è previsto che essi siano trasmessi ai capi degli uffici e a tutti i magistrati del distretto; in altri, invece, è operata una distinzione tra i verbali e le delibere concernenti le materie trattate dal Consiglio giudiziario in composizione ordinaria, per i quali, di norma, è utilizzata quest’ultima forma di pubblicità, e i verbali e le delibere concernenti le altre materie, per i quali la pubblicità è assicurata consentendo l’accesso o il rilascio di copia del verbale depositato nella segreteria del Consiglio giudiziario ai soli magistrati, in qualche caso agli avvocati e professori universitari, riservando il potere di autorizzare l’accesso o il rilascio di copie solo alcuni regolamenti al Presidente del Consiglio giudiziario, talvolta previo parere del Consiglio giudiziario.

In alcuni regolamenti è poi precisato che non possono mai essere resi pubblici i pareri, in altri è, invece, consentito richiedere l’accesso o il rilascio di copie ai magistrati, agli avvocati e ai professori universitari.

Di norma nei regolamenti che prevedono la pubblicità dei verbali e delle delibere sono introdotte limitazioni laddove ricorrano esigenze di tutela della dignità e di riserbo della persona interessata dalla pratica, ovvero di sicurezza dei servizi e degli impianti, di salvaguardia del segreto dell’indagine penale, di tutela della riservatezza della vita privata del magistrato o di dati sensibili del magistrato o di terzi.

Con riguardo al complessivo regime di pubblicità dei lavori dei Consigli Giudiziari, occorre raccomandare che ne sia verificata la compatibilità con le rilevanti novità intervenute nel settore della tutela dei dati personali per effetto della diretta applicabilità, a far data dal 28 maggio 2018, del Regolamento UE n. 2016/679 e delle modifiche che, in attuazione di quest’ultimo, il D.Lgs. n.

101/18 ha apportato al D.Lgs. n. 196/03; quanto al cd. diritto di tribuna (scelta di accordare ai componenti laici la facoltà di partecipare alle sedute in composizione ristretta, riconosciuta da alcuni Consigli Giudiziari), appare opportuno che i Consigli Giudiziari effettuino un’attenta valutazione sul riconoscimento dello stesso, attesa l’assenza di un dato normativo primario.

II.3. Astensione e ricusazione dei componenti del Consiglio Giudiziario.

II.3.1. L’astensione.

Pur in assenza di una normativa di settore, la giurisprudenza amministrativa ritiene pacificamente applicabili all’attività amministrativa gli istituiti dell’astensione e della ricusazione, che trovano un riconoscimento diretto nel dovere di imparzialità sancito nell’art. 97 Cost., recepito e sviluppato dalla L. n. 241/1990, dapprima nell’art. 1 e, successivamente, nell’art. 6 bis), nonché nelle norme settoriali, in particolare, negli artt. 51, co. I e II, e 52 c.p.c., che, sebbene valevoli in ambito processuale, costituiscono, comunque, espressione di principi generali.

In considerazione della finalizzazione dell’attività amministrativa al perseguimento di un interesse pubblico, nei procedimenti amministrativi, il principio di imparzialità è tuttavia declinato in termini diversi dalla terzietà o neutralità che rileva nell’ambito esercizio della funzione giurisdizionale. Pertanto, le cause che possono determinare l’obbligo di astensione nell’ambito dei procedimenti amministrativi attengono prevalentemente a rapporti, posizioni o situazioni che potrebbero influire sulla regolarità delle pubbliche funzioni, per un potenziale o effettivo conflitto tra l’interesse personale e l’interesse pubblico, ovvero per il pericolo di coincidenza di interessi tra il componente e le persone unite allo stesso da vincoli di parentela, affinità, ecc., operando, in queste ipotesi, la presunzione che lo stesso non si determini alla decisione con la dovuta serenità.

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Tanto premesso, deve sottolinearsi che non tutti i regolamenti contengono specifiche previsioni in tema di astensione e che, tra quelli che disciplinano detto istituto, si possono constatare regole differenti quanto all’individuazione dei presupposti e all’organo competente a decidere in ordine alla relativa istanza.

In un’ottica di armonizzazione delle modalità operative dei Consigli giudiziari e in continuità con il percorso che questi hanno da tempo intrapreso, orientato a conformare il loro operato ai principi di indipendenza, imparzialità e trasparenza, sarebbe opportuno che nei regolamenti fosse prevista una specifica disciplina delle astensioni (individuandone i presupposti sulla base delle coordinate elaborate dalla giurisprudenza amministrativa) e dei criteri di riassegnazione degli affari per il caso di autorizzazione all’astensione. Appare, inoltre, preferibile la scelta di rimettere al Presidente la decisione in ordine all’istanza di astensione, per evidenti ragioni di simmetria con l’analoga competenza attribuita al Capo dell’Ufficio giudiziario in ordine alle astensioni dichiarate in ambito processuale.

