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SOMMARIO PREMESSA 7 INTRODUZIONE 9 PARTE I RILEVAZIONE ED ANALISI DEI PROGRAMMI DI SVILUPPO LOCALE

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SOMMARIO

PREMESSA 7

INTRODUZIONE 9

PARTE I – RILEVAZIONE ED ANALISI DEI PROGRAMMI DI SVILUPPO LOCALE

1. L'APPROCCIO METODOLOGICO 14

2. L'ANALISI DESK DEI PROGRAMMI 16

2.1. L'universo di riferimento 16

2.2. Un'analisi territoriale dei programmi di sviluppo Locale 20 2.3. Una lettura trasversale dei Programmi di sviluppo Locale 28

3. L'INDAGINE SU UN CAMPIONE DI PROGRAMMI DI

SVILUPPO LOCALE 32

3.1. Obiettivi e disegno dell'indagine 32

3.2. Il ruolo del partenariato 34

3.3. La valorizzazione del capitale umano 41

4. GLI STUDI DI CASO SU ALCUNE ESPERIENZE

DI SUCCESSO 49

4.1. Obiettivi e disegno dell'indagine 49 4.2. Il Patto per l'Occupazione Agro Nocerino-Sarnese

(Provincia di Salerno) 50

4.3. Il Patto Territoriale dell'Alto Belice Corleonese

(Provincia di Palermo) 57

4.4. Il Gal Molise verso il 2000 (Provincia di Campobasso) 63

(2)

PARTE II – I PROGRAMMI DI SVILUPPO LOCALE:

CARATTERISTICHE, OBIETTIVI, MODALITA’

DI ACCESSO, ATTUAZIONE

1. I PROGRAMMI DI SVILUPPO LOCALE 72

1.1. Accordi di Programma Quadro 72

1.2. Contratti d’area 76

1.3. Contratti di programma 82

1.4. Patti Territoriali 85

1.5. Patti Territoriali per l’Occupazione 94

1.6. Progetti integrati territoriali 98

1.7. Programma di Iniziativa Comunitaria Leader 107 1.8. Programma di Iniziativa Comunitaria Urban 116

PARTE III - COMPENDIUM DEI PROGETTI

DI SVILUPPO LOCALE

1. INTRODUZIONE 126

1.1. Contratti d’Area 128

1.2. Patti Territoriali 134

1.3. Patti Territoriali per L’occupazione 179

1.4. Progetti Integrati Territoriali 186

1.5. Programmi di Iniziativa Comunitaria Leader 211 1.6. Programmi di Iniziativa Comunitaria Urban 270

(3)

Premessa

Come tutte le cose “ovvie”, quando si tratta di approfondire un concetto, ci si trova in difficoltà. Lo “sviluppo locale” è, appunto, uno di quei concetti apparentemente

“ovvio”. In realtà estremamente difficile e per nulla, come vedremo, banale.

Intanto occorre stabilire cosa intendiamo per “sviluppo”. Non è possibile, per evidenti ragioni, dar conto qui della sterminata letteratura sull’argomento. Posso limitarmi a fissare due elementi: uno legato al contesto economico l’altro a quello sociale, per cui nel primo caso si parte dalla infrastrutturazione, nel secondo dal livello di articolazione della società civile. C’è un’area grigia (che comprende poi gran parte della letteratura sull’argomento) che comprende secondo vari livelli di integrazione i due punti di partenza.

Ancora più difficile è poi stabilire il concetto di “locale”: che sussistano evidenti interrelazioni con il territorio è ovvio, ma cosa ne derivi apre problemi di non secondaria importanza. Essi investono la filiera istituzionale in primo luogo (Regione, provincia, Comuni, Comunità Montane, Unione di Comuni, ecc.) e di qui il livello delle aggregazioni possibili.Specie in un paese come l’Italia particolarmente articolato e con enormi differenze a livello di sviluppo.

L’azione che qui proponiamo si muove lungo una lienea di ragionamento che, con la pretesa di mettere ordine sulla questione, avvia la predisposizione di strumenti indispensabili ad una classificazione e catalogazione dell’esistente.

Tanto è stato fatto e prodotto; ideee buone e meno buone; tentativi riusciti e no.

E’ giusto tirare una linea ed avviare una verifica.

Con questa prospettiva le pagine che seguono costituiscono il primo passo di un progetto più ampio che vede l’ISFOL impegnato nello studio e nell’analisi dei sistemi di sviluppo locale e nella predisposizione di strumenti di supporto all’attività di assistenza tecnica svolta dall’Istituto sulla tematica in esame.

Devo confessare infine che prima della loro lettura ero più pessimista; e devo confessare che molta strada è stata percorsa. Come sempre nel nostro Paese, la programmazione è nei fatti più avanti di quanto risulti nei documenti di sintesi.

E’ questa, tra l’altro, una delle principali motivazioni che stimola il nostro Istituto a migliorare e potenziare le azioni di monitoraggio, di valutazione e di riflessione sulle iniziative di sviluppo locale, con particolare riferimento, naturalmente, all’analisi degli aspetti legati alle politiche attive del lavoro ed alle governance territoriali.

Antonio Francioni Direttore Generale ISFOL

(4)
(5)

INTRODUZIONE

Il presente volume illustra i principali risultati di una analisi condotta dall'Isfol sui Programmi di Sviluppo Locale attivati nelle Regioni Obiettivo 1.

Il tema dello sviluppo locale ha assunto in Italia un’importanza crescente negli ultimi decenni, e in special modo a partire dalla riforma del 1992 che ha segnato l'abbandono delle politiche di intervento straordinario nel Mezzogiorno “calate dall’alto”

ed ha avviato, con l'istituzione dei Patti Territoriali, un nuovo processo di sviluppo territoriale basato sulla valorizzazione delle specificità e delle vocazioni locali. La definizione di nuovi strumenti di intervento a livello nazionale e comunitario, la crescente rivendicazione degli attori a livello locale unitamente alla spinta verso il federalismo ed ai processi di globalizzazione economica hanno fatto si che, all’interno delle politiche comunitarie, nazionali e regionali, gli obiettivi dello sviluppo locale assumessero una assoluta centralità. Ciò ha portato ad una proliferazione di strumenti di sviluppo locale, nati ciascuno con finalità e ambiti tematici differenti, che si è accompagnata allo sviluppo di teorie e metodi per comprendere i fenomeni verificatisi e quantificare i risultati prodotti.

La rilevanza del tema ha posto l’interesse dell’Isfol verso un’analisi in grado di fornire un quadro d'insieme dei Programmi di sviluppo locale avviati negli ultimi anni in Italia, con particolare riguardo alle modalità di Governance ed agli impatti occupazionali delle politiche attive del lavoro. Lo studio è parte di un progetto più ampio sullo Sviluppo Locale il cui obiettivo generale è la costituzione di un “Osservatorio” che, attraverso una rilevazione ed analisi delle iniziative di sviluppo locale attivate sull’intero territorio nazionale, permetta una analisi più approfondita ed un confronto più ampio sulle differenze e sugli elementi in comune che caratterizzano i diversi programmi.

L’ampio ventaglio di caratterizzazioni che ha assunto lo sviluppo endogeno induce a ritenere che i processi locali non si prestino esclusivamente a logiche di natura economica e suggeriscono l’idea che per capire gli articolati processi di causa-effetto prodotti dall’intreccio di diverse variabili e fattori – di tipo istituzionale, sociale, culturale - sia necessario dotarsi di una cassetta di attrezzi che attinga da diverse discipline del sapere.

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Da qui scaturisce, da una parte, l’interesse verso un’analisi in grado di fornire un quadro informativo minimo comune per l’insieme dei Programmi di sviluppo locale avviati negli ultimi anni in Italia e, dall’altra, l’esigenza di considerare aspetti attinenti alla dimensione sociale e istituzionale, spesso intangibili, ma che possono spiegare più e meglio dei dati economici il successo o l’insuccesso delle iniziative realizzate.

