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Correlazione epidemiologica fra toxoplasmosi e infezione da HEV: nostra esperienza

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Academic year: 2022

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELL’AQUILA Dipartimento di Medicina clinica, sanità pubblica,

scienze della vita e dell’ambiente

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia Presidente: Prof.ssa Leila Fabiani

Tesi di Laurea sperimentale

Correlazione epidemiologica fra toxoplasmosi e infezione da HEV: nostra esperienza

RELATORE CANDIDATO Chiar.ma Prof.ssa Angela D’Alfonso Daniele Antonelli Matricola 221456

Anno Accademico 2019/2020

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

FISIOLOGIA DELLA GRAVIDANZA ... 6

VIRUS DELL’EPATITE E ... 16

HEV IN GRAVIDANZA ... 28

TOXOPLASMOSI IN GRAVIDANZA ... 31

DIAGNOSTICA PRENATALE: QUADRO INFETTIVOLOGICO ED EPATICO ... 39

SCOPO DELLA TESI ... 48

MATERIALI E METODI ... 49

RISULTATI ... 59

CONCLUSIONI ... 61

RINGRAZIAMENTI ... 63

BIBLIOGRAFIA ... 66

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INTRODUZIONE

Il virus HEV presenta un involucro icosaedrico ed un singolo strato di RNA positivo. Lo possiamo ritrovare in configurazione libera oppure circondato da una matrice lipidica. Questa seconda configurazione è molto più virulenta rispetto alla seconda. Il virus dell’epatite E presenterà 7 diversi genotipi, con diversa virulenza, diverse manifestazioni cliniche e progressione e una distribuzione geografica pleomorfa.

Nel 2015 l’OMS ha stimato che ci sono state nel mondo 20 milioni di infezioni da HEV e 56600 morti a causa di esso. In realtà questo dato è estremamente sottostimato in quanto soprattutto nei focolai epidemici dei paesi industrializzati, dove prevalgono forme benigne dei genotipi di HEV, l’infezione è quasi sempre asintomatica e quindi difficile da individuare.

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4 In Italia l’Istituto Superiore di Sanità ha istituito nel 2007 un apposito sistema di controllo dell’infezione da HEV denominato SEIVA, che permette di stimare a livello nazionale il grado di incidenza dell’infezione da HEV, valutando i valori nelle singole aree. In Abbruzzo ad esempio abbiamo il tasso più elevato di anticorpi anti-HEV e nel 2017 il 49% dei soggetti analizzati aveva contratto l’infezione. Di questi il 25,7% erano donne in gravidanza della città dell’Aquila.

Come abbiamo già accennato il virus presenterà 7 diversi genotipi che presenteranno un diversa distribuzione geografica e diversa virulenza. I genotipi 1 e 2 sono maggiormente presenti nei paesi in via di sviluppo, mentre il 3 ed il 4 sono maggiormente riscontrati nei paesi industrializzati. I primi due genotipi hanno una virulenza maggiore e sono una causa importante di mortalità soprattutto nelle donne in gravidanza che contraggono l’infezione, mentre i secondi due danno quasi esclusivamente infezioni asintomatiche o eventualmente epatiti croniche nei soggetti immunodepressi.

La trasmissione dell’HEV è quella oro-fecale o tramite l’ingestione di verdura o carne poco cotta o cruda. In natura le riserve animali sono rappresentate da maiali, cinghiali e cervi. Ci sono stati alcuni rari casi in cui la trasmissione è avvenuta tramite trasfusioni di sangue infetto [13].

Le abitudini alimentari e le modalità di cottura dei cibi hanno un impatto enorme sulla diffusione dell’infezione e non a caso studi condotti a l’Aquila [23] ma anche nel sud della Francia[10], hanno evidenziato come alcune pratiche alimentari, ad esempio la preparazione di insaccati, come la salsiccia di fegato di maiale, incidano notevolmente sul tasso di incidenza, aumentandolo esponenzialmente.

L’HEV è molto diffuso in America centrale, in Egitto ed in India, mentre è endemico in Asia ( la Cina è l’unico paese ad adottare un vaccino per l’HEV).

In Europa abbiamo uno scenario molto diversificato con numero di sieropositivi all’HEV che vanno dallo 0,26% della Grecia al 52.5% della Francia.

In Italia invece la prevalenza è del 8.6%, con tassi che oscillano dal 22.8% dell’Abruzzo sino al 2.2% della Basilicata.

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5 La mortalità è bassa (0.5-4%), così come le manifestazioni sintomatiche di nausea e vomito, ittero e dolore all’ipocondrio destro e alterazioni anatomopatologiche di danno epatico e colestasi, che sono presenti in meno del 30% dei soggetti che hanno infezione da HEV. Nelle donne in gravidanza però, come già accennato in precedenza, per via dello stato di immunodepressione, l’infezione da HEV può provocare aborti, nascite pre termine e morte materna che nelle aree endemiche (genotipo 1) può sfiorare anche il 25%.

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FISIOLOGIA DELLA GRAVIDANZA

La gravidanza è una condizione della donna, nella quale avviene l’impianto e lo sviluppo di un uovo fecondato.

La fecondazione

La fecondazione dell’ovocita avviene nel tratto ampollare della tuba uterina, dove si ha l’incontro tra la cellula uovo e lo spermatozoo capacitato.

Al momento dell’eiaculazione gli spermatozoi presenti in vagina in condizioni di normalità sono tra i 200 e i 300 milioni. Essi dovranno successivamente migrare dal fondo vaginale verso l’orifizio uterino esterno, superare il canale cervicale e la cavità endometriale fino al lume delle salpingi per incontrare infine l’ovocita nel terzo esterno di esse. In realtà però, dei circa 200- 300 milioni di spermatozoi, presenti in condizioni di normalità in vagina dopo l’eiaculazione, solamente 200 raggiungono il tratto ampollare delle tube. L’acidità vaginale infatti rappresenta un ambiente sfavorevole per la sopravvivenza degli spermatozoi, che pur possedendo un sistema tampone che li protegge da quest’ultima, vengono immobilizzati in gran numero nelle prime due ore. Solo una piccola percentuale riesce a penetrare nel muco cervicale, che se da un lato presenta un PH più favorevole alla sopravvivenza dello spermatozoo, dall’altro ha differenze sostanziali di fluidità a seconda del periodo del ciclo mestruale. A partire infatti dalla fine della fase follicolare sino ad arrivare all’acme in quella ovulatoria, il progressivo aumento degli estrogeni porta ad un’aumentata fluidità del muco cervicale, che favorisce la penetrazione da parte degli spermatozoi, mentre al contrario, l’aumento dei livelli di progesterone, a seguito dell’ovulazione, comporta una diminuzione della fluidità, con un muco cervicale che diviene sempre più denso e quindi meno adatto alla penetrazione da parte dei gameti maschili. Le contrazioni del miometrio, favorite dalle prostaglandine contenute nel liquido seminale e i movimenti peristaltici e antiperistaltici delle tube uterine, aiutano la progressione degli spermatozoi che hanno superato la barriera cervicale verso l’ovulo.

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7 Per poter penetrare la cellula uovo lo spermatozoo deve compiere una serie di modificazioni biochimiche e strutturali, denominate capacitazione, che termineranno con la cosiddetta reazione acrosomiale, nella quale avremo la rottura e la liberazione di sostanze (ialuronidasi, catepsina D, acrosina e la fosfolipasi A) da parte della porzione anteriore dello spermatozoo o acrosoma, che permetteranno la fusione e la penetrazione attraverso la zona pellucida dell’ovocita.

L’ovocita invece, dopo l’ovulazione, viene trasportato nel lume tubarico per mezzo delle fimbrie e grazie alle cellule ciliate presenti sull’epitelio di rivestimento tubarico, per poi spostarsi progressivamente in direzione mediale.

La cellula uovo una volta avvenuta l’ovulazione è fecondabile per 24 ore, per cui lo spermatozoo, superato lo strato di cellule follicolari che costituiscono la corona radiata è in grado di legarsi e penetrare la zona pellucida, grazie agli specifici recettori presenti su di essa (ZP1-ZP2-ZP3) e alla reazione acrosomiale. Si potrà così avere la fecondazione (penetrazione dello spermatozoo nell’oolemma) ed il concepimento, con la fusione del pronucleo maschile con quello femminile. Si formerà così lo zigote, con 44 autosomi e due cromosomi sessuali.