II.3.2. Ipotesi particolari di astensione.

Nell’ambito delle situazioni, almeno potenziali, di conflitto di interessi, opportunamente alcuni regolamenti hanno conferito autonomo rilievo all’ipotesi in cui il componente abbia adottato l’atto da valutare e/o sia destinatario della decisione, prevedendo che lo stesso, in questi casi, non possa partecipare alla trattazione della pratica e al voto.

In una siffatta situazione possono versare, con frequenza, i componenti del Consiglio giudiziario che siano titolari di incarichi direttivi, nonché i capi di Corte e, particolarmente, il Presidente del Consiglio giudiziario.

A quest’ultimo riguardo deve evidenziarsi che i regolamenti, generalmente, escludono che i capi di Corte siano relatori di pratiche.

Fanno eccezione pochi regolamenti che, con riguardo a pratiche relative a magistrati componenti del Consiglio giudiziario, individuano i capi di Corte come relatori secondo un criterio di assegnazione ‘invertito’: il Procuratore Generale è relatore delle pratiche riguardanti i componenti che svolgono funzioni giudicanti, il Presidente della Corte di Appello delle pratiche riguardanti il componente che svolge funzioni requirenti.

A ben vedere, dunque, di norma, rispetto ai capi di Corte, un problema di ‘incompatibilità’

nell’assegnazione degli affari, in astratto, neppure può porsi.

Al contrario, se è residuale l’ipotesi che i capi di Corte siano personalmente destinatari degli effetti della delibera del Consiglio giudiziario (come, ad esempio, nel caso in cui chiedano l’autorizzazione allo svolgimento di un incarico extragiudiziario o debbano essere valutati), nel qual caso è indubbio che debbano astenersi dalla trattazione della pratica per la ricorrenza di una situazione di conflitto di interesse, è, invece, molto frequente che essi abbiano adottato atti oggetto di diretta valutazione da parte del Consiglio giudiziario (così quelli incidenti sull’organizzazione dei loro uffici) o che confluiscono nella fase endoprocedimentale di competenza del Consiglio giudiziario (così quelli riguardanti le valutazioni professionali dei magistrati appartenenti alla Corte di Appello o alla Procura Generale), in tali casi non vi è obbligo di astensione, salvo le ipotesi in cui si profili una situazione, anche solo potenziale, di conflitto di interessi (come, ad esempio, nel caso in cui siano presentate osservazioni, ovvero siano poste in votazione proposte contrapposte) .

Analoga situazione può determinarsi nel caso in cui i componenti del Consiglio giudiziario abbiano la qualifica di dirigenti.

Un giusto contemperamento tra l’esigenza di garantire la piena partecipazione alle attività del Consiglio giudiziario e quella di evitare situazioni, reali o apparenti, di appannamento dell’imparzialità nelle decisioni, potrebbe essere realizzato prevedendo che i dirigenti degli uffici giudiziari e i Capi di corte (componenti di diritto):

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- nelle pratiche in cui siano in valutazione atti, in specie di carattere organizzativo, da essi direttamente adottati abbiano il dovere di astenersi;

- nelle pratiche aventi ad oggetto atti da loro non direttamente adottati, ma rispetto ai quali hanno un potere di proposta, non siano tenuti ad astenersi;

- nelle altre pratiche in cui abbiano adottato un atto della fase endoprocedimentale di competenza del Consiglio giudiziario, debbano astenersi solo nel caso in cui si profili una situazione, anche solo potenziale, di conflitto di interessi.

II.3.3. La ricusazione.

La ricusazione, non disciplinata nei regolamenti, è stata ritenuta ammissibile dal Consiglio Superiore nei procedimenti di competenza dei Consigli giudiziari, purché rivolta nei confronti dei singoli componenti e non dell’intero consesso (v. delibere del 3 luglio 2013 -“Procedura per il rilascio del parere in ordine alla dichiarazione d'idoneità al conferimento delle funzioni direttive superiori ove il Consiglio giudiziario sia stato ricusato nella totalità dei suoi componenti”- e del 5 marzo 2014 -“ Nota pervenuta in data 14 novembre 2014 con la quale la Quarta Commissione ha trasmesso il fascicolo relativo al ricorso proposto dal dott…..per la ricusazione del dott. ….nella sua attuale qualifica di Presidente del Tribunale di ….- attesa la sua ritenuta incompatibilità allo svolgimento nei confronti del ricorrente delle specifiche competenze amministrative collegate all’incarico direttivo ricoperto”-) .

