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BRIEF REMARKS ON THE EVALUATION OF THE TEMPORARY DISABILITY (TOTAL OR PARTIAL) IN THE MINOR LESIONS
LA RESPONSABILITÀ CIVILE.
UNA BREVE RIFLESSIONE SULLA STIMA DELL’INVALIDITÀ TEMPORANEA ASSOLUTA NEI TRAUMI MINORI.
SPECCHIO DI REALTÀ CLINICA O CONVENZIONE VALUTATIVA?
Dr. Gabriele Calcinai*
* Medico legale, Pisa ABSTRACT
Brief remarks on the evaluation of the temporary disability (total or partial) in the minor lesions.
The author analyzes the problem of the period of disability in the victim of a biological damage, in particular when the disability can be considered total and when partial.
It is important to distinguish the clinical and the medico legal meaning of the period of disability.
In fact from a biological point of view is very difficult to perceive the improving in the state of the health of a person from a day to another, meanwhile in legal medicine is necessary to identify the exact length of the period in which the disability can be considered total or partial.
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Il tema della dell’invalidità temporanea assoluta (ITA) nei traumi minori è affrontato analizzandone il significato dal punto di vista tecnico.
A parere dell’autore, quando la ITA è utilizzata per scopi medico legali, la sua origine clinica (“inabilità” o “totale invalidità” intesa come impossibilità di compiere gran parte degli atti quotidiani) necessita di essere modellata e adattata alla finalità valutativa. Solo così può divenire utile strumento per la sua finalità risarcitoria.
Sebbene sia innegabile che l’evoluzione biologica di una malattia o trauma - e quindi la salute dell’uomo - vari ben visibilmente di mese in mese, ma solo apprezzabilmente di settimana in settimana ed impercettibilmente di giorno in giorno, si è inteso utilizzare l’artificio tecnico di suddividere la convalescenza in fasce percentuali (oggi convenzionalmente 100%, 75%, 50%, 25%).
Ragion per cui, se la biologia può essere rappresentata con un artificio tecnico, pur riconoscendo che un modesto trauma contusivo o distorsivo, ma anche minime fratture, mai produrranno la temporanea totale infermità, non deve ritenersi assurdità valutativa (per esempio) la stima di dieci giorni al 100% << alla stregua dei >> forse più reali venti giorni al 50%, o piuttosto dei quindici giorni al 75% che molti fiduciari di compagnia o CTU riconoscono per salvaguardare la coscienza medica… dimenticando che in realtà 10 giorni di ITA dovrebbero equivalere a 13,33 giorni al 75%.
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31 L’interesse per l’argomento in titolo, per quanto riguarda lo scrivente, scaturisce ancora una volta dalle vicende accadute durante l’ennesimo confronto professionale intorno al tavolo della discussione valutativa al termine delle operazioni peritali inerenti un semplice caso in ambito di responsabilità civile, nel quale si è finito per disquisire sull’opportunità o meno di riconoscere al leso, in merito al danno biologico temporaneo, un congruo periodo di invalidità assoluta.
L’input finale a soffermarsi maggiormente sul tema è stato per un verso l’avere assistito alla veemenza con la quale il collega consulente tecnico per parte convenuta ha sostenuto la sua posizione negazionista e per l’altro, trattandosi di persona conosciuta dallo scrivente da molti anni, l’indelebile ricordo di come lo stesso collega fino a pochi anni fa, mai avrebbe sollevato una disputa del genere nulla avendo da eccepire sul contrario. E ognuno di noi, medico legale o professionista valutatore non potrà negare di avere sempre stimato, suggerito o riconosciuto in calce alle proprie relazioni riguardanti traumi minori comportanti micropermanenti -anche inferiori al 5% (es:
modeste distorsioni della colonna vertebrale, delle piccole e medie articolazioni degli arti, infrazioni ossee, ferite et similia)-, un congruo periodo di invalidità temporanea assoluta. Sfoglio il mio archivio personale ed osservo come praticamente da sempre, sia che abbia valutato per conto delle compagnie d’assicurazione, sia per il privato, sia per il giudice, la stima della invalidità temporanea è stata pressoché costantemente orientata fino tre-quattro anni fa sui due -ritenuti allora principali- valori: invalidità temporanea assoluta (ITA) + invalidità temporanea relativa o parziale (ITR) al 50%. E non mi ricordo di avere mai discusso in passato con un collega sulla reale corrispondenza dei giorni riconosciuti “a totale” all’effettiva completa inabilità della parte lesa durante il periodo di malattia traumatica.
