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CONSENSO INFORMATO
COMMENTO CASSAZIONE 9 FEBBRAIO 2010 N. 2847 THE INFORMED CONSENT. A COMMENT ON THE
PRONUNCIATION OF THE COURT OF CASSATION N. 2847, 9TH FEBRUARY 2010
Silvia Stefanelli∗
ABSTRACT
La sentenza che si commenta interviene in maniera articolata e organica sul consenso informato, analizzando in particolare gli aspetti probatori del consenso stesso.
Torna alla ribalta il tema del consenso informato.
La recente sentenza Cass Civ 9 febbraio 2010 n. 2847 - che qui si commenta - appare particolarmente interessante sotto due profili:
• in primo luogo perché stabilisce la responsabilità del medico per violazione dell’obbligo di consenso, pur in presenza di una prestazione con esito positivo;
• in secondo luogo perché entra nello specifico dell’onere della prova in tale peculiare circostanza.
Vediamo i fatti di causa.
Un medico sottoponeva una paziente ad un intervento chirurgico per cataratta
∗ Foro di Bologna.
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844 asportandole il cristallino dell’occhio destro.
A seguito dell’intervento, si produceva a carico della paziente una grave complicanza, data da c.d. cheratite corneale bollosa, la cui insorgenza costringeva la signora a sottoporsi, presso altra struttura sanitaria, ad un ulteriore intervento per trapianto di cornea.
L’intervento aveva esito positivo e la paziente guariva.
Ciononostante la paziente citava in giudizio avanti al Tribunale il professionista responsabile dell’intervento di cataratta per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subito derivanti dall’intervenuta complicanza (la cheratite insorta).
In particolare, l’ex paziente asseriva di non essere stata preventivamente informata dal medico circa la possibile insorgenza della cheratite bollosa e che, se fosse stata correttamente informata della possibilità dell’insorgere della cheratite bollosa, (forse) avrebbe modificato la propria scelta terapeutica. Da qui la violazione dell’obbligo informativo e la conseguente richiesta danni.
Interessante poi l’iter processuale.
In primo grado il Tribunale rigettava la richiesta risarcitoria della signora sostenendo che, in base agli elementi probatori introdotti in giudizio, non solo l’intervento era stato eseguito in maniera corretta, ma che, soprattutto, l’attrice non aveva provato l’effettiva mancanza di informativa da parte del medico circa le conseguenze dell’intervento.
In altre parole, sarebbe mancata da parte dell’attrice la prova della mancanza del consenso informato sul punto.
La paziente impugnava la pronuncia del Tribunale avanti alla Corte d’Appello, la quale, in totale riforma della sentenza di primo grado, dava ragione alla signora sostenendo che “non avendo il medico, sul quale incombeva l’onere di provare la
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845 presenza di un consenso informato, né affermato né tanto meno provato di aver informato la signora dei rischi prevedibili dell’intervento e di aver ricevuto il consenso di quest’ultima, va affermata la responsabilità del sanitario per danni derivanti dall’intervento effettuato in difetto di detto consenso, nessun rilievo avendo la circostanza che l’intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto”.
In sintesi, “ribaltando” gli assunti della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello affermava la responsabilità del sanitario per i danni patiti dalla paziente statuendo che, non già su quest’ultima, ma bensì sul professionista gravava la prova sulla effettiva sussistenza del consenso informato.
A questo punto il sanitario promuoveva il ricorso per Cassazione.
Nell’affrontare le tematiche giuridiche relative al caso di specie, la Suprema Corte ha voluto offrire una ricostruzione del concetto di consenso informato in campo medico in base ai principi giuridici esistenti in materia.
In specifico, la Corte di Cassazione ha statuito che:
- il consenso informato “rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia, non solo nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì eventualmente di rifiutare la terapia e/o di decidere .di interromperla, atteso il principio personalistico..della…Costituzione, la quale vede nella persona un valore etico in sé e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della vita e nell’integralità della sua persona, in considerazione delle convinzioni..che orientano le sue determinazioni volitive”.
- il consenso “si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi all’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost. i quali stabiliscono rispettivamente che la
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846 libertà personale è inviolabile e nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Partendo da tali assunti, la Suprema Corte ha, poi, affrontato il caso di specie chiarendo i seguenti aspetti:
• Sul soggetto tenuto a fornire la prova del consenso:
La Suprema Corte ha innanzitutto precisato che, in linea di principio, l’onere probatorio circa la sussistenza o meno del consenso informato grava sul sanitario e non già sul paziente.