L’organo competente a decidere in ordine all’istanza di ricusazione era stato individuato nel Consiglio superiore, sul presupposto dell’esclusiva appartenenza a quest’ultimo del potere di definire le procedure in relazione alle quali il Consiglio giudiziario svolge attività istruttorie o consultive (così espressamente la delibera del 5 marzo 2014).

Tale approdo interpretativo merita, probabilmente, di essere rivisto, deponendo una pluralità di argomenti in favore della correttezza della diversa soluzione di ritenere che la competenza spetti direttamente ai Consigli giudiziari.

Innanzitutto, secondo un principio generale rispondente alle esigenze di buona amministrazione di cui all’art. 97 C., nel silenzio della legge, ogni amministrazione deve ritenersi implicitamente titolare dei poteri, funzionali all’adeguata realizzazione degli scopi normativamente ad essa assegnati, pena un inammissibile ostacolo alla prosecuzione dell’iter amministrativo di competenza.

Inoltre, a partire dalla delibera del 20 ottobre del 1999, con la quale si è dato avvio al

“processo di decentramento” in favore dei Consigli Giudiziari, l’elaborazione consiliare è stata univoca nel ritenere superato il tradizionale modello di autogoverno di tipo verticistico, con declinazione del rapporto tra il Consiglio superiore e gli organi di autogoverno locali in termini di ausiliarietà, o meglio, di collegamento funzionale nell’amministrazione della giurisdizione. In coerenza con tale assunto, si poi è ritenuto che i Consigli giudiziari, strutture organiche collegiali dotate di autonoma rappresentatività, siano titolari della potestà di regolamentare autonomamente le proprie attività, residuando in favore del Consiglio superiore unicamente una funzione di armonizzazione e di coordinamento, da attuarsi, con riguardo agli aspetti più squisitamente organizzativi, in forme non vincolanti, e cioè, con l’indicazione di criteri di indirizzo (formulati per mezzo di risoluzioni programmatiche, linee guida, risposte a quesiti). A fronte del rinnovato assetto dei rapporti tra gli organi dell’autogoverno, l’attribuzione al Consiglio superiore della competenza a decidere sull’istanza di ricusazione dei componenti dei Consigli giudiziari si risolve in una restrizione dell’autonomia organizzativa di questi ultimi, venendo in rilievo questioni che involgono aspetti attinenti alle modalità di funzionamento degli organi.

A ciò aggiungasi che la soluzione proposta nella delibera del 5 marzo 2014 non sembra tener conto che, in alcune materie (così in tema di vigilanza sugli uffici del distretto), i Consigli giudiziari non svolgono attività funzionali a decisioni del Consiglio superiore e che, anche nelle materie in cui hanno un ruolo istruttorio o consultivo la fase endoprocedimentale di loro competenza è, comunque, definita con l’adozione di atti che, in taluni casi (così i pareri attitudinali per il conferimento di

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incarichi direttivi e semidirettivi o quelli in tema di valutazioni professionalità), la giurisprudenza amministrativa ritiene autonomamente impugnabili in quanto, sebbene privi di una consistenza tecnicamente provvedimentale e del carattere di definitività, hanno, comunque, un’attitudine a ledere lo status del magistrato, portatore, pertanto, dell’interesse ad ottenerne l’espunzione dal fascicolo personale.

Infine, a radicare in capo ai Consigli giudiziari la competenza a decidere l’istanza di ricusazione, concorre la circostanza che la giurisprudenza amministrativa, in assenza di una norma primaria, ha esteso l’istituto della ricusazione ai procedimenti amministrativi in via interpretativa, riconoscendo valenza generale ai principi espressi negli artt. 51, co. I e II, e 52 c.p.c..

Se dunque, nel procedimento amministrativo, si è ritenuto di trasporre lo specifico istituto della ricusazione valevole per il processo civile e non quello diverso previsto per il processo penale, ne consegue, per ragioni di coerenza, che anche l’individuazione dell’organo competente a deliberare in ordine all’istanza di ricusazione debba avvenire sulla base della disciplina codicistica del processo civile, in particolare, dell’art. 53 c.p.c., a mente del quale, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, sulla ricusazione può decidere anche lo stesso collegio cui appartiene il magistrato ricusato, con esclusione di quest’ultimo.