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32 E’ senza dubbio il nuovo millennio che pare avere portato aria di rinnovamento concettuale e, conseguentemente, valutativo. Non è scopo di questa riflessione rammentare le importanti evoluzioni dottrinarie del danno biologico, morale ed esistenziale che si sono avvicendate in questi ultimi anni (¹).
Nel frattempo, abbiamo assistito anche a numerose vicende inerenti grossi gruppi assicurativi, all’emanazione di importanti leggi che direttamente o indirettamente hanno riguardato la medicina legale e chi la esercita (²).
Tutto ciò ha comportato un sensibile cambiamento nelle procedure di assegnazione degli incarichi dei fiduciari e nello stesso loro modo di lavorare, costretti ora in molti casi ad avvalersi di programmi informatici precostituiti sul web e ad eseguire accertamenti postumi praticamente coincidenti o quasi con la chiusura della invalidità temporanea.
Insomma, da quando i nostri maestri ci insegnavano che prima di sei-otto mesi dalla cosiddetta “guarigione con postumi” non era possibile procedere all’attendibile valutazione medica e medico-legale degli stessi per il rischio che essi non fossero ancora stabilizzati, siamo passati alla anche troppo precoce loro valutazione. In tutta sincerità quanto su tutto ciò abbia influito il timore da parte delle Compagnie di assicurazione del controllo ISVAP per non avere rispettato i tempi minimi di procedere all’offerta di risarcimento o quanto sia in realtà frutto del vero cambiamento scientifico e dottrinario non siamo in grado di dirlo. Certamente questa “fretta” valutativa coinvolge anche certi ambiti di assicurazione sociale (per es.: INAIL), dove il funzionario è sollecitato a procedere all’accertamento postumi praticamente all’atto della reimmissione al lavoro dell’infortunato. Diversamente, ma più equamente forse, almeno gli è consentita l’opportunità “informatica” di procedere all’accertamento provvisorio dei postumi, anche se trattasi di micropermanenti. In ambito civile questa procedura è invece usata pressoché esclusivamente (e di rado) in caso di macrodanno ai fini di una provvisionale
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33 o di un anticipo sul danno biologico definitivo. Resta il fatto che per una non trascurabile fascia di percentuali di danno (per es. permanenti dal 5% al 15%) procedendo alla troppo precoce valutazione dei postumi, non appare raminga la possibilità di incorrere in un grossolano errore. Fatto che in ogni caso si conclude con un esborso pubblico o privato (indennizzo, risarcimento) maggiore di quanto sarebbe accaduto aspettando solo qualche mese in più.
Tralasciando questi ulteriori aspetti del grande capitolo valutazione del danno che non fanno parte del tema prefissatoci, osserviamo come la problematica della stima della inabilità temporanea assoluta in alcune patologie post-traumatiche di lieve o medio-lieve entità, pare avere assunto negli ultimi tempi un ruolo non trascurabile non solo per la contrapposizione dei due schieramenti anzi detti (pro e contro il riconoscimento di giorni di assoluta invalidità), ma anche per il disaccordo che spesso si crea sull’utilizzo delle fasce della inabilità parziale.
Vediamo di discutere questi due aspetti, affrontabili a mio parere solo dopo avere risposto alla seguente domanda: la valutazione medico legale della danno temporaneo cosa rappresenta ?
