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CAPITOLO 2 Stato dell’Arte

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CAPITOLO 2

Stato dell’Arte

2.1 Manometria e pH-metria [10][11]

Nell’iter diagnostico del paziente reflussore si inseriscono manometria e pH-metria esofagea come esami clinici che permettono di monitorare rispettivamente pressione e pH in esofago.

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La pH-metria esofagea ha lo scopo di monitorare il pH (fig.2.1)[12] per valutare:

• la presenza ed il numero dei reflussi brevi (inferiore ai 30 s) e lunghi (superiori ai 5 min) e la loro associazione con i pasti e con il decubito supino; • la percentuale di tempo, sulla durata totale dell’esame, in cui la porzione

distale dell’esofago viene a trovarsi ad un pH<4; • durata del reflusso più lungo;

• la DEAC;

Sulla base di questi fattori viene calcolato l’indice di DeMeester, i cui valori normali vanno da 6 a 18.

Analogamente, il monitoraggio della pressione ha lo scopo di valutare il tono pressorio del LES (fig.2.2) [12], la presenza e le caratteristiche del rilasciamento post-deglutitorio, la peristalsi esofagea (fig.2.3) [12] e il tono dello sfintere esofageo superiore.

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La conoscenza del tono del LES consente di dare indicazioni al chirurgo su come adattare al meglio l’intervento alle caratteristiche del paziente (Tailored Surgery), mentre lo studio della peristalsi consente di stabilire l’operabilità del paziente: la presenza di una peristalsi spiccatamente compromessa (onde inefficaci con Pmax<4 kPa), simultanee,

retrograde o addirittura assenti) rappresenta infatti il principale criterio di inoperabilità. La pH-metria risulta utile sia per pazienti candidati alla terapia medica (per un miglior adattamento ad personam del protocollo farmacologico), sia per pazienti candidati alla terapia chirurgica (per un loro migliore inquadramento diagnostico).

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2.1.1 Descrizione dei sistemi tradizionali

La manometria esofagea viene attualmente effettuata utilizzando un manometro ad acqua a otto canali (ognuno dotato di propria valvola di apertura e chiusura) costituito da consolle mobile per l’acquisizione e l’elaborazione dei dati e dal manometro propriamente detto, collegati tra loro mediante fibre ottiche (Fig.2.4) [13].

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Il sondino naso-gastrico introdotto nel paziente è marcato a otto lumi: quattro radiali sullo stesso piano, all’estremità distale del catetere, a 90° l’uno dall’altro, per la valutazione degli sfinteri; quattro longitudinali, disposti a 5 cm l’uno dall’altro lungo il catetere stesso, per la valutazione della peristalsi (fig.2.5); i lumi vengono collegati ai corrispondenti capillari del manometro ed il sondino viene estratto mediante il carrellino motorizzato alla velocità di 5 mm/s [14].

Fig.2.5 Sondino naso-gastrico per manometria.

Allo stato attuale un pH-metro (fig.2.6) [15] risulta in genere composto da un recorder per la memorizzazione dei dati acquisiti, collegato ad un sondino naso-gastrico alla cui estremità distale, a 10 cm l’uno dall’altro, sono localizzati due elettrodi rivelatori di pH: il primo, esofageo, che viene posizionato 5 cm al di sopra del limite superiore dello sfintere esofageo inferiore manometricamente rilevato; il secondo, gastrico, che di conseguenza viene a trovarsi nella cavità gastrica; l’elettrodo di riferimento connesso con il sondino viene posto sulla cute del paziente ed il pH viene monitorato nell’arco di 24 h [11].

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Fig.2.6 pH-metro con sondino naso-gastrico ed elettrodo di riferimento.

Le problematiche riscontrate sono legate soprattutto alla scarsa praticità che caratterizza l’acquisizione dei dati da parte dei sistemi appena descritti ed hanno spinto la ricerca di un metodo che renda entrambi gli esami meno invasivi (tramite l’eliminazione del sistema dei cateteri), più precisi ed affidabili (sfruttando sensori anche per la misura della pressione); un ulteriore vantaggio è la possibilità di rendere manometria e pH-metria un unico esame clinico.