Il sistema di competenze delineato all’art. 53 c.p.c. è stato ritenuto conforme agli artt. 24 e 111 della Costituzione dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 78/02), sul presupposto che, nel necessario bilanciamento dell’interesse a garantire l’imparzialità del giudizio con i concorrenti interessi ad assicurare la speditezza dei processi e la salvaguardia delle esigenze organizzative dell’apparato giudiziario, la legge può prevedere (come in effetti prevede) procedure decisorie differenziate, non potendo ammettersi unicamente che la decisione sulla ricusazione sia rimessa allo stesso magistrato ricusato o un collegio di cui egli faccia parte.

Garantito questo “minimo”, si è affermato che è costituzionalmente ammissibile che la disciplina circa la competenza e il procedimento di ricusazione possa essere differenziata a seconda del tipo di processo, potendo il legislatore discrezionalmente individuare la regolamentazione più idonea in considerazione del carattere più sensibile dei beni in gioco e della conseguente necessità di attestare, in modo più visibile, l’imparzialità della decisione sull’istanza di ricusazione.

Se la regola di competenza valevole per le ricusazioni proposte nell’ambito del processo civile, nel quale vengono in rilievo i valori della terzietà e della neutralità del giudice, è conforme all’art. 24 e 111 C., essa, a fortiori, deve ritenersi adeguata con riferimento alle ricusazioni proposte nell’ambito del procedimento amministrativo, nel quale il valore dell’imparzialità si atteggia in senso diverso, dovendo declinarsi piuttosto in termini di massima obiettività e serenità per il raggiungimento dei fini di interesse pubblico. D’altra parte, a rafforzare ulteriormente il sistema di garanzie dell’interessato ad ottenere una decisione imparziale sull’istanza di ricusazione, concorre la pacifica ammissibilità del ricorso al rimedio giurisdizionale avverso l’atto conclusivo del procedimento, se pregiudizievole, deducendo come vizio di eccesso di potere l’erronea decisione negativa sull’istanza di ricusazione o - il che è lo stesso - la violazione del dovere di astensione, di fatto sollecitato, con la proposizione dell’istanza di ricusazione.

La soluzione proposta restituisce poi coerenza al sistema degli istituti funzionali a garantire l’imparzialità nelle decisioni dei Consigli giudiziari poiché, con riguardo allo speculare istituto dell’astensione, nei regolamenti, la regola adottata, condivisa dal Consiglio superiore, radica all’interno del Consiglio giudiziario la competenza a decidere sulla relativa istanza.

D’altra parte, a seguito dell’introduzione, ad opera della L. n. 111/07, dell’art. 9 bis del D.Lgs.

n. 25/06, è stato previsto un “quorum strutturale” e deliberativo, con contestuale abolizione della sostituzione dei componenti con i “membri supplenti”, con la conseguenza che, avendo i Consigli giudiziari perso la natura di collegi perfetti, il componente elettivo ricusato può risultare assente.

Una competenza del Consiglio Superiore a decidere sull’istanza di ricusazione dei componenti del consiglio giudiziario appare, quindi, ipotizzabile in casi del tutto residuali ed eccezionali, così quando non sia possibile integrare il quorum strutturale di cui all’art. 9 bis cit.

Tanto premesso, possono essere formulati i seguenti criteri di indirizzo:

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Competente a decidere in ordine all’istanza di ricusazione di cui siano destinatari i singoli componenti è lo stesso Consiglio giudiziario, senza la partecipazione del componente ricusato; solo in casi eccezionali in cui non sia oggettivamente possibile integrare il quorum strutturale richiesto dall’art. 9 bis del D.Lgs. n. 25/06, la competenza a decidere sull’istanza appartiene al Consiglio superiore. Sarebbe, pertanto, opportuno che gli organi locali di autogoverno introducessero, nei rispettivi regolamenti, previsioni che disciplinino, secondo le coordinate illustrate, la propria competenza a decidere sull’istanza di ricusazione dei singoli componenti e i criteri di riassegnazione degli affari nel caso in cui la ricusazione, proposta nei confronti del relatore, sia accolta.

II.3.4. La sostituzione dei componenti di diritto.

In caso di astensione o di ricusazione dei Capi di Corte, come nel caso di un loro impedimento a partecipare alla seduta, si pone l’ulteriore questione della loro sostituzione.

