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Il danno psichico in ambito INAIL Dr. Ciro Carola

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Academic year: 2022

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Il danno psichico in ambito INAIL

Dr. Ciro Carola*

Con il decreto legislativo 38/del 2000 è stato previsto il riconoscimento da parte dell’INAIL del danno biologico relativo all’integrità psicofica del lavoratore.

Con il successivo DM. 12 luglio 2000 pubblicato sulla G.U. 25.7.2000 è stata approvata la tabella delle relative menomazioni.

Con circolare della fine dello scorso anno la n. 71 del 17.12.2003 cui è allegata la relazione del comitato scientifico, nominato dall’Inail a seguito della delibera 473 del 26.7.2001, è stata regolamentata la diagnosi di malattia professionale e il rischio tutelato relativo ai disturbi psichici discendenti dalle patologie psichiche e psicosomatiche da stress dell’ambiente di lavoro, compreso il cosiddetto mobbing.

L’Inail ha così completato il percorso iniziato anni addietro sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito per quanto concerne la tutela psicofisica del lavoratore in tema di infortuni sul lavoro e dalla corte costituzionale che con la sent n.179/1988 ha introdotto il c.d sistema misto tabellare estendendo la tutela assicurativa a tutte le malattie per le quali il lavoratore provi la causa di lavoro.

Molti anni fa, prima dell’elaborazione del concetto del “danno biologico” inteso come menomazione psicofisica un giovane adolescente subì un grave infortunio sul lavoro perdendo all'età di quindici anni entrambi gli arti.

L'Istituto, senza attendere gli esiti del procedimento penale che poi dimostrarono la realtà di un eclatante caso di sfruttamento di lavoro minorile, provvide alla tutela del giovane indennizzando la percentuale d'invalidità corrispondente alla perdita dei due arti.

A quell’epoca le norme non consentivano il riconoscimento del danno biologico e tanto meno del danno psichico.

Mi sono sempre chiesto quale danno effettivo ebbe a subire quel giovane al di là della percentuale d'inabilità allora riconosciuta e riconoscibile.

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Quale influenza ebbe quell'evento sul suo comportamento, sul modo di essere, sul modo di porsi verso gli altri, sulla felicità e sull'esistenza.

Intorno agli anni 70, i giudici genovesi sovvertirono l'allora orientamento della cassazione fondato sull'asfittica concezione del danno imperniata sulla perdita patrimoniale del soggetto.

Successivamente la Corte di Cassazione con la sentenza a sezioni unite 5172/79 e la Corte Costituzionale con la sentenza 184/85 richiamandosi al diritto vivente si adeguarono al nuovo impianto risarcitorio.

Dieci anni fa con la sentenza n. 372/94 Sgrilli c/Colzi la Corte Costituzionale affermò il principio che la salute dell'individuo, oggetto di protezione dell'art. 32 c.c è una soltanto e può essere compromessa sia violando il suo corpo che la sua psiche.

Oggi gli sviluppi giurisprudenziali e normativi hanno portato nel mondo del lavoro alla tutela psicofisica del lavoratore.

Così nell'ambito della tutela degli infortuni e delle malattie professionali il dls 23 febbraio 2000 n. 38 all’art. 13 definisce il danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico legale.

In questo ambito la nuova normativa ha comportato una vera e propria rivoluzione se si pensa come dalle circa 59 voci di malattia tabellate riportate nell’allegato al t.u. 1124/65 si è passati alle 387 voci riportate nella tabella pubblicata sulla g.u. del 25.7.2000 e come siano state previste nelle voci dal numero 176 al 190 la tutela specifica del danno psichico il Marigliano definisce il danno psichico quello che incide sulla psiche, vale a dire su quel complesso di funzioni e fenomeni che consentono all'individuo di formarsi un'esperienza di sé e del mondo che lo circonda e di agire di conseguenza.

È certo che la psiche non è un'entità anatomica.

Secondo il prof. Anglesio essa è il prodotto di un funzionamento, il funzionamento del cervello.

Secondo altri è il prodotto dell'interazione tra l'anima e il cervello.

Le turbative psichiche hanno formato per lungo tempo oggetto di sospetto per la possibilità di speculazione e ingiustamente sono state collocate nella cosiddetta area di evanescenza.

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L’evoluzione della scienza medica ci consente oggi di capire come esse costituiscano una vera e propria malattia che colpisce l’uomo portandolo alle più svariate forme di reiezione della realtà, allo svilimento di sé stesso e del suo modo di essere.

Nel mondo del lavoro le lesioni psichiche hanno trovato concreta tutela quando le patologie sono state prodotte da lesioni anatomo-patologiche formatesi a livello della materia cerebrale a seguito traumi.

In tali casi l’accertamento del nesso causale, infatti, è osservabile direttamente.