Infatti effettuare contemporaneamente questi esami, entrambi sulle 24 h consente di ottenere un migliore inquadramento del paziente e di incrementare le conoscenze sui meccanismi fisiopatologici della malattia da reflusso gastro-esofageo, con particolare attenzione al ruolo dei rilasciamenti transitori spontanei.

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2.2 Endoradiosonde

Le endoradiosonde (o radio-pillole) sono capsule usate per il monitoraggio di parametri fisiologici e la trasmissione dei dati acquisiti, dall’interno del corpo umano verso l’esterno. Lo scopo di questi dispositivi è sostituire gli strumenti endoscopici tradizionali per rendere l’indagine clinica meno invasiva per il paziente.

I primi sistemi sono stati sviluppati negli anni ‘50, ma la circuiteria elettronica era limitata a causa delle dimensioni, poiché non esistevano ancora circuiti integrati e microsensori.

Le sonde vengono solitamente divise in due categorie: attive se vengono alimentate a batteria, altrimenti passive.

La prima sonda di tipo attivo è stata progettata da Mackey e Jacobson nel 1961, mentre la sonda di tipo passivo è stata progettata nel 1962 in Giappone da Nagumo.

Nel circuito elettronico della sonda attiva di Mackey e Jacobson, il valore di un componente dell’oscillatore LC viene direttamente cambiato dal parametro da misurare, nell’ottica di ridurre al minimo il numero dei componenti elettronici. I dati rilevati sono pressione, temperatura, pH all’interno dello stomaco.

Il tipo passivo di sonda, sviluppata da Naguno, si basa su un oscillatore di Hartley, in cui la batteria viene sostituita dal condensatore Cc (fig. 2.7) [16].

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Quando il parallelo LC riceve un impulso di energia a radiofrequenza, il transistor inizia a lavorare come un rettificatore, andando a caricare Cc e Cb: terminato l’impulso,

Cc si comporta temporaneamente come una batteria; quando Cb (<<Cc) si è scaricato

quasi del tutto, il circuito inizia ad oscillare, consentendo l’invio di un segnale di risposta, anch’esso a radiofrequenza.

Il dato rilevato consiste nella misura della distanza temporale tra la fine dell’impulso di energia inviato dal sistema esterno e l’inizio dell’oscillazione di risposta: infatti, inserendo un elemento circuitale sensibile al parametro in analisi, è possibile variare la costante di tempo con cui si scarica Cb, di conseguenza anche la distanza temporale tra i

due segnali.

Il circuito di figura 2.8°a [16] può essere utilizzato come sensore di temperatura, in quanto il transistor bipolare presenta variazione dei suoi parametri in funzione di quest’ultima.

Per misurare il pH è invece necessario aggiungere un elettrodo sensibile alla concentrazione di ioni H+, in modo da influenzare la scarica di Cb, (ad esempio un

elettrodo di antimonio, come in figura 2.8 b). La funzione del diodo RD è quella di proteggere il sistema da valori di tensione troppo elevati.

Fig. 2.8 (a) Endoradiosonda sensibile a variazioni di temperatura; (b) Endoradiosonda sensibile a variazioni di pH.

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2.2.1 Sonde attive modificate [16]

Endoradiosonde di questo tipo possono anche essere sfruttate per il prelievo di campioni in punti del TGI di particolare interesse o per il rilascio controllato di farmaci. A tal fine il prototipo (fig.2.9) è stato dotato di un piccolo pistone: esso viene fatto scorrere da un sistema a molla e consente, attraverso una piccola apertura, il prelievo di campioni fisiologici o il rilascio di un farmaco.

Il volume massimo che può essere contenuto nella camera della pillola di figura 2.9 è di circa 0.2 cm3 [16].

Fig. 2.9 Sezione di un’endoradiosonda attiva modificata.

Il circuito elettronico, realizzato in tecnologia CMOS, è stato progettato in modo da azionare il pistone in corrispondenza della ricezione dell’impulso a radiofrequenza inviato dall’operatore esterno.

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Un prototipo più recente di endoradiosonda per il rilevamento di pH è stato realizzato da Uchiyama, nel 1995, alla Waseda University (Giappone). Tale dispositivo si avvale, rispetto ai precedenti, dei progressi tecnologici nella fabbricazione dei circuiti integrati e delle eccellenti caratteristiche dell’elettrodo Iridio/Ossido di Iridio nel rilevamento del pH (Fig.2.10) [16].