Sebbene, come detto, lo spunto sia partito da un caso di responsabilità civile, ove la criteriologia principe da utilizzare è rappresentata dal danno biologico o dal danno alla salute (³), la domanda non è qui rivolta per ribadire concetti dottrinari ormai conosciuti, sviscerati ed arcinoti, ma vuole attingere al concetto generale di utilità della medicina legale per i fini valutativi, vuoi per l’ambito risarcitorio, indennitario, previdenziale od altri. In altre parole, il senso della domanda è: la valutazione medico legale nel caso in cui essa debba essere espressa numericamente, in particolare quella dei giorni della invalidità temporanea, che cosa identifica, cosa traduce o che cosa dovrebbe rappresentare o tradurre?
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34 Concettualmente, ripercorrendo le conoscenze scolastiche si ricorda la sostanziale equipollenza tra i lemmi “invalidità assoluta” ed “inabilità”. Affermare cioè che taluno è rimasto invalido al 100% per dieci giorni equivale a dire che egli è stato inabile per quel periodo. Allo stesso modo, i nostri maestri ci hanno insegnato che l’invalidità permanente al 100% equivale alla inabilità… che alla fine vuol dire assoluta o totale invalidità. Quindi, l’invalidità sottende un concetto di parzialità mentre l’inabilità di totalità. E riconoscere dunque che taluno è rimasto temporaneamente invalido in modo assoluto significa riconoscere la sua inabilità (seppure temporanea)… la quale, per unanime intendimento, dovrebbe corrispondere (di là dai precipui e singoli ambiti valutativi prima accennati) alla totale incapacità di attendere alle proprie occupazioni, siano esse ordinarie o specifiche… alla totale impossibilità di compiere le comuni attività quotidiane, siano esse di svago o lavorative, quindi all’impossibilità sia di godersi la vita sia di guadagnarsi l’opportunità di farlo, fino all’estremo della necessità di accudimento da parte di terzi per inabilità psico-fisica. Bene, se è vero ciò, come nessuno dubiterà che sia vero e che così sia sempre stato fin dai tempi del grande maestro Antonio Cazzaniga, in effetti non dovrebbero sorgere conflitti nel ritenere assolutamente fuori luogo, nella stima di lesioni di modesta o molto modesta entità, il computo di giorni cosiddetti “a totale” (sottinteso: “invalidità”) (4). Postulato ciò, allora vuol dire che per decenni le valutazioni medico-legali della ITA nei casi a modesta o molto modesta efficacia lesiva proposte da ciascuno di noi valutatore, compreso quindi gli stessi esìmi professori e cattedratici che oggi ne sostengono l’impraticabilità, erano o sbagliate o disinformate.
E’ possibile ciò? Personalmente lo escludo. Dunque, non resta che ammettere la più logica e semplice delle argomentazioni: la medicina legale, proprio per la sua peculiare missione e capacità di far dialogare la biologia, la fisiologia e la patologia
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35 medica e chirurgica con la legge scritta e la dottrina giurisprudenziale, necessita di utilizzare un linguaggio che da un lato mantenga salvi i principi scientifici e dall’altro non intralci (semmai faciliti) le operazioni di giustizia in genere, siano esse a fini penali, civili, assistenziali, previdenziali, indennitari… e quindi, anche risarcitori.
