Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Scuola Politecnica e delle Scienze di Base
Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini”
Laurea triennale in Ottica e Optometria
Ognuno ha una propria visione del mondo.
Studio di un confronto tra occhio umano ed animale
Relatore Candidato Dott. Paolo Carelli Sara Politelli
M44000214
A.A. 2017/2018
2
A chi
mi ha sorretto, incoraggiata e spronata
in tutti questi
anni …
3 Ognuno ha una propria visione del mondo.
Studio di un confronto tra occhio umano ed animale
4 Indice
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1: COME VEDONO GLI ESSERI VIVENTI? 8
1.1 Luce e colori per l’occhio umano………8
1.1.1 Cos’è il colore: sensazione cromatica………..9
1.2 Visione periferica e visione binoculare……….11
1.2.1 La visione………...12
1.3 La binocularità………...13
1.3.1 Visione binoculare………..14
CAPITOLO 2:OTTICA FISIOLOGICA 16
2.1 Anatomia oculare………..16
2.2 La cornea………...16
2.3 L’iride………18
2.4 Il cristallino e il suo invecchiamento……….19
2.4.1 La cataratta……….20
2.5 La retina……….22
2.6 Schiascopia statica: cos’è e a cosa serve?...24
CAPITOLO 3: STUDIO VISIVO DI CANI E GATTI 26
3.1 La vista attraverso gli occhi di cani e gatti………26
3.1.1 Campo visivo: capacità di valutare le distanze………..26
3.1.2 Acutezza visiva: capacità di mettere a fuoco oggetti……….27
5
3.1.3 Percezione dei colori: visione diurna e notturna………28
3.1.4 Caratteristica degli animali notturni: Tapetum lucidum………30
3.2 Accomodazione: in che modo mette a fuoco il mio animale?...31
3.3 Invecchiamento: la cataratta………..33
3.4 Quando iniziano a vedere i cani e gatti?...35
3.4.1 Esito dell’esame schiascopico su cani e gatti………35
Curiosità: come vedono le altre specie ………...36 Conclusioni
Sitografia Bibliografia
6 Introduzione
Nel cammino che l’uomo ha percorso dall’origine del mondo ai giorni nostri, molti sono gli animali che sono rimasti al suo fianco. Il cane e il gatto, tra questi, sono quelli che più si sono amalgamati intimamente con la realtà umana, fino al punto di essere chiamati a svolgere il ruolo di veri e propri compagni di vita.
In una breve comunicazione su un lavoro di ricerca iniziato nel 1974, il medico veterinario Claudio Ottavio esamina le implicazioni psicologiche ed emotive del cane e del gatto, che dividono con l’uomo ambiente e sentimenti. La prima cosa da considerare è che l’uomo prenda con sé il cane o il gatto perché in loro vede una personificazione umana.
In particolare il cane gli appare come la materializzazione animale di un essere umano di sesso femminile, mentre il gatto di un essere umano di sesso maschile. Il rapporto uomo animale risulta ricco di opportunità interessanti non solo per avere un supporto diagnostico - terapeutico nelle cure del comportamento animale, ma anche per dare una spiegazione dal punto di vista psicologico ai benefici che l’uomo può trarre dalla relazione con gli animali .
Il veterinario zoo-antropologo Marchesini nel suo manuale di zooantropologia afferma che la relazione con gli animali, in particolare quelli domestici, rappresenta un’importante opportunità affettiva e sociale per il benessere delle persone e tuttavia non sempre questo rapporto è pienamente valorizzato.
L’attenzione all’equilibrio della convivenza dell’animale con l’uomo risulta sempre più importante, soprattutto per il costante aumento della presenza di animali domestici nella nostra società.
Nel rapporto EURISPES 2013 risulta infatti come, anche in tempi di crisi, gli italiani non rinuncino ad avere tra le mura domestiche un animale con cui dividere il tempo quotidiano.
Anzi, secondo questa rilevazione la percentuale di cittadini che destina un posto della propria “tavola”, letto o divano ad un amico animale è in aumento. In particolare da questa indagine risulta che più della metà delle famiglie italiane (53%) possiede in casa uno o più animali domestici, un dato in netta crescita rispetto al 2012 (41,7%). L’animale più diffuso nelle case degli italiani risulta il cane (nel 55,6% delle famiglie), seguito al secondo posto dal gatto (49,7%). Le altre specie animali sono più rare ma comunque presenti nelle dimore degli italiani: pesci (9,7%), volatili (9%), tartarughe (7,9%), conigli (5,3%), criceti (4,6%), rettili (1,1%), animali esotici (0,8%).
Gli animali da compagnia hanno un ruolo sociale: sono risultati essere un fattore di equilibrio e di sicurezza per il cittadino e sembrano inoltre avere effetto terapeutico, infatti, la pet therapy trova applicazione sia per le turbe psichiche di diversa natura dell’adulto, sia per l’importanza della sola presenza dell’animale accanto a bambini e anziani.
Ai veterinari vengono spesso poste domande come “perché i gatti ci vedono meglio di notte?” “è vero che i cani non vedono i colori?” o “quanto è acuta la vista del mio cane?”.
7 La vista è un senso molto complesso, che è influenzato da numerosi fattori, varia notevolmente fra le diverse specie animali e può essere valutata in numerosi modi diversi, per cui non è semplice rispondere a queste domande.
Questa relazione non fornirà una trattazione completa e dettagliata dell’argomento, ma focalizzerà alcune significative differenze della visione fra uomo, cane e gatto.
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CAPITOLO 1
1.1 Luce e colori per l’occhio umano
L’occhio è un organo molto sofisticato, strutturato in base alle specifiche esigenze di ogni singolo essere vivente. E’ una macchina complessa che cattura la luce e invia segnali diversi al nostro cervello il quale li traduce in altrettanti colori.
La gamma dei colori percepibili si chiama spettro e spazia dall’ultravioletto all’infrarosso.
Come più sotto è evidenziato nello schema, l’uomo percepisce la gamma all’interno dello spettro senza percepire i due estremi (infrarosso e ultravioletto).
La parte dell’occhio dei mammiferi sensibile alla luce si chiama retina; nella parete posteriore interna ad essa si trovano i fotorecettori, quegli elementi che catturano le varie lunghezze d’onda della luce; e sono di due tipi: coni e bastoncelli.
I bastoncelli sono preposti alla visione notturna e permettono una visione a scala di grigi mentre i coni, che sono di tre tipi, ciascuno per una determinata lunghezza d’onda della luce, permettono una visione diurna a colori; un tipo di cono risponde alla luce nella parte rossa dello spettro luminoso, uno alla parte blu e uno alla parte verde.
Il meccanismo visivo è abbastanza semplice.
Quando la luce entrando nell’occhio colpisce i coni sensibili alla luce rossa, questi mandano un impulso al cervello che riconosce la luce come rossa, lo stesso principio è applicabile agli altri due tipi di coni mentre per i fasci luminosi intermedi si crea un impulso nervoso combinato da coni diversi che il cervello riconosce come una miscela di colori; se ad esempio sono stimolati i coni preposti al rosso e al verde, il cervello interpreterà questo colore come giallo.
Figura 1 Spettro visibile
9 La luce solare non solo riscalda l'ambiente e fornisce energia per la fotosintesi ma costituisce per gli organismi una fonte d’informazioni su quanto avviene intorno a loro. Alla base di ogni organo visivo vi è una cellula recettoriale che trasforma l'energia luminosa in segnali elettrici.
Il meccanismo di trasduzione è molto simile in tutti gli organismi, ed è costituito dalla presenza di una proteina associata ad un fotopigmento.
La luce colpisce il fotopigmento e ne modifica la conformazione; questo causa una modifica della struttura della proteina, che genera un segnale elettrico.
Da questo meccanismo si sono sviluppati le strutture visive dei vari organismi, ed il relativo sistema di analisi delle informazioni visive.
1.1.1 Cos’è il colore: sensazione cromatica
Quello che noi chiamiamo normalmente “colore” in realtà è luce colorata.
Il colore è una sensazione legata al senso della vista, che noi abbiamo solo quando la luce raggiunge l’occhio. Se possiamo affermare con sicurezza che senza la luce non esistono i colori, si può anche dire che per noi è necessario l’apparato visivo per percepire sia la luce sia i colori.