Fig. 2.10 Sezione dell’endoradiosonda per pH con elettrodo Ir/IrO2

L’uscita del sensore viene amplificata, applicata a un VCO (Voltage Controlled

Oscillator), che la trasforma in un segnale oscillatorio, sfruttato per modulare in

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Fig. 2.11 Schema a blocchi dell’endoradiosonda per pH con elettrodo Ir/IrO2

Per una sonda di questo tipo risulta evidente che l’accuratezza, la riproducibilità e l’andamento della risposta sono principalmente influenzati dal tipo di sensore utilizzato, mentre la stabilità dipende dal circuito elettronico di controllo, in particolar modo dal VCO.

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2.3 Bravo

TM

pH System [13] [17]

Come alternativa al tradizionale metodo di rilevazione del pH esofageo (che utilizza il sondino naso-gastrico), è già sul mercato BravoTM pH System di Medtronic

(Fig.2.12)[4].

Si tratta di un nuovo sistema di classe I approvato dalla United States Food and Drug

Administration, privo di cateteri: il dispositivo comprende una capsula che viene

agganciata alla mucosa esofagea, per la rilevazione dei valori di pH.

I dati acquisiti vengono trasmessi ad un ricevitore che il paziente tiene attaccato alla cintura e vengono salvati su PC a fine test tramite l’apposito software Datalink

(Medtronic).

Fig. 2.12 BravoTM pH System di Medtronic: ricevitore e capsula

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La novità di tale sistema sta nell’assenza di cateteri esterni: in questo modo il paziente può mantenere le normali abitudini (dieta e livello di attività) e quindi i dati acquisiti risultano più significativi rispetto a quelli ottenuti col monitoraggio tradizionale.

Fig. 2.13 Capsula posizionata in esofago

La capsula per rilevare il pH ha dimensioni: 26.68 mm x 6.2 mm x 5.4 mm e viene attaccata alla mucosa esofagea utilizzando un packaging che prevede sia il sistema di aggancio che la capsula vera e propria (fig.2.13) [13]: il dispositivo predisposto al posizionamento della sonda di pH è progettato sia per il passaggio per via orale che nasale.

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Fig. 2.14 Dimensioni ed elettronica della capsula Bravo.

Un elettrodo di Antimonio sensibile al pH e l’elettrodo di riferimento sono posti in testa alla capsula, mentre batteria e trasmettitore sono alloggiati all’interno (fig.2.14) [13].

L’elettronica e il sensore sono tutti incapsulati in resina epossidica. I segnali vengono inviati alla frequenza di 433MHz. Prima del posizionamento, la capsula viene attivata tramite un interruttore magnetico e calibrata con due soluzioni tampone a pH 7.0 e 1.68.

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La capsula viene applicata alla parete esofagea (seguendo gli stessi criteri del rilevatore esofageo della pH-metria tradizionale) (fig.2.15)[13] da un gastroenterologo oppure da un endoscopista, utilizzando una pinza appositamente progettata e brevettata (fig.2.16) [17]: una volta individuato il punto per il suo posizionamento, tramite la pinza si applica il vuoto in una cavità presente nella parte superiore della capsula ed il tessuto con cui è a contatto viene risucchiato al suo interno; a questo punto (sempre manovrando la pinza) un sottile perno metallico si aggancia alla mucosa perforandola.

Fig.2.16 Sistema di aggancio della capsula Bravo.

In media la capsula rimane in posizione per 5-7giorni: si stacca in modo spontaneo a seguito del passaggio di cibo e del processo di rigenerazione del tessuto; l’organismo normalmente impiega da 1 a 3 giorni per espellerla; in caso di problemi può essere individuata tramite raggi X e recuperata per via endoscopica. Il ricevitore è dotato di tre bottoni per la segnalazione di tre diversi tipi di sintomi (bruciore di stomaco, dolore al torace, rigurgito). Al fine di migliorare la ricezione dei dati (attualmente pari al 98%) l’analisi viene fatta per 48 h.