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Prime fasi di sviluppo dell’ovulo

Le fasi di sviluppo proseguiranno con la segmentazione, nella quale lo zigote si dividerà in cellule tutte uguali detti blastomeri, proseguendo il suo percorso nella tuba di Falloppio. Si avranno così in progressione la morula (16-36 blastomeri) e la blastocisti (5° giorno), nella quale si ha una raccolta di liquido e inizia il differenziamento del polo che darà origine all’embrione o embrioblasto da quello che darà origine alla placenta o trofoblasto. Essa giungerà nella cavità uterina intorno al settimo,ottavo giorno impiantandosi su di essa e iniziando così l’annidamento, che terminerà solo alla fine della seconda settimana. Questi processi sono fondamentali per creare un collegamento con la circolazione materna ed avverranno in una finestra temporale specifica, compresa tra il 20° e 24° giorno di un presunto ciclo fisiologico di 28 giorni. Sospinto, infatti, dall’ azione del progesterone l’endometrio subirà delle modificazioni morfologiche e biochimiche e verrà definito come endometrio deciduale.

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9 Esso sarà così in grado di accogliere la blastocisti, andando ad imbibirsi di glicogeno e lipidi, organizzati sotto forma di organelli intracitoplasmatici. L’impianto si ha generalmente sulla parete posteriore dell’utero, in un punto equidistante dagli osti tubarici e dall’orifizio uterino interno. La neoformazione si definirà in questo momento blastula e avrà la forma di una sfera cava con due poli: il trofoblasto e il polo embrionario.

Il trofoblasto si differenzia in una parte più interna, detta citotrofoblasto e una più esterna detta sinciziotrofoblasto. Il primo, insieme al sincizio e al mesoblasto di derivazione deciduale, formerà il corion, mentre il secondo oltre a formare questa membrana, emetterà delle propagini, dette villi coriali, che penetreranno l’endometrio sino alla sua membrana basale, iniziando l’invasione della superficie dei capillari endometriali ipertrofici, dando così avvio alla formazione della placenta. Questi fenomeni faranno si che tra il 12° e 14° giorno, oltre ad aver già iniziato l’invasione dei capillari endometriali, la blastocisti sarà anche completamente ricoperta da decidua capsulata.

Sviluppo corporeo

La durata normale della gravidanza partendo dalla data dell’ultima mestruazione è di 40 settimane pari a 280 giorni.

Convenzionalmente noi parliamo di embrione fino alla fine dell’ottava settimana, mentre di feto a partire da questa sino alla fine della gravidanza.

Dalla seconda settimana si ha la cosiddetta gastrulazione, che porta alla differenzazione dei tre foglietti embrionari: endoderma, mesoderma ed ectoderma.

Dal 21° al 30° giorno avremo lo sviluppo dei somiti, dai quali origineranno la maggior parte dello scheletro e della muscolatura scheletrica, inoltre durante la terza settimana il feto assumerà una forma cilindrica e sarà interposto tra la cavità amniotica e quella del sacco vitellino. Alla

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10 7° settimana gestazionale il cuore presenta già ritmiche pulsazioni e nelle settimane precedenti c’è già stato lo sviluppo degli abbozzi della stragrande maggioranza degli organi e degli arti.

Dopo questa settimana con i comuni apparecchi ad ultrasuoni è possibile già evidenziare il battito cardiaco fetale, mentre tra l’8° e la 9° i primi movimenti fetali, che diverranno percepibili dalla madre non prima della 20°settimana. Nelle settimane tra l’8° e la 20° infatti inizieremo ad avere i primi movimenti articolati delle estremità, inoltre si ha la completa differenzazione degli organi genitali esterni, la maturazione degli abbozzi degli organi e delle regioni osteoarticolari e la comparsa del meconio nelle anse intestinali.

Si considera come limite inferiore, per cui un feto in qualche rara occasione possa sopravvivere, la 22° settima gestazionale (20° concezionale), mentre tra la 25° e la 28° il feto possiede una maturità tale per cui si ha una sopravvivenza che va da un minimo del 15% ad oltre l’80%, in relazione alla settimana, alla salute del feto e alla disponibilità di un reparto di terapia intensiva neonatale. Alla 32° settimana gestazionale le probabilità di sopravvivenza si aggirano tra l’80%

e il 90% fino ad arrivare alla 36° dove le probabilità di sopravvivenza sono quasi del tutto sovrapponibili a quelle di un nato a termine.

Alla fine della 40° settimana il feto normale ha raggiunto la maturità e presenta delle caratteristiche specifiche:

-lunghezza del corpo che oscilla tra 48-52 cm;

-il peso varia tra 2800e i 4000g;

-la misura del diametro bisacromiale è di 11-12 cm, la circonferenza delle spalle è di circa 34- 40 cm, la cranica media 34,5;

-il diametro bisiliaco massimo misura 9-10 cm e la circonferenza pelvica 29-30cm;

-la colorazione della cute è bianco rosea e le unghie raggiungono le estremità delle falangi distali;.

-la discesa del testicolo nel maschio è completa;

-nella donna le grandi labbra sono in opposizione e ricoprono le piccole labbra;

-è quasi sempre costante la presenza del nucleo di ossificazione nell’epifisi distale del femore;

- l’apparato respiratorio, renale e gastroenterico sono adeguatamente sviluppati.

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11 Pur essendo importantissimi tutti i parametri precedentemente descritti, quello più rilevante è il peso alla nascita in rapporto all’età gestazionale che calcoleremo con delle curve in percentili.

In base a questi concetti si considereranno:

-“proporzionati”, i feti il cui rapporto peso-età gestazionale è situato tra 11° e il 90° percentile compresi;

-“sproporzionati in eccesso”, quelli il cui rapporto peso-età gestazionale è al di sopra del 90°

percentile;

-“sproporzionati in difetto”, quelli il cui rapporto peso-età gestazionale è al di sotto del 90°

percentile.

In relazione all’età gestazionale si definiranno:

-“pre-termine” i feti nati prima della 36° settimana gestazionale;

-“a termine” i feti nati tra il primo giorno della 37° e l’ultimo della 41° settimana gestazionale;

-“post-termine” i feti nati a partire dalla 42° settima gestazionale.

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La placenta

La placenta è un organo altamente differenziato che serve alla nutrizione e la respirazione del feto ed ha una funzione endocrina. Ha una forma discoide, con uno spessore esterno di 0,5 cm e spessore interno di 2-4 cm. Il diametro maggiore varia da 16 a 20 cm ed il peso oscilla tra 450 e 550 g. La placenta dalla porzione più interna o uterina a quella più esterna o fetale è divisa in:

villi, lamina coriale e amnios.

-villi: originano dalla lamina coriale e saranno costituiti da un tessuto connettivo centrale nel quale scorrono un’arteriola e una vena unite a una rete capillare che si approfonda sino allo spazio sub epiteliale del villo, costituito fino alla 20° settimana da sincizio e cito- trofoblasto, a partire dalla 20° solo da cito. Essi si divideranno macroscopicamente in villi liberi, che pescano nello spazio intervilloso e villi barbicanti che si approfondano della decidua basale.

-lamina coriale: è costituita da una sostanza fibrinoide più interna e da quella coriale propriamente detta che avvolgerà con la membrana coriale tutto il feto.

-amnios: si addossa alla faccia coriale della placenta e avvolge il cordone ombelicale. Ai margini della placenta, fondendosi con la lamina coriale, formerà la membrana amniotica che conterrà il feto ed il liquido amniotico.

I villi, insieme alla lamina coriale internamente e alla decidua basale esternamente, circoscriveranno lo spazio intervilloso. In esso si aggetteranno le arterie spirali uterine, imbibendo questi spazi di sangue materno, permettendo così gli scambi materno-fetali.