Figura 2 Occhio umano.
Infatti, mentre i pipistrelli localizzano gli oggetti per mezzo della riflessione dei suoni ed i serpenti avvertono la presenza della preda perché ne percepiscono il calore, noi, come la maggior parte degli esseri viventi, distinguiamo gli oggetti grazie alla rifrazione della luce.
Esistono circa dieci milioni di sfumature di colore diverse, visibili ai nostri occhi, senza contare quelle che noi non possiamo vedere ma che alcuni animali vedono, come ad esempio il gatto e la civetta che riescono a percepire sfumature di colore della banda di luce dell’infrarosso, o le api che vedono anche le tonalità dell’ultravioletto.
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Figura 3 Esempio della vista delle api.
Il nostro complesso apparato visivo trasforma i raggi luminosi in sensazioni cromatiche con le loro qualità di tinta, luminosità, intensità, saturazione, ecc. A queste qualità si associa la memoria di altre sensazioni e in tal modo l’organo della vista è collegato con gli altri organi di senso.
Figura 4 Percezione dei colori
Uno stesso colore suscita effetti diversi in persone diverse perché differenti sono le loro esperienze, la sensibilità e l’intelligenza di ciascuno.
Si potrebbe dire che in realtà il colore non esiste e se dovessimo darne una definizione, dovremmo dire che il colore è radiazione luminosa, il colore è vibrazione, il colore è luce.
Nell’uomo il livello visivo dato dal tipo di coni e dalla loro stimolazione consente di vedere tutti i colori dello spettro luminoso, anche se esistono casi di daltonismo, l’incapacità cioè di distinguere in toto o in parte i colori.
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Figura 5 Confronto tra una buona visione e daltonismo
Nel mondo animale i mammiferi hanno caratteristiche visive diverse, che si differenziano in base alla conformazione scheletrica, alle abitudini di vita e alle necessità di sopravvivenza diventando uno specifico attributo di ciascuna specie in base alle esigenze.
Gli esseri umani hanno tre tipi di coni nella retina e la loro visione è detta tricromatica con una scarsa presenza di bastoncelli che implica una scarsa visione notturna; molti altri mammiferi hanno solo due tipi di coni, uno sensibile alle onde corte (luce blu/viola) e l’altro sensibile alle onde medie (luce verde/gialla) e la loro visione è detta dicromatica; la visione dicromatica non consente quindi di distinguere rosso e verde.
1.2 Visione periferica e visione binoculare
Un altro aspetto che riguarda la capacità visiva dei mammiferi è dato dalla forma del cranio ovvero di come questa forma influenza la capacità visiva riferita alla visione periferica o la visione binoculare.
La particolarità di questi due diversi modi di vedere sono fondamentali per la sopravvivenza di entrambe le specie raffigurate nel disegno.
Per il ghepardo la parte scura rappresenta la visione binoculare, quella cioè che gli consente di interpretare la profondità (distanza) dell’oggetto (preda) che sta guardando ed adeguare il proprio attacco in base a tale distanza.
Per la zebra la parte chiara rappresenta la visione periferica che le consente di vedere in modo ampio tutto ciò che le sta di fianco compreso predatore e vie di fuga.
La natura ha dotato tutti gli animali degli strumenti per poter sopravvivere nella giornaliera lotta per la vita.
Quali sono innanzitutto i fattori che più interessano la vista di ciascun essere vivente?
Tenteremo di rispondere a questa domanda nel prossimo paragrafo.
12 1.2.1. La visione
Per effetto della riflessione della luce i corpi rimandano in tutte le direzioni i raggi luminosi che li colpiscono, provenienti da sorgenti autonome (sole, lampadine ecc.). Se nel percorso di questi raggi si viene a trovare un occhio umano essi entrano dalla pupilla e vanno a stimolare la retina che a sua volta trasmette al cervello (attraverso il nervo ottico) la sensazione luminosa raccolta.
Il cervello elabora il segnale e ne ricostruisce forma, colore, dimensione. Quindi proietta davanti a se l’immagine, così costruita, dell’oggetto e mediante un processo di triangolazione la colloca in un preciso punto dello spazio reale.
La visione è quindi un fenomeno psichico che può essere influenzato da fattori esterni che modifichino la qualità, la direzione e l’intensità dei raggi luminosi che colpiscono la retina.
Ciò accade, per esempio, quando la luce, prima di arrivare all’occhio, attraversa altri corpi trasparenti, che pur lasciandola passare ne alterano la direzione. Il più classico degli esempi di questo tipo è l’errore di collocazione degli oggetti visti attraverso una massa d’acqua.
Figura 8 Rifrazione
Figura 6 Visione del predatore. Figura 7 Visione della preda.
13 Mettiamo la matita in un bicchiere di plastica trasparente. Versiamo dell’acqua nel bicchiere e osserviamo la matita da diverse prospettive; in alcuni casi sembra «storta», in altri sembra «spezzata».
Verbalizziamo l’esperienza: si tratta di un’ illusione ottica dovuta al fenomeno della rifrazione.
Questo fenomeno accade quando la luce passa dall’aria all’acqua.
I raggi di luce che partono dalla matita immersa nell’acqua sono deviati lungo la superficie .
I nostri occhi e il nostro cervello non sono consapevoli di ciò e vedono la matita diversa da com’è in realtà. Il mondo che ci circonda e nel quale viviamo è pervaso da energia elettromagnetica che sottoforma di onde si propaga in tutte le direzioni. L’energia elettromagnetica si differenzia in base alla lunghezza dell’onda di propagazione “λ” e alla frequenza di vibrazione “ν”.
Una piccolissima porzione di onde elettromagnetiche, quelle comprese tra λ10-8 e 10-6 metri hanno la caratteristica, se captate dall’occhio, di eccitare i ricettori della retina e provocare la sensazione luminosa che si traduce in effetto visivo. Per questo fatto tali radiazioni sono chiamate onde luminose o più brevemente: “luce”, ed il loro insieme costituisce quella porzione di spettro elettromagnetico denominato spettro visivo.
1.3. La binocularità
L’uomo, come tutti gli animali più evoluti, è dotato di visione binoculare; scendendo nella scala filogenetica, si trovano animali con una posizione meno frontale degli occhi e quindi con una visione più panoramica ma meno raffinata in termini di fusione binoculare.
La semi decussazione1 delle fibre del nervo ottico a livello del chiasma è la base che permette lo sviluppo della visione binoculare.
Il numero di fibre che non s’incrociano al chiasma dipende dal grado di sovrapposizione dei campi visivi; negli animali, l’evoluzione ha modificato la posizione degli occhi2 aumentando di pari passo il numero di fibre che non s’incrociano al chiasma.
Ad esempio il coniglio, che ha un basso grado di sovrapposizione dei campi visivi, ha un basso numero di fibre omolaterali; nell’uomo, che ha una sovrapposizione dei campi visivi, quasi completa, il numero delle fibre omolaterali è invece maggiore, pressoché uguale al numero di quelle controlaterali.
L’acquisizione di una buona visione binoculare offre all’uomo notevoli vantaggi:
1) il campo visivo binoculare è più ampio rispetto a quello di altre specie;
1Decussazione in anatomia: incrocio di fibre nervose in corrispondenza del quale due fasci scambiano parzialmente o totalmente le loro fibre in modo che una parte o tutte quelle di destra si portano a sinistra e viceversa:d.ottica, incrocio delle vie ottiche nel chiasmo
2che si sono gradualmente spostati in una posizione sempre più frontale
Figura 9 Visione binoculare
14 2) la sovrapposizione dei due campi visivi elimina lo scotoma di ciascun occhio in corrispondenza del punto di emergenza del nervo ottico (papilla ottica o punto cieco);
3) l’acutezza visiva binoculare è leggermente superiore a quella monoculare;
4) la binocularità permette la percezione stereoscopica3 dello spazio.