In particolare, il presente lavoro è stato indirizzato a considerare tre elementi:

! il grado cooperazione interistituzionale sia orizzontale (tra Amministrazioni del medesimo livello) che verticale (Amministrazione centrale/regionale/locale) realizzatosi nell’ambito dei programmi/progetti di sviluppo locale;

! il ricorso alla concertazione, ovvero la composizione e l’intensità del coinvolgimento del partenariato sociale ed economico, per favorire i processi di sviluppo locale individuati;

! la rilevanza degli interventi in termini di incidenza a livello locale sulla dimensione politiche attive del lavoro e della formazione.

Il primo obiettivo del lavoro è stato, pertanto, rilevare e descrivere le modalità di interazione dei tre elementi individuati, e valutare, in particolare, quale influenza abbia avuto la realizzazione dei programmi di sviluppo locale sulla governance e sugli assetti interistituzionali nei diversi contesti territoriali. A tal fine, l’attenzione è stata posta sulle tipologie e i ruoli dei diversi soggetti interessati, rilevando e descrivendo sia gli aspetti formali del loro coinvolgimento sia le prassi e i comportamenti sostanziali.

Il secondo obiettivo ha riguardato l’individuazione della rilevanza che la presenza (diretta o indiretta) o l’assenza di interventi di politiche formative e del lavoro ha avuto per il successo e l’efficacia del programma di sviluppo.

In relazione ai risultati, le analisi condotte consentono in primo luogo di affermare che, sebbene l’esistenza di una partnership composita ed equilibrata sia un elemento in grado di favorire un efficace processo di concertazione nell’ambito dei programmi di sviluppo locale, spesso le peculiarità territoriali conducono al prevalere di alcuni soggetti rispetto ad altri nel ruolo di guida del progetto di sviluppo - senza che ciò pregiudichi il positivo funzionamento della governance territoriale legata all’attuazione delle diverse iniziative.

La forza della partnership si esprime infatti nella capacità di presidio dei processi da parte di ciascuna delle sue componenti, che consente di garantire la socializzazione delle informazioni agevolando il governo del trend delle variabili locali. Uno dei risultati più rilevanti emersi dall’indagine è riconducibile al fatto che il ruolo della partnership si traduce prevalentemente nell’impegno a creare quel consenso sociale intorno ai progetti, fattore cruciale per una partecipazione attiva della comunità locale al progetto di sviluppo. In più, nelle esperienze analizzate si è verificato che i soggetti che esprimono gli interessi e le istanze che provengono dal basso sono stati spesso in grado di offrire quelle competenze tecniche di cui spesso le Amministrazioni pubbliche non dispongono.

Un ulteriore elemento che emerge con forza si riferisce alla convinzione diffusa tra i

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responsabili dei progetti che la cooperazione istituzionale e la concertazione con gli attori socioeconomici sia estremamente importante ai fini dell’identificazione dei fabbisogni specifici del territorio locale che richiedono interventi mirati.

Se da un lato va riconosciuto che il coinvolgimento dei soggetti politico-istituzionali è imprescindibile per la positiva riuscita degli interventi, poiché in essi risiede la capacità di tradurre gli impulsi positivi in azioni amministrative, dall’altro va considerato che il livello di competenze professionali dei soggetti componenti il partenariato socio economico è determinante per la successiva identificazione delle priorità espresse dal territorio e le relative soluzioni tecnico-operative. Inoltre, in quelle realtà in cui la coesione è stata molto forte, il partenariato ha costituito il riferimento intorno al quale sono stati avviati e realizzati altri interventi sul territorio grazie all’attivazione di altri programmi di sviluppo locale. In questo senso si può sostenere che il partenariato esprime una forza attiva sul territorio capace di innescare iniziative in un sistema di rete.

In definitiva, si può affermare che gli strumenti di sviluppo locale hanno avuto senza dubbio il merito di innescare un veloce e profondo cambiamento culturale, stimolando gli animal spirits presenti sul territorio e favorendo una messa a fattor comune dei diversi background.

E’ lecito dire, in questo senso, che il maggiore successo del meccanismo del partenariato risiede non già nell’aver realizzato una semplice giustapposizione delle diverse competenze dei soggetti locali, quanto piuttosto nell’aver reso possibile una loro integrazione mirata verso la realizzazione di obiettivi di sviluppo condivisi e nell’aver così costruito quel capitale sociale di fiducia che risulta indispensabile per dare sostegno a processi duraturi di crescita economica e sociale.

Con riferimento alla valorizzazione del capitale umano, si è indagato, da un lato in che misura la presenza (diretta o indiretta) di interventi di politiche formative e del lavoro ha avuto un peso nel determinare il successo e l’efficacia dei programmi di sviluppo, dall’altro se e come gli strumenti utilizzati abbiano prodotto esiti occupazionali positivi, rilevabili sia nella creazione di nuova forza lavoro, sia nel consolidamento di iniziative imprenditoriali già esistenti sul territorio, sia, infine, nell’emersione di attività lavorative irregolari. Da questo punto di vista, si può affermare che gli strumenti di sviluppo locale attivati sembrano aver prodotto effetti più tangibili nella creazione delle condizioni favorevoli per una migliore occupabilità dei residenti, piuttosto che in un incremento quantitativo apprezzabile della forza lavoro occupata a livello locale. D’altra parte, occorre rilevare come una posizione di centralità sia stata occupata, nell’ambito dei programmi e progetti di sviluppo analizzati, anche dalle azioni di sostegno indiretto all’occupazione, traducibili in forme di incentivazione alla creazione di impresa o al consolidamento di unità locali già presenti sul territorio. Per queste iniziative le ricadute occupazionali in termini quantitativi sono considerate a livello locale apprezzabili sebbene la mancanza di un sistema di monitoraggio e di valutazione sistematico limiti la

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possibilità di esprimere considerazioni compiute sull’efficacia di tali programmi, che tengano conto della sostenibilità nel tempo delle iniziative.

La maggior parte dei responsabili dei programmi intervistati con l'indagine campionaria ha percepito, inoltre, un generale miglioramento della propensione all’imprenditorialità a livello locale. Questo elemento riveste un’importanza cruciale nella valutazione degli esiti degli interventi di sviluppo locale per due ordini di ragioni. La prima attiene al fatto che i programmi e progetti analizzati si riferiscono ad aree depresse, in cui generalmente è bassa la propensione all’avvio di attività autonome per una molteplicità di fattori. La seconda fa riferimento alle strategie per l’occupazione richiamate in ambito nazionale ed europeo, che vedono nell’autoimprenditorialità uno dei pilastri su cui poggiano le attese di miglioramento delle possibilità occupazionali dei territori con maggiori difficoltà. Ciò significa che gli strumenti di sviluppo locale mostrano una loro efficacia d’insieme non soltanto nell’attività di animazione sul territorio, ma anche nella creazione di nuove prospettive occupazionali adeguate alle esigenze locali e in grado di produrre elementi di rottura dei vincoli allo sviluppo territoriale.

In sintesi, gli esiti delle indagini condotte consentono di sostenere che le iniziative attivate sul territorio sembrano aver prodotto effetti positivi nel valorizzare il capitale umano esistente in loco, in virtù della combinazione di due elementi tra loro complementari: gli interventi formativi qualificanti e coerenti con l’evoluzione della domanda stimolata dal progetto di sviluppo locale da un lato, ed il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, reso possibile dalla creazione di nuove opportunità occupazionali connesse agli investimenti finanziati e dal consolidamento dell’occupazione già esistente, dall'altro.