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È stato effettuato uno studio [17] per valutare l’efficienza e la tollerabilità del sistema Bravo: 44 pazienti sani e 41 pazienti affetti da MRGE sono stati sottoposti al test per due giorni. La capsula è stata generalmente ben tollerata, con solo due soggetti che hanno manifestato disagi durante i due giorni di test; per tre soggetti è stata necessaria la rimozione della capsula per via endoscopica. Lo studio condotto afferma che il sistema ha registrato con successo l’esposizione dell’esofago agli acidi gastrici su quasi tutti i pazienti (fig.2.17) [17].

Durante gli otto mesi in cui sono stati condotti questi test, due sono state le modifiche sostanziali al sistema in modo da ridurre la perdita di dati: è stata aggiunta una antenna di 7 cm al recorder per migliorarne la ricezione; la scheda elettronica all’interno della capsula è stata sostituita con una in vetronite per migliorare la stabilità della frequenza di trasmissione.

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Fig. 2.17 (A) Tracciato pH-metrico ottenuto con l’uso di Bravo su di un soggetto normale; (B) su di un soggetto con reflusso in posizione eretta;

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2.4 Altre applicazioni dei sistemi di telemetria

2.4.1 Sistemi di telemetria per il monitoraggio di sensori in vivo [18] [19].

Diverse applicazioni mediche necessitano un monitoraggio in vivo continuo della concentrazione di alcuni indicatori chiave (glucosio, ossigeno, pH, anidride carbonica).

Gli studi sui sensori impiantabili sono iniziati tentando un monitoraggio transcutaneo del sensore in esame: le maggiori difficoltà si riscontravano nel caso di monitoraggi che durassero per più di qualche giorno; infatti, eccessivi movimenti dell’animale sul quale veniva sperimentato l’impianto, causavano la perdita o lo spostamento del sensore; inoltre l’accesso transcutaneo era a rischio di infezione.

Sfruttando la radiotelemetria, è possibile eliminare le connessioni esterne fra sensori ed elettronica di controllo: il dispositivo impiantabile risulta perfettamente incapsulato ed il rischio di potenziali infezioni è minimizzato; in questo modo è possibile un controllo dei parametri fisiologici a lungo termine, necessario per testare e definire una terapia medica di trattamento del paziente.

In letteratura sono presenti diversi articoli che descrivono sistemi di telemetria per sensori impiantabili di ossigeno o glucosio; se ne descrive di seguito uno (progettato nel da e pubblicato su ) per dare una visione generale della struttura di questi dispositivi.

Per quanto riguarda i riguarda il principio di funzionamento,un sensore enzimatico misura la corrente di ossidazione del perossido di idrogeno, formatosi dalla reazione stechiometrica tra un substrato di glucosio e l’ossigeno, contenuto in uno strato immobilizzato di glucosio-ossidase; la corrente viene convertita in frequenza e trasmessa a intervalli programmabili di 4, 32, 256 s, ad un ricevitore esterno; l’intervallo di trasmissione viene selezionato tramite uno switch magnetico a seconda del tipo di esperimento da eseguire; il ricevitore è di tipo commerciale a basso costo.

Il circuito è sviluppato con tecnologia CMOS a bassa potenza: usando il massimo intervallo di trasmissione e alimentando il sistema con due celle al litio da 250 mAh poste in serie, viene stimato un tempo di vita operativo fino a 1.5 anni. Un così basso consumo di potenza è garantito dalla trasmissione dei soli dati riguardanti i valori di concentrazione rilevata e l’identificazione del sensore.

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Ogni sensore è identificato da una propria frequenza di trasmissione e costruito con a bordo l’apposito cristallo: in questo modo è possibile monitorare fino a 10 sensori nel raggio di 10 m. Infine un’apposita interfaccia permette di programmare il ricevitore ed elaborare i dati trasmessi usando software scritto in Microsoft C e QuickBasic. Questo modulo è in grado di trasmette fino ad una distanza di circa 10÷12 m e pesa circa 27 g.

Viene riportato in figura 2.18 [19] il diagramma a blocchi del circuito per l’acquisizione e trasmissione dei dati rilevati dal sensore.

Fig. 2.18 Diagramma a blocchi del circuito sensore-trasmettitore

Una rete resistiva divide la tensione di alimentazione da 1.3 V per offrire una differenza di potenziale di 0.6 V tra l’elettrodo di platino e l’elettrodo di riferimento Ag/AgCl. La corrente anodica attraversa un convertitore corrente/tensione con sensitività pari a 0.1 V/nA ed una costante di tempo di circa 500 ms.