1.3.1 Visione binoculare
Per avere un’efficiente visione binoculare è necessario che l’immagine retinica dei due occhi sia a fuoco, di forma e dimensione simile. Inoltre gli occhi devono essere in grado di coordinarsi tra loro in modo tale che l’immagine retinica dell’oggetto fissato possa facilmente essere mantenuta in fovea da entrambi gli occhi contemporaneamente.
Molti animali hanno la visione dei due occhi più o meno indipendente, ottenendo maggiore campo visivo a discapito, però, della qualità dell’immagine. Negli esseri umani invece gli occhi devono avere una sincronia particolare che, se assente, porta a diplopia e talvolta soppressione.
Se questo fenomeno avviene nel periodo dell’infanzia, c’è il rischio, senza i dovuti controlli visivi, di non riuscire ad identificare il problema poiché il bambino riesce a svolgere tutte le attività, ma privilegiando la visione monoculare.
La visione binoculare si compone di tre gradi:
1) Percezione simultanea: gli occhi percepiscono contemporaneamente l’immagine e non vi è, quindi, soppressione;
2) Fusione: meccanica, ossia è presente un movimento regolare e simmetrico degli occhi che gli permette di fissare lo stesso oggetto; e sensoriale, processo in cui le immagini dei due occhi vengono unificate in una singola percezione a livello corticale.
3) Stereopsi : abilità che permette di percepire la profondità, o la distanza, sulle basi della disparità retinica fisiologica, in quanto i due assi visivi partono da due punti differenti e non vedono un’immagine assolutamente identica.
Il termine visione binoculare si riferisce al fatto che entrambi gli occhi vedono una parte di spazio in comune, è quindi necessario che i due occhi guardino nella stessa direzione; è compito dei muscoli estrinseci oculari muovere l’occhio verso l’oggetto d’interesse, in questo modo le immagini dello stesso oggetto si formano su aree corrispondenti seppure con delle piccole differenze l’una dall’altra.
La minima differenza d’immagine, chiamata disparità retinica (da non confondere con disparità di fissazione), non solo non compromette la fusione binoculare, ma permette, dopo essere stata analizzata in sede corticale, di percepire la tridimensionalità di ciò che si osserva. Se questo non avviene, pur
3effetto tridimensionale
15 riuscendo a mantenere la visione binoculare con sforzo e stress, gli assi visivi mirano due punti differenti, è presente quindi una piccolissima deviazione, detta eteroforia.
Per fissare punti corrispondenti e creare un’immagine retinica stabile sono necessari movimenti oculari rapidi ed accurati di entrambi gli occhi, che devono coordinarsi perfettamente. In particolare saccadi, movimenti molto veloci che cambiano la direzione di sguardo da una parte all’altra dello spazio, permettendo così di portare la nuova immagine sulla fovea; e inseguimenti, che consentono di fissare l’oggetto d’interesse mentre si sposta ad una moderata velocità. Qualora avvengano degli errori di posizionamento, vengono normalmente corretti con saccadi involontarie.
CAPITOLO 2
2.1 Anatomia oculare
Uomini ed animali hanno strutture visive simili, ma vedono la realtà in modi differenti!
L’occhio è un organo complesso e delicato, deputato al meccanismo della visione per mezzo di alcune strutture che lo rendono otticamente equivalente ad una macchina fotografica. Esso é simile ad una sfera imperfetta del diametro di circa 24,5 mm, ha la funzione di raccogliere gli stimoli luminosi che provengono dal mondo esterno; questi sono percepiti dalle cellule nervose della retina e trasformati in impulsi elettrici inviati attraverso le vie ottiche al cervello dove avviene l’elaborazione e la percezione dell’immagine visiva.
Per comprendere meglio il funzionamento dell’occhio umano dal punto di vista della sua rifrangenza è opportuno conoscere alcuni elementi della sua anatomia.
- L’occhio è posto nella cavità orbitale e le sue pareti sferiche sono costituite da tre membrane sovrapposte * la sclera * l’uvea (iride, corpo ciliare e coroide) * la retina
- L’occhio possiede quattro strutture trasparenti: * la cornea * l’umor acqueo * il cristallino * il corpo vitreo
- L’occhio è composto da due "camere" * la camera anteriore * la camera posteriore *
Le strutture dell’occhio sono disposte essenzialmente in piani frontali per cui troviamo in sequenza: la cornea, l’umor acqueo, il cristallino, l’iride, il corpo vitreo ed infine la retina. Un raggio luminoso attraversa le strutture trasparenti dell’occhio e viene focalizzato sulla retina, grazie alla cornea ed al cristallino che sono le principali lenti convergenti del sistema ottico oculare. Vengono di seguito descritti i principali elementi che costituiscono l’occhio:
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Figura 10 Struttura oculare
2.2 La cornea
Nella parte anteriore, l’occhio presenta una calotta trasparente detta Cornea che rappresenta il più
importante mezzo refrattivo di tutto il sistema visivo.
Trasparente ed avascolare, questa struttura rappresenta la prima "lente" che la luce incontra nel suo percorso verso il cervello. La cornea è, infatti, un elemento essenziale del sistema diottrico oculare: permette il passaggio dei raggi luminosi verso le strutture interne dell'occhio e concorre a mettere a fuoco le immagini sulla retina.
Dal punto di vista strutturale, la cornea è costituita da strati sovrapposti e se ne distinguono cinque strati (dall'esterno verso l'interno):
Figura 12 Struttura della cornea Figura 11 La cornea
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Epitelio corneale: di tipo pavimentoso pluristratificato, è spesso 50-60 µm (circa un decimo dello spessore totale della cornea) .
Lamina di Bowman (o membrana limitante anteriore): posta sotto l'epitelio corneale, è una membrana priva di cellule costituita da un intreccio di fibre collagene di spessore 10-12 µm.
Stroma corneale: costituisce la maggior parte dello spessore totale della cornea (400-500 µm);
La precisa disposizione tridimensionale delle fibre e delle cellule corneali, insieme all'identico indice di rifrazione della matrice interposta tra le lamelle stromali, sono responsabili della perfetta trasparenza della cornea.
Membrana di Descemet (o membrana limitante posteriore): come la lamina di Bowman, questo strato è acellulare e formato da un reticolo sottile di fibre collagene, a disposizione raggiata;
presenta uno spessore variabile di 4-12 µm (tende ad ispessirsi proporzionalmente all'età).
Endotelio: è lo strato più profondo della cornea e svolge un ruolo importante nel regolare gli scambi tra l'umore acqueo e gli strati superiori della cornea; inoltre, mantiene il trofismo4 e la trasparenza corneale.
La cornea dev' essere totalmente trasparente per consentire il corretto passaggio della luce verso le strutture interne dell'occhio. Per questo motivo, è priva di vasi sanguigni.
Le cellule superficiali dell'epitelio traggono ossigeno e nutrimento dal film lacrimale e dalle anse vascolari del limbus sclerocorneale.
Per quanto riguarda le cellule dello stroma e dell'endotelio, situate più profondamente, invece, i gas e le sostanze nutritizie pervengono dall'umor acqueo5 , dai vasi limbari e dai rami delle arterie ciliari anteriori.
Inoltre a livello corneale, vi sono numerose terminazioni nervose, che rendono questa superficie una delle porzioni con maggiore sensibilità di tutto il bulbo oculare. Tale aspetto è particolarmente
significativo, poiché una lesione corneale può provocare cecità, anche se le altre parti dell'occhio sono perfettamente normali.
La cornea ha tre funzioni importanti:
Protezione e sostegno delle strutture oculari;
Filtrazione di alcune lunghezze d'onda ultraviolette: la cornea permette ai raggi luminosi di passare attraverso il tessuto senza essere assorbiti o riflessi sulla sua superficie;
Rifrazione della luce: la cornea è responsabile del 65-75% della capacità dell'occhio di far convergere i raggi luminosi provenienti da un oggetto esterno sulla fovea6 .
4Processo nutrizionale di una cellula
5Liquido trasparente che riempie la camera anteriore
6regione centrale della retina
18 Nel processo di visione, la cornea costituisce uno dei più importanti mezzi diottrici dell'occhio. La superficie corneale si comporta come una lente convergente di circa 43 diottrie ed è in grado, assieme al cristallino7 , di convogliare i raggi luminosi verso la retina, in modo tale che l'immagine percepita sia nitida.