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13 Nonostante il sangue materno riempia gli spazi intervillosi esso non entra in contatto con il sangue fetale, grazie alla presenza della barriera placentare, costituita dal corion, dal connettivo villoso e dall’endotelio dei capillari villosi. Questo però non impedirà il passaggio dalla madre al feto di ossigeno e anidride carbonica, sostanze nutritizie e loro metaboliti (acqua, sali minerali, carboidrati, acidi grassi, glucosio, ecc.). Verranno inoltre trasferiti dalla madre al feto solamente anticorpi di tipo IgG. I farmaci passano nella stragrande maggioranza la barriera, eccetto quelli scarsamente liposolubili e fortemente ionizzati, come ad esempio la succinil colina oppure l’eparina somministrata in dosi terapeutiche. Sono invece particolarmente diffusibili gas e vapori anestetici, barbiturici, analgesici stupefacenti e non stupefacenti, atropina, digitalici, molti farmaci ipotensivi e i dicumarolici. Gli antibiotici e i chemioterapici, anche se a differente velocità in base alla tipologia, attraversano tutti la barriera placentare.

Un capitolo a parte viene rappresentato dal passaggio di eritrociti, microorganismi e virus.

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14 -eritrociti: il passaggio transplacentare avviene prevalentemente durante il travaglio e più raramente a causa di emorragia fetomaterna. A causa dei fenomeni di alloimmunizzazione questo contatto può portare alla malattia emolitica neonatale.

-microorganismi: passano con facilità la barriera placentare il treponema pallidum, il toxoplasma gondii e la listeria, mentre le tossine batteriche generalmente non superano la barriera in quantità significativa.

-virus: superano facilmente la barriera placentare il CMV, il virus della rosolia, coxsackie virus, HIV,HBV.

Un’altra importantissima funzione placentare è quella endocrina. La placenta infatti produce una serie di ormoni peptidici e steroidei indispensabili per il mantenimento e la progressione della gravidanza. Tra i principali prodotti proteici vi è l’ hCG e l’hPL. La prima ha una fondamentale funzione luteotropa, permettendo nelle prime fasi della gravidanza il mantenimento di adeguati livelli di progesterone. Aumentando in maniera esponenziale nelle prime fasi della gravidanza (picco tra 40°e 90° giorno), il suo dosaggio nelle urine è utilizzato per la diagnosi precoce di gravidanza e per condizioni patologiche come minaccia di aborto, gravidanza ectopica, neoplasie trofoblastiche e alcune neoplasie ovariche.

Avremo poi una serie di sostanze di minore importanza come hCT, hCC, ACTH correlati, releasing hormones, relaxina e alfafetoproteina, mentre la produzione di progesterone si imporrà a livello placentare, a scapito di quello luteo, a partire dalla 10° settimana. La placenta inoltre si imporrà come centro principale deputato alla secrezione dei tre principali estrogeni presenti in gravidanza: estrone, estradiolo ed estriolo.

Liquido amniotico

Il liquido amniotico è contenuto all’interno dell’amnios e nelle ultime settimane si definiscono valori normali quelli compresi tra 500 e 1500 ml. Le funzioni del liquido amniotico sono innumerevoli e vanno da una protezione del feto da parte degli urti meccanici, alla regolazione termica, fino alla maggiore mobilità fetale. Inoltre partecipa direttamente o indirettamente a

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15 molteplici processi metabolici fetali. Esso è composto per il 98-99% da acqua e la misurazione della variazione delle sostanze disperse in esso, con prelievo tramite amniocentesi, permette di valutare la maturità fetale e soprattutto un sospetto stato di insufficienza polmonare. Viene sempre valutato inoltre, tramite ecografia, l’AFI (amniotic fluid index) per osservare l’eventuale presenza di condizioni patologiche come oligodramnios o polidramnios.

Funicolo ombelicale

Il funicolo ombelicale ha la lunghezza di 50-60 cm a termine di gravidanza e costituisce il legame tra placenta e feto. Esso è costituito da una vena ombelicale e da due arterie ombelicali raccolte in un materiale gelatinoso, la cosiddetta gelatina di Wharton. La vena trasporta sangue arterioso dalla placenta al feto, invece le due arterie trasportano sangue venoso dal feto alla placenta. L’inserzione sulla placenta è generalmente centrale, ma in alcuni casi essa può anche essere paracentrale o marginale (a racchetta).

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VIRUS DELL’EPATITE E

Il virus dell’epatite E è uno dei 5 virus epatotropi maggiori, che insieme a quello dell’epatite A, B, C, D, rappresentano ad oggi una delle principali cause di epatite virale acuta.

Questo hepevirus a RNA è stato scoperto per la prima volta nel 1980 e sono stati differenziati quattro ceppi, riconducibili ad un unico sierotipo, di cui 1 e 2 più virulenti, mentre 3 e 4 meno.

I primi due genotipi sono molto più comuni nei paesi in via di sviluppo e la loro trasmissione avviene principalmente per via di fonti acquifere contaminate mentre i secondi due sono maggiormente presenti nei paesi industrializzati e la loro trasmissione avviene principalmente per l’ingestione di carni contaminate e attraverso gli animali domestici.

Il frammento genomico di 7.2 kb di RNA positivo del virus HEV contiene tre frammenti di lettura ORFs. ORFs 1 traduce per una proteina pORF1 che presenti numerosi domini implicati nella replicazione dell’RNA virale. ORF2 codifica per una proteina di 72 kDa che forma il capside virale. ORF3 invece codifica per una proteina che è stata associata a molteplici funzioni all’interno della vita replicativa e trasmissiva del virus.

Il virus dell’HEV sino a poco tempo fa veniva considerato come un virus non capsulato, cioè non circondato da una doppia membrana lipidica. In realtà si è osservato come questo, almeno per alcuni specifici genotipi, non corrisponde alla verità e che inoltre il meccanismo di diffusione per via ematica e di legame alle cellule infettate sia più complesso di quanto ci si aspettasse.

Alcuni studi hanno infatti evidenziato come i genotipi 1 e 2 presentano uno capside con una maggiore percentuale di lipidi e colesterolo rispetto ai genotipi 3 e 4. Questa specifica caratteristica non è fine a se stessa, ma porta notevoli implicazioni sulla modalità di trasmissione del virus, della sua circolazione a livello sanguigno, sul suo legame cellulare e soprattutto sulle differenti caratterizzazioni dal punto di vista della sintomatologia clinica.

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Quadro epidemiologico

HEV è la causa principale di epatiti virali sporadiche ed epidemiche nei paesi in via di sviluppo, ed è presente soprattutto nei paesi dell’est Europa, in India, Pakistan, Sud-Est asiatico, in America Centrale (soprattutto Messico) e Sud America. L’HEV viene eliminato con le feci e l’unica via di trasmissione è quella oro fecale, in particolar modo attraverso l’acqua. La

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18 trasmissione da persona a persona, se non impossibile, è sicuramente molto rara, a differenza invece degli altri virus epatotropi A, B e C. Un dato sicuramente rilevante è che alla perpetuazione della diffusione del virus contribuiscono alcuni serbatoi animali, di cui il più importante è quello suino. Il virus è stato rilevato nelle feci, nella bile e nel fegato e viene escreto nelle feci nella fase tardiva del periodo di incubazione. Nella fase acuta dell’infezione possono essere ritrovati iG anti-HEV, sia di classe IgG che IgM. Nelle prime 6 settimane dopo l’infezione avremo una concentrazione elevata di entrambe le componenti sia IgM che IgG, mentre successivamente si assisterà ad una progressiva discesa della componente IgM ed una contemporanea salita di quella IgG, con raggiungimento del plateau intorna alla 12° settimana.

La valutazione delle IgG sieriche rappresenta ad oggi un ottimo mezzo di screening per la quantificazione della prevalenza dell’infezione nella popolazione ed è utilizzata come rutine per tale scopo.

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19 L’infezione colpisce e si manifesta soprattutto nei giovani adulti, e nelle aree endemiche riscontriamo la positività agli anticorpi anti-HEV in oltre il 40% della popolazione. Negli Stati uniti invece, pur essendo rare le manifestazioni cliniche di un’infezione da HEV, la positività agli anticorpi anti-HEV è presente nel 20% della popolazione.