Mentre scarsa tutela hanno trovato i disturbi che il DSM identifica come disturbo acuto da stress, disturbo post traumatico da stress e il disturbo dell’adattamento.

L'accertamento del nesso causale appare uno dei compiti più difficili ed uno dei capitoli più tormentati.

Nel convegno di Torino del 7.4.2000 “l’altra faccia della Luna” si giunse ad alcune importanti affermazioni ed in particolare fu messo in evidenza la complessità del protocollo da seguire per l’accertamento del nesso causale e come tale compito debba essere riservato allo psichiatra che certamente non potrà esaurire il proprio lavoro nel giro di pochi giorni perché altro è stabilire se l'alterazione anatomica sia la conseguenza di un determinato evento, altro è stabilire se e in quale misura l'evento abbia prodotto l'alterazione della psiche.

Lo psichiatra, infatti, segue un percorso che parte dall’individuazione del disturbo, prosegue con la raccolta dall’anamnesi e delle notizie, procede all’esame obiettivo, e, dopo avere raccolto ed effettuati i test necessari, giunge con l’operazione di sintesi all’accertamento della sussistenza del nesso causale.

Nell’esame del soggetto lo psichiatra valuta e misura le differenti funzioni psichiche come l’affettività, la percezione delle cose, l’attenzione e la funzione della memoria ed il modo con cui il soggetto agisce e reagisce nella relazione dinamica tra la sua realtà e quella che lo circonda.

Deve tenere presente che l’evento denunciato potrebbe essere solo la causa rivelatrice di un processo patologico di cui l'infortunato già era portatore che affonda le sue radici in avvenimenti anche lontani della sua vita e che la malattia può emergere a distanza di tempo dall’evento lesivo ed, infine, che non tutti i soggetti reagiscono allo stesso modo di fronte a situazioni lesive e di pericolo.

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Ma è anche opinione diffusa che lo psichiatra debba limitarsi a prospettare l'aspetto descrittivo dello stato attuale del paziente e del mutamento peggiorativo del suo modo di essere in rapporto allo stato anteriore, mentre la valutazione del danno debba rimanere compito del medico legale.

In tema di valutazione i problemi maggiori non attengono alla valutazione di patologia importanti, ma alle sindrome soggettive che comportano valutazioni intorno al 10%.

E ciò è intuibile in quanto più importante è la malattia, più essa è evidente e più è suscettibile di valutazione.

Alcuni problemi valutativi sono stati risolti dalla nuova tabella INAIL costruita sulle fasce di gravità del danno che consente al medico di personalizzare sull’infortunato la valutazione del danno stesso.

Sulla base di tali parametri è possibile ritenere che il medico legale insieme allo psichiatra possa pervenire ad una quantificazione del danno che rispecchi con grande attendibilità la gravità della malattia

Il decreto legislativo n. 38/2000 ha il merito di avere posto in evidenza come l'invalidità psichica costituisca un danno alla salute e come sia esso risarcibile e indennizzabile.

Nell’ambito della tabella delle malattie di cui al dpr 38/2000 secondo Cimaglia e Rossi è possibile individuare tre classi di danno psichico alle quali è possibile fare ricorso anche in via analogica:

A. fascia di danno fino al 20%

sintomi psicologici indicativi di una diminuita capacità critica della realtà, episodiche alterazioni dell'orientamento temporale spaziale ed affettivo, diminuzione delle funzioni cognitive con significativo deficit delle prestazioni abituali nella vita di relazione e sul lavoro, significativa alterazione della capacità di entrare in rapporto con gli altri, alterazione del comportamento accompagnatosi da episodi depressivi.

B. fascia di danno fino al 50%

episodi di alterazione della capacità di comunicare e di entrare in relazione con altri, diminuita capacità critica e di giudizi, deliri saltuari ovvero elevata presenza di deliri e di allucinazioni che compromettono gravemente la vita quotidiana oggetto.

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C. fascia di danno superiore al 50%

incapacità rilevante o quasi completa di avere cura della propria persona, rischi di atti violenti contro se stessi e contro altri con importante alea di suicidarsi e di violenze esterne.

(Cimaglia e Rossi “Danno biologico” ed. 2000)

È troppo presto per dire se tale regolamentazione sia esaustiva di tutti gli aspetti del danno psichico, ma è certo come il riconoscimento di tali malattie abbia determinata una maggiore attenzione per le lesioni e i turbamenti della psiche nel mondo del lavoro, ove si rivelano nuove e insidiose malattie di origine professionali.

È un passo di grande rilievo per la tutela del lavoratore.

È una rivoluzione epocale che tuttavia sta attraversando il mondo del lavoro in modo silenziosa.

Forse per lo scarso risalto che ne hanno dato gli organi d’informazione o forse per l’innato sospetto che da sempre avvolge le patologie della psiche.

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