In altre parole: se ogni lettore (essere biologico) riesce a leggere questo articolo (che non è scienza ma scrittura) è solo grazie all’uso “convenzionale” dell’alfabeto ed al significato condiviso delle parole. Nel senso che se v’è unanime consenso sul fatto che la lettera “a” non possa significare “b”, può ammettersi che “dimora” significhi talora
“casa”, tal’altra “abitazione”, tal’altra ancora “ricovero”. Si è dunque arrivati ad un punto importante del ragionamento: la necessità dell’uso della convenzione in ambito medico legale. Operazione necessaria del resto in quasi tutte le manifestazioni umane che necessitano di un fattore comune per legare due mondi che parlano due lingue diverse e perseguono finalità proprie: lo studio delle malattie e del modo per curarle l’una (la Medicina), la ricerca della giustizia, della verità nei conflitti d’interesse o la tutela dei diritti e la regolamentazione dei rapporti civili e penali tra esseri umani l’altra (la Legge). E’ solo superando determinati obblighi scientifici che può ridursi la realtà biologica a forma comprensibile ed utile a fini di giustizia. Ove ancora vi fossero dubbi, credo che migliore chiarezza potrà derivare proprio dal commento che misi in calce alla critica del collega e che innescò la discussione di cui in apertura. La riporto integralmente per conoscenza:
“Il dr XX discorda sulla quantificazione della invalidità temporanea assoluta (ITA) reputando che il sig. YY, pur nel rispetto della frattura costale evidenziata dopo un mese, non si sia mai trovato nella totale impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita, ritenendo in tal modo più equa una stima al solo 75%, 50% e 25%. Il CTU prende atto dell'osservazione facendo presente di ben conoscere il significato di invalidità
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36 temporanea assoluta e di ben sapere che numerosi stati di malattia traumatica non impediscono di attendere totalmente alle attività quotidiane ma che le limitano solo in parte per tutta la loro durata. Deve ammettersi tuttavia che è difficile far collimare con assoluta precisione il conteggio attuariale del risarcimento all'evoluzione biologica che, se varia ben visibilmente di mese in mese, lo fa solo apprezzabilmente di settimana in settimana ed impercettibilmente di giorno in giorno. Ragion per cui, nel riconoscere sostanzialmente che la suddivisione in fasce di invalidità temporanea è in ogni caso un artificio tecnico, riteniamo che la stima della IT oltre a non dover corrispondere alla pedissequa traduzione in percentuali scalari delle prognosi stabilite dalle certificazioni di parte, deve rappresentare l'equilibrato parere tra l'esigenza medico-biologica e la necessità di non complicare eccessivamente la traduzione monetaria del risarcimento da parte del Giudice. Il frazionamento a percentuale che solitamente il consulente medico legale propone, deve essere il risultato di un calcolo ponderato per questo fine.
Comunque, nel caso specifico, e speriamo con buona pace della legittima sete di precisione valutativa mostrata dal ctp di parte convenuta, si potranno tradurre gli stimati 10 giorni di "assoluta" (ITA) equiparandoli a 13.33 giorni al 75%, oppure a 20 giorni al 50%, oppure a 40 giorni al 25%, oppure a 50 giorni al 20%... ma anche a 100 giorni all'10%. Fra tutte queste equivalenze, molto matematiche ma poco aderenti al sopra auspicato spirito valutativo "medico legale", si scelga quella che soddisfa di più. Per quanto ci concerne, fatto salvo il principio... la sostanza non cambia.”
In buona sostanza, con ciò analizzando anche il secondo aspetto della questione in parola -quello delle fasce a percentuale-, nessuno contesta che un colpo di frusta semplice o una modesta distorsione di polso non inficino totalmente la validità psico- fisica del leso (per dirla con un termine tanto caro alla scuola pisana sul danno alla salute (5)). Chi di noi ha mai visto rimanere chiuso in casa o allettato qualcuno con il
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37 collare di Schanz od il tutore di polso? Neppure chi porta certi fissatori esterni ad una gamba rinuncia a muoversi o addirittura a lavorare.