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21 L’osservazione di questi grafici ci consente in maniera immediata di fare alcune valutazioni importanti:

-le aree fortemente endemiche sono rappresentate dall’Africa ( la non presenza di infezione in alcune aree di questo continente nella mappa è in realtà dovuto alla scarsità di dati), India, Cina, Sud est asiatico, Messico. Le altre aree continentali eccetto Canada, Australia ed alcuni paesi dell’America Latina che non sono endemiche, presenteranno una prevalenza dell’infezione inferiore al 25%.

-il genotipo 1 e 2 che presentano una virulenza maggiore e la cui infezione può comportare reliquati maggiori dal punto di vista sintomatologico, soprattutto nelle donne in gravidanza, sono maggiormente concentrati nelle aree fortemente endemiche.

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22 -effettuando uno zoom sull’Europa vediamo come il quadro della prevalenza in tale regione sia fortemente variegato.

Andremo da tassi di prevalenza che oscillano tra il 21 e il 24% in paesi come Polonia e Francia, sino a tassi che oscillano tra l’1 e il 5% in paesi come Italia, Spagna e Grecia.

In realtà anche nel nostro Paese il quadro è abbastanza variegato perché assistiamo a divergenze enormi tra i tassi di prevalenza dell’infezione da regione a regione. In Abruzzo ad esempio (in particolar modo la città dell’Aquila) abbiamo tassi di positività alle IgG anti HEV che sfiorano il 40%, mentre in regioni come Basilicata e Calabria essa non supera il 5%. Ciò è attribuibile, come spiega anche uno studio condotto ad hoc nella città dell’Aquila, alle diverse abitudini alimentari e alla conformazione del territorio delle nostre regioni, ma anche ad una diversa attitudine nell’eseguire test specifici.

In Italia è stata introdotta dal 2007, all’interno del SEIEVA (sistema o integrato dell’epatite virale acuta) dell’ISS, una sorveglianza epidemiologica sull’epatite virale E, andando a ricercare le IgM anti-HEV, segnalando complessivamente 442 casi tra il 2007 e il 2019. In realtà però la valutazione delle IgM ci darà solamente il quadro delle infezioni acute sintomatiche di epatite E ma non della reale prevalenza dell’infezione nella popolazione sana (in questo caso saranno i test specifici delle IgG a descrivere quante persone abbiano realmente contratto l’infezione).

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Dai dati però emerge come l’andamento annuale delle segnalazioni di epatite E sia aumentato progressivamente dal 2007 al 2019, con un picco di 96 casi proprio in quest’ultimo anno. La maggior parte dei casi è autoctona, cioè acquisiti in Italia (75%), prevalentemente maschi (79%), con età mediana di 50 anni.

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24 Un dato davvero interessante è che il 77% dei casi autoctoni riferisce di aver consumato carne di maiale cruda o poco cotta nelle 6 settimane precedenti all’insorgenza dei sintomi.

Dal gennaio 2019, inoltre, è stato creata un’apposita scheda epidemiologica per la sorveglianza dell’epatite E, al posto del questionario SEIEVA standard adottato per tutti i tipi di epatite A, B e C, visto che questa forma di epatite presenta delle caratteristiche cliniche peculiari rispetto alle altre.

Tra le motivazioni che hanno spinto ISS ad adottare una scheda specifica per l’HEV vi è anche il riscontro di una possibile maggiore pericolosità per le donne in gravidanza che contraggono l’infezione.

Quadro anatomopatologico

Nelle epatiti da HEV, così come in tutte le epatiti virali, abbiamo un quadro microscopico caratteristico, con infiltrazione di tutto il parenchima da parte di mononucleati, necrosi epatocitaria affiancata a quadri di rigenerazione tissutale, iperplasia delle cellule di kupffer e con vari gradi di colestasi. I globuli bianchi presenti saranno spesso rappresentati da piccoli linfociti, ma non di rado avremo la presenza di plasmacellule ed eosinofili. Il danno epatocitario da virus epatotropi è mediato infatti dalla risposta immunitaria dell’ospite piuttosto che dal virus stesso.

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Quadro clinico

Il quadro di epatite virale acuta da HEV si manifesta dopo un periodo di incubazione di 15-60 giorni. La fase itterica può essere preceduta di una due settimane da sintomi prodromici quali anoressia, nausea, vomito, astenia, malessere generale, artralgia, mialgia, cefalea, fotofobia, con possibili alterazioni del gusto e dell’olfatto. Inoltre i sintomi sistemici possono essere accompagnati da un quadro di febbre (38-39°).

Nella fase itterica i sintomi prodromici generalmente si attenuano, ma progredisce il quadro di epatomegalia dolente, con dolore in ipocondrio destro, che può essere accompagnato da splenomegalia, linfadenopatia laterocervicale e nel 10-20% dei casi colestasi.

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26 Nella fase di guarigione scompaiono i sintomi generali, anche se permane un certo grado di epatomegalia e l’alterazione dei parametri laboratoristici epatici. La completa guarigione clinica e biochimica si ha in genere dopo uno, due mesi.

Come accennato in precedenza, l’epatite E presenta un quadro clinico che la differenzia dalle altre forme di malattia causate da virus A, B e C, nello specifico:

-possibilità di un quadro clinico neurologico

-possibilità di infezione cronica in pazienti immunodepressi

-complicanze cliniche in corso di gravidanza: infatti, la mortalità nelle donne in gravidanza affette da HEV, soprattutto nel terzo trimestre, è notevolmente maggiore rispetto ad altri soggetti, rispettivamente 15-20% contro lo 0,5-3% della popolazione generale, a causa della maggiore probabilità che si istauri, nelle gravide, un quadro di epatite fulminante.

Alcuni studi hanno poi evidenziato come aumenti sensibilmente in corso di epatite da HEV il rischio di parti pre termine e aborti spontanei. In entrambi i casi, sia per la patologia materna che per quella fetale e importante il genotipo virale che causa l’infezione. Infatti alcuni come il genotipo 1 e 2 hanno un’elevata virulenza, mentre altri come il 3C ed il 3F hanno una bassa virulenza e sono quasi del tutto asintomatici anche in corso di infezione gravidica.

Ad esempio uno studio condotto in India ha mostrato come la mortalità nelle donne affette da una prima infezione da HEV oscillava tra il 15 e il 25% [26].

I fattori che portano a questa elevata mortalità non sono ancora noti, anche se in associazione con la malattia e stata osservata una rilevante incidenza di coagulazione intravascolare disseminata (CID).

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Terapia

Nella maggior parte dei casi di epatite acuta non è necessario un trattamento specifico e molti dei pazienti non necessitano neppure di ricovero ospedaliero. È consigliabile una dieta ipercalorica, ma nel caso in cui l’alimentazione fosse impossibilitata dal vomito, bisogna percorrere la strada dell’alimentazione parenterale. La somministrazione di colestiramina, una resina che sequestra i Sali biliari, può essere utile nei casi di prurito intenso. L’assunzione di glucocorticoidi non è associata ad alcun beneficio clinico.

Nell’epatite fulminante, la terapia intensiva, associata ad antibiotici, rappresenta l’unico fattore in grado di migliorare la sopravvivenza. In questi soggetti viene sempre di più praticato il trapianto ortotopico di fegato.

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HEV IN GRAVIDANZA

L’infezione da HEV durante la gravidanza rappresenta un problema importante si sanità pubblica, soprattutto nei paesi in cui l’infezione è endemica. Infatti essa sarà associata ad un’elevata mortalità materna, aborti e parti pre termine.

Replicazione virale intraplacentare

Il virus dell’epatite E una volta entrato in circolo presenterà un trofismo non solo per il tessuto epatico, ma anche per altri siti extracorporei. Tra questi è stato osservato come esso abbia una particolare predilezione alla diffusione e replicazione all’interno della placenta.

Sono stati prelevati infatti frammenti di HEV RNA, sia nel sangue che nella placenta di donne affette da epatite virale acuta o insufficienza epatica, utilizzando la PCR. Questi prelievi ci hanno illustrato un quadro nel quale potevamo avere una simultanea presenza di RNA virale nel sangue e nella placenta, solamente nel sangue e non nella placenta oppure in alcuni casi veniva reperito RNA virale nella placenta senza una simultanea presenza nel sangue.