La funzione ottica della cornea viene svolta grazie alla sua perfetta trasparenza e alla regolarità della superficie di contatto con l'aria.
Altre caratteristiche fisiologiche della cornea sono la specularità, legata all'integrità epiteliale, e la permeabilità, funzione essenziale per il ricambio idrico e la penetrazione dei farmaci.
La cornea costituisce la porzione anteriore della tonaca fibrosa del bulbo oculare, in periferia si congiunge con una membrana opaca, la sclera, la quale, estendendosi all’indietro, forma un guscio sferico che chiude completamente l’occhio. La sclera il cosiddetto “bianco dell’occhio”, è la
membrana più esterna e robusta composta da tessuto fibroso connettivale e differisce dalla corneaper curvatura, struttura e funzioni. La superficie esterna della cornea è convessa e presenta una forma leggermente ellittica, con il diametro orizzontale maggiore rispetto a quello verticale. La faccia interna è, invece, concava e presenta all'incirca lo stesso raggio di curvatura della parte anteriore8 . La cornea è più sottile nella zona centrale (circa 520-540µm) rispetto alla periferia (circa 0,7-0,8 mm).
2.3 L’iride
Procedendo verso l’interno, oltre la cornea, si trova uno spazio vuoto, riempito da un fluido detto umor acqueo, delimitato posteriormente da una sottile membrana, mobile e pigmentata che prende il nome di iride, al cui centro si apre, con diametro variabile da 2 a 8 mm, un foro: la pupilla. L’iride è la parte più anteriore dell’uvea e determina il colore dei nostri occhi, il quale è trasmesso geneticamente. La parola “iride” deriva dal Latino iris, che significa “arcobaleno”.
Figura 13 L'iride
7il cui potere diottrico medio è di circa 18-20 diottrie
8il raggio di curvatura anteriore è pari a 7,2 mm, mentre quello posteriore è di 6,8 mm
19 E’ composto da uno stroma, un foglietto pigmentato posteriore, da vasi e da 2 muscoli: il muscolo radiale (dilatatore) ed il muscolo sfintere (costrittore). Può essere chiara (dal blu al verde) o bruna (dal marrone al nero) ma in realtà la sua colorazione dipende sia dalla quantità di pigmento sia da fenomeni ottici di riflessione e di diffrazione della luce nello stroma irideo. Nelle iridi chiare poco pigmentate la luce passa fino agli strati profondi dove viene riflessa assumendo un colore chiaro. Al contrario nelle iridi brune, ricche di pigmento, la luce non penetra fino agli strati profondi e non viene riflessa né diffratta9. L’iride si comporta esattamente come il diaframma di una macchina fotografica; non ha solo una funzione estetica, ma ha lo specifico compito di dosare la quantità di luce che penetra all’interno dei nostri occhi, regolando l’ampiezza della pupilla in base alla luminosità dell’ambiente circostante.
2.4 Il cristallino e il suo invecchiamento Dietro l’iride c’è il cristallino.
Figura 14 Il cristallino
Subito dietro la pupilla è posto il cristallino; un corpo, anch’esso perfettamente trasparente, a forma di lente biconvessa, che per effetto di un meccanismo chiamato accomodazione è in grado di mutare la curva delle proprie superfici e quindi il suo potere refrattivo. Il cristallino è tenuto sospeso in perfetta posizione da una serie di filamenti detti zonula di Zinn che s’inseriscono nelle pliche (processi ciliari) del muscolo ciliare.
Il cristallino è privo di vasi sanguigni e di fibre nervose, ed estrae l’ossigeno e le sostanze nutritive esclusivamente dall’umor acqueo, che scorre sulla sua superficie. Il cristallino è una lente naturale dell'occhio, biconvessa, flessibile, con un diametro medio nell’adulto di circa 10 mm ed uno spessore assiale di circa 4,5 mm, inoltre focalizza i raggi luminosi sulla retina. Mentre in una macchina
fotografica il fotografo mette a fuoco l’immagine variando la distanza focale fra lente e pellicola,
9la diffrazione è un fenomeno associato alla deviazione della traiettoria di propagazione delle onde (come anche la riflessione, la rifrazione o la diffusione ) quando queste incontrano un ostacolo sul loro cammino.
20 nell’occhio la distanza tra il cristallino e la retina rimane fissa. L’occhio mette a fuoco a distanze variabili con una strategia diversa: il cristallino ha la capacità di modificare continuamente la sua forma e di variare la sua curvatura in modo da aumentare o diminuire il suo potere di convergenza.
Questo processo dinamico così particolare, meglio conosciuto come accomodazione è regolato da un anello di fibre muscolari disposte intorno al cristallino, contenute nel corpo ciliare. Così quando l’occhio guarda un oggetto in lontananza il cristallino si appiattisce e diminuisce la sua curvatura. Al contrario quando guarda un oggetto vicino diventa più convesso ed aumenta la sua curvatura.
L’invecchiamento fa perdere sia al cristallino sia al corpo ciliare il potere di accomodazione cosicché si diventa presbiti e non si è più capaci di leggere a 30 cm o a distanze minori. In questo caso si ricorre alla correzione con lenti per vicino. Talvolta è possibile la comparsa di opacità del cristallino: la cataratta, che s’è centrale, disturba la visione.
2.4.1 La cataratta
Figura 15 Fasi di opacizzazione del cristallino.
Figura 16 Confronto tra buona visione e presenza di cataratta
La cataratta consiste in un’opacizzazione, totale o parziale, del cristallino. Quest’alterazione della trasparenza può avere varie cause, tra le quali vi sono l’invecchiamento, i traumi, malattie oculari e sistemiche (quali il diabete), difetti ereditari o congeniti, l’assunzione di farmaci, l’esposizione a
21 radiazioni, ecc… Il meccanismo comune con cui tutti questi fattori eziologici concorrono a determinare una riduzione della trasparenza del cristallino risiede in modificazioni nella composizione chimica della lente, e principalmente nell'ossidazione delle sue proteine. La classificazione della cataratta, secondo il criterio eziologico, prevede una distinzione in forme congenite e forme acquisite.
Fra queste ultime la cataratta senile è la forma in assoluto più frequente, rappresentando circa il 90% di tutte le cataratte. Nelle forme acquisite, il processo di sclerosi del cristallino inizia all’età di circa 40 anni e progredisce con il passare del tempo, con andamento più o meno veloce, fino a determinare un grado di opacizzazione tale della lente da causare un calo del visus che non può essere più corretto con gli occhiali (cataratta vera e propria).
Secondo il criterio morfologico tra le più comuni abbiamo: la cataratta nucleare, cataratta corticale, cataratta posteriore capsulare.
Figura 17 La cataratta nucleare nelle fasi iniziali, può determinare la comparsa di una refrazione miopica a causa dell'aumento dell'indice di refrazione del nucleo stesso. Capita in tal caso che il paziente presbite noti un effettivo miglioramento nella visione da vicino, al punto da riuscire, a volte, ad abbandonare l'uso di occhiali nella visione per vicino. La cataratta corticale è l’opacizzazione della parte esterna del cristallino. A distanza di tempo dall’intervento chirurgico può comparire la cosiddetta cataratta secondaria, cioè l’opacizzazione della capsula posteriore su cui poggia il cristallino artificiale.
Fra i sintomi, che più comunemente sono riportati dai pazienti, vi è una sensazione di annebbiamento e di progressiva perdita della capacità visiva in completa assenza di dolore oculare, una difficoltà crescente nella visione notturna ed una percezione dei colori meno vivida. Possono inoltre comparire ipersensibilità alla luce (fotofobia) ed abbagliamento. A tutt’oggi non esiste una terapia medica efficace per la cura di questa patologia, pertanto, quando la visione diventa insufficiente, l'unico trattamento valido al momento attuale è rappresentato dall’intervento chirurgico.
L’evoluzione della tecnica e dei materiali ha reso questo intervento sempre meno invasivo.
La procedura di prima scelta è rappresentata oggi dalla facoemulsificazione che, sfruttando gli ultrasuoni, prevede la frammentazione e l’aspirazione del cristallino.