Claudio Tagliaferro

Dirigente Area SIN dell’ISFOL

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PARTE PRIMA

RILEVAZIONE ED ANALISI DEI PROGRAMMI DI SVILUPPO LOCALE

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1. L’APPROCCIO METODOLOGICO

La prima questione di carattere metodologico che si è dovuta affrontare ha riguardato la scelta dei programmi da sottoporre ad analisi. In tal senso, si è ritenuto di dovere individuare i programmi che rispondessero ai criteri definiti per procedere all’analisi.

A tal fine è stata avviata una ricerca sui profili caratteristici dei seguenti programmi di sviluppo locale, attuati nell’ambito delle Regioni obiettivo 1:

• Accordi di Programma Quadro;

• Patti territoriali nazionali, nelle varie “generazioni”, sia “generalisti” sia specializzati (agricoltura, turismo);

• Patti Territoriali per l’Occupazione Europei;

• Contratti d’Area;

• Contratti di Programma;

• Programmi Leader II e Leader +;

• Programmi Urban I, Urban II, Urban Italia;

• Progetti Integrati Territoriali (PIT) promossi nell’ambito del QCS Obiettivo 1 2000- 2006 e dei vari Programmi Operativi Regionali (POR).

Dopo questo primo screening sono stati esclusi dalla seconda fase di analisi gli Accordi di Programma Quadro e i Contratti di Programma, per i quali si è ritenuto mancassero alcuni degli elementi presi ad oggetto dall’indagine, vale a dire la configurazione di strumento operativo di intervento promosso dal basso per gli APQ e la configurazione partenariale del processo di programmazione e attuazione per i Contratti di Programma.

La peculiarità dell’ambito di indagine, poi, unita alla diversità degli strumenti e dei programmi da analizzare, ha indotto ad operare alcune scelte di metodo; la ricerca è stata così strutturata in tre fasi di analisi:

un’analisi desk finalizzata a ricostruire l’intero universo dei programmi e dei progetti di sviluppo locale nelle regioni Obiettivo 1;

un’indagine di campo su un campione rappresentativo di progetti di sviluppo locale;

l’approfondimento delle ipotesi di ricerca attraverso la realizzazione di 3 studi di caso relative ad esperienze considerate significative.

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Più nello specifico il lavoro di ricerca si è avviato con la raccolta e l’analisi desk di una vasta documentazione relativa alla programmazione di interventi di sviluppo locale nelle Regioni Obiettivo 1 ed allo stato di attuazione/realizzazione, per quanto riguarda gli aspetti decisionali, procedurali ed organizzativi.

La documentazione primaria oggetto di analisi si compone di:

- Normativa di riferimento comunitaria, nazionale, regionale;

- I testi di tutti i programmi e progetti selezionati durante la prima fase della ricerca;

- Gli atti amministrativi e di concertazione socio economica inerenti lo sviluppo locale;

- Le fonti statistiche primarie ed altre elaborazioni;

- Studi e ricerche già condotti nell’ambito di riferimento;

- I rapporti di monitoraggio ed i rapporti intermedi di attività.

Le fonti di informazione fanno principalmente riferimento all’Unione Europea, ai Ministeri interessati (Attività Produttive, Economia e Finanze, Lavoro, Ambiente, Agricoltura, Infrastrutture), alle Regioni Obiettivo 1, alle Province ed ai Comuni interessati. Sono stati presi in considerazione anche dati ed informazioni dell’Istat, di altri Enti di ricerca e di Soggetti di Rappresentanza degli interessi coinvolti nell’attuazione dei programmi.

Il secondo livello di analisi è consisito in una indagine di campo realizzata sulla base di una estrazione, a partire dall’universo di progetti censito, di un campione rappresentativo sulla base di due parametri:

- criterio geografico;

- criterio della rappresentatività degli strumenti.

La finalità di questo secondo livello di approfondimento è quella di ricavare alcune informazioni di tipo più valutativo riferite agli ambiti di interesse dello studio. Il questionario di indagine è stato infatti strutturato in modo da rilevare l’apprezzamento ed i risultati dei programmi con riferimento al funzionamento del partenariato ed al tema della valorizzazione del capitale umano.

Infine sono stati approfonditi alcuni studi di caso, con l’obiettivo di confutare e/o falsificare quanto emerso dall’indagine diretta. A tal fine si sono identificati quei progetti che apparivano maggiormente rispondenti alle ipotesi di ricerca, e si è dunque proceduto a realizzare delle interviste dirette con i responsabili dei programmi.

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2. L’ANALISI DESK DEI PROGRAMMI

2.1 L’universo di riferimento

La programmazione dello sviluppo locale nelle regioni Obiettivo 1 si è articolata nelle tipologie di strumento sopra elencate, ciascuna delle quali finalizzata a generare dinamiche di sviluppo in un determinato ambito di intervento. Il primo passaggio operativo nell’analisi è consistito nella definizione dell’universo dei progetti promossi, attivati e conclusi a livello territoriale; si è dunque avviata un’analisi desk consistita nella raccolta delle informazioni derivanti dalle diverse fonti di informazione (Ministero Economia e Finanze, Ministero Attività Produttive-IPI, Regioni) e volta alla ricostruzione, strumento per strumento, dello scenario di riferimento. Basata su una griglia di rilevazione, l’analisi ha consentito di acquisire i dati disponibili relativi ai caratteri generali dei progetti e quelli relativi all’attuazione e gestione delle iniziative.

L’indagine censimentale ha consentito di rilevare un totale di 383 iniziative distribuite tra i diversi strumenti come sintetizzato nel grafico 1. Va precisato che l’universo di indagine è stato delimitato sulla base di alcune considerazioni riferibili al numero di aree regionali oggetto dell’analisi (Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia) e alla tipologia di interventi presi in esame (Patti territoriali, Contratti d’Area, Leader II, Urban I e II, Progetti Integrati Territoriali).

Innanzitutto, si nota la forte incidenza che, sul numero totale dei Programmi, hanno le iniziative che ricadono nell’ambito del Programma di Iniziativa Comunitaria Leader II. Queste ultime, infatti, raggiungono nel complesso il 30% del totale, e si sostanziano in 115 Programmi, tutti peraltro già portati a completamento. La notevole concentrazione di iniziative nell’ambito del Programma Leader II, che sostiene lo sviluppo rurale locale, è collegata alla forte rilevanza strategica che il settore agricolo riveste rispetto alle economie delle regioni in questione, svolgendo una funzione di traino ai fini dello sviluppo sostenibile delle stesse.

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Graf. 1 - Ripartizione per tipologia dei Programmi di sviluppo locale

Patto Territoriale 19,1%

PIT 21,1%

Patto Territoriale (Protocollo Aggiutivo)

0,5%

Leader II 30,0%

Urban 4,4%

Patto Territoriale (Agricolo)

15,9%

Patto Territoriale (Pesca)

0,3%

Patto Territoriale (Agricoltura e pesca)

1,6%

Contratto d'Area 3,9%

Pattto Territoriale (Turismo)

1,0%

Patto Territoriale per l'Occupazione

2,1%

Fonte: elaborazioni Isfol su fonte MEF-MAP-Regioni

Importante è anche il peso assunto dai Progetti Integrati Territoriali, che raggiungono una percentuale del 21% sul totale1; questo strumento, nato nell’ambito della Programmazione comunitaria 2000/2006, è finalizzato a identificare interventi tra loro coerenti e coordinati sulla base delle reali esigenze di sviluppo e crescita dei territori.

Il fatto poi che i PIT siano, nell’ambito degli strumenti di sviluppo locale, quelli di più recente istituzione fa si che siano stati studiati sulla base dell’esperienza maturata grazie alle precedenti iniziative di programmazione locale. Ciò lascia ipotizzare che questi ultimi possano configurarsi come lo strumento principale per conseguire, nei prossimi anni, la finalità dello sviluppo delle entità territoriali locali. Tuttavia, l’attuale stato di attuazione, che differentemente dagli altri programmi, li vede, specie per alcune regioni,ancora nella fase di avvio, non consente di delineare possibili scenari sulla effettiva efficacia e funzionalità dello strumento rispetto agli obiettivi che si propone di ottenere.