A seconda delle diverse casistiche si osservavano diverse possibili percentuali di mortalità fetale e in alcuni casi anche materna.

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29 Il dato davvero interessante da estrapolare oltre alla diversa percentuale di mortalità materna e fetale a seconda dei casi, è dato dal fatto che si possa avere la presenza di HEV RNA nella placenta senza una simultanea presenza ematica. Questo ci conferma che la modalità di trasmissione alla placenta non è per via ematica e che l’HEV non replicherà nelle cellule ematiche ma solamente nei tessuti.

Questo dato è confermato dalla rilevazione attraverso indagini immunoistochimiche di antigeni virali a livello placentare. In particolar modo è stato ritrovato in elevata concentrazione l’antigene di membrana pORF3 codificato dal gene ORF3 dell’RNA virale ed implicato nei meccanismi mitogeni del virus. In questo modo siamo riusciti a comprendere che il virus non solo è presente a livello placentare ma è anche attivamente replicante in questo sito, spiegando perché vi sia una particolare predilezione da parte di questo virus a causare nocumento alle donne in stato gravidico e anche al feto.

L’imunoistochimica inoltre ci ha permesso di scendere ancora di più nel particolare andando non solo a scoprire la predilezione dell’HEV per la placenta, ma anche i siti placentari maggior sede di replicazione.

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30 Il motivo per il quale vi è una particolare e accentuata replicazione virale durante la gravidanza, anche di altri virus come il CMV, in particolar modo a livello placentare, può essere spiegato da un aumento dei livelli degli ormoni steroidei in questa particolare fase della vita della donna.

Inoltre, studi su modelli animali hanno evidenziato ulteriormente la predilezione di questo virus alla replicazione intraplacentare aggiungendo conferme ai dati [7].

Lo studio condotto su un campione di 98 donne indiane affette da AVH o ALF da HEV durante la gravidanza ci ha mostrato come probabilmente gli stessi ormoni steroidei, in particolare il progesterone, modulano la risposta immunitaria contro l’HEV, regolando l’azione delle cellule T-Helper di tipo 2. Sarà essa, quindi la responsabile degli effetti negativi sul feto e sulla madre.

La risposta immunitaria inoltre, promuoverà un aumentato rischio di parto pre termine con picchi anche dell’80% nelle donne affette da ALF.

(a)sezione della regione basale della placenta positiva agli antigeni dell’HEV (b) tessuto placentare privo di antigeni per l’HEV (c) sezione dei villi terziari positivi agli antigeni (d- e) sinciziotrofoblasto positivo all’HEV (f) villi secondari con una

particolare positività agli antigeni dell’HEV che si esplica intorno al tessuto connettivo.

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TOXOPLASMOSI IN GRAVIDANZA

La toxoplasmosi è una antropozoonosi molto diffusa che può colpire tutti i mammiferi, incluso l’uomo.

La sua prima menzione risale al lontano 1908 quando Nicolle e Manceaux lo scoprirono nel nord dell’Africa, mentre la prima dettagliata descrizione del ciclo vitale del T. gondii si ebbe solamente nel 1960 quando venne identificato il ruolo centrale ricoperto dal gatto nel ciclo sessuale del parassita e di come esso attraverso le feci del felino riuscisse a diffondere le sue oocisti. Nello stesso periodo inoltre vennero identificate e spiegate le tre forme nelle quali il parassita può evolversi: tachizoide, cisti e oocisti.

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Quadro epidemiologico e meccanismi di trasmissione

Il Toxoplasma Gondii presenta una fase sessuata che si realizza esclusivamente a livello dell’epitelio intestinale dei gatti, con produzione di oocisti che vengono eliminate con le feci.

L’uomo entra prevalentemente in contatto con queste oocisti ingerendo carni contaminate poco cotte, frutta o verdura contaminata che non sono state adeguatamente lavate, oppure entrando direttamente in contatto con terreni contaminati dal parassita.

Infatti all’interno delle cellule animali il toxoplasma gondii è in grado di sopravvivere in stato di bradizoide cistico, anche per tutta la vita dell’animale stesso e sopravvivere all’acidità gastrica una volta che ingeriamo le carni contaminate. Esse sono in grado di penetrale la barriera mucosale intestinale e diffondere a livello sistemico, moltiplicandosi intracellularmente senza mostrare particolare trofismi per specifici organi o tessuti. L’invasione cellulare richiede complessi meccanismi di interazione tra la superficie del parassita e quella della cellula ospite.

Il parassita è aiutato in questo compito da un proteina di superficie MIC2 che capta i recettori di membrana della cellula ospite, mentre gli antigeni di membrana AMA1, ROP e RONs occorreranno nel processo di fusione e internalizzazione nella cellula ospite.

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33 Dopo 8-15 giorni la formazione di una risposta anticorpale, impedisce in soggetti immunocompetenti un ulteriore disseminazione sanguigna, con una risoluzione dell’infezione, nella maggior parte dei casi, del tutto asintomatica.

È stato stimato che circa il 25-30% della popolazione mondiale sia stato affetto da toxoplasma, con tassi che oscillano dal 10% all’80% a seconda del paese e della regione di interesse.

Una bassa sieroprevalenza (10-30%) è stata ritrovata in Nord America, Sud Est Asiatico, nell’Europa del Nord e nei paesi sahariani dell’Africa. Una moderata sieroprevalenza (30-50%)

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34 è stata riscontrata nei paesi del centro e sud Europa, mentre un’alta sieroprevalenza è presente nei paesi dell’America Latina e nei paesi tropicali dell’Africa.

Fetopatia

In campo ostetrico però, la parassitosi da toxoplama rappresenta un’importante causa di fetopatie in corso di prima infezione, con una diffusione dapprima placentare e poi fetale, grazie ad un trasporto diretto attraverso la circolazione fetale, oppure indiretto per mezzo dei magrofagi. La probabilità di disseminazione placento-fetale della toxoplasmosi aumenta con l’età della gestante, mentre decresce la probabilità che si istauri una forma grave di fetopatia con l’aumentare dell’età gestazionale del feto. La fetopatia toxoplasmosica comporta disseminazione multi organo (fegato, polmoni, cuore e cervello) che determina quasi sempre aborto oppure parto pre termine, nel quale il neonato ha scarse capacità di sopravvivenza. Si ha poi una forma a localizzazione neurooculare, caratterizzata da idrocefalo, corioretinite,

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35 calcificazioni endocraniche e convulsioni in epoca neonatale. Abbiamo infine una forma silente, legata

probabilmente ad un contagio tardivo, nella quale il feto nasce apparentemente sano, ma a 6-12 mesi, con la caduta dei livelli degli anticorpi materni, presenterà lesioni soprattutto di tipo corioretinico.

Esistono metodi sierologici rapidi e poco costosi per riconoscere lo stato di premunizzazione oppure lo stato non protetto (cioè coloro che non hanno superato la prima infezione). Essi sono il Sabin-Feldman o dye test (DT), il test dell’immunofluorescenza, l’agglutinazione diretta, il test di immunoagglutinazione per le igM, di fissazione del complemento (CF), di emoagglutinazione indiretta (IHA).

Al di là del test utilizzato possiamo avere schematicamente diversi quadri sierologici:

Percentuali di coinvolgimento di del feto e gravità della fetopatia in funzione dell’epoca in cui la gestante contrae la primoinfezione in assenza di terapia. Bianco: assenza di infezione. Rosa: infezione fetale senza manifestazioni morbose prenatali. Blu: fetopatia con manifestazioni morbose prenatali.

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36 -nei soggetti non protetti mancano gli anticorpi anti-toxoplasma.

-nei soggetti con prima infezione in atto avremo un quadro sierologico caratterizzato dalla presenza di IgM e IgG anti-toxoplasma.

-nei soggetti che hanno superato la prima infezione da almeno 12-24 mesi abbiamo la presenza di soli anticorpi IgG anti-toxoplasma.