Questa porzione di circuito rimane accesa per tutto il tempo, al fine di proteggere la superficie dell’elettrodo di platino da transitori di accensione del dispositivo e possibili accumuli di specie ossidabili.

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Quando il sensore non rileva corrente, il VCO genera un’onda quadra con frequenza pari a circa 300 Hz; appena la corrente sale a 10 nA, la frequenza passa a circa 500 Hz. L’uscita del VCO passa attraverso un filtro passabanda che rimuove dal segnale componente continua e armoniche maggiori: il segnale di uscita risultante è un’onda sinusoidale con frequenza che varia da 300 a 500 Hz.

Questo segnale alimenta e modula, sia FM che AM, l’uscita dell’oscillatore a radio frequenza. I cristalli vengono selezionati in un intervallo da 86.00 a 87.95 MHz, spaziati di 50 kHz: questo permette di ottenere fino a 40 canali discreti sui quali l’informazione può essere trasmessa simultaneamente.

Il circuito oscillatore è realizzato dal parallelo di una induttanza e di una capacità e la trasmissione avviene sfruttando una loop-antenna a singola spira stampata direttamente sulla PC-board; l’induttanza ha valore definito dall’antenna mentre la capacità è accordabile in un range da 11 pF a 20 pF per ottimizzare la potenza di uscita e ridurre le distorsioni nella trasmissione AM.

Il ricevitore (fig.2.19) [19] è collegato sia al PC tramite un cavo a 16 fili, sia all’apposita scheda di interfaccia; è stato modificato in modo da esser pilotato via software: tramite computer vengono selezionati i canali di ricezione, la frequenza ed il tipo di demodulazione per ogni canale, alcuni parametri temporali e condizioni di handshake per la corretta ricezione dei dati.

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Fig. 2.19 Diagramma a blocchi della scheda di interfaccia tra PC e ricevitore

Quando il ricevitore rileva un segnale, attiva un ritardo di 100 ms durante il quale il segnale viene demodulato, inviato all’interfaccia, filtrato e portato in ingresso ad un comparatore che genera un’onda quadra.

Al termine dei 100 ms, i successivi 16 dati pilotano un contatore con frequenza 500 kHz: in questo modo si ottiene una buona reiezione dei disturbi tramite una media del segnale; un’interruzione viene inviata al computer prima che inizi il conteggio e quando i dati sono disponibili; a questo punto il programma setta la successiva frequenza di ricezione dei dati.

Per testare la stabilità a lungo termine dei sensori impiantabili, il sistema è rivestito in modo da preservare l’integrità dell’elettronica di controllo e del circuito di telemetria, garantendo però il contatto fra il sensore e il fluido da misurare; il packaging deve essere sufficientemente versatile da permettere un recupero dei componenti elettronici in caso di infiltrazioni attraverso il rivestimento o completa scarica della batteria di alimentazione: per questo motivo come rivestimento interno viene scelto un materiale rimovibile termicamente (cera), come rivestimento esterno un materiale bio-compatibile come il polietilene.

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2.4.2 Sistemi di telemetria per la videoendoscopia.

Nel campo delle capsule per endoscopia, la Given1 sviluppa, produce e commercializza il sistema per la Ripresa di Immagini Diagnostiche Given® (fig.2.20) [20]: si tratta di una tecnologia non invasiva per la diagnosi dei disturbi del tratto gastrointestinale.

Il sistema è stato approvato dalla U.S. Food and Drug Administration nell'agosto 2001 ed è attualmente autorizzato alla vendita negli Stati Uniti, nell'Unione Europea, in Canada, Australia, Nuova Zelanda e Israele. La principale limitazione pratica della capsula per endoscopia consiste nel fatto che, al momento, essa non si presta a biopsie o processi di trattamento durante l’esplorazione del tratto intestinale.

Il Sistema è composto da:

• Capsula M2A™: una capsula monouso brevettata per la ripresa di immagini video a colori che, una volta ingerita, attraversa passivamente l'apparato digerente per essere infine espulsa (fig.2.20) [21] [22].

• Data Recorder Given®: sistema di ricezione che, indossato su una cintura intorno alla vita, riceve i segnali trasmessi dalla capsula attraverso un sistema di sensori posizionati sul corpo del paziente.