Il cristallino rimosso viene sostituito dall’impianto di una lente intraoculare artificiale (IOL), questa procedura richiede l’esecuzione di un’incisione di 2,5-3,0 mm di lunghezza.
22 L’introduzione in commercio di ottiche in silicone ed in poly HEMA (poliidrossimetilmetracrilato), ha permesso, infatti, di ottenere lenti pieghevoli che possono essere impiantate attraverso incisioni chirurgiche di dimensioni molto ridotte, garantendo un astigmatismo corneale postchirurgico estremamente ridotto ed un recupero visivo molto più rapido.
Le lenti intraoculari che vengono oggi comunemente utilizzate sono di tipo monofocale, ovvero sono lenti che, possedendo un solo piano focale, permettono la formazione d’immagini nitide soltanto di oggetti posti ad una determinata distanza.
Queste lenti non sono pertanto in grado di ripristinare la capacità accomodativa fornita dal cristallino naturale che viene quindi inevitabilmente persa dopo l’intervento.
Figura 18 Intervento di cataratta.
2.5 La retina
Prima della retina è presente il corpo vitreo. Il corpo vitreo è una sostanza limpida e gelatinosa contenuta nella cavità vitreale che, riempiendo lo spazio compreso fra il cristallino e la retina, mantiene la forma sferica del bulbo oculare. La sua trasparenza è importante per una visione nitida a tutte le distanze. Una torbidità del vitreo come conseguenza di processi infiammatori o emorragici può compromettere seriamente la capacità visiva. Con l’invecchiamento il vitreo perde la sua consistenza, si distacca e fluttua nella cavità vitreale. I sintomi del distacco acuto del vitreo sono la comparsa di corpi mobili spesso associati a lampi di luce. In questi casi è imperativo un esame del fondo oculare mirato alla ricerca di eventuali rotture retiniche che, in certi casi, possono condurre al distacco di retina.
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Figura 19 Distacco di vitreo
La retina riveste la superficie interna del globo oculare. Essa appare come una sottile membrana trasparente suddivisa in due aree: un’area centrale chiamata macula che contiene la fovea centrale, ricca di coni; un’area media e periferica, dove prevalgono le cellule dei bastoncelli, che serve a mediare la visione crepuscolare e notturna. Quando i raggi luminosi penetrano nell’occhio, vengono fatti convergere sulla retina ed in particolare in una piccolissima area chiamata fovea centrale: una struttura altamente specializzata che presiede, in condizioni di alta luminosità, alla massima acuità visiva per lontano e per vicino, alla percezione dei colori e alla sensibilità al contrasto. Man mano che ci si allontana dalla fovea la retina perde in raffinatezza.
Nella retina avvengono i meccanismi più complessi della visione.
La luce passa l’intero spessore della retina10 e colpisce immediatamente i fotorecettori, coni e bastoncelli, che costituiscono la parte più esterna della retina nervosa a contatto con lo strato delle cellule dell’epitelio pigmentato retinico (EPR).
L’integrità dell’EPR è essenziale per la funzione di mediare gli scambi metabolici tra fotorecettori e coroide sottostante.
Figura 20 Struttura della retina
10vedi figura strati della retina
24 I processi fotochimici della visione possono essere schematizzati in 2 fasi:
1. Reazione fotochimica: la luce viene assorbita dai pigmenti fotosensibili11 che scomponendosi danno origine ad una reazione chimica che converte un segnale luminoso in un impulso nervoso elettrico.
2. Trasmissione dell’impulso: l’impulso elettrico viene trasmesso alle cellule bipolari e alle cellule gangliari che, attraverso le loro fibre costituenti, il nervo ottico, lascia l’occhio ed arriva al centro visivo del cervello. Inoltre vi è l'incrocio delle fibre nervose visive, in altre parole la parte sinistra del cervello "vede" la metà destra del campo visivo, e la parte destra "vede" la metà sinistra.
La retina di ogni occhio riceve l'immagine intera di un oggetto, gli impulsi generati sulle retine dalle immagini sono portati dagli occhi lungo i nervi ottici. Tuttavia, al chiasma, le fibre di ogni nervo ottico si dividono in due fasci. La diramazione interna che viene dall'occhio destro, passa oltre e si congiunge alla diramazione esterna che viene dall'occhio sinistro prima di continuare verso il corpo genicolato laterale sinistro. Le altre diramazioni si avviano verso il corpo genicolato laterale destro. Entrambi i fasci continuano poi fino all'area visiva della corteccia, quindi nel cervello le due immagini si sovrappongono e si fondono in una sola: è questa la visione binoculare.
2.6 La schiascopia statica: cos’è e a cosa serve?
La schiascopia è una tecnica oggettiva che si usa per determinare la refrazione dell’occhio, cioè il suo potere. Parliamo di quella statica, cioè senza l’accomodazione del soggetto esaminato, in cui si misura la gradazione per lontano. Si esegue con lo schiascopio, uno strumento che emette un fascio di luce.
Questa tecnica serve per avere una base di partenza oggettiva su cui svolgere la refrazione soggettiva, inoltre, osservando il riflesso luminoso, si può valutare la “trasparenza” dell’occhio. Durante la schiascopia il soggetto esaminato non deve accomodare, poiché l’accomodazione dà un risultato falsato. Per questo il soggetto esaminato deve guardare un punto lontano.
11iodopsina nei coni, rodopsina nei bastoncelli
Figura 21 Percorso visivo
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Figura 22 Lo schiascopio. E’ composto da tre parti: il corpo ovvero l’impugnatura, il manicotto dispone di un dispositivo che regola lo spessore e la posizione del fascio luminoso e la testina dove si trova sia il corpo illuminante sia lo specchio.
Svolgimento:
Figura 23 Postazione per l'esame visivo
Gli occhi del soggetto da esaminare, entrambi aperti, devono essere all’altezza di quelli di chi svolge l’esame. La persona esaminata deve guardare una lettera che corrisponde a 2/10 di acuità visiva, in condizioni di luce bassa. Ci si posiziona a circa 66 cm dal soggetto e si pone davanti ad esso una lente di +1,50 diottrie, chiamata lente di neutralizzazione.
Si esegue un occhio alla volta e con lo schiascopio si proietta un fascio di luce all’interno dell’occhio esaminato, quindi osserviamo il movimento del riflesso.
Se il riflesso segue il fascio di luce, quindi il movimento è concorde, si è in presenza d’ipermetropia.
Se il riflesso si muove all’opposto del fascio di luce, quindi il movimento è discorde, si è in presenza di miopia. Nel caso di movimento concorde, quindi ipermetropia, si aggiungono lenti sferiche positive mentre nel caso di movimento discorde, quindi miopia, quelle negative.
Si procede così fino ad ottenere il punto neutro, cioè la condizione di emmetropia. Il punto neutro si riconosce perché il riflesso è molto luminoso, e stabile e non si muove più, spostando il fascio di luce il riflesso sparisce. Ottenuto il punto neutro, si toglie la lente di +1,50 messa a inizio esame e la correzione rimasta rappresenta il risultato della schiascopia, cioè la refrazione oggettiva del soggetto, in visione da lontano. In caso di astigmatismo si dovranno esaminare i meridiani principali muovendo il fascio di luce su di essi e correggerli con lenti cilindriche, prima uno e poi l’altro.
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Figura 24 Movimento del riflesso negativo o positivo.
Per verificare se il punto neutro è stato trovato con precisione, ci sono due procedure. La prima consiste nell’avvicinare e allontanare lo schiascopio dal soggetto, trovando un movimento concorde nel primo caso e uno discorde nel secondo. Nella seconda procedura si pone davanti all’occhio una lente +0,25 e il movimento sarà discorde, poi una lente di -0,25 e il movimento sarà concorde.
CAPITOLO 3
3.1 La vista attraverso gli occhi di cani e gatti
Spesso ci si pone questa domanda: gli animali vedono il mondo come lo vediamo noi? Se no, che cosa vedono?
In effetti, gli studi sull’anatomia dell’occhio, così come le scoperte sul senso della vista degli animali, hanno dimostrato che cani e gatti vedono il mondo in modo diverso da noi umani. In
27 generale si può dire che cani e gatti vedono meno colori dell’uomo. In particolare i cani riescono a vedere bene il blu e il giallo, ma non riescono a percepire il rosso e il verde.