Effettueremo il toxotest appena avuta la conferma dello stato gravidico. Per le gestanti protette non occorre effettuare alcun altro accertamento diagnostico, mentre per quelle non protette è necessario ripetere il test ogni 4-6 settimane. Nel caso di siero conversione bisogna somministrare un test specifico per le IgM ed iniziare repentinamente una terapia chemioantibioticoprofilattica.

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Profilassi e terapia

È di fondamentale importanza quindi per le gestanti non protette, attuare delle misure di profilassi primaria per evitale il contatto con l’agente patogeno. Esse prevedono:

-evitare il contatto con i gatti.

-consumare verdure crude e frutta solo dopo un accurato lavaggio.

-lavarsi accuratamente le mani soprattutto dopo avere toccato verdure e ortaggi crudi con eventuale presenza di terra e carni crude.

-consumare solo carni ben cotte.

La terapia antitoxoplasmica viene somministrata non solo alle gestanti con prima infezione accertata, ma anche quelle in cui vi sia un sospetto di prima infezione recente, essendo quasi del tutto innocua la terapia per la gestante ed il feto. I principali farmaci utilizzati sono i segunti:

-pirimetamina: è un antagonista dell’acido folico, che passa agevolmente la barriera placentare ed ematoencefalica. Sono stati dimostrati effetti teratogeni nell’animale ma non nell’uomo. La dose media è di 0,5-1 mg/kg di peso corporeo al giorno per via orale

-sulfamidici: sono anch’essi inibitori dell’acido folico ed hanno azione sinergica con la pirimetamina, aumentando di circa 6 volte l’effetto rispetto ad una semplice azione additiva.

-cotrimosazolo: presenta un meccanismo d’azione simile a quello dell’associazione piremetamina-sulfamidici ma è meno attivo rispetto a quest’ultimi. Di compenso però ha una migliore tollerabilità. La dose è di 25-40 mg/kg di peso corporeo al giorno per via orale.

-acido folico: viene somministrato per evitare l’azione antifolica dei precedenti farmaci sui tessuti umani, inoltre ha azione antitoxoplasmatica perché il toxoplasma non è in grado di utilizzare l’acido folico esogeno. La dose è di 7,5 mg/die oppure 15 mg ogni due giorni.

-spiramicina: è una macrolide che tende a concentrarsi nel tessuto placentare. Ha un effetto antitoxoplasmico inferiore rispetto all’associazione pirimetamina-sulfamidici, ma è priva di tossicità. Si consiglia il suo utilizzo come prima terapia nel caso di sospetto di prima infezione,

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38 nell’attesa di ulteriori chiarimenti diagnostici. La dose è di 3g/die per via orale per ottenere concentrazioni placentari di 5-6 mg/kg di tessuto placentare.

Applicando tempestivamente la terapia in caso di prima infezione in gravidanza riusciremo ad evitare gravi rischi per la madre ed il feto.

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DIAGNOSTICA PRENATALE: QUADRO INFETTIVOLOGICO ED EPATICO

Quadro generale

La valutazione del quadro infettivologico ed epatico in una gravidanza fisiologica rappresenta una pietra miliare per il benessere del feto e della madre. È quindi necessario ed indispensabile andare ad eseguire alcuni test laboratoristici che ci permetteranno di mantenere sotto stretta osservazione alcuni parametri epatici ed infettivologici. Essi sono però inseriti in un sistema più ampio di controlli laboratoristici di una gravidanza fisiologica, che se pur brevemente devono essere illustrati.

Esami del primo trimestre, subito dopo l’accertamento della gravidanza:

- Gruppo sanguigno, fattore RH e test di Coombs indiretto. Quest’ultimo indica l’eventuale presenza di anticorpi anti emazie.

- Esame ematocromocitometrico

- AST, ALT per la valutazione della funzionalità epatica

- VDRL, TPHA, Toxotest, Rubeotest, HBsAg, Anti-HCV, Anti-HIV 1-2. Sono i marcatori delle seguenti patologie: sifilide, rosolia, toxoplasmosi, epatite B, epatite C, AIDS. Il rubeo e toxo test se negativi vanno ripetuti mensilmente per tutta la gravidanza.

- Esami delle urine.

- Pap-test: può essere omesso se effettuato negli ultimi due anni - 10-12 settimane: ecografia ostetrica.

Esami del secondo trimestre di gravidanza:

*16°-17° settimana:

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40 - Alfafetoproteina plasmatica: indice di malformazioni del tubo neurale

- Esame delle urine e urinocultura

- Toxo e Rubeo test solo se negativi alle prime analisi

*20-22 settimana:

- Esame ematocromocitometrico - Creatininemia

- Esame delle urine

- Ecografia ostetrica e morfologica

- Toxo e Rubeo test solo se negativi nelle prime analisi - Test di Coombs indiretto: solo se gruppo RH negativo

Esami del terzo trimestre di gravidanza:

*26-28 settimane:

- Esame ematocromocitometrico - Creatininemia

- Esame delle urine

- Test di Carpenter: curva da carico glicemica che ci permette di diagnosticare la presenza di diabete gestazionale

- Toxo e Rubeo test se negativi alle prime analisi - Test di Coombs indiretto solo se gruppo RH negativo

*30-34 settimane:

- Ecografia ostetrica

- Esame ematocromocitometrico - PT e aPTT

- Esame delle urine

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41 - Toxo e Rubeo test solo se negativi alle prime analisi

- Test di Coombs indiretto se gruppo RH negativo

*34-36 settimane:

- Tampone vaginale per la ricerca dello Streptococco beta-emolitico - Esame ematocromocitometrico

- ALT, AST, creatininemia, glicemia - HBsAg per l’epatite B

- Elettrocardiogramma

- Toxo e Rubeo test se negativi alle prime analisi - Test di Coombs indiretto se gruppo RH negativo

*37 settimana:

- Esame delle urine Ultime settimane:

- CTG per la valutazione del battito cardiaco fetale e per la quantificazione della frequenza e forza delle contrazioni uterine.

Quadro epatico

In gravidanza come ogni altro organo il fegato subisce modificazioni fisiologiche atte a sopportare i cambiamenti omeostatici e il maggior carico di lavoro biochimico imposto dallo stato gravidico.

Abbiamo una lieve discesa dei valori delle AST, ALT e bilirubina, causata probabilmente dalla minore ingestione di farmaci e alcool. La concentrazione dell’albumina plasmatica diminuisce

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42 per via dell’aumento del volume intravascolare, portando ad un aumento della sua produzione epatica, con crescita anche del 50% rispetto ai valori normali.

I tempi di protrombina iniziano a decrescere progressivamente dal secondo trimestre per arrivare a valori del 10-20% inferiori rispetto a quelli preconcezionali.

Per quanto concerne le malattie del fegato in gravidanza, sappiamo che esse possono essere dovute ad epatopatie già esistenti che peggiorano con lo stato gravidico, epatopatie latenti che si manifestano durante le gravidanza oppure può essere la gravidanza stessa la causa della epatopatia.

Per questo motivo divideremo le epatopatie gravidiche in:

-Ittero gravidico idiopatico: in questa forma avremo due diverse patologie, la colestasi gravidica intraepatica e l’atrofia giallo acuta gravidica. Nella prima abbiamo una forma di colestasi ad eziologia sconosciuta, che si ripete nelle gravidanze successive e che ha carattere generalmente benigno. Dopo l’epatite virale rappresenta la forma più comune di itteri in gravidanza. Nel secondo caso invece abbiamo una patologia rara, ad eziologia sconosciuta che

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43 dal punto di vista clinico è indistinguibile dall’epatite virale, mentre anatomopatologicamente porta ad una degenerazione grassa del fegato associata a pancreatite. La mortalità materna e fetale e pari quasi a zero ad oggi.

-Ittero come complicanza di una gestosi: si manifesta talvolta nel corso dell’iperemesi gravidica (gestosi del primo trimestre) nel quale può manifestarsi un lieve ittero oppure nella gestosi EPH del terzo trimestre, con alterazione di alcuni enzimi epatici.

-Epatopatie indipendenti dalla gravidanza: sono rappresentate dalle epatiti virali, cirrosi epatica, colestasi intraepatica da farmaci, extraepatica da calcoli, iperbilirubinemie congenite idiopatiche.