1Tale % si basa sugli 81 PIT presentati alle autorità di gestione alla data del 31/12/2003; di questi, alla stessa data ne erano stati approvati formalmente 77. In totale si prevede che i PIT approvati entro il 2004 per le Regioni ob. 1 - compreso il Molise - saranno circa 130.

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Tab. 1 - Gli strumenti si sviluppo locale nelle Regioni Obiettivo 12

Fonte: elaborazioni Isfol su fonte MEF-MAP-Regioni

Un ulteriore gruppo rilevante di progetti è riconducibile alla categoria Patti. I Patti Territoriali si distinguono tra Patti generalisti di prima generazione, istituiti nel 1995 e di seconda generazione, o specializzati, avviati nel 1997. Se considerati nel complesso, i Patti risultano essere lo strumento di sviluppo locale in assoluto più diffuso sui territori delle regioni dell’Obiettivo 1. E’ tuttavia opportuno operare una distinzione tra le diverse tipologie di patto territoriale ed evidenziare l’incidenza che ognuna di esse ha avuto sul complesso della programmazione di sviluppo locale:

! Patti Generalisti (19,1%);

! Patti Agricoli (15,9%);

! Patti Agricoltura e Pesca (1,6%);

! Patti Turismo (1%);

! Patti Pesca (0,3%);

! Patti legati alla definizione di un protocollo aggiuntivo (0,5%);

Più nello specifico, nella prima categoria si fanno rientrare i Patti Territoriali non specializzati in un ambito di intervento particolare, e che risultano essere in assoluto quelli più diffusi (73). Le altre tipologie di Patto, specializzati ed appartenenti esclusivamente alla seconda generazione, vedono la preponderanza dei Patti agricoli, che sono complessivamente 62. Le altre categorie rivestono una importanza molto minore, a tal punto che i Patti Territoriali Agricoltura e Pesca, che risultano, tra i patti specialistici, come i più numerosi dietro quelli agricoli, raggiungono appena una percentuale dell’1,6%

e non sono stati attivati in tutte le regioni dell’Obiettivo 1.

2Relativamente al numero di PIT si rimanda a quanto specificato nella nota 1

Contratto d'Area Leader II

Patto Territorial

e

Patto Territorial

e (Agricolo)

Patto Territoriale (Agricoltur a e pesca)

Patto Territoriale

(Pesca) Patto Territoriale (Protocollo Aggiutivo)

Patto Territoriale per l'Occupazione

Patto Territoriale

(Turismo) PIT Urban Totale

Basilicata 1 12 4 1 8 26

Calabria 2 16 11 2 1 1 4 37

Campania 4 22 18 15 1 1 2 1 19 3 86

Molise 1 4 2 1 6 0 14

Puglia 1 17 12 8 2 1 1 1 2 10 5 60

Sardegna 3 19 6 7 2 1 11 1 50

Sicilia 3 25 22 26 3 27 4 110

Totale 15 115 73 61 6 1 2 8 4 81 17 383

% 3,9 30,0 19,1 15,9 1,6 0,3 0,5 2,1 1,0 21,1 4,4 100,0

(15)

Meno rilevante è, poi, l’incidenza dei Contratti d’Area, che sono complessivamente 15 e rappresentano il 3,9% del totale dei progetti di sviluppo locale attivati nelle regioni obiettivo 1, e delle iniziative ricadenti nell’ambito del Programma di Iniziativa Comunitaria Urban, che rappresentano il 4,4% della totalità dei programmi. Va peraltro specificato che, nell’ambito dei Programmi riconducibili ad Urban, sono comprese sia le iniziative nate nel corso del ciclo di programmazione comunitaria 1994- 99 (Urban I) che quelle della programmazione 2000-2006 (Urban II), per un numero rispettivamente pari ad 12 e 53.

Tuttavia, i dati relativi alle ultime due tipologie di strumenti vanno letti anche alla luce delle loro peculiarità. Più nello specifico, per quel che riguarda i Contratti d’Area va sottolineato come la apparente esigua numerosità degli stessi sia in realtà interpretabile in relazione alla specificità delle aree di intervento entro cui è possibile ricorrervi. Trattasi di aree attraversate da fenomeni di crisi economica ed occupazionale che rischiano di divenire strutturali, oltre che di aree industriali con caratteristiche specificamente individuate dalla normativa di riferimento. Per quel che concerne Urban il discorso è analogo, ma in questo caso il motivo che determina la bassa percentuale di iniziative afferenti a tale tipo di programma è data dal fatto che l’iniziativa Urban interviene in zone e quartieri urbani caratterizzati da condizioni di degrado urbanistico e di disagio sociale.

Nell’universo degli strumenti di sviluppo locale censiti rientra anche il Patto Territoriale per l’Occupazione (PTO), iniziativa pattizia di natura comunitaria, volta a favorire nelle regioni Obiettivo 1 la creazione di un’ampia partnership regionale al fine di mobilitare le risorse disponibili a favore di una strategia integrata in grado di soddisfare i bisogni del territorio e permettere l’attuazione di iniziative volte alla creazione di occupazione in diversi settori. L’iniziativa comunitaria ha portato in questo ambito alla stipula di 8 accordi nell’ambito di tali regioni, con una incidenza sul totale dei programmi di sviluppo locale pari al 2,1%. I PTO risultano tutti conclusi entro il 31/12/2001, anno previsto dalla Programmazione Comunitaria per il loro esaurimento.

3A questi si dovrebbero aggiungere gli ulteriori 20 programmi Urban Italia, di cui 11 relativi alle Regioni Ob. 1

(16)

2.2 Un’analisi territoriale dei Programmi di sviluppo locale

L’analisi della distribuzione territoriale degli strumenti di sviluppo locale all’interno delle regioni dell’Obiettivo 1 è stata mirata ad evidenziare il diverso grado di

“attivismo progettuale” delle sette regioni e a valutare in che misura la risposta del territorio abbia risentito delle differenti specificità e vocazioni regionali.

Graf. 2 - Ripartizione geografica dei Programmi di sviluppo locale

Fonte: elaborazioni Isfol su fonte MEF-MAP-Regioni

Come si evince dal grafico 2 la Sicilia è la regione in cui si è concentrato il maggior numero di iniziative, pari complessivamente ad un numero di 110 Programmi, e con una incidenza percentuale sul totale del 28,7%. Vale sottolineare, poi, come sia di rilievo il numero di iniziative che hanno avuto realizzazione in Campania, precisamente 86, e che collocano tale regione su di una percentuale del 22,5% rispetto alla totalità dei Programmi di sviluppo locale. Per una quota molto limitata di progetti si segnala, per converso, il Molise, regione da cui proviene solo il 3,7% dei programmi censiti.

In generale, se si osservano le quote di progetti delle altre regioni è facile dedurre che la numerosità degli stessi risulta fortemente correlata alla dimensione territoriale e alla densità abitativa, sebbene i dati relativi, in modo particolare, alla Sardegna in positivo (13,1% a fronte di una popolazione di poco a 1,6 milioni) e quelli inerenti la Calabria in negativo (9,7% sul totale a fronte di una popolazione di poco superiore ai 2 milioni), denotino come la progettualità sia anche influenzata da altri fattori (livello di consapevolezza da parte degli attori locali, presenza di centri di accumulazione di competenze e di produzione di conoscenza, forte identità culturale, tradizioni di autonomismo, ecc.) che non si ritrovano in maniera omogenea su tutti i territori.