Anche i gatti percepiscono all’incirca la stessa gamma di colori, e una buona spiegazione di questo fenomeno potrebbe essere il fatto di avere abitudini di vita diverse.
Cani e gatti compensano un minor riconoscimento dei colori con una visione migliore.
Vediamo alcuni dei fattori caratteristici della vista dei cani e gatti
.
3.1.1 Campo visivo: capacità di valutare le distanze
Più gli occhi sono posti lateralmente sulla testa (si pensi a mucche e cavalli) più il campo visivo è ampio: gli erbivori hanno solitamente la capacità di vedere quasi a 360°. Tuttavia, avere gli occhi laterali significa che ciascun occhio vede una propria immagine e che le due immagini viste dai due occhi sono sovrapponibili solo in minima parte. La sovrapposizione delle immagini dà la vista binoculare, che permette al cervello di elaborare distanza e profondità del mondo che ci circonda: più l'area del campo visivo riservata a immagini sovrapposte è grande, più ampio sarà il campo di vista in cui si ha percezione di distanza e profondità.
Nei gatti gli occhi sono posti frontalmente sulla testa, ciò comporta che il campo visivo è leggermente più esteso del nostro. Quindi, quando soffermano lo sguardo su un singolo punto, l’area circostante appare a loro più ampia. I gatti hanno un campo visivo di 200 gradi, gli esseri umani di 180; ma non solo, i gatti hanno anche il campo visivo binoculare più ampio (140°).
E’ una condizione che conferisce a questi animali una straordinaria abilità nel valutare le distanze per balzare all’improvviso sulle prede. Inoltre, si ritiene che i gatti abbiano un’elevata concentrazione di cellule retiniche capaci di rilevare lo spostamento di linee ve rticali, orizzontali e oblique, ciò spiegherebbe la straordinaria capacità dei felini di percepire anche il più piccolo movimento. La visione periferica, cioè la capacità di guardare ai limiti del proprio campo visivo senza muovere la testa, è, per i gatti, di 30° per lato del campo visivo.
Nell'uomo è di 20° per lato: ecco perché in entrambi i riquadri di ogni immagine, i bordi appaiono sfocati.
Figura 25 Campo visivo dell’uomo e del gatto.
28 Diversamente i cani hanno gli occhi posti tendenzialmente più ai lati della testa, ciò determina la visione periferica e quanto campo visivo è capace di vedere con entrambi gli
occhi. Il campo visivo dei cani è maggiore del nostro, è di 240º; invece, la visione binoculare degli esseri umani è maggiore di quella del cane. Ciò corrisponde alla loro abitudine di cacciare in branco e in spazi aperti. I cani , infatti, sono molto sensibili ai movimenti. Secondo alcuni studi, questi animali sarebbero in grado di percepire animali e oggetti in movimento a una distanza di 800 metri, ma distinguono male, alla stessa distanza oggetti immobili.
3.1.2 Acutezza visiva: capacità di mettere a fuoco oggetti
La nitidezza nella visione dipende da un grande numero di fattori, tra cui la capacità dell'occhio di mettere a fuoco, la grandezza dell'occhio, la densità delle cellule nervose sulla retina, il numero di cellule nervose connesse con ciascuna cellula gangliare.
L'uomo ha un'acutezza visiva estremamente buona confrontata con la maggior parte del mondo animale.
Sofisticati studi scientifici, hanno dimostrato che l'acutezza visiva dei gatti è da 4 a 10 volte peggiore della nostra. In pratica, se un uomo può vedere nitidamente un oggetto a 24 m, un gatto deve avvicinarsi fino a 6 m dall'oggetto per vederlo altrettanto bene, il che significa che un gatto normalmente vede come una persona che ha 2.5 decimi. Anche il cane è in grado di distinguere oggetti a 6 metri di distanza.
Tale capacità dipende dalla cornea e dal cristallino, la lente del cane può essere migliore o peggiore proprio come succede alle persone. I nostri amici a quattro zampe, infatti, possono soffrire di miopia e d’ipermetropia.
Il Labrador, ad esempio, ha la fama di essere uno dei cani con la vista migliore, mentre Pastore Tedesco e Rottweiler tendono a soffrire di miopia. Il cane vede pochissimo per terra, anche se dipende dalla razza, tanto che alcuni cani di piccole dimensioni vedono in basso solo per pochi centimetri. Un altro aspetto interessante è che la memoria visiva del cane non è buona come la nostra: preferisce ricordare con l'olfatto o con l'udito.
Figura 26: Campo visivo del gatto,confrontato con cane e uomo.
29 3.1.3 Percezione dei colori: visione diurna e notturna
Se noi umani siamo più bravi a distinguere colori e dettagli, i cani e gatti vedono molto meglio di noi con poca luce.
Una particolarità dei loro occhi è di brillare al buio. Merito è di uno strato posto dietro la retina, chiamato “tapetum lucidum“, che riflette la luce proprio come uno specchio, aumentando la capacità visiva in condizioni di scarsa luminosità.
- Visione notturna del gatto:di notte i gatti vedono 6-8 volte meglio di noi, a causa del tappeto lucido ma anche di un più elevato numero di bastoncelli, i fotorecettori nella retina responsabili della visione in condizioni di oscurità. Le loro pupille di forma ellittica, inoltre, possono dilatarsi molto al buio, mentre si assottigliano incredibilmente quando la luce è abbagliante.
Figura 27 Pupilla umana e felina di giorno e di notte.
Figura 28 Visione felina diurna e notturna.
- Visione diurna del gatto:La parte dell'occhio deputata alla visione dei colori è costituita da cellule poste sulla retina, chiamate coni. I gatti presentano solo due tipi di coni, corrispondenti al verde e al blu, però manca apparentemente del tipo che noi abbiamo per percepire i rossi intensi. Questo significa che per un gatto colori come il rosso, l'arancione e il giallo sono sostanzialmente lo stesso colore.
L'altra tonalità che possono percepire va dal blu al viola.
30 Il gatto oltre ad essere poco sensibile al rosso è incapace apparentemente di separare piccoli dettagli di colore. La visone del colore é probabilmente pallido in confronto alla nostra, anche se può percepire grandi zone di colore come il verde dell'erba, è incapace di vedere colori di piccoli giocattoli messi nello sfondo. Mentre i nostri occhi li scoprirebbero facilmente, per il gatto rimangono nascosti nella grand'estensione del verde, soltanto quando un oggetto è così vicino, da riempire la gran parte del campo visivo, il gatto ha la nozione del suo vero colore.
Figura 29 Sensazione cromatica umana e felina.
- Visione diurna del cane: Paragonando la struttura dell'occhio umano a quella del cane si ha che il meccanismo di percezione dei colori è identico nell'uomo e nel cane. Quando uno stimolo luminoso giunge alla retina attraverso la pupilla, delle cellule sensibili dette fotorecettori, lo trasformano in impulso nervoso che viene trasmesso al cervello, dove avviene l'elaborazione che permette il riconoscimento dei colori. I dati ottenuti provano che come gli umani daltonici, i cani non distinguono il blu-verde (circa 480 nm) dalla luce bianca, per cui sono dotati di visione bicromatica.
Inoltre i cani sono sensibili anche alle sfumature che vanno dal violetto all'indaco, al blu, mentre confondono i colori rosso, arancione, giallo e giallo-verde, pur distinguendoli dal bianco.
Dunque una pallina arancione lanciata nell'erba è facilmente visibile per l'uomo ma non per il cane, che vede tutto giallo. Per lo stesso motivo se una persona, in un prato, vuole essere facilmente individuata a distanza dal cane, deve indossare un abito blu o viola, perché al cane risulta molto evidente il contrasto di questo colore contro il "giallo" circostante.
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Figura 30 Visione reale e visione del cane.
- Visione notturna del cane: i cani sono capaci di vedere al buio e di notte, tanto che la visione
notturna è una delle caratteristiche più importanti di questi animali: proprio per questo sono considerati degli abili cacciatori notturni. La pupilla del cane può espandersi notevolmente, per questo se c'è poca luce, la retina viene stimolata maggiormente.