Sicuramente in campo ostetrico le epatiti virali rappresentano la principale causa di epatopatie.

Esse non sono importanti solamente per la sintomatologia materna e fetale, ma anche per la trasmissione maternofetale del virus, che soprattutto nel caso dell’epatite B rappresenta uno dei principali fattori che mantengono l’infezione endemica.

Epatite A: non influenza il decorso della gravidanza.

Epatite B e D: la malattia da virus B è sicuramente la più grave perché sovente comporta lesioni epatiche evolutive, frequentemente da uno stato di portatore cronico e vi è il rischio di trasmissione maternofetale.

Epatite C,E,F,G: sono definite epatiti non-A e non-B e sono dovute a virus diversi. Eccetto la E di cui abbiamo già parlato in precedenza, il virus C rappresenta sicuramente quello più importante, in quanto può trasmettersi per via maternofetale e causare in alcuni casi una epatite nei primi anni di vita.

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Quadro infettivologico

In gravidanza il controllo del quadro infettivologico rappresenta sicuramente uno degli aspetti più importanti della diagnostica laboratoristica, infatti il rischio che un infezione materna provochi una embrio o fetopatia è molto alto, con sequele che possono andare da parti pre termine, aborti o malformazioni ed in alcuni casi ad una malattia post natale permanente.

Le modalità di trasmissione possono essere: transplacentari per diffusione ematogena;

ascendenti per via trans vaginale, con associata o meno rottura di membrane; connatali, cioè acquisite durante il parto.

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45 È quindi obbligatorio come spiegato in precedenza, eseguire dei test specifici, in diversi periodi della gravidanza, per accertare oppure escludere la presenza di determinate patologie infettive, soprattutto quelle raggruppate nel cosiddetto complesso TORCH.

Il cosiddetto complesso TORCH raggruppa sotto il suo acronimo specifiche patologie infettive comuni in gravidanza:

- T: toxoplasmosi

- O: others. (HBV, HCV, HIV, virus dell’influenza, Treponema Pallidum) - R: rosolia

- C: CMV - H: HSV

Questo acronimo fu coniato nel 1970 negli Stati Uniti per indicre un gruppo di agenti infettivi che se pur diversi tra loro, avevano una serie di caratteristiche in comune. Le infezioni embriofetali da agenti TORCH ad esempio sono clinicamente simili tra loro e possono essere asintomatiche, paucisintomatiche o sintomatiche, con danni al feto che posso sopraggiungere

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46 anche nel periodo peri e post natale. Le infezioni avvengono attraverso la madre per via ematogena, ascendente oppure connatale e la gravita della malattia embriofetale non dipende dai sintomi materni e generalmente è peggiore nella primoinfezione materna, molto meno nelle eventuali reinfezioni.

Considerando solamente Toxoplasmosi, Rosolia, CMV e HSV, abbiamo un’incidenza di infezione embriofetale che oscilla tra 1% e il 5% delle gravidanze, considerando però, come già detto, che infezione non vuol dire malattia, l’incidenza di episodi sintomatologici ebriofetali scende al di sotto di questa soglia.

La gravità del quadro clinico fetoneonatale dipenderà da molti fattori , fra i quali sicuramente la via di trasmissione, l’età gestazionale nella quale avviene il contagio, lo stato immunitario materno e la trasmissione materno fetale di anticorpi.

Per via dei innumerevoli fattori che concorrono allo sviluppo delle manifestazioni cliniche, esse verranno qui di seguito schematizzate.

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47 T: toxoplasma; R: rosolia ; H: HSV; C: CMV / 0: assenza; +: presenza

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo della tesi è quello di valutare la correlazione epidemiologica esistente fra toxoplasmosi, infezione da HEV e le abitudini di vita e alimentari delle donne in gravidanza, per attuare delle misure preventive che contrastino l’infezione da HEV durante il periodo gravidico. Andremo infatti a valutare la sieroprevalenza dell’HEV nel territorio Aquilano, prendendo in esame un campione di popolazione di donne in gravidanza selezionato, che ci permetterà di valutare quanto questa infezione sia realmente presente nel nostro territorio, quanto essa sia correlata a determinate abitudini di vita ed alimentari, non solo del singolo soggetto, ma anche del territorio in generale.

La conoscenza di questi fattori aiuterà i ginecologi e le donne in attesa ad avere sempre più coscienza dell’importanza di una corretta alimentazione e di corrette abitudini di vita nella prevenzione dell’infezione da HEV ma anche delle altre patologie infettive della gravidanza come la toxoplasmosi. Calcolando che queste sono associate ad importanti patologie materno- fetali, una riduzione della loro incidenza assicurerà un sempre maggiore benessere fetale e materno ed una progressiva riduzione di eventi malformativi ed abortivi o patologici materni ad esse associate.

La valutazione tramite test ELISA delle IgG e IgM e la somministrazione del questionario SEIEVA aiuterà anche in ambito nazionale ed europeo ad individuare e caratterizzare focolai epidemici, studiare le motivazione che hanno portato alla loro progressione e valutare gli sviluppi clinici dell’infezione.

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MATERIALI E METODI

Pazienti e casistica

A partire dall’ottobre del 2018 sino a giugno del 2019, 378 donne in gravidanza hanno partecipato allo studio dell’ U.O.C. di Ginecologia del presidio ospedaliero San Salvatore, dell’Università degli Studi dell’Aquila. Di queste 326 erano italiane e 52 provenienti da paesi esteri.

Lo studio è stato condotto nel terzo trimestre di gravidanza, in particolar modo alla 38°

settimana gestazionale, con la somministrazione di un questionario anonimo e un prelievo venoso.

Questionario anonimo

Il questionario utilizzato per lo studio è quello formulato per il progetto SEIEVA dell’ ISS per il controllo delle epatiti virali acute. Al suo interno sono presenti una serie di domande a risposta multipla nelle quali si analizzano le abitudini di vita delle donne esaminate, gli eventuali viaggi e il loro numero verso e da le regioni endemiche, le abitudini alimentari, andando soprattutto ad evidenziare l’assunzione di verdure crude non adeguatamente lavate, oppure l’ingestione di carni poco cotte (soprattutto maiale) e le attività che possono aumentare il rischio di infezione (es. andare a caccia). Esso rientra in un preciso progetto del SEIEVA teso non solo a valutare la sieroprevalenza nelle diverse regioni italiane, ma anche alla valutazione del perché esistano questi variegati tassi di incidenza, in maniera tale da poter controllare, conoscendo la causa, la diffusione dell’infezione. Infatti in Italia non si ha ancora una precisa stima della prevalenza dell’infezione nella popolazione, nè di quanto essa incida sulla salute dei cittadini. Infatti i casi di epatite da virus dell’epatite E non sono ancora completamente tutti accertati per via del fatto

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50 che essi spesso insorgono in soggetti immunodrepressi che presentano quindi anche altre patologie concomitanti ed anche perché non abbiamo un efficace sistema di controllo della malattia.

Noi possediamo infatti degli efficaci test sierologici per l’individuazione delle IgM e delle IgG aanti-HEV, ma riscontriamo ancora molta difficoltà nell’individuazione del RNA positivo dell’HEV, in quanto esso è presente nel sangue e nelle feci solamente in una fase acuta di infezione.

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54 L’utilizzo di appositi questionari ha permesso in diversi studi di evidenziare la stretta correlazione tra l’alimentazione e l’infezione da HEV. Ad esempio uno studio condotto in Abruzzo, ha evidenziato come l’elevato tasso di incidenza di infezione da HEV in questa regione, il più alto d’Italia, soprattutto nella città dell’Aquila (49%), sia probabilmente associato, oltre che alla particolare conformazione geografica, con ampie aree verdi e boscose, all’elevato consumo di carni poco cotte, in particolar modo la caratteristica salsiccia di fegato di suino. I genotipi di HEV riscontrati, sono stati come in tutte le aree non endemiche HEV3 e HEV4, che si trasmettono attraverso l’ingestione di cibi contaminati e che fortunatamente causano quasi esclusivamente infezioni asintomatiche e possono eventualmente causare un’epatite cronica solamente ai pazienti imunodepressi [23].