Calabria 9,7%

Campania 22,5%

Molise 3,7%

Basilicat a 6,8%

Sicilia 28,7%

Sardegna 13,1%

P uglia 15,7%

(17)

Appare importante poi evidenziare, tramite l’ausilio del grafico 3 e della tabella 9, quale sia l’incidenza delle diverse tipologie di strumento in ognuna delle regioni considerate.

Graf. 3 – Incidenza degli strumenti di sviluppo locale nelle Regioni Obiettivo 1

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Ba sil ica ta

Ca la br ia

Ca m pa nia

M ol ise

Pu gli a

Sa rd eg na

Si cil ia

Urban

Patto Territoriale per l'Occupazione PIT

Patti territoriali Leader II Contratto d'Area

Fonte: elaborazioni Isfol su fonte MEF-MAP-Regioni

Innanzitutto, si può rilevare come la configurazione territoriale e la struttura economica delle diverse regioni influenzi la distribuzione di alcune tipologie di programmi. Ad esempio, è naturale che i Contratti d’Area si siano concentrati laddove erano più presenti tradizionalmente nuclei di industrializzazione e dove pertanto era più probabile che emergesse la necessità di promuovere un programma di intervento volto ad invertire processi di deindustrializzazione o a contrastare fenomeni di crisi strutturale.

Allo stesso modo l’assenza o la scarsa presenza di progetti Urban in alcune regioni si spiega con il diverso carattere assunto dai processi di agglomerazione residenziale a livello territoriale.

I Patti territoriali di prima (generalisti) e di seconda (specializzati) generazione osservano un trend positivo in pressoché tutte le Regioni, a testimonianza del fatto che

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costituiscono lo strumento che maggiormente si è diffuso nei differenti contesti economici e sociali.

Ulteriori elementi di interesse scaturiscono da una lettura per regioni dei dati inerenti la ripartizione delle differenti tipologie di progetti.

Si rileva così che, in Basilicata sono stati messi a punto complessivamente 26 Programmi di sviluppo locale, e la regione si distingue per essere l’unica, insieme alla Sicilia, in cui vi è assenza di Patti territoriali specialistici, se si eccettua un Patto territoriale agricolo. Allo stesso modo, la regione si distingue per non aver visto la nascita di alcuna iniziativa legata al Programma Urban. Lo strumento di intervento più diffuso, coerentemente con la forte vocazione agricola del territorio, è rappresentato dal Programma Leader II, che ha portato al finanziamento di 12 iniziative, seguito dai Progetti Integrati Territoriali, presenti complessivamente in regione in un numero pari ad 8 (ai quali vanno aggiunti 2 PISU - progetti Integrati urbani delle città di Potenza e Matera), anch’essi a forte connotazione di sviluppo rurale. L’esistenza di 4 Patti territoriali generalisti e di un Contratto d’Area (strumenti attivati nella seconda metà degli anni ‘90) testimonia come nella regione si siano attivati già nella prima fase di applicazione dell’approccio bottom up progetti di sviluppo locale. L’esperienza maturata in maniera diretta nel corso di analisi che hanno riguardato la regione consente di ipotizzare che il forte senso di appartenenza territoriale e il buon livello di coesione sociale siano all’origine della discreta performance della Basilicata in termini di propensione alla progettualità.

Sul territorio della Calabria sono stati invece istituiti 37 Programmi di sviluppo locale, un numero nettamente inferiore a quello della Basilicata se rapportata alla popolazione residente e alla superficie. Tra questi spiccano i 16 nati nell’ambito del Leader II, e gli 11 Patti territoriali di carattere generalista. In regione si è dato vita anche a 4 Patti Territoriali di natura specialistica, tra i quali si distinguono, più nello specifico, 2 Patti territoriali agricoli, 1 Patto Agricoltura e Pesca, ed un accordo pattizio che interviene sul settore turistico. La concentrazione di progetti legati allo sviluppo agricolo e rurale segnala anche, in questo caso, come il territorio abbia cercato di far leva soprattutto sulla valorizzazione di una tradizione produttiva ancora molto diffusa. In questo caso, peraltro, è importante evidenziare come in regione siano stati attivati ben 4 Programmi legati all’iniziativa comunitaria Urban, un numero che colloca la Calabria dietro solo alla Puglia per il numero di Programmi realizzati ricadenti in tale ambito, elemento che può essere interpretato come segno di una buona capacità progettuale dei Comuni capoluogo, promotori quasi esclusivi di tali tipologie di progetti. Infine, vale la pena segnalare che al momento in cui è stata realizzata l’indagine, ancora non risultano avviati i Progetti Integrati Territoriali. A novembre 2003 risultavano concluse le fasi di valutazione/negoziazione delle 23 proposte PIT presentate ed era in corso l’approvazione dei PIT valutati positivamente.

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La Campania, come già si è avuto modo di sottolineare, è la regione in cui, dopo la Sicilia, si è avuta in assoluto la maggiore diffusione di programmi di sviluppo locale, precisamente 86. Il territorio campano si caratterizza per essere quello in cui ha avuto maggiore diffusione lo strumento del Contratto d’Area; sono infatti presenti 4 Contratti d’Area dei 15 che, complessivamente, sono stati istituiti nelle regioni obiettivo 1. Per il resto, la regione risulta seconda solo alla Sicilia in termini di numerosità di Patti territoriali e Patti Territoriali agricoli, oltre che per quel che riguarda i PIT. È importante segnalare, infine, anche la presenza di due Patti Territoriali per l’Occupazione. Nel complesso, se si considera che le modalità di attuazione prescelte dalla Regione Campania hanno lasciata aperta la possibilità di presentare nuovi PIT e che il territorio sta rispondendo con la definizione di un numero significativo di nuovi progetti, si può affermare che il territorio manifesta una forte capacità progettuale, anche in ragione della presenza di una vivacità culturale spiccata e dell’esistenza di numerosi e validi centri di promozione e diffusione della conoscenza (non solo università).

In Molise si è rilevata una notevole concentrazione dei 14 Programmi posti in essere nell’ambito di determinate tipologie di strumento. Lo strumento di sviluppo locale che ha trovato maggiore sviluppo in regione è rappresentato dai Progetti Integrati Territoriali, 6 sui 14 Programmi che in totale caratterizzano il Molise per la loro presenza sul territorio. Relativamente rilevante è anche il numero di iniziative nate nell’alveo del Programma Leader II, che risultano essere pari a 4. In particolare poi, a parte due Patti agricoli e l’importante presenza di un PTO, vi è assenza di diffusione dello strumento

“Patto” sul territorio molisano. E’ evidente che ad influenzare la scarsa progettualità intervengono in questo caso molteplici fattori, tra cui hanno sicuramente un peso non trascurabile anche i livelli di istruzione della popolazione e la bassa capacità dei centri urbani di produrre accumulazione di conoscenze.

L’unica regione in cui si è avuta la realizzazione di almeno una iniziativa per ognuna delle tipologie di strumento di sviluppo locale è la Puglia. Sul territorio pugliese, infatti, i 60 programmi finanziati si sono distribuiti tra tutte le tipologie previste. Peraltro, la nascita di 5 Programmi Urban fa sì che la Puglia risulti l’ambito territoriale in cui tale iniziativa ha prodotto il finanziamento del maggior numero di Programmi. Per il resto, vale evidenziare come sia sempre il Programma Leader II lo strumento che ha prodotto l’istituzione del più ampio insieme di iniziative, seguito dai Patti territoriali e dai Progetti Integrati Territoriali.

La Sardegna ha visto svilupparsi sul proprio territorio 50 Programmi di sviluppo locale. Vale evidenziare una buona presenza di Contratti d’area (3), e di iniziative legate all’IC Leader II (19). La presenza di 11 PIT in un territorio molto vasto quale è quello sardo, a fronte anche di un numero di progetti Leader II molto più elevato, potrebbe essere interpretato come segno della ricerca di una dimensione di intervento più adeguata a produrre effetti sistemici sul territorio e a conseguire una massa critica (elemento molto rilevante in una regione con bassa densità demografica), probabilmente frutto

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dell’esperienza maturata o come il positivo effetto di una migliore conciliazione degli interessi spesso particolaristici di determinate aree.