Tuttavia il valutatore non deve dimenticare che il suo parere rappresenta in definitiva la base per un conto attuariale che, per poter trasformare la patologia medica in economia monetaria necessita forzatamente di una semplificazione, di una convenzione unanimemente condivisa, perché no di una astrazione concettuale interpretabile e soprattutto umanamente utilizzabile. Come la convenzione delle fasce valutative. Ed allora, se di convenzione si tratta, perché così si è sempre fatto fin dai tempi in cui nessuno si scandalizzava nel parlare solo di due fasce valutative (100% + 50%) per tutte, e ripeto, tutte le lesioni biologiche, dalla più lieve alla più grave, come diceva un famoso giornalista televisivo, una domanda sorge spontanea: per quale ragione oggi impuntarsi, cavillare, disquisire o aggrapparsi a teorie biologiche sulla validità e capacità di compiere i comuni atti quotidiani od il proprio lavoro, non per dare valore scientifico alle stesse in quanto di valore ultraconosciuto si tratta, ma alla fine solo per complicare il lavoro degli altri? A cosa serve tutto ciò quando ogni giorno ognuno di noi valutatore che si trovi da una parte, dall’altra od al centro della valutazione (leggi: medico di parte, fiduciario di compagnia o CTU) compie un’astrazione, una convenzione “raggruppando” i giorni di malattia certificati dal curante in fasce? Perché si fa ciò e si accetta questo comportamento? Si dirà che trattasi spesso di certificazioni “compiacenti” o non corrispondenti alla reale condizione biologica. E chi siamo noi valutatori (a meno di non avere avuto personalmente in cura il leso) da permetterci di tacciare di non corrispondenza al vero (quindi di falsità) quell’atto scritto col quale l’esercente la professione sanitaria - e nostro collega- dichiara conformi a verità i fatti di natura tecnica da lui personalmente obbiettivati? Non esistendo ovviamente una giustificazione lecita a tale comportamento riduzionistico del
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38 periodo di invalidità temporanea, non resta dunque altro che riconoscere l’operazione convenzionale fin qui analizzata: fermo restando la validità dei giorni certificati da qualunque medico (lo si ripete, a meno di tacciare di falsità le certificazioni medesime) si procede ad una ridistribuzione percentuale del grado di infermità secondo fasce convenzionate. Tale per cui trovandosi di fronte ad esempio a cinquanta giorni di malattia traumatica certificata, finiamo per dire che essi, per fini risarcitori, è come se equivalessero a X giorni al totx%, + Y giorni al toty% + Z giorni al totz%. Dove, ovviamente, non può pretendersi che X+Y+Z giorni sia uguale a 50. Tutto ciò nell’unanime -speriamo riconosciuta- assurdità di proporre ciò che, probabilmente, corrisponderebbe alla più verosimile realtà biologico-funzionale, vale a dire -ipotizzando la frattura composta di due coste- 12 gg al 100% + 2 gg al 95% + 2 gg al 90% + 2 gg al 85% + 2 gg al 80% + 2 gg al 75% + 2 gg al 70% + 2 gg al 65% + 2 gg al 60% + 2 gg al 55% + 2 gg al 50% + 2 gg al 45% + 2 gg al 40% + 2 gg al 35% + 2 gg al 30% + 2 gg al 25% + 2 gg al 20% + 2 gg al 15% + 2 gg al 10% + 2 gg al 5%.
Veda dunque, chi si ostina a voler ammantare di scientificità talune valutazioni medico-legali, come è facile cadere nella pur lecita ma scarsa consistenza di certe osservazioni.
In definitiva, chiarendo che seppur personalmente preferenti la bipartizione classica del 100% + 50%, non siamo assolutamente contrari a nessun’altra iniziativa che tenda a migliorare la ormai ubiquitaria quadripartizione (100% + 75% + 50% + 25%), purché si dia vita ad uno strumento valutativo oltre che basato sulla scienza medica, sulla praticità d’uso di chi poi lo deve tradurre in lingua giuridica od attuariale. Sì, abbiamo detto praticità d’uso, che non presuppone la trascuratezza od il sovvertimento dei principi scientifici o della dottrina, ma anzi postula la loro semplicità d’origine unita alla utilità per fini di giustizia.
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39 Speriamo di avere significato il nostro pensiero in maniera chiara e non prolissa.
Del resto, la materia medico-legale non è facilmente riducibile né trattabile, sebbene talora ve ne sia la necessità e se ne veda l’opportunità, come ci è parso utile in questo caso. Utilità ed opportunità che professiamo con lo spirito natio, per come fu suggerito da Ziino, pioniere di questa materia. Egli, nel rendere alle stampe il suo “Prontuario scientifico-pratico di clinica forense per medici-periti e giuristi” (Leonardo Vallardi Ed. - Napoli, 1886) ben sapeva di aver fatto “…meglio che un libro, una buona azione”, e che “…di trattati commendevoli e voluminosi l’Italia va ricca e superba;” tuttavia, nel significare quali fossero gli intendimenti dello stesso, testualmente scrisse nella lettera- prefazione al suo volume di ritenersi soddisfatto per aver scritto “…un libro che… in poca mole… raccolga le nozioni tecniche indispensabili oggimai per chi… intende con coscienza prestare l’opera nelle sedi giudiziarie…”, un libro… anzi una buona azione
“… che armonizzi i dati scientifici collo spirito delle leggi imperanti …”.