L’art. 9, co. 3 ter, del D.Lgs. n. 25/2006 ha previsto che, in caso di mancanza o di impedimento, “i membri di diritto del consiglio giudiziario sono sostituiti da chi ne esercita le funzioni”; dunque, come riaffermato dal Consiglio Superiore nella delibera del 10 aprile 2013, nel caso in cui un membro di diritto non possa partecipare alla seduta, questi dovrà essere necessariamente sostituito dal magistrato che, in base alla normativa ordinamentale, subentra nelle attività dell’ufficio quando sussiste un suo impedimento allo svolgimento delle funzioni dirigenziali che gli sono attribuite.

Alla luce di quanto premesso non possono ritenersi conformi all’art. 9, co. 3 ter, del D.Lvo 25/06 eventuali prassi che prevedono la partecipazione, in sostituzione dei capi di corte assenti, perché astenutisi o impediti, di magistrati appartenenti al loro ufficio, designati o delegati di volta in volta.

II.4. Le deroghe ai criteri di assegnazione degli affari: le incompatibilità.

Tutti i regolamenti disciplinano i criteri di assegnazione degli affari, contemplando altresì le ipotesi in cui essi sono o possono essere derogati.

L’individuazione dei relatori è generalmente ancorata a criteri di carattere oggettivo, pur se tra loro molto diversi (ad es. sorteggio, anzianità dei componenti, ordine alfabetico, rotazione automatica all’interno di gruppi di materie); analogamente hanno, di norma, carattere predeterminato le ipotesi di deroga, pur se alcune si fondano su valutazioni discrezionali, costituendo correttivi funzionali ad esigenze di maggiore speditezza e razionalità nella trattazione degli affari o di perequazione del carico di lavoro tra i vari componenti.

Nell’ottica di assicurare la massima trasparenza ed imparzialità alle attività dei Consigli giudiziari è, dunque, auspicabile il superamento delle previsioni che contemplano criteri di assegnazione estremamente discrezionali (così quelle che consentono al Presidente della Corte di assegnare a se stesso o al Procuratore Generale pratiche “di particolare delicatezza o di eccezionale rilevanza”), assicurando solo quelli predefiniti la verificabilità e la trasparenza delle modalità di designazione dei relatori delle varie pratiche.

Passando poi all’esame dei casi in cui sono ammesse deroghe ai criteri oggettivi, su un piano generale, deve evidenziarsi come, oltre al caso in cui il componente designato sia impedito o impossibilitato, le ulteriori situazioni contemplate sono variegate.

In alcuni regolamenti è richiamato l’art. 35 c.p.p. (in tema di incompatibilità per ragioni di parentela, affinità e coniugio), in altri si fa riferimento agli artt. 18 e 19 dell’O.G., in altri ancora all’art. 51 c.p.c.

In molti regolamenti, quale ulteriore caso di deroga ai criteri oggettivi, è poi previsto che non può essere designato come relatore della pratica il componente che appartenga all’ufficio cui la stessa è relativa o che presta servizio nello stesso ufficio del magistrato da valutare.

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Questa generale ipotesi di ‘incompatibilità’ risulta poi diversamente modulata nei vari regolamenti.

In merito alle modalità di assegnazioni degli affari ai singoli componenti dei Consigli giudiziari, deve essere raccomandata l’adozione di criteri oggettivi e predefiniti, onde rendere verificabile e trasparente la designazione dei relatori delle varie pratiche.

Quanto alla disciplina delle ipotesi di ‘incompatibilità’, fermo restando che ricade nell’autonomia dei Consigli giudiziari l’individuazione delle situazioni che, pur non integrando i presupposti per l’astensione, potrebbero determinare anche solo l’apparenza di possibili condizionamenti o di un difetto di terzietà del relatore, deve essere, tuttavia, rimarcata la necessità che i casi di ‘incompatibilità’ ad essere designati come relatori per la ricorrenza delle situazioni da ultimo menzionate siano distinti da quelli di cui all’art. 35 c.p.p., agli artt. 18 e 19 dell’O.G. o all’art. 51 c.p.c.. In queste ipotesi, infatti, sussiste a carico del componente un dovere di astensione, cui consegue l’impossibilità per lo stesso, non solo di essere designato relatore, ma anche di partecipare all’intero iter di trattazione della pratica, compresa, quindi, la fase della discussione e del voto.

II.5. Commissione per il tirocinio ovvero Commissione per l’organizzazione del lavoro dei magistrati ordinari in tirocinio.