3.1.4 Caratteristica degli animali notturni: Tapetum lucidum
Nell’uomo l’occhio si è specializzato verso una visione prettamente diurna ed è dotato di maggiore acuità visiva e di una migliore percezione dei colori, quello che il gatto e il cane perdono nella percezione dei colori lo acquistano nella capacità di vedere bene di notte quando non c'è luce.
Gli animali notturni devono raccogliere tutta la luce che possono, gli occhi dei gatti, ma anche dei cani, lo fanno in un modo molto curioso.
Normalmente la luce che sfugge, quando è assorbita da un bastoncello sensibile, trapassa la retina e si perde, però dietro la loro retina esiste un tessuto che fa da specchio riflettente, si chiama “tapetum lucidum” (dal latino: tappeto lucido), esso, riflettendo la luce dispersa verso l'occhio, permette di recuperare il fascio luminoso verso la cellula nervosa.
Questo aiuta il gatto e il cane a ricevere un'immagine, attribuendo loro la caratteristica di avere occhi luminosi di color giallo/verde, come anche ad altri animali notturni.
Questo "specchietto riflettente", se da un lato aumenta esponenzialmente la capacità visiva notturna, riduce l'acutezza visiva in condizioni d’intensa luminosità. Inoltre in situazioni dove è così buio che neanche i gatti e i cani riescono a vedere, ad esempio, quando la luna scompare dietro le nuvole e i fotoni sono così pochi, questo non basta per formare un'immagine definita nella sua chiarezza. Adesso i cacciatori notturni, senza luce, devono affidarsi all'udito!
32
Figura 31 E’ per la presenza del tapetum lucidum se gli occhi dei nostri amici ci appaiono brillanti quando l’animale è sorpreso dai fari accecanti di un’auto.
3.2 Accomodazione: in che modo mette a fuoco il mio animale?
La luce che entra nell’occhio deve essere messa a fuoco sulla retina per generare un’immagine ben definita. L’attivo processo di focalizzazione è detta accomodazione. Nei mammiferi, questa avviene a livello della lente. Nell’uomo, si ottiene mediante modificazioni della sua curvatura. Per vedere gli oggetti distanti, la stimolazione provoca il rilascio del nostro muscolo ciliare, che rende più appiattita la lente. Un processo opposto, che porta ad una lente sferoidale, si ha durante la visione degli oggetti vicini. Date le differenze anatomiche e fisiologiche della lente, i gatti ed i cani non sono in grado di modificarne la forma. Piuttosto, ne spostano la posizione nell’occhio. Quando guardano oggetti distanti, la lente viene retratta verso la retina, mentre viene spostata in avanti per visualizzare gli oggetti vicini. Ciò determina la diminuzione della capacità di accomodazione. Il potere di accomodazione dell’occhio umano è di circa 15 diottrie (D), mentre nel cane e nel gatto è di 3-4 D.
Ampie indagini dimostrano che la maggior parte dei cani e dei gatti rientra entro 0,5 D di emmetropia;
anche nell’uomo, è raro che si usino gli occhiali per correggere un errore di rifrazione così piccolo.
È interessante notare che questo errore nei nostri animali da compagnia è influenzato da habitat, razza ed altri fattori. Ad esempio, i gatti che vivono all’aperto tendono a vedere meglio da vicino, mentre quelli che vivono in casa tendono a vedere meglio da lontano .
Se l’occhio riesce a mettere l’immagine a fuoco perfettamente a livello della retina, avremo una visione ottimale, se il fuoco si fermerà prima della retina, avremo la miopia12, se si formerà dopo avremo l’ipermetropia13.
12non si mettono a fuoco gli oggetti distanti
13non si mettono a fuoco gli oggetti vicini
33 E’ possibile stimare la capacità dell’occhio di mettere a fuoco attraverso uno strumento chiamato schiascopio, definito anche “retinoscopio”, il quale misura la posizione del fuoco facendo passare un fascio luminoso attraverso la cornea e il cristallino.
Christopher Murphy e un team di ricercatori dall’Università di Medicina Veterinaria del Wisconsin riportano uno studio in cui attraverso un retinoscopio furono testati 240 cani.
Furono studiate molteplici razze tra cui Cocker, Springer Spaniel, Labrador, Pastori tedeschi, Carlini, Rottweiler, Shar Peis e meticci.
Si scoprì che la maggior parte dei cani avevano una messa a fuoco ottimale ma che alcune razze facevano eccezione.
Più della metà dei Rottweiler e dei pastori tedeschi erano miopi!
Il fatto che questo avvenisse solo in determinate razze suggerì che il problema fosse di natura genetica e dovuto ad un’involontaria selezione.
A conferma di questa teoria si studiarono dei pastori tedeschi provenienti da una linea di sangue selezionata per il lavoro con non vedenti, solo un cane su sette presentò miopia.
Questo portò a pensare che la selezione per determinati tipi di lavoro possa portare a specifiche variazioni della capacità visive dei cani.
Un altro studio fatto sui Greyhounds, che sono stati selezionati per la caccia a vista, trovò che molti di questi cani erano presbiti. Questo disturbo della vista porta ad una mancata messa a fuoco degli oggetti vicini ma permette a questi cani di svolgere al meglio la loro caccia e di vedere le prede in distanza.
Oltre alla capacità di messa a fuoco un altro fattore condiziona la percezione visiva del cane e gatto: il tipo e la disposizione dei fotorecettori. La natura ha dovuto sviluppare i loro occhi in modo che fossero ottimizzati per le condizioni in cui vivevano.
Negli animali, come il cane e il gatto, i coni che i bastoncelli sono distribuiti in modo diverso all’interno dell’occhio.
Negli umani i coni sono concentrati nella fovea che corrisponde al centro della nostra area visiva.
Anche il cane e il gatto hanno la fovea.
La loro fovea è più larga e ha la forma di un ovale. Come nell’uomo quest’area è più ricca di coni, ma sono presenti anche i bastoncelli, che però a differenza di quelli presenti in altre aree dell’occhio sono più sottili e divisi in gruppi più piccoli. Alle estremità di questo ovale si continua una linea orizzontale di cellule sottili unite tra loro che attraversa tutto l’occhio.
Queste cellule permettono di avere una maggior capacità visiva in quella regione che serve per vedere le prede lungo l’orizzonte. Questa distribuzione viene trovata anche in altri animali abituati a muoversi velocemente e che vivono in luoghi ampi e piani, come i cavalli, ed è considerato un adattamento necessario per il controllo dei predatori.
34 I cani, che cacciano a vista, hanno quest’asse orizzontale più sviluppato di tutti gli altri cani.
Razze canine che invece cacciano utilizzando soprattutto il naso, come per esempio il beagle, hanno una percezione visiva orizzontale molto meno sviluppata.
Ma quanto vedono i cani?
In genere la vista nell’uomo si misura chiedendo di guardare un tabellone con delle lettere riportate sopra da una distanza di circa sei metri.
Se riusciamo a vedere le lettere più piccole, avremo una capacità visiva che misurata secondo il metodo Snellen sarà di 6/6. (10/10)
Se la visione non sarà sufficiente, si dovrà passare alle lettere più grandi, ossia a quelle lettere che una persona normale vedrebbe a 12 metri, avremo una capacità visiva di 6/12.
Siccome però non possiamo indurre un cane a leggere per noi si è utilizzato un altro metodo per determinare la capacità visiva dei canidi.
Si è condizionato il cane a scegliere un cartoncino con delle linee grigie verticali premiandolo ogni volta che lo toccava a discapito di un altro cartoncino completamente colorato di grigio.
A questo punto si è iniziato a rendere le strisce sempre più sottili e vicine tra di loro fino a quando il cane non fu più in grado di distinguerle le une dalle altre e per lui i due cartoncini risultarono uguali.
Abbiamo raggiunto quindi il livello di capacità discriminative dei dettagli del nostro cane.
La misura delle linee che il cane riesce a vedere può essere convertita nel metodo Snellen utilizzato per l’uomo.
La miglior performance data in questo test fu opera di un carlino, testato ad Amburgo in Germania.