Infine, come si è avuto modo di sottolineare, la Sicilia è la regione che ha raccolto il maggior numero di Programmi. Sul territorio siciliano si è avuta, infatti, l’attivazione di 110 iniziative, anche se, va sottolineato, non vi è stata la creazione, ad esclusione dei Patti agricoli, di alcun altro patto territoriale di natura specialistica.

Tuttavia, la realizzazione di 27 PIT (di cui 7 a vocazione di sviluppo rurale e ben 15 a forte connotazione di sviluppo turistico), 26 Patti territoriali agricoli, 25 Programmi Leader II e 22 Patti territoriali certificano la grande spinta propulsiva che si è avuta sul territorio ai fini dello sfruttamento delle opportunità offerte dagli strumenti di programmazione locale per costituire le basi di uno sviluppo economico sostenibile in regione. Peraltro, la presenza di 3 PTO fa sì che la Sicilia risulti anche come la Regione in cui tale strumento ha avuto maggiore diffusione. In generale, da altre indagini condotte con specifico riferimento ai PIT si rileva come il territorio abbia scommesso soprattutto su una prospettiva di crescita socioeconomica basata sulla piena valorizzazione del patrimonio culturale e sul recupero delle risorse naturali e come vi sia una netta differenziazione tra la progettualità dei centri urbani maggiori più mirata a rafforzare la capacità competitiva dei sistemi territoriali nell’arena globale e quella espressa dalle aree più marginali che si connota come più attenta ai processi di sviluppo sostenibile.

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Considerazioni di interesse emergono anche analizzando l’ampiezza territoriale dell’intervento nell’ambito delle differenti tipologie di strumenti di sviluppo locale.

Graf. 4 – I comuni interessati dai programmi di sviluppo locale

Fonte: elaborazioni Isfol su fonte MEF-MAP-Regioni

Il grafico 4 mostra come i diversi strumenti di sviluppo locale si siano distribuiti rispetto al numero di comuni interessati dal singolo progetto.

Risulta evidente come la gran parte delle iniziative intraprese abbia visto il coinvolgimento di un numero di comuni inferiore a 10.

In particolare, si segnalano le elevate incidenze che in tal senso si sono registrate relativamente ai Programmi di Iniziativa Comunitaria Leader ed Urban, ed in relazione ad i Contratti d’area. D’altra parte, le caratteristiche proprie delle iniziative legate a tali strumenti, e le finalità perseguite dagli stessi, giustificano tale evidenza (ad esempio Urban interviene a scala comunale).

L’unico caso in cui si registra invece una maggiore tendenza a coinvolgere un numero di comuni superiore a 10 è quello dei PIT.

Se si assume che, come sottolineato in precedenza, l’esperienza dei PIT dovrebbe costituire una sintesi dei progetti pregressi , andando a risolvere alcuni vincoli delle precedenti tipologie di iniziative si può leggere quest’ultimo dato come l’effetto della ricerca di una maggiore massa critica di interventi sul territorio, fattore che in alcuni casi ha limitato la possibilità di ottenere risultati di carattere sistemico (il riferimento specifico è soprattutto al Programma Leader).

Una conferma di tale interpretazione sembra venire, peraltro, dai dati relativi alla ripartizione delle risorse finanziarie complessivamente destinate alle iniziative di sviluppo locale tra i diversi strumenti.

Contratto d'Area

Leader II

Patto Territoriale

Patto Territoriale per l'Occupazione PIT

Urban Meno di 10

Tra 10 e 20

Oltre 20

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Con riferimento alla dotazione finanziaria dei programmi analizzati il grafico 5 riporta la distribuzione percentuale delle risorse complessivamente assegnate ai Programmi di sviluppo locale oggetto d’indagine. Vale sottolineare come, dall’osservazione della distribuzione delle risorse, si rilevi una sostanziale uniformità di tale dato con quello relativo alla ripartizione del numero totale dei programmi attuati tra le differenti tipologie di strumento di sviluppo locale (graf. 1). Fanno eccezione i dati relativi al Programma Leader II, e a quelli relativi ai Contratti d’Area, che assorbono in termini di risorse finanziarie complessivamente destinate allo sviluppo locale una quota di molto inferiore e di molto superiore, rispetto alla corrispondente importanza in termini di numerosità progettuale. Ciò significa che i Piani d’Azione Locale del Leader II si configurano come miniprogrammi anche dal punto di vista finanziario mentre i Contratti d’Area presentano una rilevanza finanziaria spesso più elevata della media delle altre tipologie di strumento.

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Graf. 5 – Ripartizione delle risorse finanziarie complessive tra gli strumenti di sviluppo locale

Contratto d'Area 22,77%

Patto Territoriale 30,31%

Patto Territoriale (Pesca)

0,13%

PIT 22,48%

Patto Territoriale (Protocollo Aggiutivo)

0,91%

P. T. Turismo Leader II 2%

3,90%

P. Territoriale per l'Occupazione

2%

Urban 1,30%

Patto Territoriale (Agricoltura e pesca)

1,18%

Patto Territoriale (Agricolo)

13,30%

Fonte: elaborazioni Isfol su fonte MEF-MAP-Regioni

Più in particolare, per quel che concerne le iniziative nate in relazione al Leader II va evidenziato come, pur coprendo il 30% dei 383 programmi di sviluppo censiti, esse abbiano raccolto solo il 4% della dotazione finanziaria complessiva degli strumenti di sviluppo locale. Ciò è attribuibile al fatto che, seppur con una capillare diffusione territoriale, le iniziative avviate nell’ambito del programma riguardano interventi di modesto rilievo, per la natura prevalentemente immateriale che li contraddistingue (animazione sul territorio, formazione, aiuti in de minimis).

Di contro, i Contratti d’area, pur essendo solo 15, e raggiungendo il 3,9% del totale dei programmi di sviluppo locale, raccolgono il 22% delle risorse finanziarie complessive, una misura inferiore solo a quella relativa ai Patti Territoriali, che raggiungono il 30%, e pari a quella dei Progetti Integrati Territoriali. Questo strumento prevede infatti la realizzazione di investimenti spesso connessi alla riconversione e al rilancio di agglomerazioni industriali di notevole peso specifico.

Dal canto loro, i Patti Territoriali, pari in termini numerici al 19,1% del totale dei programmi, hanno raccolto il 30% delle risorse complessive, ovvero la più ampia fetta di dotazione finanziaria. Anche in questo caso, ad incidere sul risultato contribuisce la possibilità di destinare fino al 30% degli investimenti complessivamente previsti al

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finanziamento di opere infrastrutturali, che per loro natura richiedono l’attivazione di risorse finanziarie cospicue.

2.3 Una lettura trasversale dei Programmi di Sviluppo Locale

Gli strumenti di sviluppo locale analizzati nel presente lavoro presentano caratteristiche ed obiettivi specifici che li diversificano tra loro. Un elemento che li accomuna è costituito dal generale obiettivo di creare uno sviluppo integrato che vede il coinvolgimento dei diversi soggetti che operano sul territorio, finalizzato alla creazione, a livello locale, della comune consapevolezza e condivisione degli obiettivi da perseguire e delle relative azioni positive da mettere in campo.

Le strategie attivate perseguono la finalità ultima di realizzare il miglioramento delle condizioni socioeconomiche delle popolazioni residenti ed una migliore occupabilità delle risorse, sia nella forma di nuova occupazione, sia nella forma di emersione da forme di lavoro irregolari che caratterizzano in negativo il mercato del lavoro delle regioni dell’obiettivo 1.