Pur a seguito dell’istituzione della Scuola superiore della magistratura, il Consiglio giudiziario, sulla base del D.Lgs. n. 26/06, nonché del “Regolamento per la formazione iniziale dei magistrati ordinari in tirocinio”, adottato dal Consiglio superiore e da ultimo modificato con Delibera del 20 marzo 2019, conserva specifiche competenze in materia di tirocinio. In particolare:

propone la nomina dei magistrati coordinatori e affidatari al Consiglio superiore; esprime il proprio parere in ordine al programma di tirocinio ordinario e mirato da effettuarsi presso gli uffici giudiziari predisposto dal magistrato collaboratore; svolge il coordinamento tra i referenti della formazione decentrata e i magistrati collaboratori, con il coinvolgimento dei RID, per le attività di formazione; formula il parere per il conferimento delle funzioni giurisdizionali ai MOT.

Nel citato Regolamento è stato espressamente previsto che dette attività possano essere svolte, alternativamente, dal Consiglio giudiziario, da uno o più componenti a ciò specificamente delegati, oppure dalla Commissione per i MOT, ove costituita.

Solo alcuni Consigli giudiziari hanno istituito la Commissione per i MOT o un gruppo di magistrati con funzioni di raccordo con questi ultimi.

Pur se il “Regolamento per la formazione iniziale dei magistrati ordinari in tirocinio”

consente più opzioni organizzative, appare preferibile quella che prevede la costituzione, in seno al Consiglio Giudiziario, della Commissione MOT o di un gruppo di magistrati con funzioni di raccordo per il tirocinio dei MOT (tenuti a raccordarsi con l’intero Consiglio e ad informarlo periodicamente), se del caso regolandone la composizione secondo criteri di turnazione sulla base dei diversi concorsi; un siffatto assetto organizzativo appare, infatti, più idoneo a garantire una maggiore continuità nella predisposizione e nella successiva verifica del percorso formativo dei neo-magistrati.

II.6. I poteri istruttori dei Consigli giudiziari.

In relazione agli ambiti dell’autoregolamentazione che hanno ad oggetto le attività degli organi locali dell’autogoverno, funzionali alla formulazione di pareri propedeutici a successive determinazioni del Consiglio Superiore, gli aspetti di diversità attengono alla disciplina dei poteri istruttori in generale e nelle specifiche procedure di valutazione della professionalità, di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi e di conferma in questi ultimi.

Sulla base di una valutazione di sintesi, deve evidenziarsi come le disomogeneità, di fatto, si sostanziano nel diverso grado di dettaglio con cui i poteri istruttori sono disciplinati.

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Alcuni Consigli giudiziari hanno previsto, infatti, in via generale, di poter svolgere attività istruttoria con riguardo ad ogni affare, qualora sia necessaria per l’acquisizione di elementi conoscitivi rilevanti ai fini delle determinazioni di competenza; questa risulta poi diversamente articolata nelle modalità di svolgimento attraverso l’audizione dei magistrati, degli avvocati, del personale amministrativo, dei giudici di pace, l’acquisizione di documenti e provvedimenti, la richiesta di informazioni all’autorità giudiziaria, alla pubblica amministrazione e ai privati.

Altri Consigli giudiziari hanno, invece, differenziato la disciplina dell’attività istruttoria a seconda della natura del procedimento, modulandola, quindi, diversamente per le pratiche in materia di valutazione di professionalità, di conferimento degli incarichi direttivi, semidirettivi, di conferme, di parere di idoneità per il passaggio di funzioni, di autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extragiudiziari.

I criteri di indirizzo che saranno di seguito indicati saranno formulati in continuità con il consolidato orientamento del Consiglio Superiore secondo cui, nei settori normati da Circolari consiliari, il potere di autoregolamentazione dei Consigli Giudiziari può esplicarsi solo con riguardo ad aspetti non oggetto di specifica disciplina e nel rispetto delle linee di fondo del quadro ordinamentale descritto della normativa primaria e secondaria di settore.

a) Valutazioni di professionalità.

Quanto alle valutazioni di professionalità, a fronte degli ampi poteri istruttori riconosciuti ai Consigli Giudiziari dall’art. 11, del D.Lgs. n. 160/06 e dalla Circolare consiliare n. 20691, dell’8 ottobre 2007 e succ. modifiche, al capo XV, sono da ritenere conformi al citato quadro normativo, primario e secondario, le previsioni di quei regolamenti che, relativamente a fatti obiettivi e nei limiti delle questioni rilevanti ai fini della valutazione di professionalità, consentono ai Consigli giudiziari lo svolgimento di ampia attività istruttoria mediante l’acquisizione di atti relativi ai procedimenti trattati dal magistrato in valutazione, la richiesta di informazioni e di documentazione all’Autorità giudiziaria, alla Pubblica Amministrazione, ai privati, al Ministero della Giustizia in relazione alle attività ispettive, l’audizione dei dirigenti, di altri magistrati, del personale di cancelleria e degli avvocati.