Ciò in quanto, per orientamento giurisprudenziale consolidato, sin dalla formulazione della diagnosi – e quindi ancora in assenza di prestazioni terapeutiche vere e proprie – sussiste già un rapporto contrattuale tra medico e paziente.
Pertanto la diligente esecuzione delle prestazioni sanitarie – e, nello specifico, l’esatto adempimento del dovere di informativa ai fini di un valido consenso – deve essere dimostrata da quella parte che l’altra affermi essere stata inadempiente e, cioè, in caso di contestazioni, dal sanitario.
• Sul nesso di causalità:
La Suprema Corte ha, poi, precisato che la mancata assunzione del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità – diversa, cioè, da quella per non corrette prestazioni di cura - qualora dall’intervento scaturiscano effetti lesivi per il paziente e a nulla rilevando che le prestazioni siano state erogate diligentemente.
In particolare, sul caso specifico, la Suprema Corte si è posta le seguenti domande:
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847 a) Il medico che non ha informato il paziente risponde delle conseguenze
dannose solo per il fatto di non aver fornito l’informazione?
b) Perché tali conseguenze siano risarcibili, deve potersi dimostrare che il paziente non si sarebbe sottoposto all’intervento se fosse stato informato?
In sostanza, la Cassazione ha chiarito che, in caso di mancata informativa da parte del medico, onde poter ravvisare una responsabilità a carico di quest’ultimo occorre indagare, non già sul tradizionale nesso di causalità tra cure e pregiudizio alla salute – che, infatti, è quello su cui si indaga in caso di prestazioni non diligenti - ma sul rapporto tra mancata informativa e scelta circa esecuzione o meno dell’intervento.
In altre parole, cioè, in caso di intervento eseguito correttamente, si tratterà di accertare se il paziente si sarebbe ugualmente sottoposto all'intervento, ove il medico lo avesse preventivamente informato in maniera completa anche relativamente alle possibili conseguenze negative.
Così, a titolo esemplificativo, secondo la Cassazione, non potrebbe a priori negarsi tutela risarcitoria a chi abbia consapevolmente rifiutato una trasfusione di sangue perchè in contrasto con la propria fede religiosa (il caso dei Testimoni di Geova, sentenze Cass. Civ. n. 23676/08 e n. 4211/07), quand'anche il paziente si fosse salvato, poiché lo stesso potrebbe aver preferito non vivere, piuttosto che vivere nello stato determinatosi.
• Sulla risarcibilità:
Sotto il profilo del danno risarcibile, la Cassazione ha statuito che sono meritevoli di risarcimento il turbamento e la sofferenza derivati al paziente da un trattamento
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848 da cui, per carenza di adeguata informazione medica, siano derivati postumi negativi del tutto inaspettati e (anche per questo) più difficilmente accettati.
Si parlerà, però in concreto di effettiva risarcibilità solo ove, in base a canoni delineati dalla stessa Cassazione (Cass SU 26972/2008), il diritto del paziente sia stato inciso oltre un livello minimo di tollerabilità.
In altre parole, sussisterà il diritto al risarcimento per il turbamento e la sofferenza ove il danno patito risulti essere stato grave: tale valutazione circa l'effettiva gravità del pregiudizio dovrà essere espletato dal giudice secondo il proprio libero apprezzamento.
• Sull'onere probatorio:
Infine, la Suprema Corte ha statuito che la prova della sussistenza del nesso di causalità di cui sopra – e cioè, il fatto che, ove ci fosse stata corretta e completa informazione, il paziente avrebbe potuto valutare di non sottoporsi alla cura prospettata – grava questa volta a carico del paziente.
Ciò in quanto:
a) la prova del nesso causale tra inadempimento e danno comunque compete alla parte che alleghi l'inadempimento altrui e pretenda di essere risarcita;
b) il fatto positivo da provare è il rifiuto del paziente alle cure;
c) si tratta comunque di stabilire quale sarebbe stata la scelta del paziente: prova che, in forza del principio di “vicinanza della prova” non può che essere data dal paziente;
d) il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione del medico è del tutto residuale.
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849 In sintesi, con la sentenza qui presa in esame la Suprema Corte ha precisato che, pur in presenza di una prestazione terapeutica resa correttamente, la mancata informazione al paziente circa le eventuali possibili complicanze e quindi la mancata acquisizione di un consenso pienamente consapevole anche di tali possibili profili costituisce una voce di danno autonomamente risarcibile, ove però il paziente provi che, se l'informativa del medico fosse stata adeguata e completa, lo stesso avrebbe potuto non sottoporsi alla cura prospettata.