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Analisi di laboratorio

La diagnosi di sieropositività o sieronegatività è fondata su un prelievo ematico venoso che andrà a dosare le IgG e le IgM dirette contro gli antigeni dell’HEV. I livelli degli anticorpi cresce rapidamente per poi rimanere stabile per 8 settimane. I livelli delle IgM decrescono poi rapidamente e in alcuni soggetti sono rilevabili fino a 32 settimane. Il picco delle IgG invece si ha dopo quattro settimane dall’infezione e rimane alto per almeno un anno da questa. La presenza di elevati livelli di IgM indica quindi una infezione di recente insorgenza, a differenza degli elevati livelli di IgG che indicano un’infezione di più lunga durata.

Uno studio condotto sulla popolazione di Taiwan ha valutato la validità dei test immunoenzimatici (ELISA) utilizzati per il dosaggio delle IgG e IgM anti-HEV, dimostrando che il dosaggio delle IgG ha una sensibilità dell’86,7% ed una specificità del 92.1%, mentre il dosaggio delle IgM ha una sensibilità del 53.3% e una specificità del 98.6%. Quindi l’utilizzo di questa tecnica diagnostica come test di screening per la valutazione della sieroprevalenza dell’HEV nella popolazione sana delle aree non endemiche è sicuramente la più valida ed efficace [39].

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58 Nel nostro studio le analisi hanno rilevato che il 7,2% delle donne aveva IgM e IgG positive per gli antigeni dell’HEV; il 18.5% presentava IgG positive e IgM negative mentre il 74.3%

presentava negatività sia per le IgG che per le IgM. Nessuna delle donne presentava sintomi.

Le analisi condotte sui neonati di madri positive all’infezione da HEV nel terzo trimestre gestazionale mostravano: positività alle IgM nel periodo perinatale e loro negativizazione dopo 6 mesi.

Le donne prese in esame nello studio sono state valutate, anche per la loro sieropositività al toxoplasma, insieme agli altri test preliminari ed ai vaccini eseguiti (Ab antiHBV, HCV, HIV, TORCH). Il dato interessante è che le donne che presentavano IgG positive e IgM negative per il toxoplasma, avevano uno stile di vita e una alimentazione meno stringente e per questo motivo reano maggiormente esposte all’infezione da HEV durante la gravidanza. Al contrario invece, le donne che presentavano negatività alle IgG e IgM per il toxoplasma, avevano uno stile di vita e un’alimentazione corretta e quindi avevano una minore predisposizione all’infezione da HEV.

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RISULTATI

Lo studio è stato condotto su 378 donne in gravidanza che sono state raggruppate seguendo specifici criteri: donne di nazionalità italiana e nazionalità straniera, immunità o meno all’infezione da toxoplasma e percentuali di infezione da HEV durante il terzo trimestre di gravidanza.

Durante l’analisi dei dati si è volontariamente separato il campione di donne che presentava immunonegatività alle IgG e IgM del toxoplasma da quelle invece che presentavano immunopositività alle IgG e IgM per il toxoplasma.

Grazie ai questionari sulle abitudini di vita e alimentari delle donne durante la gravidanza è stato possibile osservare una differenza sostanziale tra i due gruppi immunonegative e immunopositive al toxoplasma, che hanno inciso profondamente sui risultati dello studio. Infatti le abitudini alimentari dei due gruppi erano molto diverse: le donne immunopositive alle IgG e alle IgM per il toxoplasma infatti avevano una maggiore predisposizione a mangiare cibi crudi oppure poco cotti e verdure non adeguatamente lavate. Le seconde invece erano molto più attente nell’alimentazione e quindi nei questionari anonimi riferivano di avere una scarsa tendenza a mangiare cibi poco cotti o addirittura crudi o verdure poco lavate.

Le analisi hanno quindi semplicemente confermato la maggiore predisposizione all’infezione da HEV in quelle donne immunopositive al toxoplasma e quindi nel nostro campione di 378 pazienti, di cui ricordiamo 326 di origine italiana e 52 straniere:

- Il 7.2% delle donne era IgM e IgG positivo per l’HEV - Il 18.5% delle donne era IgG positivo e IgM negativo - Il 74.3% delle donne era IgM e IgG negativo

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60 Il dato davvero interessante però è che nelle donne con IgG e IgM positive per HEV:

- Il 90% mostrava una immunità per il toxoplasma (IgG positive e IgM negative) - Il 3% mostrava una negatività per le IgG e le IgM del toxoplasma

- Il 2% delle donne non aveva una caratterizzazione dell’immunità per il toxoplasma Nelle donne che invece presentavano IgM e IgG negative per il toxoplasma:

- Il 90% mostrava una negatività sia delle IgM che delle IgG per il toxoplasma - Il 7% una immunità per la toxoplasmosi ( IgG positive e IgM negative) - Il 3% non avevano una caratterizzazione dell’immunità per la toxoplasmosi.

Da ciò si può dedurre che la consapevolezza da parte delle donne di aver sviluppato un’immunità nei confronti del toxoplasma ha instaurato un meccanismo per il quale si ha un calo dell’attenzione nell’attenersi a scrupolose regole dietetiche. In realtà però questa tendenza errata fa da battistrada per lo sviluppo di altre infezioni, come quella da HEV, che hanno in comune alla toxoplasmosi la trasmissione tramite ingestione di cibi contaminati.

In tutte le pazienti analizzate gli indici epatici erano normali, quindi questo indica che ci troviamo di fronte ai classici genotipo 3 o 4, peculiare dei focolai endemici dei paesi in via di sviluppo.

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CONCLUSIONI

Nelle aree epidemiche l’infezione da HEV rappresenta un problema importante in quanto è responsabile del 33% delle epatiti acute. L’infezione non deve essere quindi assolutamente sottostimata e dovrebbe esistere un programma regolare di test che verifichino l’immunopositività a questa infezione.

Rappresenta una malattia infettiva davvero problematica, soprattutto per le sue manifestazioni extraepatiche e per il quadro di epatite acuta che può svilupparsi. È quindi fondamentale conoscere i meccanismi di diffusione e il diverso comportamento dei vari genotipi, in maniera tale da attuare delle pratiche di prevenzione che possano far diminuire l’incidenza, la progressione sintomatologica e la mortalità.

L’infezione da HEV rappresenta un’importante problematica durante la gravidanza, con una mortalità anche del 15/25%, soprattutto se ci troviamo di fronte al genotipo di tipo 1 o 2, presente nelle aree endemiche dei paesi in via di sviluppo. Uno studio condotto in India, area endemica per l’infezione da HEV, ha mostrato come l’infezione da parte di questo virus epatotropo durante la gravidanza può causare parti prematuri, aborti oppure morti neonatali nel 56% dei neonati [26].

Un altro recente studio ha invece dimostrato come nei paesi in via di sviluppo l’infezione da HEV causa ogni anno circa 2400-3000 parti prematuri[7].

Gli studi epidemiologici sulla sieroprevalenza dell’infezione da HEV nelle donne uniti ad un sistematico approccio preventivo, in particolar modo la correzione delle inappropriate abitudini alimentari e dei comportamenti che aumentano il rischio di infezione, può far diminuire drasticamente l’infezione da HEV nelle donne in gravidanza, riducendo così i rischi per la madre ed il feto ad essa correlati.

Le prospettive future dello studio sono quelle di andare a caratterizzare il genotipo maggiormente presente nel territorio aquilano, utilizzando analisi PCR, anche in quelle persone che non presentano sintomi.

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62 Gli studi sinora condotti però ci fanno pensare che fortunatamente dovremmo trovarci di fronte a genotipi benigni HEV 3C, 3F.

Le aspettative per il futuro sono sicuramente quelle di ampliare la numerosità del campione di donne analizzate, in maniera tale da poter avere ancora più dati, soprattutto sulla progressione sintomatologica. Inoltre si può pensare di effettuare una biopsia epatica nelle donne presentanti sintomi, essendo molto difficile reperire HEV RNA nelle feci o nel plasma dopo la prima infezione.

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