La tabella 2 sintetizza le peculiarità dei programmi di sviluppo locale alla luce di tre aspetti cruciali:

• le modalità di attuazione;

• il ruolo svolto dal partenariato;

• gli effetti prodotti (o ricercati) nell’ambito del mercato del lavoro e della valorizzazione del capitale umano.

Una prima considerazione di carattere generale, riguarda l’aspetto temporale che determina l’apprezzamento dei risultati allo stato attuale. Una valutazione complessiva è operabile soltanto per i Patti territoriali e i programmi Leader, che associano alla caratteristica di essere gli strumenti numericamente più diffusi sul territorio - e dunque quelli che offrono maggiori spunti di interesse - quella di aver già concluso le attività manifestando gli effetti macro che ciascuno di essi ha prodotto, sia in maniera diretta sia indiretta, sui territori in cui sono ricadute le azioni.

In particolare, ci si riferisce all’impossibilità di stilare un giudizio completo sugli interventi finanziati ad opera dei Progetti Integrati Territoriali dal momento che, come già sottolineato, costituiscono lo strumento di più recente ideazione e che non ha ancora conseguito, al momento in cui è stata svola la presente analisi, quel livello minimo di realizzazione che permetta di esprimere una, seppur generale, valutazione. Ad oggi il dibattito in corso sui PIT attiene più agli aspetti formali del Programma, e più in particolare ai meccanismi di funzionamento dello strumento e della partnership. Altri programmi, come ad esempio i Contratti d’Area ed Urban, presentano ambiti e modalità di intervento molto specifiche che poco si prestano a letture di tipo trasversale o comparativo soprattutto per la loro esigua numerosità.

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La modalità di accesso ai programmi, unitamente ai diversi soggetti deputati al coordinamento ed all’erogazione dei finanziamenti, vedono coinvolti i soggetti istituzionali ai vari livelli: nazionale, comunitario (per quel che riguarda i Patti territoriali per l’occupazione) e regionale (per quel che attiene ai Progetti Integrati Territoriali). Alla base dell’avvio delle azioni vi sono solitamente degli accordi formali traducibili in Convenzioni, Protocolli d’intesa, Accordi quadro.

Con riferimento al partenariato si può pensare, in via generale, ad un tavolo composito attorno al quale sono seduti tutti i rappresentanti degli interessi specifici cui il programma intende offrire risposte positive traducibili in azioni. Tuttavia, ciascun programma vede un diverso coinvolgimento delle parti economiche e sociali, che determinano in positivo o in negativo la realizzazione del metodo della concertazione e della coesione.

E’ evidente, infatti, che lo sviluppo locale si realizza al meglio laddove si riesce a costruire quel consenso sociale al quale le parti economiche e sociali offrono il contributo più incisivo. I Patti territoriali per l’occupazione, ad esempio, hanno visto in un equilibrato e paritetico peso delle diverse componenti istituzionali ed economico sociali il fattore cruciale di successo nella programmazione ed attuazione delle iniziative. Di contro, nei PIT, allo stato attuale, alcuni interlocutori privilegiati hanno evidenziato la debolezza espressa dalla presenza di un partenartiato sbilanciato sul versante istituzionale.

Dal punto di vista formale, tuttavia, si osserva un sostanziale equilibrio nella composizione partenariale pubblica (Comuni, Province, Comunità montane, Regioni, Centri per l’impiego, etc.) e privata (Organizzazioni sindacali, Associazioni imprenditoriali dell'industria, Associazioni imprenditoriali, dell'agricoltura, Associazioni imprenditoriali del commercio, Associazioni imprenditoriali, dell'artigianato, Associazioni della cooperazione, ONG e del terzo settore, Associazioni ambientaliste). Si può quindi ipotizzare che la prevalenza degli interessi dei soggetti istituzionali può essere dipesa dalle modalità previste per l’ideazione e la definizione concreta dei PIT o che tale prevalenza sia solo “percepita” in quanto segno tangibile di una crescente voglia di protagonismo del partenariato socioeconomico, che rivendica un ruolo di maggiore responsabilità. D’altra parte, vale la pena sottolineare che tra i soggetti privati si è osservata una più diffusa presenza rispetto al passato di Banche e Camere di Commercio, che conferisce in linea teorica più solide basi operative al partenariato.

Il tema della valorizzazione del capitale umano e degli effetti sul mercato del lavoro locale, traducibile nell’attivazione di iniziative formative piuttosto che di aiuti finalizzati alla creazione di nuova occupazione rappresenta il principio ispiratore cui i diversi strumenti hanno offerto risposta, seppure in maniera distinta. La strategia europea per l’occupazione enfatizza, facendone due dei suoi pilastri, l’importanza sul lifelong learning e sulla autopromozione di lavoro. Ciascuno degli strumenti di sviluppo locale prevede in tal senso l’individuazione di modalità specifiche con cui perseguire tali obiettivi (come ad esempio l’animazione territoriale, prevista dall’IC Leader, oppure il

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sostegno diretto alla creazione e consolidamento di attività imprenditoriali, previsto nei Patti territoriali). In generale, si osserva una forte presenza di interventi finalizzati alla formazione dei beneficiari coinvolti nelle diverse iniziative. Talvolta, le iniziative presentano anche una specifica vocazione all’emersione dal lavoro sommerso, anche se il tema non assume mai centralità all’interno del progetto complessivo di sviluppo (pur potendosi ravvisare le condizioni perché ciò avvenga in non pochi casi). Tuttavia, va rilevato che l’elemento connesso al potenziale impatto sul mercato del lavoro si traduce spesso nella “semplice” quantificazione dell’occupazione prevista, che non di rado viene effettuata senza avere parametri di riferimento, quando in realtà i benefici sul mercato del lavoro possono riflettersi sotto forme diverse (miglioramento delle condizioni di occupazione, miglioramento delle prospettive di progressione di carriera in loco, ecc.).

Ad esempio, appare curioso che anche in relazione a programmi come Leader o Urban, certamente non mirati a produrre in maniera diretta nuova occupazione e che intervengono su una scala territoriale ridotta, l’elemento più enfatizzato sia alla fine proprio quello dei risultati in termini di unità lavorative create e/o mantenute. Per lo stesso motivo, ovvero per la loro natura di veri e propri programmi di sviluppo d’area, nonché per la loro più rilevante dimensione finanziaria, sarebbe invece lecito attendersi per i PIT una attenta valutazione ex ante dei potenziali effetti sul mercato del lavoro locale, elemento che è stato invece generalmente considerato non centrale in fase di selezione dei progetti dalle Regioni.

In tale scenario, ciò che sembra maggiormente interessante è la presenza di diversi strumenti sulle medesime aree territoriali. In questo senso, si può sostenere che i processi di sviluppo endogeno tendono a produrre spontaneamente (se assumiamo che la nascita dei diversi progetti e la loro collocazione territoriale non sia eterodiretta) una concentrazione di risorse e di iniziative nelle aree in cui maggiore è la probabilità di consolidare sistemi a rete sfruttando anche le sinergie prodotte dai singoli programmi di sviluppo.

In effetti si sono rilevati dei casi in cui diversi strumenti hanno insistito su di uno stesso territorio, potendo configurarsi come logica prosecuzione di una preesistente iniziativa operante nello stesso ambito territoriale (ad esempio Patto Territoriale per l’Occupazione dell’Alto Belice Corleonese, da cui è originato l’omonimo Patto Territoriale Agricolo; Patto Territoriale Vibo Valentia, Patto Territoriale Turismo Vibo Valentia, Patto Territoriale Agricoltura e Pesca Vibo Valentia) e che tale evidenza si è accompagnata ad esperienze nel complesso più positive della media.

Tale aspetto va quindi considerato positivamente, in quanto indice del fatto che laddove si afferma una leadership territoriale e i meccanismi partenariali dimostrano di funzionare si è in grado di sfruttare appieno le opportunità che scaturiscono dai diversi canali di finanziamento dello sviluppo.