In considerazione della formulazione dell’art. 11, co. 4, lett. a), del D.Lgs. n. 160 del 2006, che contiene un’indicazione esemplificativa e non esaustiva delle interlocuzioni consentite con il Consiglio Superiore, deve ritenersi, inoltre, che i Consigli giudiziari possano richiedere non solo le informazioni disponibili presso la segreteria della Prima Commissione e della Sezione disciplinare (espressamente menzionate, tra le fonti utilizzabili, nel capo VII della citata Circolare), ma anche quelle disponibili presso le segreterie delle altre Commissioni (ad es. la VII Commissione, competente a valutare i provvedimenti di natura organizzativa), se rilevanti ai fini della formulazione del parere in ordine alla valutazione di professionalità e nel rispetto delle garanzie per l’interessato previste dall’art. 11, co. 5, del D.Lgs. 160 cit. e ribadite al capo XV, co. II e III della Circolare n. 20691/07.

Quale criterio di indirizzo deve, quindi, essere riaffermato che i Consigli giudiziari, nell’ambito dei procedimenti attinenti alle valutazioni di professionalità, godono di ampi poteri istruttori, il cui corretto esercizio richiede che: abbiano ad oggetto fatti o comportamenti rilevanti per la valutazione dei prerequisiti (indipendenza, autonomia ed equilibrio) e degli altri paramenti; non si sovrappongano all’accertamento – eventualmente in atto – del giudice penale o disciplinare o della competente commissione consiliare; siano rigorosamente osservate le garanzie accordate all’interessato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 160/06 e dal paragrafo XV della Circolare n. 20691/07.

b) Conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi e conferme.

Con riguardo alle procedure di conferimento di incarichi direttivi/semidirettivi, nonché di conferma in queste funzioni, il Consiglio Superiore ha disciplinato la frazione dell’iter di

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competenza dei Consigli giudiziari, rispettivamente, agli artt. 59 e 83 del Testo unico sulla Dirigenza giudiziaria.

L’art. 83, riguardante le conferme, contiene un ampio catalogo delle fonti di conoscenza utilizzabili; diversamente l’art. 59, riguardante il parere attitudinale, è privo di detta elencazione, prevedendo al comma II che “Il Consiglio giudiziario o il Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione riscontrano e integrano i dati evidenziati nel rapporto informativo con quelli in loro possesso”.

A fronte di tale assetto normativo, come premesso, alcuni regolamenti, prevedono, in via generale, che il Consiglio giudiziario, in ogni procedura, quando non disponga di sufficienti elementi di conoscenza per poter decidere sulle pratiche di propria competenza, possa svolgere attività istruttorie, acquisendo atti, richiedendo informazioni, procedendo alle audizioni.

Di tali poteri poi i Consigli giudiziari fanno costantemente uso, soprattutto nelle procedure di conferma, nell’ambito delle quali, con frequenza, vengono svolte articolate istruttorie.

Tali prassi operative, come le previsioni dei regolamenti dei Consigli giudiziari che, anche nell’ambito delle procedure funzionali al rilascio dei pareri attitudinali o relativi alla conferma, consentono l’uso di poteri istruttori, devono ritenersi compatibili con la normativa primaria e secondaria.

Entrambe le procedure, infatti, si sostanziano in una valutazione della professionalità del magistrato, caratterizzandosi, rispetto a quella tipica, per la loro ulteriore finalizzazione all’accertamento dell’attitudine direttiva o semidirettiva (art. 3) e alla successiva verifica della stessa (v. artt. 71 e 84 del T.U. sulla Dirigenza).

In quest’ottica, pertanto, sarebbe irragionevole ritenere precluso al Consiglio giudiziario il ricorso all’uso di poteri istruttori; e ciò tanto più se si considera che, nelle procedure di conferma riguardanti i titolari di funzioni direttive e semidirettive, assume un valenza determinante l’autorelazione redatta dall’interessato corredata dal documento programmatico di cui all’art. 78 T.U. cit., rispetto al quale può in concreto porsi la necessità di svolgere attività istruttoria al fine di riscontrarne i contenuti.

L’ulteriore aspetto che merita approfondimento con riferimento ai poteri istruttori dei Consigli giudiziari nelle procedure di conferimento e conferma negli incarichi direttivi e semidirettivi concerne la possibilità, prevista da qualche regolamento, di richiedere informazioni alla Prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura.