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40 NOTE
(¹) Sinteticamente. La sentenza n° 88 della Corte Cost. aveva ritenuto che il danno alla salute, danno non suscettibile direttamente di valutazione economica, fosse pertinente all’art.
2059 c.c. La sentenza della Corte Cost. n° 184/86 ritenne il danno biologico appartenente alla sfera valutativa dell’art. 2043 c.c. Le sentenze Cass. civ. 8827 e 8828/2003 sancirono che l’art. 2059 c.c. fosse applicabile anche ad illeciti non costituenti reato ma configuranti tuttavia lesione di beni costituzionalmente protetti e tra questi doveva essere ricompreso anche il danno biologico. La sentenza 26972/08 Cass. Sez. un. civ., tra gli altri principi, ha sancito che il danno non patrimoniale non è costituito da sottocategorie di danno, talché il c.d. danno esistenziale cessa di avere sua autonoma esistenza.
(²) Intendendo con ciò riferirsi alla fusione od incorporazione tra varie compagnie d’assicurazioni private, all’emanazione di provvedimenti di legge importanti (lg 57/01 e correlato DM 03/07/03 sulle micropermanenti, D.Lgs. n° 209/2005 riguardante il nuovo codice delle assicurazioni private, nel cui contesto troviamo agli art. 138 e 139 la regolamentazione per la valutazione e la liquidazione del danno biologico di non lieve e di lieve entità.
(³) E’ ben noto, infatti, come ad esempio, in ambito sociale (INAIL o INPS), la invalidità temporanea sia valutata come effettiva inabilità assoluta al lavoro; in ambito privatistico, come incapacità a svolgere le attività dichiarate;
(4) Del Cazzaniga si rilegga in proposito il capitolo quarto de “Le basi medico legali per la stima del danno alla persona da delitto e quasidelitto” -S.A. Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1928-, ove al paragrafo 1, nel parlare proprio del “Il danno da menomazione temporanea” insegna testualmente che “E’ fuor di dubbio che l’impedimento temporaneo totale o parziale, alla estrinsecazione delle facoltà fisico-psichiche economicamente utili, costituisce ragione di danno ed è pure fuor di dubbio che il perito medico può utilmente prestare l’opera propria nei casi relativi sia con l’accertamento del rapporto etiologico, sia col controllo della
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41 reale esistenza della menomazione, sia infine col determinare il grado e la durata di essa. … A tal proposito devesi innanzi tutto notare come, trattandosi di menomazioni temporanee non di rado di durata relativamente breve, è difficile che risultino compromessi quei coefficienti quei coefficienti di ordine sociale... infatti la vita di relazione col pubblico non può dirsi turbata da una temporanea sospensione od attenuazione della efficienza extralavorativa…“.
(5) Nel 1981 nacque presso l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Pisa un Gruppo di Ricerca per lo studio interdisciplinare del risarcimento del danno alla persona che, grazie anche al contributo del C.N.R., e soprattutto all’apporto dottrinario di numerosi studiosi della materia giuridica, medica, assicurativa, attuariale che si sono susseguiti nel tempo (F.D.
Busnelli, A. Nannipieri, G. Ponzanelli, D. Poletti, G. Comandè, E. Navarretta, S. Badalassi, G.
Turchetti, R. Domenici, G. Selvaggio, A. Bassi Luciani, A.M. Lupi, T. Pistoresi, A. Tolomeo, M.G.
Veracini, D. Pagliari, L. Marino per citarne alcuni) ha formato ed informato il pensiero di numerosi cultori della materia medico-legale, in particolare del settore valutativo del danno alla persona in responsabilità civile. Il gruppo e la sua scuola di pensiero hanno avuto quale figura coordinatrice medica più importante il compianto, anche maestro di chi scrive, prof. Marino Bargagna.