• RAPID™ Workstation: equipaggiata con software applicativo proprietario RAPID™ (Reporting and Processing of Images and Data - Presentazione ed Elaborazione di Immagini e Dati) di Given Imaging, elabora i dati e produce un filmato video con le immagini dell'intestino tenue. La RAPID™ Workstation permette ai medici di visualizzare, modificare, archiviare ed inviare per e-mail il filmato video, nonché di salvare singole immagini e brevi videoclip [23].

1Given (GastroIntestinal-VideoENdoscopy) Imaging Ltd., azienda nata nel 1998, con sede in Israele,

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Fig. 2.20 Sistema Given per endoscopia

La capsula misura 11 mm x 30 mm e contiene al suo interno una video-camera miniaturizzata a colori con 4 LED per l’illuminazione del lumen, un sensore, due batterie ed un microtrasmettitore.

Una volta ingoiata, viene sospinta attraverso l’intestino con movimenti peristaltici ed il contatto della capsula con il liquido intestinale, nel tenue, garantisce una continua pulitura del dispositivo durante il transito; essa acquisisce e trasmette immagini digitali

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nella banda UHF, con frame-rate di due immagini al secondo, all’array di otto sensori posto sull’addome del paziente.

Fig. 2.21 Immagini gastriche con sospetta lesione riprese da M2A

Il registratore, fissato alla cintura del paziente, immagazzina le immagini trasmesse: alla fine dell’indagine clinica, vengono trasferite su PC (fig.2.21) [24].

Il tempo totale di registrazione, limitato alla durata delle batterie, è di 6÷8 h e le immagini trasmesse sono circa 50,000. La capsula viene poi espulsa in modo naturale dopo un periodo di tempo che va dalle 8 alle 72 h.

I soggetti con sospette stenosi e i portatori di pacemakers, o altri dispositvi elettro-meccanici, non sono indicati per questo tipo di indagine. La procedura risulta di tipo ambulatoriale e permette ai pazienti di svolgere una normale attività durante il test.

L’uso della capsula su 10 soggetti volontari è stato descritto per la prima volta nel Maggio 2000: da allora sono stati eseguiti più di 8000 test che hanno dimostrato utilità ed efficacia del dispositivo [24].

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Lo sviluppo della microcapsula M2A (fig.2.22) [23] è stato reso possibile dal veloce progresso nello sviluppo di videocamere CMOS, dalla miniaturizzazione dei processi realizzativi di ASIC e dall’ottimizzazione dei LED bianchi, utili all’illuminazione.

Sono stati inoltre fondamentali aspetti come la riduzione delle dimensioni delle batterie ed il progresso nel campo dei circuiti optoelettronici: l’aggiunta di un buffer per ciascun pixel riesce a ridurre il rumore d’uscita associato al sensore CMOS e la qualità di immagine risulta comparabile a quella di un sensore CCD, con una minore potenza assorbita.

Il progresso nella progetto ASIC ha permesso l’integrazione nella capsula di un trasmettitore video di sufficiente larghezza di banda, efficienza e potenza di uscita. Lo switching sincrono dei LED con i sensori CMOS e con il trasmettitore ASIC consente di minimizzare ulteriormente il consumo di potenza.

Fig. 2.22 Diagramma schematico di M2A: (1) Cupola trasparente; (2) Lente a lunghezza focale corta; (3) LED bianchi; (4) Sensore CMOS; (5) Batterie; (6) Trasmettitore;

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L’array di otto sensori serve per la localizzazione della pillola all’interno del TGI; le uscite dei sensori vengono gestite da un software che sfrutta il seguente algoritmo: il sensore che riceve con maggiore intensità il segnale emesso dalla capsula è quello più vicino ad essa; se due sensori ricevono un segnale di uguale intensità la capsula si trova a metà strada tra i due.

I risultati che si ottengono sono soddisfacenti, considerando anche la semplicità dell’algoritmo usato [23].

Figura

Fig. 2.1 Tracciato pH-metrico.
Fig. 2.3 Profilo pressorio della peristalsi esofagea rilevata tramite 4 sensori longitudinali
Fig. 2.4 Manometro ad acqua e consolle mobile.
Fig. 2.7 Schema circuitale dell’endoradiosonda passiva.
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