La capacità visiva di questo cane fu sei volte inferiore a quella minima dell’uomo e in particolare fu di 20/75, il che significa che un oggetto che il cane poteva vedere a sei metri era di una grandezza tale che un uomo normale poteva vederla ad una distanza di 23 metri!
Questi parametri non ci devono però far cadere in errore.
Anche se il cane non vede perfettamente a fuoco a grandi distanze, il suo cervello riceve in ogni caso moltissime informazioni dall’ambiente circostante. La visione del cane potrebbe essere paragonata ad un guardare il mondo esterno attraverso una sottile garza o un pezzo di cellophane che è stato cosparso da un sottile strato di olio, i margini esterni degli oggetti sono visibili, ma non i dettagli più piccoli che vengono a fondersi tra loro.
I bastoncelli, oltre che della capacità di vedere in presenza di poca luce, sono responsabili anche della capacità di percepire oggetti in movimento.
Figura 32 Esperimento
35 Sia gli animali sia le persone sono più sensibili verso le cose che si muovono rispetto a quelle stazionarie.
In uno studio del 1936 fatto su 14 cani poliziotto il cane più sensibile poté riconoscere un oggetto in movimento da una distanza di 810 m ad una di 900 m, ma lo stesso cane non poté riconoscere lo stesso oggetto, quando stazionario, ad una distanza di meno di 585 m. Anche se l’uomo ha una capacità visiva di 10-12 m migliore rispetto a quella del gatto in condizioni di piena luce, gli animali domestici hanno una capacità visiva notevolmente maggiore per gli oggetti in movimento nella luce crepuscolare o posti in una posizione periferica.
Un’altra particolarità dei fotorecettori presenti nell’occhio è che sono anche i responsabili della visione dei colori, questa capacità è dovuta in particolare ai coni.
Nei cani e gatti sembra ci siano solo due tipi di coni sensibili rispettivamente a onde di 429nm e 555nm. Il fatto che possiedano questi coni però non garantisce che siano automaticamente in grado di vedere i rispettivi colori.
Per determinare quale sia la capacità visiva, è necessario ricorrere nuovamente a dei test comportamentali.
In uno di questi studi condotti da Neitz, Geist e Jacobs, si utilizzarono tre cartoncini quadrati di colori diversi piazzati di fronte al cane.
Addestrando il cane a scegliere il cartoncino del colore diverso tra i tre si può scoprire che genere di colori il cane vede.
La domanda che però restava era se il cane sceglieva il quadrato per il suo colore o per la sua luminosità?
Si scoprì utilizzando differenti luminosità per i riquadri che il cane sceglieva in base al colore e non base ad essa. Attraverso questi studi si suggerì che probabilmente il cane vedeva come un daltonico, ossia ad una persona a cui manca la percezione della differenza tra il verde e il rosso.
3.3 Invecchiamento: la cataratta
Così come avviene per l’uomo anche l’esistenza degli animali può essere divisa in periodi: nel cane la fase che corrisponde all’invecchiamento comincia dopo i sei/otto anni di vita14 , mentre la vecchiaia vera e propria subentra dopo i nove/undici anni circa; un gatto, invece, entra nella cosiddetta terza età dopo il compimento degli otto/dieci anni, per poi essere considerato vecchio oltre i dodici/tredici anni circa. Come per gli esseri umani, anche nei cani e nei gatti anziani le patologie oculari e problemi di vista sono situazioni frequenti.
Quando un animale perde la vista, assume un comportamento molto particolare che difficilmente sfugge all’occhio del proprietario attento: si dimostra timoroso, quando cammina, avanza con cautela
14l’inizio dei processi di senescenza è per lo più inversamente proporzionale alla taglia del soggetto
36 per paura di urtare contro qualche ostacolo e mantiene il naso rasente al suolo al fine di scoprire anticipatamente il minimo odore che gli permetta di guidare il proprio passo.
Questo influenza sensibilmente le abitudini quotidiane dell’animale e fa sì che la cecità sia facilmente riconoscibile dalle persone che con lui convivono.
Spesso però, le modificazioni nel comportamento e nell’andatura sono molto evidenti solo fuori di casa: i cani ed i gatti possiedono, infatti, un’elevata capacità adattativa che li porta a sviluppare maggiormente gli altri sensi (olfatto e udito) per compensare il calo di vista. Molti animali, seppur ciechi o ipovedenti, sono in grado di muoversi con assoluta disinvoltura nel proprio ambiente.
L’esame dell’occhio permette di scoprire molte anomalie che possono far divenire cieco un animale.
Gli occhi “sani” devono essere luminosi, limpidi e privi di sporcizia, secrezioni anomale o infiammazioni. I principali sintomi di malattia oculare sono il rossore, l’infiammazione degli occhi o delle palpebre, l’aspetto opaco della superficie oculare, l’eccessiva lacrimazione e la sporgenza della cosiddetta “terza palpebra”.
Figura 33 Questa membrana, presente negli occhi di diversi mammiferi, compresi cani e gatti, può essere chiamata sia terza palpebra sia membrana nittitante. Si tratta di un tessuto che si trova vicino alla cornea, alla congiuntiva e alla membrana mucosa.
La funzione della terza palpebra è quella di proteggere i bulbi oculari da qualsiasi oggetto esterno e da eventuali traumi derivanti da colpi. Inoltre ha la funzione di liberare un liquido dalle proprietà antisettiche capaci di combattere la presenza di batteri e microrganismi che potrebbero causare malattie. Quindi se si nota la terza palpebra, in uno o in entrambi gli occhi, vuol dire che c'è qualche problema o malattia in corso.
L’atrofia senile del cristallino, anche detta sclerosi nucleare o lenticolare, è un disturbo legato all’invecchiamento e consiste nell’indurimento del cristallino. Con l’invecchiamento, il cristallino inizia a perdere la sua flessibilità, con conseguente difficoltà di mettere a fuoco. L’opacizzazione del cristallino è invece definita cataratta.
La cataratta rappresenta un disturbo quasi inevitabile per qualunque cane (e spesso anche per qualche gatto) che abbia superato i sette/nove anni di età. Nei casi più seri, nei quali l’animale manifesta cecità totale, si fa ricorso a tecniche chirurgiche, prima tra tutte la facoemulsificazione che garantisce il
37 recupero funzionale visivo. Come nell’uomo, l’intervento di cataratta prevede l’inserimento nell’occhio di una lente artificiale IOL15 .
Le IOL sono prevalentemente posizionate nel sacco capsulare svuotato e pulito, solo in caso di lussazione16 del cristallino possono essere impiantate nel solco ciliare e mantenute in sede con suture.
Le IOL per uso veterinario hanno potere diottrico diverso in rapporto alla specie animale a cui sono destinate. Le IOL oggi in commercio hanno un potere diottrico di +40D e +41D per il cane, +53D e +53,5D per il gatto; asse di posizione che si estende a 12-14 mm per le lenti pieghevoli e arriva ai 17 mm per quelle rigide, dimensioni finalizzate alle necessità di intervenire su soggetti di diversa taglia. I materiali utilizzati sono polimetilmetacrilato (PMMA), acrilato (idrofilo e idrofobico), silicone e idrogel che consentono la produzione di IOL con caratteristiche diverse.
La necessità di penetrare nell’occhio attraverso brecce sempre più piccole, ha reso indispensabile l’uso di lenti pieghevoli che riacquistano la forma una volta iniettate nel sacco capsulare.
Le IOL che oggi si preferiscono inserire sono in acrilato idrofilo, altamente biocompatibile, garantiscono maggiore stabilità strutturale, hanno proprietà fisico-chimiche ben definite, una stabile integrazione dell’assorbente per UV ed una superficie idrofobica che diminuisce il rischio di formazione di opacità secondarie.
Figura 34 Cataratta monolaterale in stato iniziale ed avanzato.
Visite periodiche dal veterinario possono consentire di individuare precocemente molte patologie legate all’invecchiamento, consentendo di mettere in atto misure terapeutiche che migliorano notevolmente la prognosi … come spesso si dice in Medicina “prevenire è meglio che curare”!
3.4 Quando iniziano a vedere i cani e gatti?
15Intra Ocular Lens
16la lente perde la sua normale localizzazione