Né l’art. 4, II co., né l’art. 83 del T.U. sulla Dirigenza, rispettivamente in tema di parere attitudinale o di conferma, prevedono che i Consigli giudiziari possano valutare la pendenza di un procedimento ex art. 2 L.G.

Sussiste, pertanto, un’oggettiva dicotomia tra il procedimento volto al conferimento e alla conferma negli incarichi direttivi e semidirettivi, per i quali non si attribuisce espressamente al Consiglio giudiziario alcun potere-dovere di acquisire informazioni sui fatti oggetto di procedimenti pendenti presso la Prima Commissione, e il procedimento di valutazione di professionalità, per il quale, al contrario, nell’ambito delle fonti di conoscenza di cui può giovarsi l’organo ausiliario, sono espressamente ricompresi i fatti oggetto di un procedimento ex art. 2 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511.

Tale disallineamento conduce all’irragionevole conseguenza che fatti eventualmente rilevanti ex art. 2 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511 potranno essere veicolati nelle procedure di conferimento degli incarichi o di conferma se considerati nel parere per la valutazione di professionalità, costituendo questo, ai sensi degli artt. 56, co. 3, e 83, co. 1, lett. a), del T.U. sulla Dirigenza, una delle principali fonti di conoscenza.

Diversamente, se i fatti rilevanti ex art. 2 cit. sono temporalmente successivi all’ultima valutazione di professionalità ovvero se il magistrato aspirante ad un ufficio direttivo o semidirettivo o da confermare in uno di questi incarichi abbia già conseguito la VII ed ultima valutazione di professionalità, detti eventi non potranno essere presi in considerazione dai Consigli giudiziari.

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In ragione delle considerazioni svolte e per evitare che la valutazione del Consiglio giudiziario in dette procedure risulti avulsa da vicende che possono avere una rilevante incidenza sul profilo professionale del magistrato, soprattutto nei casi in cui non sussistano esigenze di segretezza, deve ritenersi che ai Consigli giudiziari sia consentito accedere alle informazioni disponibili presso la Prima Commissione.

Nondimeno, poiché la competenza a giudicare in ordine ai fatti oggetto della procedura amministrativa ex art. 2 L.G., non diversamente da quanto vale per il procedimento disciplinare, è attribuita esclusivamente all’Organo di autogoverno centrale, il Consiglio giudiziario, qualora abbia ricevuto le informazioni richieste, dovrà limitarsi ad apprezzare i fatti nella loro consistenza oggettiva e per il rilievo che assumono con riguardo ai parametri previsti, senza svolgere ulteriori accertamenti.

Per il Consiglio Superiore rimane, invece, impregiudicata la facoltà di rifiutare di fornire le informazioni richieste quando vengano in rilievo esigenze di tutela della segretezza degli atti o altri motivi di opportunità.

Tanto premesso, possono essere formulati i seguenti criteri di indirizzo:

Nelle procedure volte al rilascio dei pareri attitudinali per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi o dei pareri funzionali alla conferma, i Consigli giudiziari possono svolgere attività istruttorie, anche attraverso interlocuzioni con le commissioni consiliari, al fine di acquisire le informazioni che siano ritenute necessarie, quando risultino insufficienti quelle contenute nel fascicolo personale del magistrato. Detti poteri istruttori devono, tuttavia, essere esercitati nella rigorosa osservanza delle garanzie dovute al magistrato interessato, il quale deve essere tempestivamente informato degli esiti, ha diritto di avere copia degli atti, di essere audito, se lo richiede, nonché di depositare memorie e documentazione.

I Consigli giudiziari possono richiedere al Consiglio Superiore le necessarie informazioni in merito ai fatti oggetto dei procedimenti ex art. 2 L.G., con l’ovvia facoltà, da parte di quest’ultimo, di rifiutarle qualora ricorrano ragioni di tutela della segretezza o altre ragioni di opportunità. Nel caso in cui ai Consigli giudiziari sia consentito l’accesso a dette informazioni, gli stessi dovranno apprezzare i fatti oggetto della procedura amministrativa nei limiti della rilevanza che assumono con riferimento ai parametri previsti nello specifico procedimento. Anche in questo caso dovrà essere garantito il contraddittorio al magistrato interessato, attraverso le modalità di cui si è sopra detto.

Le considerazioni svolte e le linee guida individuate sono riferibili anche al funzionamento e all’organizzazione del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione.

Tutto ciò premesso,

delibera di approvare la presente risoluzione.”

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