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Tab. 2 - Analisi comparata dei programmi di sviluppo locale

PARTENARIATO MODALITÀ DI ACCESSO POLITICHE ATTIVE

DEL LAVORO

Patto territoriale

Patti di 2° generazione

Enti locali, soggetti pubblici locali, rappresentanze imprenditoriali e dei lavoratori e soggetti privati.

Possono partecipare: Regione, Banche e Finanziarie regionali, Consorzi Garanzia fidi e consorzi di sviluppo industriale.

Patti di 2° generazione

Le parti sociali attuano la concertazione attraverso uno specifico Protocollo d’Intesa. Il Ministero del Bilancio approva i Patti e assicura l’assistenza alla progettazione degli interventi.

Sono promossi interventi per la: "crescita e lo sviluppo del mercato del lavoro in una logica di qualificazione e flessibilità"

Patto territoriale per l’occupazione

Amministrazioni nazionali, regionali o locali, imprese, PMI, organizzazioni socio-economiche, pres. Comitati di Sorveglianza su interventi strutturali dell’UE, ass. per lo sviluppo, parti sociali, rappresentanti delle associazioni, Cciaa, istituti di formazione e ricerca.

1) Presentazione del patto alle autorità nazionali con un accordo che specifica impegni per ciascun partner.

2) Gli Stati membri vengono informati sui contenuti del patto e la Commissione, insieme allo Stato, ne valuta il contenuto.

La Ue fornisce assistenza tecnica per la formulazione dei piani d’azione.

Il ruolo dei partenariati sociali è formulare proposte per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e valorizzazione delle risorse umane.

Contratto d’Area

Soggetti promotori: Organizzazioni sindacali e datori di lavoro Sottoscrittori: Promotori,

amministrazioni statali e regionali, enti locali, imprese investitrici e intermediari in grado di attivare sovvenzioni globali UE.

Altri soggetti: enti pubblici/economici, società a partecipazione pubblica, banche, altri operatori finanziari

Le amministrazioni e gli enti pubblici stipulano un Accordo di Programma Quadro.

Le parti sociali sottoscrivono un’intesa qualificata dagli obiettivi e dai contenuti indicati nell’Accordo per il lavoro sottoscritto il 24 settembre 1996.

Il Cd'Area è definito come una forma di "partenariato sociale per la

progettazione concertata di un ambiente economico favorevole all’attivazione di nuove iniziative imprenditoriali e alla creazione di nuova occupazione".

Contratto di programma

Non prevede un vero e proprio partenariato.

I sottoscrittori dell’accordo sono solamente due, il Ministero

(originariamente del Bilancio e adesso delle Attività Produttive) e l’impresa investitrice.

Fasi:

1) Presentazione della domanda e del piano progettuale

2) Istruttoria tecnica e approvazione del Ministero.

3) Presentazione degli specifici progetti da realizzare.

La realizzazione di grandi progetti prevede sia la formazione e riqualificazione professionale, sia la creazione di nuova occupazione.

Progetto Integrato territoriale

Enti Locali, Associazioni di categoria, imprese trainanti a livello locale, PMI, Organizzazioni sindacali,

Organizzazioni no-profit, Consorzi, GAL/ Agenzie di sviluppo, Pro loco/Agenzie turistiche, Comunità montane.

Il processo, differisce da regione a regione, prevedendo due modalità:

1) Le Regioni individuano i contesti settoriali e territoriali, demandando agli Enti Territoriali la progettazione operativa.

2) Le Regioni stabiliscono alcuni limiti e priorità sulla base dei quali è realizzata la progettazione promossa dal territorio.

L’obiettivo è quello di promuovere l’insediamento di nuove iniziative imprenditoriali e creare un contesto favorevole allo sviluppo.

Programma di Iniziativa Comunitaria

Leader

Costituzione di GAL (Gruppi di azione Locale): partenariato rappresentativo di op. pubblici e privati del territorio.

I partenariati possono essere costituiti anche tra diversi territori rurali di uno stesso Stato membro oppure tra territori di differenti Stati membri e in alcuni casi anche con Paesi terzi.

Le Autorità di gestione (Regioni per l'A.I e II e il Min. Politiche Agricole e forestali per A. III) presentano un programma che viene approvato dalla UE. Sulla base del programma, le autorità di gestione selezionano i beneficiari (GAL) e i Piani di Sviluppo Locale (PSL) da questi presentati

La caratteristica delle iniziative, volta prevalentemente alla animazione ed

all’attivazione di azioni di formazione, finalizza lo strumento al sostegno delle politiche formative.

Programma di Iniziativa Comunitaria

Urban

L’autorità nazionale responsabile è il Ministero dei lavori Pubblici, mentre il beneficiario finale è generalmente l’Ente Comunale. In Urban II si è rafforzata la partecipazione del livello locale .

1) UE: definisce stanziamenti indicativi e n° di zone urbane per Stato membro.

2) Gli Stati stabiliscono le zone e ripartiscono gli stanziamenti avvalendosi di indicatori e previa selezione in base a d una procedura concordata con UE.

3) Autorità Locali Elaborano i programmi

Creazione di posti di lavoro nell'ambiente, cultura, servizi e integrazione classi sociali svantaggiate nei sistemi educativi e formativi

Fonte: elaborazioni Isfol

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3. L’INDAGINE SU UN CAMPIONE DI PROGRAMMI DI SVILUPPO LOCALE

3.1 Obiettivi e disegno dell’indagine

L’attenzione al tema dello sviluppo locale in Italia è divenuta particolarmente accentuata a partire dalla seconda metà degli anni ’70 con l’emergere del cosiddetto sviluppo bottom up che si riscontrava in aree con elevata presenza di piccole imprese, caratterizzate da modelli di industrializzazione centrati sulla valorizzazione dei saperi locali. Il tema ha registrato, nel corso di questi anni, uno straordinario successo; le politiche comunitarie, nazionali e regionali hanno assunto lo sviluppo locale tra le finalità specifiche dei programmi contribuendo positivamente allo sviluppo ed al consolidamento di teorie sul tema.

I caratteri prevalenti dello sviluppo endogeno sono legati ad un processo di sviluppo governabile dagli attori locali e basato su fattori di competitività fortemente radicati sul territorio. Un modello di sviluppo endogeno, infatti, garantisce autonomia al processo di trasformazione del sistema economico locale e centralità dei processi decisionali degli attori sociali ed economici. Il processo di trasformazione si basa, dunque, su alcune specificità locali e sulla capacità di governo di alcune variabili fondamentali di politica regionale. I processi locali non rispondono esclusivamente a logiche di natura economica e dunque per capire l’articolato processo in cui intervengono diverse variabili e fattori – di tipo istituzionale, sociale, culturale - è necessario dotarsi di una cassetta di attrezzi che disponga del contributo di diverse discipline. Va dunque osservato che lo sviluppo locale non risponde a teorizzazioni esaustive in grado di offrire spiegazioni al complesso dei fenomeni locali e va pertanto considerato come una realtà data, come una modalità con cui si manifesta la crescita di un sistema territoriale locale.

Le potenzialità di sviluppo di un sistema territoriale si basano sulla capacità di cogliere le opportunità attraverso la costruzione di progetti specifici; un tale approccio evidenzia in primo luogo la questione della responsabilità degli attori locali nel perseguimento di un processo di sviluppo ed elimina quindi ambiguità nei casi di relativo insuccesso. In secondo luogo si sottolinea che i progetti di sviluppo locale non possono prescindere dal carattere di rispondenza ai bisogni specifici della comunità di imprese e di persone che insistono sul territorio con le conseguenti ricadute in termini occupazionali e di consolidamento dei profili professionali dei residenti.

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